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14 novembre 2024
Troppe pause al lavoro? Legittimo il licenziamento

Nel caso di specie, la condotta del lavoratore ha assunto i connotati del reato di truffa andando a ledere l'immagine dell'azienda e legittimando i controlli difensivi posti in essere attraverso un'agenzia investigativa.

di La Redazione

Il Giudice di seconde cure respingeva l'impugnativa del licenziamento disciplinare intimato al lavoratore basandosi sulle indagini che erano state effettuate attraverso un'agenzia investigativa dalle quali era emerso che egli, addetto alla raccolta dei rifiuti, usava intrattenersi all'interno di esercizi commerciali durante l'orario di lavoro, e ciò non solo per consumare cibi e bevande o per espletare i suoi bisogni fisiologici, ma anche per chiacchierare con i presenti. Tali “pause”, peraltro, non erano di breve durava ma talvolta raggiungevano e superavano i 30 minuti. Per queste ragioni, la Corte ha reputato il licenziamento proporzionato alla condotta posta in essere che assumeva i connotati del reato di truffa, perché il mancato svolgimento della prestazione nei termini in cui era dovuta era poi seguita dalla presentazione di inveritiere attestazioni di fogli di serviziodell'osservanza integrale dell'orario pattuito, determinando quindi una ingiusta percezione della retribuzione che non era parzialmente dovuta, con correlativo danno per l'azienda.
Il lavoratore impugna la decisione mediante ricorso per cassazione.

Con l'ordinanza n. 27610 del 24 ottobre 2024, gli Ermellini rigettano il ricorso, ricordando anzitutto che il controllo effettuato dalle agenzie investigative può estendersi ad atti illeciti compiuti dal lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell'obbligazione scaturente da contratto, quando sia volto a verificare condotte in grado di configurare ipotesi penalmente rilevanti ovvero integranti attività fraudolente.
Nel caso in esame, i fatti avevano rilievo addirittura penale, o comunque erano idonei a raggirare in qualche modo il datore di lavoro, ledendo così non solo il patrimonio aziendale, ma anche l'immagine stessa dell'azienda. Proprio recentemente, la Cassazione ha ribadito la nozione di “patrimonio aziendale” che può essere oggetto di tutela nell'ambito dell'esercizio del potere di controllo dell'attività dei lavoratori e che va intesa estensivamente, riconoscendo il diritto del datore di lavoro di tutelare il suo patrimonio aziendale inteso non solo come complesso dei beni aziendali, ma anche quale propria immagine esterna. In tal senso, è stata riconosciuta lesiva del patrimonio aziendale la condotta del lavoratore che potenzialmente integra un illecito penale, ammettendo l'accertamento dei fatti disciplinarmente rilevanti mediante telecamere appositamente installate nei locali aziendali, evidenziando che la lesione dell'immagine e del patrimonio reputazionale dell'azienda non è meno importante del materiale che la compone.
Anche per questo motivo, i Giudici rigettano il ricorso e condannano il ricorrente al pagamento delle spese di lite.

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