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11 ottobre 2024
Dipendente in smart working si distorce la caviglia mentre è in permesso: è infortunio in itinere?

Nel caso in esame, l'infortunio era stato definito negativamente poiché avvenuto durante un permesso per motivi personali. Ma è davvero così?

di La Redazione

La ricorrente è una dipendente dell'Agenzia delle Dogane che si rivolge al Tribunale di Milano spiegando che a partire dall'11 marzo 2020 era stato attivato lo smart working quale misura di contenimento del virus da Covid-19, come avvenuto in numerose attività pubbliche e non in Italia, e che lei ne aveva usufruito con le modalità previste da apposita nota.
Riferiva che il 23 settembre 2020 avvertiva attraverso e-mail il superiore rappresentando la necessità di assentarsi per andare a prendere la figlia a scuola. Tuttavia, proprio mentre percorreva il tragitto per giungere alla scuola della figlia, ella cadeva per la stradaprovocandosi una distorsione al piede e delle escoriazioni al ginocchio, come confermato dal verbale del Pronto Soccorso ove si era immediatamente recata e ove veniva denunciato l'infortunio sul lavoro.
A fronte di ciò, l'infortunio veniva definito negativamente poiché non risultava essere avvenuto per rischio lavorativo, ma per un rischio generico che incombe su ogni cittadino e che è comune ad altre situazioni del vivere quotidiano. La dipendente proponeva allora ricorso contro la definizione negativa, ma senza successo trovandosi di fronte alla stessa motivazione di cui sopra.
Questo il motivo per cui la medesima si rivolge al Tribunale di Milano, che con sentenza n. 3645 del 17 luglio 2024 dichiara fondato il ricorso.

Nocciolo della questione è che l'infortunio era avvenuto durante un permesso di lavoro, motivo per il quale era stato definito negativamente, in quanto la fruizione del permesso per motivi personali interromperebbe (secondo la controparte) il nesso rispetto all'attività di lavoro e di conseguenza determinerebbe la non indennizzabilità dell'infortunio che si verifica nel percorso normale per rientrare al lavoro.
In materia si era già espressa la Suprema Corte, affermando esplicitamente che in tema di infortunio in itinere, la tutela assicurativa copre i sinistri che si verificano nel normale percorso abitazione-luogo di lavoro, anche in caso di fruizione da parte del lavoratore di un permesso per motivi personali. L'esistenza di un rapporto finalistico tra il c.d. percorso normale e l'attività di lavoro è già di per sé sufficiente infatti a garantire la tutela antinfortunistica.
Come ricordano i Giudici

giurisprudenza

«il permesso costituisce una fattispecie di sospensione dell'attività lavorativa nell'interesse del lavoratore che ontologicamente non è differente dalle pause o dai riposi, differenziandosi da questi ultimi soltanto per il suo carattere occasionale ed eventuale a fronte del connotato di periodicità e prevedibilità che è tipico degli altri, e non potendo logicamente sostenersi che il lavoratore che si allontani dall'azienda e/o vi faccia ritorno in relazione alla necessità di fruire del riposo giornaliero non sia tutelato "durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro”».

In altri termini, il lavoratore è tutelato tutte le volte in cui si allontana dall'azienda e vi faccia ritorno in occasione della sospensione dell'attività di lavoro riconducibile a pause, riposi ed anche permessi e ciò perché la sospensione dell'attività è di volta in volta giustificata da ragioni legate all'esercizio di diritti personali del lavoratore che altrimenti verrebbero sacrificati, come nel caso in esame, ove la ricorrente intendeva adempiere al suo dovere di madre.
Alla luce di tali argomentazioni, la domanda viene accolta e il danno indennizzato.

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