
Nonostante la cessazione del rapporto di lavoro sia stata ricondotta al comportamento disciplinarmente rilevante del lavoratore, non si può porre a carico di quest’ultimo il costo di un contributo che incombe per legge sul datore di lavoro.
Il datore di lavoro proponeva opposizione al decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Cremona con il quale gli veniva ingiunto il pagamento di oltre 2.500 euro a titolo di TFR nei confronti di un ex dipendente che era stato licenziato per giusta causa.
Quest’ultimo, nel giudizio monitorio, aveva allegato e provato attraverso diversi documenti di aver lavorato alle dipendenze dell’opponente per quasi due anni, tuttavia era stato licenziato quando, dopo aver fruito di due periodi di ferie che gli erano stati concessi dal datore, non si era presentato al lavoro senza dare alcuna giustificazione per 13 giorni.
Non avendo il datore provato in giudizio alcun pagamento, le somme oggetto di ingiunzione risultavano dunque dovute, ma in via riconvenzionale egli chiedeva di condannare l’ex lavoratore al risarcimento dei danni a causa della sua condotta contraria ai doveri di correttezza e buona fede e al pagamento del c.d. ticket di licenziamento versato, che era stato pari a 954,92 euro, oltre al pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso.
Con la sentenza n. 333 del 15 ottobre 2024, il Tribunale di Cremona dichiara infondata la domanda riconvenzionale, premettendo anzitutto che è circostanza incontestata l’assenza ingiustificata dal posto di lavoro per 13 giorni che aveva costretto il datore di lavoro al licenziamento disciplinare. Senza dubbio, infatti, vi è stata una condotta inadempiente del lavoratore che non solo non ha prestato la propria opera in favore del datore, ma non ha nemmeno comunicato la sua assenza.
Se è proporzionata la sanzione del licenziamento per giusta causa, non è però accettabile la domanda del datore di pagamento del contributo di licenziamento, che la legge pone chiaramente a carico del datore di lavoro in tutte le ipotesi in cui il rapporto di lavoro sia cessato con un licenziamento disciplinare, come nel caso di specie, quindi l’opponente non può porre a carico del lavoratore il costo di un contributo che la legge impone come a proprio carico, sebbene il licenziamento sia stato determinato dalla condotta inadempiente del prestatore di lavoro.
In assenza di prova circa le dimissioni del lavoratore, tacite o espresse, il ticket di licenziamento è quindi sempre a carico del datore di lavoro, e anche per questo il Tribunale rigetta l’opposizione e dispone la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto.
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
Con ricorso depositato il 22.8.2023 [omissis], d'ora in poi anche la opponente per semplicità) ha proposto opposizione al decreto ingiuntivo n. [omissis]/2023 - emesso il 12.7.2023 dal Tribunale di Cremona - con il quale le veniva ingiunto di pagare a [omissis] (di seguito anche l'opposto per brevità) "la somma lorda di euro 2.780,50, a titolo di TFR (maturato sino al 31.12.2022), oltre rivalutazione monetaria e interessi legali sulla somma via via rivalutata dalla maturazione del credito (14.2.2023) al soddisfo e spese del procedimento che si liquidano in complessivi euro 450,00, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge".
L'odierno opposto, nel giudizio monitorio, ha allegato e provato con documenti di avere lavorato come manovale edile alle dipendenze della opponente dall'8.7.2021 al 14.2.2023. Si vedano la certificazione unica 2023 (doc. 3 fasc. monitorio), l'estratto storico delle comunicazioni obbligatorie al centro per l'impiego (doc. 1 fasc. monitorio) nonché la lettera di licenziamento per giusta causa (doc. 2 fasc. monitorio).
L'opponente recedeva dal rapporto di lavoro in quanto l'opposto, dopo un primo periodo di ferie dal 23.12.2022 al 13.1.2023 (richiesto e concesso dal datore di lavoro) e un secondo periodo di ferie dal 14.1.2023 al 31.1.2023 (concesso senza richiesta dal datore di lavoro), si assentava ingiustificatamente dal posto di lavoro dall'1.2.2023 al 13.2.2023 (vd. lettera di contestazione disciplinare sub doc. 3 fasc. [omissis] e lettera di licenziamento sub doc. 4 fasc. [omissis]).
Alla data di cessazione del rapporto di lavoro il datore di lavoro ometteva di corrispondere al lavoratore il TFR. Per il TFR maturato sino alla data del 31.12.2022 il lavoratore ha proposto ricorso monitorio in base alla Certificazione Unica 2023 (relativa all'anno di imposta 2022), conclusosi con il decreto ingiuntivo n. [omissis]/2023, qui opposto. Il datore di lavoro ometteva di consegnare al lavoratore pure la busta paga relativa al trattamento di fine rapporto.
A fronte della prova del titolo e dell'allegazione dell'inadempimento da parte del ricorrente in monitorio, la odierna opponente aveva l'onere di provare di avere pagato al ricorrente in monitorio il trattamento di fine rapporto (art. 2697 c.c.).
La opposta, costituendosi in giudizio, non ha provato alcun pagamento e, pertanto, le somme oggetto dell'ingiunzione di pagamento sono dovute.
L'opponente ha chiesto in via riconvenzionale di condannare il ricorrente in monitorio al risarcimento dei danni da essa patiti in conseguenza della condotta "contraria ai doveri di correttezza e buona fede" dell'opposto, il quale, assentandosi ingiustificatamente dal posto di lavoro, invece di rassegnare le proprie dimissioni, ha costretto il datore di lavoro ad intimargli il licenziamento per giusta causa.
L'opponente ha chiesto, dunque, il pagamento del "ticket di licenziamento" versato per l'opposto, pari a euro 954,92, nonché il pagamento dell'indennità sostitutiva del preavviso, pari a euro 747,11.
La domanda riconvenzionale è infondata.
E invero, non è contestato tra le parti in causa - oltre che provato per tabulas - che l'opponente abbia licenziato l'opposto per l'assenza ingiustificata dal posto di lavoro protrattasi per 13 giorni. È pure incontestata la legittimità della sanzione espulsiva del datore di lavoro e la data di decorrenza di tale sanzione, ossia il 14.2.2023 (vd. lettera di licenziamento sub doc. 4 fasc. [omissis] ed estratto storico delle comunicazioni obbligatorie al centro per l'impiego doc. I-1 fasc. opposto).
Se queste sono le premesse, allora non si può che convenire con la opponente laddove afferma che la condotta del prestatore di lavoro è stata scorretta e - ancor di più - inadempiente. Tra gli obblighi del lavoratore v'è, infatti, quello di prestare la propria opera in favore del datore di lavoro e di comunicare al medesimo i giorni in cui la prestazione di tale opera non sia possibile.
Non a caso la condotta dell'opposto così descritta è stata sanzionata dall'opponente con il licenziamento per giusta causa, per il quale è stata formulata dall'INPS la richiesta di pagamento del cd. contributo di licenziamento di euro 954,92 (vd. comunicazione pec del 22.8.2023 su doc. 6 fasc. [omissis]).
Ora, il pagamento di tale contributo è previso ex lege - e, in particolare, dall'art. 2 co. 31 e ss. L. 92/2012 - in tutte le fattispecie, come quella in esame, in cui al lavoratore sia stato comminato un licenziamento disciplinare (per quanto di interesse), per il sol fatto che il rapporto di lavoro sia cessato per recesso del datore di lavoro a causa della condotta inadempiente del prestatore di lavoro.
Ne consegue che l'opponente non può porre a carico del lavoratore il costo di un contributo che è proprio la legge a porre a carico del datore di lavoro anche nei casi, come quello in esame, in cui il licenziamento è stato irrogato a causa della condotta disciplinarmente rilevante del prestatore di lavoro.
A quanto detto si aggiunga un ulteriore decisivo rilievo. L'opponente invoca, a sostegno della propria domanda riconvenzionale, la circostanza che l'assenza ingiustificata dal posto di lavoro dell'opposto si sia protratta sino al 22.5.2023 e la circostanza che l'opposto il 22.5.2023 abbia rifiutato la ripresa dell'attività lavorativa (a egli offerta dall'opponente) per godere della Naspi.
Tali circostanze, secondo l'opponente, renderebbero evidente e confermerebbero la volontà del lavoratore di rassegnare le dimissioni, che poi non ha rassegnato per conservare il diritto a godere della Naspi. La tesi dell'opponente non è convincente.
L'opponente, infatti, pone a fondamento del ragionamento volto a disvelare la reale intenzione del lavoratore due presupposti errati. Il primo è quello che l'assenza ingiustificata del lavoratore abbia riguardato il periodo dall'1.2.2023 al 22.5.2023, quando invece la lettera di contestazione disciplinare e il licenziamento riguardano il differente periodo 1.2.2023/13.2.2023.
Il secondo presupposto errato è quello di considerare come rilevante - allo scopo di ricostruire la volontà del prestatore e il conseguente comportamento implicitamente dimissionario - una condotta successiva alla cessazione del rapporto di lavoro (quella del 22.5.2023), quando invece è proprio il datore di lavoro a dichiarare che l'efficacia del licenziamento decorreva dalla data del 14.2.2023 (vd. lettera di licenziamento sub doc. 4 fasc. [omissis] ed estratto storico delle comunicazioni obbligatorie al centro per l'impiego doc. I-1 fasc. opposto).
Ne discende che, in assenza di prova circa le dimissioni del lavoratore, espresse o tacite che siano, il contributo di licenziamento è dovuto e, come previsto dalla legge, deve essere pagato dal datore di lavoro odierno opponente.
Neppure può essere accolta la domanda di pagamento dell'indennità sostitutiva del preavviso, poiché il soggetto receduto senza preavviso dal rapporto di lavoro è il datore di lavoro odierno opponente (vd. art. 2118 co. 2 c.c.) e l'art. art. 2119, secondo periodo del primo comma, c.c. è norma di stretta interpretazione che riconosce solo al lavoratore recedente per giusta causa il diritto all'indennità sostitutiva del preavviso.
Alla stregua di quanto sin qui considerato e argomentato, va rigettata l'opposizione e disposta la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto.
Le spese processuali di questo giudizio, che si liquidano come da dispositivo - tenuto conto del valore della controversia, dell'attività effettivamente svolta, che non ha contemplato alcuna istruttoria (fasi di studio, introduttiva e decisionale) e della condotta processuale della opponente (che aveva accettato la proposta conciliativa formulata dal giudice) - seguono la soccombenza della opponente.
P.Q.M.
Il Tribunale di Cremona, in funzione di giudice del lavoro, definitivamente pronunciando sul ricorso proposto, così provvede, ogni contraria istanza, difesa ed eccezione disattesa e rigettata:
1) rigetta l'opposizione proposta e, conseguentemente, conferma il decreto ingiuntivo n. [omissis]/2023 emesso il 12.7.2023 dal Tribunale di Cremona, che si dichiara esecutivo;
2) condanna [omissis] a pagare in favore di [omissis] le spese processuali, che si liquidano in complessivi euro 1.030,00, oltre spese generali, IVA se dovuta e CPA come per legge.