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6 febbraio 2025
Sequestro di persona in danno del coniuge: la Corte costituzionale conferma la procedibilità d'ufficio
Con sentenza n. 9 del 6 febbraio 2025, la Corte costituzionale ha ritenuto non fondata la questione sollevata dal GUP del Tribunale di Grosseto in merito alla procedibilità d'ufficio del reato di sequestro di persona aggravato in danno del coniuge, così come disciplinato dalla riforma Cartabia (D.Lgs. n. 150/2022).
di La Redazione
Il caso e la questione di legittimità costituzionale

Il giudice rimettente era chiamato a decidere sulla responsabilità di un uomo che aveva sequestrato la moglie, dalla quale si era separato di fatto, e il nuovo compagno di lei. Secondo la ricostruzione del Pubblico Ministero, l'imputato aveva puntato una pistola contro i due, costringendoli a entrare in casa, chiudendo la porta e minacciandoli di morte, colpendoli ripetutamente.

Sia la moglie che il compagno avevano rimesso la querela dopo aver ricevuto un risarcimento dall'imputato. Tuttavia, tale remissione non aveva avuto effetti rispetto al reato di sequestro di persona in danno della moglie, poiché la riforma Cartabia ha mantenuto la procedibilità d'ufficio in alcune ipotesi aggravate, tra cui quella in esame.

Il GUP di Grosseto chiedeva alla Consulta di dichiarare tale disciplina incostituzionale, sostenendo che la finalità conciliativa della riforma, che ha subordinato la punibilità del sequestro di persona alla querela della vittima, sarebbe dovuta valere a maggior ragione nei rapporti coniugali, per salvaguardare il valore costituzionale dell'unità familiare (art. 29 Cost.).

giurisprudenza

La decisione della Corte costituzionale

La Corte costituzionale, con sentenza n. 9/2025, ha respinto l'impostazione del GUP e affermato che la scelta del Legislatore non è irragionevole né in contrasto con le indicazioni della legge delega.

I punti salienti della sentenza
  • Tutela rafforzata delle vittime vulnerabili: la procedura d'ufficio per alcune ipotesi di sequestro di persona mira a proteggere le vittime all'interno di relazioni familiari o affettive, contesti in cui il rischio di pressioni o intimidazioni affinché non venga sporta o venga ritirata la querela è particolarmente elevata.
  • Rispetto della Convenzione di Istanbul: l'Italia ha ratificato nel 2013 la Convenzione di Istanbul sulla violenza contro le donne, che impone agli Stati di garantire la prosecuzione dei procedimenti penali per i reati di violenza fisica, anche quando la vittima ritira la denuncia.
  • Il principio dell'unità familiare non è assoluto: la Corte ha chiarito che il valore dell'unità della famiglia non può prevalere sulla necessità di proteggere i diritti fondamentali delle persone che ne fanno parte, in particolare quando si tratta di violenza domestica.

Riflessioni finali

La pronuncia in esame rafforza l'approccio della Corte costituzionale e del Legislatore nella tutela delle vittime di violenza domestica, anche in assenza della loro esplicita volontà di procedere penalmente contro l'autore del reato. Non solo, conferma la centralità della tutela della vittima nel diritto penale, in linea con i più recenti orientamenti normativi europei e internazionali e ribadisce il carattere inderogabile della procedibilità d'ufficio per alcuni reati aggravati in ambito familiare, a prescindere dall'eventuale remissione della querela. Infine, evidenzia la necessità di garantire l'effettiva punibilità di condotte violente, impedendo che le pressioni interne alla famiglia possano vanificare l'azione penale.

Il contesto normativo in cui la decisione si inserisce è un contesto sempre più attento alla protezione delle vittime di reati domestici, che conferma che la giustizia penale non può essere condizionata dalla volontà della vittima quando vi è un rischio concreto di coercizione o minaccia.

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