Svolgimento del processo
1. La Corte d'appello di Perugia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Terni, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti degli-imputati in relazione al reato di cui all'art. 11 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 (capo 2), perché estinto per prescrizione, ed ha rideterminato la pena, rispettivamente; nei confronti di OP, in anni due di reclusione, in relazione ai reati di cui agli artt. 81 comma 2 cod.pen., 4 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, (capo I del proc.pen. 775/2017), artt. 110 cod.pen., 10 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 (capo 1 del proc.pen. 51/2018) e nei confronti di GM, in anni due e mesi uno di reclusione, in relazione ai reati di cui agli artt. 110 cod.pen., 10 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 (capo 1 del proc.pen. 51/2018), art. 5 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 (capo 3 del proc.pen. 51/2018) e artt. 81 comma 2 cod.pen., 4 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 (capo 4 del proc.pen. 51/2018).
2. Avverso la sentenza hanno proposto separati ricorsi gli imputati.
2.2. l'avv. M. P., nell'interesse di GM, ha dedotto quattro motivi di ricorso:
- Violazione di legge in relazione all'erronea applicazi0ne dell'art. 10 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74. La Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto responsabile il ricorrente che, all'epoca dell'accertamento esperito dalla Guardia di finanza, non era più il soggetto obbligato alla tenuta delle scritture societarie in quanto non era più formalmente l'amministratore della società. La società C sas era, infatti, stata oggetto di cessione, tramite scrittura privata n0tarile in data 3 aprile 2013, ossia all'incirca un anno prima dell'accertamento della Guardia di finanza e dell'Agenzia delle entrate. Difetterebbe pertanto l'elemento oggettivo richiesto dalla norma perché nel momento in cui è stato effettuato l'accertamento della Guardia di finanza, la documentazione della società avrebbe dovuto essere richiesta al nuovo amministratore e la stessa doveva inoltre essere conservata presso la nuova sede societaria in Romania.
- Violazione di legge in relazione all'erronea applicazione dell'art. 5 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74. La Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto responsabile il ricorrente per l'omessa presentazione della dichiarazione a fini delle imposte dirette al 31 dicembre 2013, nonostante non fosse più socio accomandatario della società C alla data di scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione e dunque al momento della consumazione del reato.
- Vizio di motivazione in relazione alla carenza di motivazione in relazione all'elemento soggettivo del reato di cui all'art. 4 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74. La motivazione sarebbe carente perché riferito alla sola condotta materiale del reato che non può giustificare l'elemento soggettivo del reato né sotto il profilo della coscienza e volontà da parte del soggetto agente di presentare una dichiarazione infedele, né in merito al dolo di evasione.
- Vizio di motivazione in relazione alla carenza di motivazione in punto superamento delle soglie di punibilità dei reati di cui agli artt. 4 e 5 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, fondata su un mero accertamento induttivo.
2.3. L'avv. M. P., nell'interesse di OP, ha dedotto quattro motivi.
- Vizio di motivazione in relazione alla carenza, illogicità della motivazione in relazione all'elemento soggettivo del reato di cui all'art. 4 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74. Premesso che il ricorrente possedeva 1'80% delle quote della società C sas ed era socio accomandante e che gli elementi attivi omessi dall'imputato attengono unicamente alla sua quota di partecipazione rispetto al reddito imponibile della società C nel 2010 e 2011, reddito accertato sulla scorta dell'accertamento induttivo basato sui ricavi della società suddivisi pro quota tra i soci, la Corte territoriale avrebbe argomentato l'elemento soggettivo del reato sul rilievo che non era stata esposta alcuna plausibile spiegazione che giustificasse l'omessa indicazione degli elementi attivi rilevanti per la determinazione del reddito se non quella di evasione. Non avrebbe considerato che il socio accomandante e non firmatario della dichiarazione del reddito societario potrà rispondere del reato di dichiarazione infedele solo qualora venga accertato che fosse a conoscenza della falsità della dichiarazione dei redditi presentata dalla società o a fronte di una dichiarazione societaria fedele abbia presentato una dichiarazione Irpef ad essa non conforme.
Il ricorrente sarebbe stato ritenuto colpevole unicamente sulla base dell'incongruenza tra quanto dallo stesso dichiarato a fini lrpef e l'imponibile societario ricostruito in via induttiva dall'Agenzia delle entrate.
-Vizio di motivazione in relazione alla prova del superamento delle soglie di punibilità dell'art. 4 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74. Carenza di motivazione poiché il superamento della soglia di punibilità si baserebbe unicamente sull'accertamento induttivo dell'Agenzia delle entrate, ossia sulla base di semplici presunzioni tributarie. La corte avrebbe omesso di considerare la documentazione contabile depositata nel corso del giudizio di primo grado.
- Violazione di legge in relazione all'erronea applicazione dell'art. 10 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74. La Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto responsabile il ricorrente che, all'epoca dell'accertamento esperito dalla Guardia di finanza, non era tenuto a conservare le scritture contabili in quanto mero socio accomandante e comunque la società era stata oggetto di cessione in data 3/04/2013, prima dell'accertamento. La documentazione contabile avrebbe dovuto essere richiesta al nuovo amministratore e la stessa doveva essere tenuta presso la nuova sede societaria.
- Violazione di legge in relazione all'art. 163 cod.pen. e 597 comma 5 cod.pen. e vizio di motivazione in relazione all'assoluta carenza di motivazione in punto mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
3. Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta con cui ha chiesto l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'Appello di Perugia limitatamente al beneficio della sospensione condizionale della pena per OP e dichiararsi inammissibili entrambi i ricorsi per il resto.
Motivi della decisione
4. I ricorsi, seppur per ragioni diverse connesse ai motivi dedotti, sono manifestamente infondati.
5. Partendo dal ricorso di GM, risulta inammissibile il primo motivo di ricorso con cui si deduce l'erronea applicazione della legge penale in relazione all'individuazione del soggetto attivo del reato di occultamento delle scritture contabili, e del soggetto obbligato alla tenuta delle scritture contabili, perché privo di confronto specifico con la motivazione della sentenza impugnata.
La sentenza impugnata, in continuità con quella di primo grado che in presenza di c.d. doppia conforme si salda per costituire un unico complesso argomentativo, ha argomentato, per quanto qui di rilievo, che la cessione delle quote della società C sas all'acquirente lituano era risultata, da verifiche della G.di F. e dalle testimonianze dei lavoratori, meramente fittizia essendo l'acquirente una mera "testa dì legno", che gli imputati avevano sempre continuato a gestire la società e che la documentazione contabile, contenuta in n. 57 faldoni che gli imputati avevano prodotto nel dibattimento di primo grado, era sempre rimasta nella disponibilità degli stessi, anche dopo la formale cessione delle quote, e dunque era stata da loro occultata, fino alla produzione nel dibattimento, e quindi ben dopo l'accertamento della G. di F., il cui fine unico era l'evasione delle imposte stante l'impossibilità di ricostruzione dei redditi volutamente impedita dalla condotta di occultamento della documentazione che, come poi, dimostrato costoro avevano ritenuto conveniente produrre nel dibattimento di primo grado.
A fronte di tale motivazione, la censura che si limita a contestare la motivazione sull'astratto presupposto della cessione delle quote sociali e della necessità che gli accertatori avrebbero dovuto rivolgersi al nuovo acquirente, non affronta la motivazione con una critica puntuale sulle ragioni della decisione ed è pertanto priva della specificità estrinseca.
6. Per la medesima ragione risulta inammissibile anche il secondo motivo di ricorso che deduce la violazione di legge in relazione all'affermazione della responsabilità penale per il reato di cui all'art. 5 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, sul rilievo che con la cessione delle quote il ricorrente non aveva più la carica di socio accomandatario e amministratore alla data di scadenza del termine per l'adempimento dell'obbligo dichiarativo e dunque non era responsabile del reato.
È ben vero che il reato di omessa dichiarazione può essere commesso solamente da coloro che, secondo le leggi tributarie, sono obbligati alla presentazione delle dichiarazioni fiscali e che la volontaria omissione deve sussistere in capo all'obbligato al momento della scadenza del termine (Sez. 3, n. 1465 del 10/11/2023, Orza, Rv. 285737 - 02), ma, nuovamente, il ricorrente non contesta l'argomento speso dai giudici del merito che hanno fondato la sua responsabilità in quanto amministratore di fatto della medesima società, in presenza di una cessione solo formale delle quote sociali, circostanza rispetto la quale il ricorrente non si confronta (par. 4A), e considerato che del reato di omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte dirette o IVA, l'amministratore di fatto risponde quale autore principale, in quanto titolare effettivo della gestione sociale e, pertanto, nelle condizioni di poter compiere l'azione dovuta, mentre l'amministratore di diritto, quale mero prestanome, è responsabile a titolo di concorso per omesso impedimento dell'evento, a condizione che ricorra l'elemento soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice (Sez. 2, n. 8632 del 22/12/2020, Rv. 280723 - 01; Sez. 3, n. 38780 del 14/05/2015, Biffi, R1.1. 264971 - 01).
7. Per quanto riguardo il terzo e quarto motivo di ricorso che lamentano il vizio di motivazione in relazione all'elemento soggettivo del reato di dichiarazione infedele ex art. 4 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 e alla prova del superamento delle soglie di punibilità dei reati di cui agli artt. 4 e 5 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, contestati al G, mette conto rilevare, il Collegio, che la sentenza di appello ha rilevato la genericità sul punto dei motivi di impugnazione al punto 5.
Ora deve evidenziarsi, da un lato, che il ricorrente non contesta la rilevata genericità del motivo di appello e, dall'altro, che la genericità del motivo di appello preclude una nuova censura fondata sulle medesime -generiche - considerazioni risolvendosi in motivo aspecifico che conduce, ai sensi dell'art.591 comma 1 lett c) cod.proc.pen. alla dichiarazione di inammissibilità.
Nel caso poi, come quello in scrutinio, nel quale si denuncia il difetto di motivazione della sentenza di appello, che aveva già rilevato la genericità del motivo, non può formare oggetto di ricorso per Cassazione, poiché i motivi generici restano viziati da inammissibilità originaria anche quando la decisione del giudice dell'impugnazione non pronuncia in concreto tale sanzione (Sez. 3, n. 10709 del 25/11/2014, Botta, Rv. 262700). In ogni caso, seppur succintamente, la sentenza impugnata offre una adeguata motivazione sia in punto elemento soggettivo del dolo specifico, desunto all'entità del superamento dell'imposta evasa e dunque dell'evasione, e del superamento derivante dal calcolo induttivo mai contestato essendo la censura in appello, ritenuta dai giudici del merito, meramente esplorativa Il ricorso di GM risulta inammissibile con tutte le conseguenze di legge.
8. Il ricorso di DP è inammissibile sulla base delle seguenti ragioni.
Il primo motivo di ricorso con cui deduce il vizio di motivazione in relazione all'elemento soggettivo del reato di cui all'art. 4 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, della coscienza e volontà di omettere elementi attivi di reddito e del dolo specifico è inammissibile in presenza della rilevata genericità del motivo di appello.
Anche per tale imputazione, la corte territoriale ai par. 5 e 6 ha rilevato la genericità dei motivi di appello che, quanto in particolare alla contestazione mossa al DP di dichiarazione infedele, è palese dalla semplice lettura dell'atto di appello che non contiene, a differenza delle censure sui reati di cui agli artt. 10 e 11 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, alcuna censura specifica in relazione al reato di dichiarazione infedele.
Pertanto, con riguardo al caso in scrutinio, il motivo per cassazione proposto è inammissibile per le ragioni sopra esposte. Ove così non fosse si dilaterebbe il vizio di motivazione oltre il perimetro di questo che è circoscritto dai motivi da un lato e, dall'altro, galle ragioni della decisione che si assume viziata, nonchè dalla pertinenza censoria di questi in rapporto alla ratio decidendi.
Ad ogni buon conto, la corte territoriale, anche richiamando il corretto ragionamento giuridico della sentenza di primo grado, ha ritenuto dimostrato che il ricorrente avesse omesso nelle dichiarazioni fiscali relative all'imposta sui redditi persone fisiche, 2010 e 2011, elementi attivi derivanti dalla partecipazione all'80% della società C sas, determinati sulla base di un accertamento di tipo induttivo sui ricavi della società, che aveva omesso la presentazione delle dichiarazioni fiscali e non aveva esibito la contabilità, per cui, per effetto dell'art. 5 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, i redditi delle società in accomandita semplice residenti nel territorio dello Stato sono imputati a ciascun socio, indipendentemente dalla percezione, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili. Muovendo da questa disposizione, la giurisprudenza civile di legittimità afferma che il maggior reddito operato in rettifica nei confronti della società in accomandita semplice ed imputato al socio ai fini dell'IRPEF, in proporzione della relativa quota di partecipazione, comporta anche l'applicazione allo stesso socio della sanzione per infedele dichiarazione prevista dalla legislazione tributaria (così, tra le altre, Sez. 5 civ., n. 16116 del 28/06/2017, Rv. 644702-01, e Sez. 5 civ., n. 21570 del 07/11/2005, Rv. 585141-01). Per completezza, rileva il Collegio che non è neppure pertinente, al caso in esame, la censura difensiva poiché non si verte in un caso di divergenza tra quanto dichiarato dalla società e quanto dichiarato dal socio, ma di omessa presentazione della dichiarazione fiscale a fini dei redditi della società il cui reddito è stato ricostruito in via induttiva e poi attribuito pro quota al socio.
9. Alla stessa sorte non si sottrae anche il secondo motivo posto che la rilevata genericità del motivo di appello (di cui supra) comporta che non è deducibile quale vizio di motivazione la censura di carenza di motivazione sul superamento delle soglie di punibilità ex art. 4 cit., superamento delle soglie che, come scrivono i giudici dell'impugnazione, era fondato su un accertamento induttivo non era stato contestato.
10. Il terzo motivo di ricorso con cui contesta la violazione di legge penale in relazione all'erronea applicazione dell'art. 10 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, quale socio accomandante della società C sas è manifestamente infondato.
Il ricorrente è stato ritenuto responsabile della condotta di occultamento della documentazione contabile, in concorso con GM (vedi par. 5) in un contesto nel quale la cessione delle quote sociali, ivi compresa quella del socio accomandante, era fittizia, il ricorrente era stato ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 11 d.lgs n. 74 del 2000, e aveva prodotto la documentazione occultata nel corso del dibattimento, come ben argomentato a pag. 19 della sentenza di primo grado. Non rileva ex se, secondo la sentenza impugnata, la qualità di socio accomandante, ma il concreto contributo fattuale nell'occultamento e poi nella consegna. In ogni caso, a mente della disposizione di cui all'art. 2320, comma 3, cod. civ., che prevede che i soci accomandanti "hanno diritto di aver comunicazione annuale del bilancio e del conto dei profitti e delle perdite, e di controllarne l'esattezza, consultando i libri e gli altri documenti della società', discende un preciso obbligo di controllo la cui omissione rileva ai fini della commissione del reato per omesso impedimento dell'evento.
11. Infine, per quanto riguarda il quarto motivo di ricorso, va rammento che in tema di sospensione condizionale della pena, fermo l'obbligo del giudice d'appello di motivare circa il mancato esercizio del potere-dovere di applicazione di detto beneficio in presenza delle condizioni che ne consentono il riconoscimento, l'imputato non può dolersi, con ricorso per cassazione, della sua mancata concessione, qualora non ne abbia fatto richiesta nel corso del giudizio di merito (Sez. U, n. 22533 del 25/10/2018, Salerno, Rv. 275376 - 01).
Considerato che non risulta devoluta alcuna richiesta nei motivi di appello, anche questo motivo risulta inammissibile.
12. I ricorsi devono essere dichiarati inammissibili e i ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese processuali ai sensi dell'art. 616 cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che ciascun ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di€ 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.