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Svolgimento del processo / Motivi della decisione
1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Torino, in parziale riforma della sentenza con cui il tribunale di Torino, in data 1.7.2022, aveva condannato G.M. alle pene, principale e accessorie, ritenute di giustizia, in relazione ai fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione e bancarotta impropria da operazioni dolose in concorso, di cui al capo 2) dell'imputazione, e ai reati tributari ex artt. 110, c.p., 8, d.lgs. n. 74/2000, di cui ai capi 4) e 5) dell'imputazione, ascrittigli in qualità di amministratore di fatto della società "(omissis) Sri", dichiarata fallita l'11.7.2014, dichiarava non doversi procedere nei confronti dell'imputato in relazione al reato di cui al capo 4), perché estinto per sopravvenuta prescrizione, con conseguente rideterminazione dell'entità del trattamento sanzionatorio in senso favorevole al prevenuto, confermando nel resto la sentenza impugnata.
2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l'annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione l'imputato, lamentando, con un unico motivo di ricorso, violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all'attribuzione al G.M. della qualità di amministratore di fatto della società fallita e in relazione alla questione di legittimità costituzionale sollevata dal ricorrente, relativamente all'art. 17, co. 1 bis, d.lgs. n. 74 del 2000, come introdotto dall'art. 2, co. 36 vicies semel, lett. m), d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito con modificazioni dalla I. 1° settembre 2011, n. 148, in relazione all'art. 77, co. 2, Costituzione.
3. Con requisitoria scritta del 7.6.2024 il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, dott. A.B., chiede che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
Con conclusioni scritte dell'll.6.2024, il difensore di fiducia dell'imputato, avv. E.U., insiste per l'accoglimento del ricorso.
4. In via preliminare va rilevato che il termine di prescrizione del reato ex art. 8, d.lgs. n. 74/2000, di cui al capo 5) dell'imputazione, commesso il 18.12.2013, nella sua massima estensione, tenuto conto, cioè, degli atti interruttivi intervenuti, e in presenza di cause di sospensione del relativo decorso, per complessivi 100 giorni, risulta perento il 27.3.2024, dunque dopo la pronuncia della sentenza della corte territoriale, intervenuta il 29.9.2023.
Si è pertanto verificata una causa di estinzione del reato, che compete al Collegio rilevare, non potendosi considerare inammissibile il ricorso presentato dall'imputato, essendo incentrato, limitatamente al primo motivo di ricorso, su questioni di diritto non manifestamente infondate. Come è noto, infatti, il principio della immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità, sancito dall'art. 129, co. 2, c.p.p., opera anche con riferimento alle cause estintive del reato, quale è la prescrizione, rilevabili nel giudizio di cassazione (cfr., ex plurimis, Sez. 3, 01/12/2010, n. 1550, Rv. 249428; Sez. U 27/02/2002, n. 17179, Rv. 221403; Sez. 2, n. 6338 del 18/12/2014, Rv. 262761).
Logico corollario di tale affermazione sulla piena operatività dell'art. 129, c.p.p., è che anche nel giudizio di legittimità sussiste l'obbligo di dichiarare una più favorevole causa di proscioglimento ex art. 129, co. 2, c.p.p., pur ove risulti l'esistenza della causa estintiva della prescrizione, obbligo che, tuttavia, in considerazione dei caratteri tipici del giudizio innanzi la Corte di Cassazione, sussiste nei limiti del controllo del provvedimento impugnato, in relazione alla natura dei vizi denunciati (cfr. Cass., sez. 1, 18/04/2012, n. 35627, Rv. 253458).
Il sindacato di legittimità che, pertanto, si richiede alla corte in questo caso deve essere circoscritto all'accertamento della ricorrenza delle condizioni per addivenire a una pronuncia di proscioglimento nel merito con una delle formule prescritte dall'art. 129, co. 2, c.p.p.: la conclusione può essere favorevole al giudicabile solo se la prova dell'insussistenza del fatto o dell'estraneità a esso dell'imputato risulti evidente sulla base degli stessi elementi e delle medesime valutazioni posti a fondamento della sentenza impugnata, senza possibilità di nuove indagini e ulteriori accertamenti che sarebbero incompatibili con il principio secondo cui l'operatività della causa estintiva, determinando il congelamento della situazione processuale esistente nel momento in cui è intervenuta, non può essere ritardata.
Pertanto, qualora il contenuto complessivo della sentenza non prospetti, nei limiti e con i caratteri richiesti dall'art. 129 c.p.p., l'esistenza di una causa di non punibilità più favorevole all'imputato, deve prevalere l'esigenza della definizione immediata del processo (cfr. Sez. 4, 05/11/2009, n. 43958, F.).
In presenza di una causa di estinzione del reato, infatti, la formula di proscioglimento nel merito (art. 129, comma 2, c.p.p.) può essere adottata solo quando dagli atti risulti "evidente" la prova dell'innocenza dell'imputato, sicché la valutazione che in proposito deve essere compiuta appartiene più al concetto di "constatazione" che di "apprezzamento" (cfr. Cass., sez. 2, 11/03/2009, n. 24495, G.), circostanza che non può ritenersi sussistente nel caso in esame.
La sentenza impugnata va, pertanto, annullata senza rinvio, limitatamente al reato di cui al capo 5) dell'imputazione, perché estinto per prescrizione, con conseguente eliminazione della relativa pena principale di mesi quattro di reclusione e delle pene accessorie cui agli artt. 12, d.lgs. n. 74 del 2000 e 29, c.p.
4. Nel resto, vale a dire con riferimento ai reati in materia fallimentare di cui al capo 2), il ricorso va rigettato per le seguenti ragioni.
Si osserva al riguardo che, come affermato da tempo nella giurisprudenza di legittimità, in tema di reati fallimentari, il soggetto che, ai sensi della disciplina dettata dall'art. 2639, c.c., assume la qualifica di amministratore "di fatto" della società fallita è da ritenere gravato dell'intera gamma dei doveri cui è soggetto l'amministratore "di diritto", per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, egli assume la penale responsabilità per tutti comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili (come i fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale), tra i quali vanno ricomprese le condotte dell'amministratore "di diritto" (cfr., ex plurimis, Sez. 5, 20/05/2011, n. 39593, Rv 250844; Sez. V, 2/3/2011, n. 15065, Rv. 250094).
Senza tacere che la previsione di cui all'art. 2639 cod. civ. non esclude che l'esercizio dei poteri o delle funzioni dell'amministratore di fatto possa verificarsi in concomitanza con l'esplicazione dell'attività di altri soggetti di diritto, quali in tempi successivi o anche contemporaneamente - esercitino in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione (cfr. Sez. 5, n. 12912 del 06/02/2020, Rv. 279040).
Consolidato appare all'interno della giurisprudenza di legittimità anche l'orientamento secondo cui la nozione di amministratore di fatto, introdotta dall'art. 2639 c.c., postula l'esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione, anche se "significatività" e "continuità" non comportano necessariamente l'esercizio di "tutti" i poteri propri dell'organo di gestione, ma richiedono l'esercizio di un'apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico od occasionale.
La posizione dell'amministratore di fatto, destinatario delle norme incriminatrici della bancarotta fraudolenta, dunque, va determinata con riferimento alle disposizioni civilistiche che, regolando l'attribuzione della qualifica di imprenditore e di amministratore di diritto, costituiscono la parte precettiva di norme che sono sanzionate dalla legge penale. La disciplina sostanziale si traduce, in via processuale, nell'accertamento di elementi sintomatici di gestione o cogestione della società, risultanti dall'organico inserimento del soggetto, quale "intraneus" che svolge funzioni gerarchiche e direttive, in qualsiasi momento dell"'iter" di organizzazione, produzione e commercializzazione dei beni e servizi - rapporti di lavoro con i dipendenti, rapporti materiali e negoziali con i finanziatori, fornitori e clienti - in qualsiasi branca aziendale, produttiva, amministrativa, contrattuale, disciplinare.
Peraltro l'accertamento degli elementi sintomatici di tale gestione o cogestione societaria costituisce oggetto di apprezzamento di fatto che è insindacabile in sede di legittimità, se sostenuto da motivazione congrua e logica (cfr. Sez. 5, 14.4.2003, n. 22413, rv. 224948; Se. I, 12.5.2006, n. 18464, rv. 234254 ).
Sotto altro versante si è osservato che, in tema di reati fallimentari, nel caso di una società deprivata di una reale autonomia da operazioni di trasformazione societaria e di cessione del principale ramo di azienda senza corresponsione del prezzo, per avviare la stessa al fallimento, la prova della posizione di amministratore di fatto non può desumersi da elementi sintomatici di un inserimento organico all'interno dell'ente solo formalmente operante, ma può evincersi dal compimento anche di una singola operazione distrattiva, quando questa sia ideata per attuare il predetto disegno fraudolento di dismissione della fallita (cfr., Sez. 5, n. 30197 del 01/06/2021, Rv. 281867).
Nello stesso senso si è del pari osservato che, in tema di reati fallimentari, la prova della posizione di amministratore di fatto di una società operante al di fuori dell'oggetto sociale, utilizzata, dall'insorgere del dissesto e fino alla dichiarazione di fallimento, come "schermo" per compiere condotte truffaldine finalizzate al reperimento di risorse poi distratte, si traduce in quella del ruolo di ideatore e organizzatore dell'indicato sistema fraudolento, atteso che non è ipotizzabile l'accertamento di elementi sintomatici di un inserimento organico all'interno di un ente solo formalmente operante (cfr. Sez. 5, n. 7824 del 30/11/2022, Rv. 284223).
In conclusione può dunque affermarsi che in tema di bancarotta fraudolenta, i destinatari delle norme di cui agli artt. 216 e 223 I. fall. vanno individuati sulla base delle concrete funzioni esercitate, non già rapportandosi alle mere qualifiche formali ovvero alla rilevanza degli atti posti in essere in adempimento della qualifica ricoperta (cfr. Sez. V, 13.4.2006, n. 19145, rv. 234428; Sez. 5, n. 41793 del 17/06/2016, Rv. 268273; Sez. 5, n. 27264 del 10/07/2020, Rv. 279497; Sez. 5, n. 7437 del 15/10/2020, Rv. 280550).
Orbene non può non rilevarsi come, nel caso in esame, la corte territoriale abbia fatto buon governo dei richiamati principi.
Il giudice di appello, infatti, ha ritenuto che il G.M. abbia svolto il ruolo di amministratore di fatto della società fallita, alla luce di una serie di circostanze dotate di inequivocabile significato, ove valutate non atomisticamente, ma nel loro complesso.
Come rilevato dalla corte territoriale, infatti, il G.M. è stato socio fondatore della società fallita, di cui possedeva una quota pari al 30% del capitale sociale, e membro del consiglio di amministrazione sino al 18.4.2007, mentre, nel prosieguo, la totalità delle quote di "(omissis) Sri" è stata trasferita a due società riconducibili allo stesso G.M., in un contesto in cui l'amministratore di diritto di quest'ultima società, V.M., era una semplice "testa di legno" dell'effettivo dominus, posto che, come osservato dal giudice di appello con motivazione dotata di intrinseca coerenza logica, il V.M. "era privo delle necessarie competenze tecniche, avendo in precedenza lavorato come sorvegliante-portiere-autista del G.M. in altra società allo stesso riconducibile", mentre l'imputato svolgeva apparentemente il ruolo di semplice direttore commerciale della società fallita (cfr. p. 19 della sentenza oggetto di ricorso).
Sul punto giova evidenziare come, in un condivisibile arresto di questa Sezione, proprio la mancanza in capo all'amministratore di diritto di conoscenze e di esperienze specifiche nel settore di operatività dell'ente, sia stata considerata uno degli indici rivelatori della presenza di un amministratore di fatto (cfr. Sez. 5, n. 27264 del 10/07/2020, Rv. 279497).
Va, inoltre, considerato che, secondo l'impostazione accusatoria, confermata dai giudici di merito, la società fallita era stata utilizzata quasi esclusivamente come semplice "cartiera", al fine di emettere fatture per operazioni inesistenti in favore di altre società del gruppo riconducibile al G.M. (e al coimputato P.A.), nonché al fine di assumere personale a basso costo, per poi "girarlo" alle altre società del medesimo gruppo.
Significativa, al riguardo, è la circostanza che, con particolare riferimento ai fatti contestati nei capi 4) e 5) dell'imputazione, come sottolineato dalla corte di appello, si sia accertato che, per gli anni 2012 e 2013, la società fallita era attiva unicamente nel settore della ristorazione, attraverso l'esercizio di un ristorante condotto in locazione da A.D., risultando "priva di qualsivoglia struttura e organizzazione nei restanti capi operativi, contemplati nell'oggetto sociale".
Nonostante ciò erano state emesse fatture, che, ad eccezione di quelle nei confronti dell'A.D., sono state correttamente ritenute, per tale ragione, relative a operazioni inesistenti, emesse al solo fine di consentire l'evasione di imposta ai destinatari, tra i quali vi era, per gran parte di esse, la società "(omissis) s.r.l.", riconducibile al G.M. (cfr. pp. 19-21 della sentenza oggetto di ricorso).
In quanto diretto beneficiario delle fatture emesse per operazioni inesistenti, non è pertanto revocabile in dubbio che il G.M. abbia rivestito il ruolo di ideatore e organizzatore dell'indicato sistema fraudolento, circostanza che consente di considerarlo amministratore di fatto di un ente sostanzialmente solo formalmente operante.
A fronte di tali solide argomentazioni, il ricorrente deduce la mancata considerazione, da parte del giudice di appello, di elementi ritenuti dall'imputato di valore decisivo (le risultanze della sentenza emessa dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Torino il 22.5.2018, divenuta irrevocabile il 7.7.2018, con cui il G.M. è stato assolto dai reati fiscali il/o tempore ascrittigli; l'estraneità del G.M. alle compagini sociali in favore delle quali venne operata la cessione delle quote della "(omissis) S.r.l."; le dichiarazioni del coimputato V.M., in ordine al ruolo del ricorrente, contraddittorie ovvero smentite documentalmente; l'erronea indicazione del compenso percepito dal G.M. in qualità di direttore commerciale della società fallita).
Si tratta, tuttavia, di rilievi che non colgono nel segno, non solo perché si pongono ai confini della inammissibilità, invadendo il campo del "fatto", ma anche perché, come affermato da un condivisibile orientamento della giurisprudenza di legittimità, non è censurabile in questa sede la sentenza che indichi con adeguatezza e logicità le circostanze e le emergenze processuali che siano state determinanti per la formazione del convincimento del giudice, consentendo così l'individuazione dell'iter logico-giuridico seguito per addivenire alla statuizione adottata.
Pertanto, anche il silenzio su una specifica deduzione prospettata col gravame non rileva qualora questa sia stata disattesa dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata perché non è necessario che il giudice confuti esplicitamente la singola tesi difensiva disattesa, fornendo specifica ed espressa risposta a ciascuna delle singole argomentazioni, osservazioni o rilievi contenuti nell'atto d'impugnazione, se il suo discorso giustificativo indica le ragioni poste a fondamento della decisione e dimostra di aver tenuto presenti i fatti decisivi ai fini del giudizio, sicché, quando ricorre tale condizione, le argomentazioni addotte a sostegno dell'appello, ed incompatibili con le motivazioni contenute nella sentenza, devono ritenersi, anche implicitamente, esaminate e disattese dal giudice, con conseguente esclusione della configurabilità del vizio di mancanza di motivazione di cui all'art. 606, comma primo, lett. e), c.p.p. (cfr. Sez. 2, 12/02/2009, n. 8619; Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, Rv. 260841; Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, Rv. 277593).
Va, infine, rilevato che il vizio di travisamento della prova, anche per omissione, può essere dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta "doppia conforme", come nel caso in esame, sia nell'ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (cfr. Sez. 4, n. 35963 del 03/12/2020, Rv. 280155), circostanze entrambi non configurabili nel caso in esame.
Infine non può essere accolta la richiesta di sollevare l'indicata questione di legittimità costituzionale, con cui il ricorrete eccepiva la non conformità all'art. 77, Cost., per disomogeneità, della previsione normativa con cui, in sede di conversione del d.l. n. 138 del 2011, era stato disposto un allungamento dei termini di prescrizione in materia di reati tributari, per la decisiva ragione che, una volta dichiarato estinto il reato di cui al capo 5) dell'imputazione, con eliminazione del relativo trattamento sanzionatorio, la questione risulta del tutto priva di rilevanza nel presente procedimento.
La non completa soccombenza dell'imputato, implica che egli non sia condannato al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al delitto contestato al capo 5 perché il reato è estinto per prescrizione ed elimina la relativa pena di mesi quattro di reclusione e le pene accessorie di cui agli artt. 12, d.lgs. n. 74/ 2000 e 29, c.p. Rigetta il ricorso nel resto.