Svolgimento del processo
1. (omissis) propone ricorso, sulla base di quattro motivi, nei confronti di BPER Credit Management S.c.p.a., della Curatela del Fallimento (omissis) s.r.l., della Banca Popolare dell’Emilia Romagna Soc. Coop. e di (omissis) ed (omissis), per la cassazione della sentenza n. 433/2021, pronunciata dalla Corte d’appello di Roma, che rigettando gli appelli, principale ed incidentale, ha confermato la sentenza del Tribunale di Latina n. 122/2013, che aveva rigettato l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta dall’odierna ricorrente.
BPER Credit Management s.p.a. resiste con controricorso.
(omissis) SPV s.r.l. e, per essa, Prelios Credit Solutions s.p.a. (che ha acquistato pro soluto dalla BPER Banca s.p.a. i crediti da quest’ultima vantati nei confronti di (omissis) s.r.l. e nei confronti dei fideiussori, (omissis), (omissis) (omissis), (omissis)), resiste con controricorso.
La Curatela del Fallimento della (omissis) s.r.l., Banca Popolare dell’Emilia Romagna Soc. Coop. e (omissis) ed (omissis) non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
2. Riferisce la ricorrente di avere proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo, emesso dal Tribunale di Latina su istanza della Banca Popolare di Aprilia s.p.a. (ora BPER Credit Management s.p.a.)
- con cui si chiedeva alla debitrice principale (omissis) s.r.l. e ai fideiussori ((omissis) ed (omissis) e (omissis)) il pagamento complessivo di euro 226.752,01, dovuto in parte a titolo di saldo di due contratti di conto corrente bancario e, per l’importo di euro 162.000,00, a titolo di anticipo su fattura Anas s.p.a. — eccependo l’applicazione di interessi superiori a quelli consentiti dalla normativa vigente, la violazione dell’art. 1956 cod. civ., nonché la violazione del principio di buona fede da parte della Banca e la compensazione dei crediti azionati con quello vantato dalla debitrice principale nei confronti di Comunità Montana Alta Irpinia e Anas s.p.a.
Il Tribunale di Latina, in esito alla riassunzione del giudizio a seguito di intervenuto fallimento di (omissis) s.r.l. e previa riunione delle distinte opposizioni a decreto ingiuntivo proposte dai fideiussori, le rigettava, dichiarando l‘inammissibilità della domanda svolta dalla Curatela del Fallimento.
3. La Corte d’appello di Roma ha respinto i gravami proposti da (omissis) e, in via incidentale, da (omissis) (omissis).
Ha, in particolare, osservato, per quel che ancora rileva in questa sede, che non era stata provata la mala fede della Banca ai fini della invocata liberazione dei fideiussori ai sensi dell’art. 1956 cod. civ., ritenendo ‹‹evidente la presunzione di conoscenza in ordine alle difficoltà economiche del debitore principale da parte dei fideiussori, e ciò sia per obbligo contrattuale – art. 5 delle condizioni di fideiussione sottoscritte tra le parti – sia per la natura della società fallita, a conduzione familiare, dove l’appellante incidentale è [era] direttore tecnico e socio dell’impresa, mentre l’appellante è [era] moglie convivente dell’appellato contumace e madre del primo›› e considerando gravante sul fideiussore l’onere probatorio di dimostrare la consapevolezza della Banca di avere agito scientemente in suo danno. Ha, inoltre, respinto il motivo di gravame con cui si chiedeva l’esclusione, dalla somma dovuta, degli interessi moratori, sottolineando che i contratti di conto corrente sottoscritti dalle parti prevedevano espressamente ‹‹il tasso debitore e creditore al tasso ultralegale, nonché la trimestralizzazione degli interessi debitori e creditori›› e che, analogamente, nei contratti di fideiussione, era stata prevista ‹‹la garanzia sul dovuto per capitale ed interessi, anche moratori, al tasso convenzionalmente pattuito››; ha, infine, dichiarato assorbito dalla pronuncia di infondatezza del gravame il motivo d’appello concernente la domanda risarcitoria per danni, patrimoniali e non patrimoniali.
4. La trattazione è stata fissata in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis.1. cod. proc civ.
La ricorrente e la controricorrente BPER Credit Manangement S.c.p.a. hanno depositato memorie illustrative.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo, deducendo la ‹‹violazione e/o falsa applicazione degli artt. 132, comma 2, n. 4 e 118 disp. att. c.p.c.; artt. 1956 c.c. e 1418 c.c., 116, comma 1, c.p.c. e 2697 c.c. ed artt. 2727 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.››, la ricorrente censura la decisione impugnata per avere escluso la responsabilità della Banca che aveva concesso al debitore principale ulteriori finanziamenti nonostante fosse a conoscenza delle difficoltà economiche dello stesso, senza previamente informare il fideiussore dell’aumento del rischio e senza chiedere la preventiva autorizzazione.
Premettendo che la decisione poggia su elementi presuntivi, evidenzia che il primo elemento utilizzato al fine di ritenere il fideiussore comunque vincolato, costituito dalla esistenza di un “obbligo contrattuale” derivante dall’art. 5 delle condizioni di fideiussione, costituisce un’evidente violazione del divieto di escludere preventivamente la liberazione del fideiussore e comporta nullità della clausola, ai sensi dell’art. 1418 cod. civ.; rappresenta, in particolare, che la Corte d’appello aveva omesso di esaminare i documenti comprovanti che l’azione della banca era stata caratterizzata dalla deliberata violazione del principio cui si ispirava l’art. 1956 cod. civ., posto che dalla visura risultava che erano stati elevati ben sei protesti a carico della debitrice principale (tra il 18 luglio ed il 29 ottobre 2007) e che in data 12 novembre 2007 la Banca Popolare di Aprilia s.r.l. aveva concesso la somma di euro 162.000,00 a titolo di anticipo sulla fattura n. 32 del 2007, sebbene a tale ultima la (omissis) s.r.l. versasse già in grave difficoltà finanziaria.
Contesta, pure, ai giudici di appello di avere omesso la valutazione di documenti che avrebbero dovuto indurre a ritenere l’impossibilità per il fideiussore, odierna ricorrente, di avere conoscenza dello stato di decozione della società garantita, tenuto conto che: a) non aveva mai fatto parte della compagine societaria della (omissis) s.r.l., né aveva mai rivestito cariche sociali;
b) la debitrice principale non era società ‹‹a conduzione familiare››;
c) non aveva contratto matrimonio con (omissis), né era con questi convivente, ma aveva solo avuto da lui un figlio. Non avendo dunque diretto accesso ai documenti societari e/o bancari, doveva ritenersi pienamente operativa in suo favore la garanzia stabilita dall’art. 1956 cod. civ., con conseguente sua liberazione.
2. Con il secondo motivo, censurando la sentenza impugnata per ‹‹violazione e/o falsa applicazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., art. 112 c.p.c., art. 25 d.lgs. n. 342/1999, art. 1224 c.c. ed art. 1941 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.››, la ricorrente lamenta ‹‹l’omessa valutazione da parte del Giudice di primo grado della contestazione concernente la quantificazione del debito›› ed insiste nell’affermare come, nel calcolo globale dell’eventuale credito vantato dalla banca nei confronti del fideiussore, il debito debba essere depurato dagli interessi moratori e dall’anatocismo, perché, in caso contrario, si integrerebbe una violazione dell’art. 1941 cod. civ., che impone che la fideiussione non possa eccedere ciò che è dovuto dal debitore a titolo di obbligazione principale.
3. Con il terzo motivo, prospettando la ‹‹violazione e/o falsa applicazione degli artt. 132, comma 2, n. 4, e 118 disp. att. c.p.c., art. 112 c.p.c., art. 1267, comma 2, c.c., art. 1198 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.››, la ricorrente si duole dell’omesso esame, da parte della Corte territoriale, dell’eccezione di compensazione da essa formulata in primo ed in secondo grado, sottolineando che dagli stessi documenti prodotti si evinceva che, a fronte di un credito azionato nei confronti della (omissis) s.r.l., la banca ingiungente avesse totalmente omesso di “scontare”, portandoli in detrazione, i crediti che il debitore principale vantava nei confronti di terzi.
4. Con il quarto motivo – rubricato: ‹‹violazione e/o falsa applicazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., artt. 1175 e 2059 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.›› — la ricorrente impugna la sentenza gravata nella parte in cui ha ritenuto ‹‹la domanda risarcitoria per i danni patrimoniali e non (…) assorbita nella pronuncia di infondatezza del gravame››.
5. Il primo motivo è fondato nei termini che di seguito si espongono.
5.1. Secondo l’assunto difensivo della ricorrente, la Corte d’appello ha erroneamente applicato la disposizione di cui all’art. 1956 cod. civ., non valutando in modo corretto il comportamento tenuto dalla Banca, la quale aveva, in sostanza, indebitamente aggravato la posizione dei fideiussori, e ha fatto ricorso impropriamente alle presunzioni ai fini probatori.
5.2. Dovendosi soffermare l’attenzione sul dedotto aggravamento della posizione della debitrice dovuto alla concessione della somma di euro 162.000,00 da parte della Banca, a titolo di anticipo sulla fattura n. 32/2007, deve rilevarsi che la Corte d’appello ha poggiato la statuizione di rigetto del secondo motivo di appello sulle seguenti argomentazioni: a) l’esistenza di una clausola contrattuale – art. 5 delle condizioni di fideiussione sottoscritta tra le parti - secondo cui i garanti erano gravati di un obbligo informativo; 2) la natura della società fallita, definita ‹‹a conduzione familiare››, in ragione dell’esistenza di vincoli familiari e societari che non rendevano credibile la circostanza che i fideiussori non fossero edotti delle reali condizioni patrimoniali della società debitrice, per essere (omissis) (omissis) direttore tecnico e socio della (omissis) s.r.l. e l’odierna ricorrente moglie convivente dell’altro socio di maggioranza, (omissis).
5.3. Con specifico riferimento alla clausola che prevede l’obbligo di informazione a carico del fideiussore, è da ribadire che questa Corte ne ha già riconosciuto l’ammissibilità, a prescindere dal fatto che essa si affianchi o meno alla rinuncia ad avvalersi dell’art. 1956 cit., a condizione che l’istituto bancario tenga, nel corso del rapporto, un comportamento improntato ai principi di buona fede e correttezza (in tal senso si sono espresse Cass., sez. 1, 20/07/1989, n. 3385; Cass., sez. 1, 28/07/1999, n. 8176), e ha avuto anche cura di precisare che detta clausola non può essere interpretata quale rinuncia ad avvalersi dell’art. 1956 cod. civ. (Cass., sez. 3, 17/07/2023, n. 20713); per cui, non comportando la medesima una limitazione di responsabilità per la banca, la stessa non è da considerare nulla, ai sensi dell’art. 1418 cod. civ.
Sotto tale profilo, la censura non è, pertanto, fondata.
5.4. La doglianza deve, invece, essere accolta con riguardo all’altro profilo valorizzato dalla sentenza impugnata, ossia l’esistenza di legami familiari e societari.
Sul punto vale anzitutto porre in rilievo come questa Corte abbia già avuto modo di affermare il principio, al quale il Collegio intende dare continuità, che il fideiussore il quale intenda far valere l’esclusione della propria responsabilità ai sensi dell’art. 1956 cit. deve provare la sussistenza delle condizioni ivi indicate (Cass., sez. 1, 22/05/2003, n. 8040; Cass., sez. 1, 17/11/2016, n. 23422; Cass., sez. 3, 25/07/2022, n. 23065), dimostrando che, successivamente alla prestazione della fideiussione per obbligazioni future, il creditore abbia fatto credito al terzo, senza la sua autorizzazione, pur essendo consapevole dell’intervenuto peggioramento delle sue condizioni economiche.
Si è da questa Corte altresì affermato che la banca la quale conceda finanziamenti al debitore principale pur conoscendone le difficoltà economiche, fidando nella solvibilità del fideiussore, senza informare quest’ultimo dell’aumentato rischio e senza chiederne la preventiva autorizzazione, incorre in violazione degli obblighi generici e specifici di correttezza e di buona fede contrattuale. In particolare, si è precisato che non è coerente con i principi di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto il fatto che «la nuova concessione di credito sia avvenuta nonostante il peggioramento delle condizioni economiche e finanziarie del debito, sì che possa ritenersi che la banca abbia agito nella consapevolezza di un'irreversibile situazione di insolvenza e, quindi, senza la dovuta attenzione anche all'interesse del fideiussore» (cfr., Cass., sez. 1, 09/08/2016, n. 16827; Cass., sez. 1, 16/05/ 2013, n. 11979; Cass., sez. 1, 11/01/2006, n. 394).
Considerato, tuttavia, che la protezione accordata dalla norma dell'art. 1956 cod. civ. al fideiussore deve rispondere a una situazione di oggettiva esigenza di quest'ultimo (di permanente sua estraneità rispetto ai reali termini dello svolgimento del rapporto garantito), la mancata richiesta di autorizzazione non può configurare una violazione contrattuale liberatoria se la conoscenza delle difficoltà economiche del debitore principale è comune al fideiussore, o dev’essere presunta tale.
Superando un precedente orientamento (secondo cui la conoscenza delle condizioni economiche doveva ritenersi comune a debitore e fideiussore, ovvero presunta in ragione del vincolo coniugale tra essi esistente e dello stato di loro convivenza: così Cass., sez. 1, 02/03/2016, n. 4112), questa Corte, con l’ordinanza del 5 ottobre 2021, n. 26947, ha affermato di non poter attribuire valenza di prova presuntiva — ai fini della specifica autorizzazione richiesta dall’art. 1956 cit. — alla sola esistenza di un rapporto di parentela o di affinità, ribadendo come l’onere di richiedere quell’autorizzazione non sussista quando nella stessa persona coesistono la qualità di fideiussore e quella di legale rappresentante della società debitrice principale (Cass., sez. 6 -3, 23/03/2017, n. 7444; ma v. già, in ordine ai rapporti sociali, la più risalente Cass., sez. 3, 03/08/1995, n. 8486).
5.5. Ebbene, nel caso in esame, dovendo escludersi, come del resto pacificamente riconosciuto dalle parti controricorrenti, che la (omissis) abbia rivestito cariche sociali o abbia fatto parte della compagine della società debitrice principale, i giudici d’appello sono incorsi nel vizio contestato, perché si sono limitati ad accertare l’esistenza di un rapporto di coniugio e di convivenza tra la ricorrente e (omissis), socio di maggioranza e amministratore unico della società garantita, e a desumere sulla base di tale circostanza la conoscenza, in capo alla ricorrente, delle reali condizioni economiche in cui versava la debitrice principale, trascurando di considerare come tale elemento presuntivo, per le ragioni sopra esposte, non potesse essere di per sé sufficiente a far ritenere che la odierna ricorrente avesse reale contezza della situazione debitoria in cui versava la debitrice principale e, quindi, ad escludere la violazione del principio di buona fede da parte della Banca.
Ne discende che, in parte qua, la sentenza impugnata deve essere cassata.
6. In definitiva, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione alla censura accolta, assorbiti i restanti motivi, con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, che in diversa composizione procederà a nuovo esame facendo del suindicato disatteso principio applicazione, e provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti gli altri. Cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione.