Svolgimento del processo
1. L'Agenzia delle entrate notificava a DT , per l'anno 2007, avviso di accertamento di un maggior reddito di partecipazione nella società X di X SAS, compagine societaria nella quale la contribuente rivestiva la carica di socio accomandante.
2. L'atto impositivo veniva impugnato innanzi alla CTP, deducendo la decadenza dal potere accertativo per inapplicabilità del raddoppio dei termini di accertamento previsto, in presenza di una delle violazioni di cui al d.lgs. n. 74 del 2000, dall'art. 43, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973, per non avere l'ufficio provato l'inoltro della notizia di reato all'autorità giudiziaria.
3. La CTP accoglieva il ricorso per violazione del principio del contraddittorio, sul presupposto della omessa notifica dell'avviso di accertamento societario (ancorché divenuto definitivo per mancata impugnazione) nei confronti della ricorrente.
4. Contro tale decisione proponeva appello l'Agenzia delle entrate, deducendo che l'accertamento emesso nei confronti della società partecipata era allegato all'atto notificato alla contribuente e che in esso erano ben evidenziate le ragioni del recupero fiscale dovuto alla omessa tenuta delle scritture contabili, alla omessa contabilizzazione di costi, all'omessa conservazione di fatture afferenti acquisti intracomunitari e alla omessa compilazione dei modelli INTRA.
5. La CTR rigettava l'appello, in quanto l'Agenzia delle entrate, a fronte della specifica eccezione sollevata dal contribuente sin dal primo grado, non aveva dimostrato di avere inoltrato la comunicazione di reato all'autorità giudiziaria ai sensi dell'articolo 331 c.p.p., per usufruire del raddoppio dei termini per procedere all'accertamento ai sensi dell'art. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, in tal modo impedendo al giudice tributario di vagliare autonomamente la presenza dell'obbligo di denuncia.
Rilevava anzi che, nell'avviso di accertamento, era una "mera enunciazione [ ...] di una futura iniziativa di infor:imaiin:i1J:JeM:Jone2610912024 al l'autorità giudiziaria".
La CTR ne faceva discendere l'intervenuta decadenza dal potere accertativo in relazione all'atto impugnato, che era stato notificato, in riferimento all'annualità 2007, in data 24 aprile 2013, e pertanto oltre la scadenza del termine ordinario di accertamento del 31 dicembre 2012.
6. Contro questa decisione l'Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, il secondo dei quali proposto in via subordinata.
7. Resiste con controricorso la contribuente.
Motivi della decisione
1. Va preliminarmente evidenziato che è stato depositato atto di rinuncia al mandato da parte del difensore della controricorrente, recante data (5 giugno 2017) successiva alla notifica del controricorso e sottoscritto, per accettazione, dalla controricorrente stessa, che non risulta, tuttavia, aver provveduto alla sostituzione del difensore. In questa situazione, per effetto del principio della cd. perpetuatio dell'ufficio di difensore (di cui è espressione l'art. 85 c.p.c.), nessuna efficacia può dispiegare, nell'ambito del giudizio di cassazione (oltretutto caratterizzato da uno svolgimento per impulso d'ufficio), la suddetta rinuncia, pur se comunicata alla Corte prima dell'udienza di discussione (in tal senso, Sez. L, Ordinanza n. 28365 del 29/09/2022, rv. 665734-01).
2. Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., si denuncia violazione e/o falsa applicazione degli articoli: 14, 29 e 61 del d.lgs. n. 546 del 1992; 101, 102, 112, 157 e 159 c.p.c.; 111 Cast. e la nullità dell'intero giudizio per omessa vacatio in ius di un litisconsorte necessario.
Secondo la ricorrente, essendosi il procedimento svolto nei gradi di merito esclusivamente nei confronti della socia accomandante, senza la partecipazione del socio accomandatario DG l’intero giudizio sarebbe affetto da nullità assoluta, in quanto, come statuito dalle SS.UU. con la sentenza n. 14815 del 2008, (omissis) cui venga proposto ricorso avverso un avviso di rettifica della dichiarazione dei redditi di una società di persone, ricorre un'ipotesi di litisconsorzio necessario originario tra tutti i soci e la società, sicché il giudice adito in primo grado deve ordinare l'integrazione del contraddittorio, pena la nullità del giudizio.
3. Con il secondo motivo, proposto in via subordinata ai sensi dell'art. 360, comma 1, nn. 3 e 4 c.p.c., si denuncia violazione e/o falsa applicazione degli articoli 43, commi 1 e 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, nella versione ratione temporis applicabile, e 112 c.p.c.
Secondo la ricorrente, come sarebbe stato chiarito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 247 del 2011, il raddoppio dei termini previsto dall'art. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, nella versione ratione temporis applicabile, conseguirebbe dal mero riscontro di fatti comportanti l'obbligo di denuncia penale, indipendentemente dall'effettiva presentazione della denuncia o dall'inizio dell'azione penale.
In altre parole, l'eventuale ritardo o l'omissione della denuncia per uno dei reati di cui al d.lgs. n. 74 del 2000, rileverebbe sotto il profilo della responsabilità penale e disciplinare del pubblico ufficiale, ma non escluderebbe, di per sé, l'operatività del raddoppio dei termini, restando comunque affidato al giudice tributario il compito di effettuare autonomamente un controllo dei presupposti dell'obbligo di denuncia e, dunque, la verifica della sussistenza o meno di fatti comportanti tale obbligo.
4. Il primo motivo non è fondato.
5. È noto che l'imputazione per trasparenza ai soci di società di persone di maggiori redditi in derivazione da quello accertato in capo alla società determina, in sede di impugnazione, un'ipotesi di litisconsorzio necessario tra gli uni e l'altra (principio espresso da Cass. S.U., n. 14815 del 04-06-2008, Rv. 603330-01, e costantemente ribadito in seguito: tra le ultime, Cass. 16/04/2024, 10/01/2024, n. 939; 09/01/2024, n. 751).
Le Sezioni Unite, tuttavia, nel citato arresto, hanno fatto salvo il caso in cui i soci prospettino questioni personali. Nel chiarire la portata di detto ultimo inciso, il supremo collegio ha precisato (par. 2.6 della motivazione) che «non sussiste litisconsorzio necessario tra società e soci quando il contribuente svolga una difesa sulla base di eccezioni personali, come la qualità di socio o la decadenza dal potere di accertamento, o che riguardino la ripartizione del reddito tra i soci».
Ciò è, appunto, quanto rileva nella fattispecie in esame, in cui l'odierna intimata, nell'impugnare l'avviso di accertamento notificatole quale socia accomandante, senza opporre alcunché riguardo all'accertamento del maggior reddito imponibile in capo alla società, ha avanzato doglianze attinenti a questioni personali (in tal senso, Cass. 11/6/2018, n. 15116), adducendo unicamente, a sostegno del proprio ricorso, la decadenza dal potere accertativo da parte dell'Agenzia delle entrate e - come risulta dal controricorso - l'estraneità della contribuente rispetto alla gestione societaria.
6. Il contraddittorio, dunque, risulta integro, in quanto l'unitarietà dell'accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi della società di persone e di quelle dei singoli soci comporta la configurabilità di un litisconsorzio necessario esclusivamente nel caso in cui oggetto del giudizio sia il reddito sociale, il cui accertamento, sia sull'an che sul quantum, si riverbera anche sul reddito dei soci, e non anche quando il socio, nell'impugnare l'avviso di accertamento a lui notificato, ponga questioni che investono unicamente la sua posizione, senza alcun coinvolgimento né di quella della società né di quella degli altri soci, giuridicamente del tutto autonome rispetto all'oggetto della lite (in tal senso, Cass., Sez. 5, Sentenza n. 19456 del 10/09/2009, rv. 609840-01, con riferimento a un caso in cui il socio si era limitato a contestare la legittimità delle sanzioni a lui irrogate per infedele dichiarazione; tra le ultime, anche Sez. 5, Ordinanza n. 15887 del 06/06/2024, in motivazione).
7. Il secondo motivo è invece fondato.
8. L'art. 43, comma 3, nella versione applicabile ratione temporis (anteriormente alla sostituzione avvenuta ad opera dell'art. 1, comma 131, della legge n. 208 del 2015), disponeva: "In caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell'articolo 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui ai commi precedenti sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione".
Come più volte chiarito da questa Corte, anche sulla scorta dei principi enunciati da Corte Cost. n. 247 del 2011, e come ribadito, da ultimo, da Sez. 5, Sentenza n. 15999 del 07/06/2024 (Rv. 671289-01), il raddoppio opera in presenza di tale presupposto astratto, indipendentemente dall'effettiva presentazione della denunzia, dall'inizio dell'azione penale e dall'accertamento del reato nel processo (Sez. 6-5, Ordinanza n. 17586 del 28/06/2019, rv. 654733-01; Sez. 5, Ordinanza n. 22337 del 13/09/2018, rv. 650508-01); Sez. 6-5, Ordinanza n. 11171 del 30/05/2016, rv. 639877-01).
9. Ciò naturalmente non rende di per sé legittimo qualunque accertamento compiuto dall'Amministrazione finanziaria oltre il termine-base fissato dalla legge, dovendo al contrario essere evitato, come chiarito dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 247 del 2011, un uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni in esame al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento.
10. Per verificare l'uso pretestuoso del raddoppio dei termini «il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell'obbligo di denuncia, compiendo, al riguardo, una valutazione ora per allora (cosiddetta "prognosi postuma") circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l'amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità», con la precisazione però che «il correlativo tema di prova- e quindi l’oggetto della valutazione da effettuarsi del giudice tributario - è circoscritto al riscontro dei presupposti dell'obbligo di denuncia penale e non riguarda l'accertamento del reato» (p. 5.3. della sentenza della Corte costituzionale).
11. In forza del principio dell'unitarietà dell'accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone e dei soci delle stesse ex art. 5 t.u.i.r., non può dubitarsi del fatto che il mero riscontro di fatti comportanti l'obbligo di denuncia penale nei confronti degli organi societari determini il raddoppio dei termini per l'accertamento anche del reddito imputato «per trasparenza» al socio. Invero, come già ritenuto da questa Corte, l'addebito fiscale al socio discende ape /egis dall'accertamento effettuato nei confronti della società, nella quale (con particolare riguardo alla società in accomandita semplice) gli accomandatari rivestono la posizione di amministratori e gli accomandanti sono dotati di amplissimi poteri di controllo (come disegnati dall'art. 2320 cod. civ.), sì da escludere un rapporto di alterità (e la qualità di terzi) dei membri della compagine sociale rispetto all'ente collettivo non personificato: e tanto rileva allorquando sia ipotizzata la contestazione di un fatto di reato agli amministratori sociali, con contegno tenuto in vista di un vantaggio (illecito) comune, costituito dal maggiore reddito sociale imputato per trasparenza ai soci (in tal senso, Cass. 28/01/2021, n. 1883, non massimata, in riferimento alla società in accomandita semplice, che richiama analoghi precedenti e precisamente Cass. 16/12/2016, n. 26037, in riferimento ad una società in nome collettivo, non massimata sul punto; Cass. 7/10/2015, n. 20043 e Cass. 2/07/2018, n. 17212, entrambe non massimate, che hanno ritenuto l'applicabilità del raddoppio dei termini ai soci di una società di capitali a ristretta base partecipativa; analogamente, sempre in riferimento a società in accomandita semplice, Cass. 21/10/2021, n. 29404, non massimata, che ha evidenziato come, ai fini del raddoppio dei termini di accertamento, rilevi unicamente l'astratta configurabilità di un fatto illecito che faccia sorgere in capo all'Amministrazione l'obbligo di denuncia penale, indipendentemente da chi abbia commesso il reato prospettato; in senso analogo, Cass. 02/11/2021, n. 31034, non massimata).
12. Rigettato il primo motivo, accolto il secondo, la sentenza va quindi cassata con rinvio al giudice d'appello che, in diversa composizione, rinnoverà il giudizio nei limiti innanzi indicati, attenendosi al principio enunciato.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso e rigetta il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania - Napoli, in diversa composizione, cui demanda altresì la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.