Svolgimento del processo
1.11 sig. G. D. ricorre per l'annullamento dell'ordinanza del 19 dicembre 2023 del Tribunale di Palermo che ha dichiarato inammissibile l'appello del provvedimento del Giudice per le indagini preliminari del medesimo tribunale che aveva rigettato la richiesta di revoca del decreto del 24 luglio 2023 con cui è stato disposto il sequestro preventivo di beni aziendali della società D. s.n.c. di S. & C.
1.1. Con il primo motivo deduce la contraddittorietà e/o la manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui il Tribunale cautelare non ha considerato che la richiesta di restituzione era stata effettuata dal ricorrente in proprio e non quale legale rappresentante della società. Non si comprende - afferma - da dove il Tribunale abbia tratto l'opposta conclusione per dichiarare, di conseguenza, l'inammissibilità dell'appello per mancanza di procura speciale, tanto più che, trattandosi di società in nome collettivo, vi è confusione tra il patrimonio del socio e quello della società sicché il primo ha un personale interesse (e dunque il diritto) alla restituzione dei beni.
1.2. Con il secondo motivo deduce l'inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inammissibilità rilevando che la nomina fiduciaria da parte della persona sottoposta a indagini legittima il difensore alla tutela, in sede penale, di tutti gli interessi del proprio assistito, anche di quelli relativi ai beni della società non di capitali di cui è socio e che, in quanto società di persone, non può essere considerata "terza".
Motivi della decisione
2. II ricorso è inammissibile.
3. Non v'è dubbio che il ricorrente, quale persona fisica, non è titolare di alcuna situazione giuridica soggettiva attiva lesa dal provvedimento ablatorio. Egli perciò, in quanto socio privo della legale rappresentanza dell'ente, non aveva (e non ha) alcun interesse concreto ad impugnare il provvedimento cautelare dal cui annullamento non trarrebbe alcun beneficio.
3.1. La legittimazione ad impugnare, attribuita all'imputato/persona sottoposta alle indagini dall'art. 322, comma 1, cod. proc. pen., deve essere coniugata con il principio secondo il quale «per proporre impugnazione è necessario avervi interesse» (art. 568, comma 4, cod. proc. pen.).
3.2. L'interesse ad impugnare deve essere concreto ed attuale, correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare e sussiste solo se l'impugnazione sia idonea a costituire, attraverso l'eliminazione di un provvedimento pregiudizievole, una situazione pratica più vantaggiosa per l'impugnante rispetto a quella esistente (Sez. U, n. 6203 del 11/05/1993, Amato, Rv. 193743; Sez. U, n. 9616 del 24/03/1995, Boido, Rv. 202018; Sez. U, n. 42 del 13/12/1995, Timpani, Rv. 203093; Sez. U, n. 10372 del 27/09/1995, Serafino, Rv. 202269; Sez. U, n. 20 del 20/10/1996, Vitale, Rv. 206169; Sez. U, n. 18253 del 24/04/2008, Tchmil, Rv. 239397; Sez. U, n. 40963 del 20/07/2017, Andreucci, Rv. 270497).
3.3. L'art. 322-bis, cod. proc. pen., coerentemente con quanto dispone l'art. 568, comma 3, cod. proc. pen., secondo il quale il diritto di impugnazione spetta solo a colui al quale la legge espressamente lo conferisce, individua coloro ai quali spetta espressamente il diritto di proporre appello avverso le ordinanze in materia di sequestro preventivo.
3.4. La specificazione, contenuta nel successivo comma quarto dello stesso art. 568, cod. proc. pen., secondo la quale per impugnare occorre avervi interesse, rende chiara l'intenzione del legislatore di distinguere la legittimazione a proporre impugnazione dall'interesse ad impugnare. L'impugnazione è lo strumento processuale per ottenere un risultato concreto che può essere utilizzato solo da chi è legittimato a servirsene; sicché l'impugnazione è inammissibile quando è proposta da chi non è legittimato o, pur essendolo, non ha interesse (art. 591, comma 1, lett. a, cod. proc. pen.).
3.5. Chiara, sul punto, Sez. U, Serafino, cit., per la quale la legge processuale non ammette l'esercizio del diritto di impugnazione avente di mira la sola esattezza teorica della decisione, senza che alla posizione giuridica del soggetto derivi alcun risultato pratico favorevole, nel senso che miri a soddisfare una posizione oggettiva giuridicamente rilevante e non un mero interesse di fatto. Sulla base di tale premessa, è stata affermata la carenza d'interesse dell'imputato - che aveva patteggiato la pena per il delitto di spaccio di modica quantità di stupefacenti, vedendosi confiscare la somma ricavata dalla cessione - a impugnare il capo relativo alla confisca, sul rilievo che la questione relativa alla legittimità di quest'ultima era meramente teorica e astratta, una volta esclusa l'esistenza, per il cedente, in una cessione illecita per contrarietà a norme imperative, di un diritto a rientrare nella disponibilità del prezzo ricavato, e cioè la tutelabilità "jure civili" della sua pretesa, configurabile, pertanto, come interesse di mero fatto.
3.6. Nel caso di specie, il ricorrente non è proprietario dei beni in sequestro dei quali non potrebbe mai essere disposta la restituzione in suo favore. Egli perciò, ancorché persona sottoposta alle indagini, persegue un interesse di mero fatto che rende privo di concretezza e attualità l'interesse a proporre sia il riesame che l'odierno ricorso.
3.7. E' stato al riguardo precisato che il singolo socio non è legittimato ad impugnare i provvedimenti in materia di sequestro preventivo di beni di proprietà di una società (nella specie, il rigetto dell'istanza di revoca della misura), attesa la carenza di un interesse concreto ed attuale, non vantando egli un diritto alla restituzione della cosa o di parte della somma equivalente al valore delle quote di sua proprietà, quale effetto immediato e diretto del dissequestro (Sez. 2, n. 29663 del 04/04/2019, Tufo, Rv. 276735 - 01, secondo cui, nel caso in cui il legale rappresentante sia rimasto inerte e la società possa subire un danno dal mancato dissequestro, il socio ha il potere di sollecitare gli organi sociali ad agire nell'interesse di quest'ultima; nello stesso senso Sez. 6, n. 16860 del 19/03/2019, Cuppari, Rv. 275934 - 01).
3.8. II ricorrente obietta che tali principi non sono applicabili in caso di società di persone prive di personalità giuridica sicché il socio è, in quanto tale, persona che ha diritto alla restituzione dei beni costituenti il patrimonio della società.
3.9. II rilievo non è fondato.
3.10. Come più volte chiarito dalla giurisprudenza delle sezioni civili della Corte di cassazione, le società di persone costituiscono, pur non avendo personalità giuridica ma soltanto autonomia patrimoniale, un autonomo soggetto di diritto, che può essere centro di interessi e d'imputazione di situazioni sostanziali e processuali distinte da quelle riferibili ai singoli soci che, pertanto, non sono legittimati ad agire in proprio per gli interessi della società stessa (Cass. civ., Sez. 3, n. 10427 del 18/07/2022, Rv. 555893 - 01; Cass. civ., Sez. 5, n. 442 del 17/01/2002, Rv. 551592 - 01; Cass. civ., Sez. 2, n. 5233 del 29/05/1999, Rv. 526826 - 01).
3.11. A prescindere dal titolo dell'acquisto (conferimenti o successivi incrementi frutto dell'attività di impresa), i beni costituenti patrimonio della società in nome collettivo sono di proprietà della società e quand'anche si tratti di beni conferiti a titolo di godimento il socio proprietario non può farne uso per scopi estranei a quelli societari (art. 2256 cod. civ.).
3.12. Secondo una risalente, ma mai superata pronuncia della Corte di cassazione, i concetti giuridici di capitale sociale e di patrimonio sociale, pur presentando qualche elemento di correlazione, particolarmente accentuato nel momento della costituzione della società, sono diversi ed inconfondibili. Il capitale sociale traduce in cifra precisa (suscettibile di norma di variazione nella sua entità giuridica e contabile solo a seguito di modifica nelle forme legali dell'atto che lo abbia determinato) l'ammontare complessivo degli apporti dei soci all'atto della costituzione. Il patrimonio sociale invece è formato dal complesso dei diritti ed obblighi, dai rapporti giuridici attivi e passivi che, nel corso della gestione, vengano man mano ad accentrarsi nella società ed è pertanto soggetto alle fluttuazioni e trasformazioni determinate dalle esigenze e dagli effetti della realtà economica, e - visto in un particolare momento - identifica il complesso dei beni dei quali, nel momento medesimo, la società è titolare (Cass. civ., Sez. 1, n. 488 del 25/03/1965, Rv. 310872 - 01).
3.13. Orbene, premesso che il socio non può di norma chiedere la restituzione dei beni conferiti in godimento se non in caso di scioglimento della società (art. 2281 cod. civ.) o di recesso o in base al titolo con il quale è stato concesso il godimento del bene, i beni costituenti il patrimonio sociale appartengono alla società e non al singolo socio il quale non può dunque chiederne la restituzione o rivendicarne la proprietà (sul punto, Cass. civ., Sez. 1, n, 2928 del 28/10/1960, Rv. 880926 - 01, secondo cui, essendo indiscutibile la sussistenza di una distinzione tra la società di persone ed i soci della stessa - trattavasi, nella specie di società in nome collettivo -, deve escludersi che il singolo socio di una tale società, pendendo la liquidazione di quest'ultima, possa esercitare, in proprio nome, un'azione di rivendica in proprietà esclusiva di beni che egli assume essere stati illegittimamente distratti dal patrimonio sociale. In tale caso, infatti, stante la permanenza in vita della società durante la sua fase di liquidazione, e dato che il titolo dedotto dal socio rivendicante non è di per sé idoneo ad attribuire allo stesso la pretesa proprietà esclusiva dei beni medesimi, deve affermarsi il difetto di legittimazione attiva del socio alla detta azione; nello stesso senso, Cass. civ., Sez. 1, n. 931 del 09/05/1962, Rv. 251516 - 01, secondo cui nelle società semplici, prive di personalità giuridica, ma dotate di autonomia patrimoniale con riferimento alla destinazione dei beni conferiti all'esercizio collettivo di un'attività economica, l'autonomia patrimoniale permane anche durante la fase di liquidazione; ne consegue che, nel corso di tale fase, per il vincolo di destinazione che grava sui beni, il singolo socio non può esercitare in proprio nome l'azione di revindica in proprietà esclusiva dei beni che egli assume essere stati illegittimamente distratti dal patrimonio sociale e che la rappresentanza in giudizio degli interessi sociali spetta esclusivamente ai liquidatori).
3.14. In sede penale ne è stata tratta la conseguenza della inammissibilità della confisca dell'autovettura appartenente ad una società in nome collettivo (della quale l'imputato era socio), in quanto quest'ultima è soggetto giuridico estraneo al reato di guida in stato di ebbrezza (Sez. 4, n. 1536 del 02/10/2009, Pittavino, Rv. 246293 - 01).
3.15. Nel caso in esame, oggetto di sequestro sono i beni aziendali e, dunque, il patrimonio sociale della società. Sicché il socio, che non sia anche legale rappresentante della società di persone, non è legittimato a chiederne la restituzione non potendo egli far valere in giudizio situazioni soggettive che non gli appartengono. Residua la possibilità che egli vanti su taluni beni diritti suoi propri che, in base al titolo della loro attribuzione alla società, gli consentano di ottenerne la restituzione immediata. Ma tale circostanza non è stata mai dedotta, nemmeno in sede di merito.
3.16. In conclusione, l'autonomia patrimoniale delle società di persone esclude che il socio possa, in quanto tale, agire in giudizio per la restituzione dei beni che appartengono alla società della quale non abbia la legale rappresentanza.
3.17. Nelle società in nome collettivo la legale rappresentanza spetta a ciascun socio se non è diversamente pattuito (artt. 2257, 2266, 2293 cod. civ.) ma nel caso di specie è il ricorrente stesso ad escludere in modo espresso di essere il legale rappresentante della società.
4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di € 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.