
Con sentenza n. 5014/2025, la Corte di Cassazione ha affrontato una questione di particolare rilievo in materia di violenza domestica e sessuale, chiarendo il rapporto tra la procedibilità d'ufficio e la connessione con reati perseguibili solo a querela.
Il caso: procedibilità per connessione e preclusione dell'azione penale
La vicenda processuale nasce dall'impugnazione della parte civile e dell'imputato avverso la sentenza della Corte d'Appello di Roma. L'imputato era stato condannato per
Svolgimento del processo
1. Con l'impugnata sentenza, emessa in data 23 novembre 2023, la Corte di Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza di condanna del Tribunale di Roma, ha dichiarato non doversi procedere perché l'azione penale non deve essere proseguita in ordine al reato di cui al capo B) - art. 572 cod.pen. - essendo i fatti ascritti oggetto di precedente decreto di archiviazione, nonché in ordine al capo C) - artt. 81 comma 2, 582- 585 in relazione all'art. 576, 577, 61 n. 11 quinquies cod.pen. - perché estinti per prescrizione e, per l'effetto, ha rideterminato la pena, in anni cinque e mesi otto di reclusione, in relazione al capo A) - artt. 81 comma 2, 609-bis e 609-ter, n. 5-quater, 609-septies, comma 4 n. 4, cod.pen. Fatti commessi nel dicembre 2013 e febbraio 2015. Di conseguenza ha rideterminato l'importo della somma liquidata a titolo di provvisionale in favore della parte civile nella misura di € 10.000, confermando nel resto l'impugnata sentenza.
2. Avverso la sentenza hanno presentato ricorsi per cassazione, per mezzo dei rispettivi difensori, l'imputato e la parte civile.
2.1. Il ricorso nell'interesse dell'imputato è affidato a otto motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione come dispone l'art. 173 disp. att. cod.proc.pen.
2.1.1. Con il primo e articolato motivo, deduce la violazione di cui all'art. 606 comma 1, lett. b), c) ed e) cod.proc.pen. in relazione all'inosservanza della norma processuale di cui all'art. 414, 179, 529 cod.proc.pen., 649 cod.proc.pen., art. 6 Cedue vizio di motivazione.
La corte territoriale, in riferimento alla parte del dispositivo con cui ha dichiarato non doversi procedere perché l'azione penale non doveva essere proseguita essendo i fatti ascritti oggetto di precedente decreto di archiviazione, avrebbe errato nella formula del proscioglimento che doveva essere pronunciato perché l'azione penale non doveva essere iniziata secondo il dictum delle Sezioni Unite Giuliani.
Violazione delle norme processuali di cui all'art. 179 cod.proc.pen. avendo omesso di dichiarare inutilizzabili tutti gli atti compiuti dopo la richiesta di archiviazione con riferimento ai capi B) e C) per violazione del principio del ne bis in idem, compresa la sentenza di primo grado.
L'imputato ha interesse alla modificazione del dispositivo della sentenza impugnata in relazione al capo B) perché in presenza di preclusione processuale originaria e di nullità della sentenza sarebbe chiaro che sussisterebbe l'improcedibilità originaria di tutti gli altri capi di imputazione A) e C) che erano improcedibili sin dall'origine per tardività di querela, non essendo connessi con reato procedibile d'ufficio.
2.1.2. Con il secondo motivo deduce la violazione dell'art. 606 comma 1, lett. b), c) ed e) cod.proc.pen. in relazione all'erronea applicazione dell'art. 609 septies comma 4 n. 4 cod.pen.
La Corte d'appello avrebbe dovuto rilevare la tardività della querela, presentata in data 05/12/2015, con riguardo al reato di violenza sessuale commessa nel febbraio del 2015 e nel dicembre 2013, essendo decorsi i termini vigenti ratione temporis di sei mesi. La corte d'appello avrebbe erroneamente ritenuto procedibile d'ufficio il reato di violenza sessuale perché connesso con un reato, i maltrattamenti in famiglia, procedibile d'ufficio ai sensi dell'art. 609 septies comma 4 n. 4 cod.pen., e ciò in quanto nel reato di cui al capo A) di violenza sessuale non vi è alcuna contestazione di connessione con il reato di maltrattamenti, né sarebbe mai stata accertata alcuna connessione investigativa, a differenza del capo C) nel quale gli episodi di lesione, ad esclusione del fatto del 03/07/2015 per cui l'imputato è stato assolto, la connessione è contestata. Né sarebbe configurabile un collegamento tenuto conto che per il reato di maltrattamenti non si doveva procedere stante la preclusione di cui all'art. 414 cod.proc.pen. L'improcebilità che costituisce una carenza di potere del Pubblico Ministero, integrando una nullità assoluta che investe l'iniziativa del Pubblico Ministero nell'esercizio dell'azione penale, non può condurre a ritenere operante il disposto dell'art. 609 septies comma 4 n. 4 cod.pen. che peraltro fa espresso richiamo al delitto "per il quale si deve procedere d'ufficio", mentre nel caso in esame non si sarebbe dovuto procedere ab inizio.
La corte territoriale pur avendo ritenuto l'improcedibilità per il reato di maltrattamenti non avrebbe tratto le dovute conseguenze di nullità e inutilizzabilità e, con applicazione in malam partem, avrebbe ritenuto la procedibilità del reato di violenza sessuale per connessione con il reato procedibile d'ufficio, ma per il quale non era possibile procedere per la preclusione derivante dall'art. 414 cod.proc.pen. L'imputato avrebbe subito conseguenze negative (la procedibilità per il reato di violenza sessuale) perché connesso rispetto ad un reato, quello di maltrattamenti, per il quale era stato prosciolto secondo la motivazione della richiesta di archiviazione recepita dal Giudice, per cui si doveva escludere la sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi del delitto di maltrattamenti. Consegue che non sussisterebbe la procedibilità per il reato di violenza sessuale per tardività della querela.
2.1.3. Con il terzo motivo deduce la violazione dell'art. 606 comma 1, lett. b), c) ed e) cod.proc.pen. in relazione all'art. 414, 179, 529 cod.proc.pen., 649 cod.proc.pen., art. 6 Cedu e vizio di motivazione in relazione al capo C) per intervenuta prescrizione maturata in data 17/04/2023, dopo la sentenza di primo grado, e insussistenza degli elementi di cui all'art. 129 cod.proc.pen. per l'assoluzione nel merito.
Valgono le stesse considerazioni svolte con riguardo al reato di violenza sessuale, anche per gli episodi di lesione, ad esclusione di quello in data 17/10/2015, la querela sarebbe tardiva. Tutti gli episodi di lesione, ad esclusione di quello del 03/07/2015 per il quale l'imputato è stato assolto, erano oggetto di indagine nel procedimento archiviato, come risulta dalla motivazione della richiesta di archiviazione. Anche con riguardo al capo C) avrebbe dovuto essere pronunciata sentenza di improcebilità essendo preclusa l'azione penale o comunque per tardività della querela.
In ogni caso la prescrizione dei reati di lesione di cui agli episodi del 21/10/2011 e 16/09/2012 sarebbe maturata prima della sentenza di primo grado. Infine, l'imputato avrebbe dovuto essere assolto nel merito ai sensi dell'art. 129 cod.proc.pen.
2.1.4. Con il quarto motivo deduce la violazione dell'art. 606 comma 1, lett. b), c) ed e) cod.proc.pen. in relazione all'affermazione della responsabilità penale per il reato di violenza sessuale. Contraddittorietà della motivazione in ordine alle prove nulle raccolte e valutate contra legem. Inutilizzabilità di tutti gli atti di istruzione probatoria riguardanti i fatti di maltrattamento la cui improcedibilità derivante dalla preclusione di cui all'art. 414 cod.proc.pen. è stata riconosciuta dalla Corte d'appello.
Tutte le prove raccolte sui fatti per i quali non si doveva procedere sarebbero nulle e inutilizzabili. Invece sarebbero state utilizzate per affermare l'attendibilità della persona offesa e il dolo del reato di violenza sessuale, sul rilievo che le condotte poste in essere precedentemente alla richiesta di archiviazione, come riferite dalla persona offesa, confermavano l'attendibilità di costei e il dolo del reato di violenza sessuale.
Con abnorme iter argomentativo la corte territoriale avrebbe ritenuto assorbite tutte le deduzioni difensive sul reato di maltrattamenti, sicchè da un lato avrebbe affermato indebitamente la colpevolezza dell'imputato, ma non avrebbe valutato le deduzioni difensive assorbite dall'improcedibilità.
Con illogica motivazione la Corte d'appello avrebbe utilizzato le accuse di maltrattamenti per ritenere attendibile la persona offesa, accuse archiviate per manifesta infondatezza. Ed ancora, la corte territoriale avrebbe ritenuto inutilizzabili le dichiarazioni rese dalla parte civile nonostante fossero state acquisite su accordo delle parti, nel giudizio di primo grado. In definitiva la corte territoriale avrebbe dovuto giungere ad una opposta decisione: l'archiviazione del reato di maltrattamenti avrebbe dovuto condurre ad un giudizio di inattendibilità della parte civile.
2.1.5. Con il quinto motivo deduce il vizio di motivazione con riguardo all'affermazione della responsabilità penale per il reato di cui al capo A), motivazione meramente apparente, travisamento dei fatti e dei documenti.
In sintesi, la corte territoriale avrebbe attribuito all'imputato delle deduzioni difensive mai dedotte, avrebbe sempre respinto le accuse sulla violenza sessuale e, quanto al reato di cui al capo C), avrebbe solo riferito che i tre episodi di lesioni commesse in data 24/08/2015, 25/08/2015 e 18/10/2015 erano stati commessi da tale C.. La Corte territoriale avrebbe poi travisato la cronologia delle denunce: la denuncia della parte civile contro l'imputato è successiva a quella dell'imputato contro la donna per sottrazioni di minori; la fuga da casa della persona offesa, del 12/11/2015 sarebbe collegata non tanto al timore per il marito quanto a quello dell'amante e solo dopo che apprese di essere stata denunciata dal marito, a sua volta denunciò questi.
Circostanze queste che metterebbero in dubbio l'attendibilità della persona offesa che la corte ha travisato. Sarebbe mancante la motivazione sulla deduzione difensiva secondo cui la relazione extraconiugale della donna avrebbe determinato il movente a mentire della persona offesa, da cui la sua inattendibilità. La corte territoriale, infine, avrebbe travisato il contenuto degli atti di causa là dove avrebbe ritenuto utilizzabili solo le dichiarazioni rese a dibattimento dalla donna e non le sommarie informazioni di cui il tribunale aveva già disposto l'acquisizione in primo grado, su accordo delle parti, rese in data 12 agosto 2015 e 22 agosto 2015, non rendendo alcuna motivazione in punto ritrattazione della persona offesa nelle suddette dichiarazioni sommarie informazioni.
2.1.6. Con il sesto motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla violazione della condanna al di là del ragionevole dubbio tenuto conto della diversa descrizione degli episodi di violenza sessuale come raccontati e come ricostruiti in sentenza. Mancata valutazione della credibilità della persona offesa secondo i principi giurisprudenziali.
2.1.7. Con il settimo motivo deduce la violazione di legge in relazione al diniego di riconoscimento del fatto di minore gravità ai sensi dell'art. 609 bis comma 3 cod.pen.
2.1.8. Con l'ottavo motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione al diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e in relazione alla dosimetria della pena.
2.2. Il ricorso della parte civile è affidato ad un unico motivo di ricorso con cui si deduce la violazione di legge in relazione all'erronea applicazione dell'art. 414 comma 2 bis cod.proc.pen.
La decisione della Corte territoriale che ha dichiarato non doversi procedere per il reato di maltrattamenti di cui al capo B), perché l'azione penale non deve essere esercitata, essendo i fatti ascritti oggetto del precedente provvedimento di archiviazione, sarebbe frutto di un'errata applicazione dell'articolo 414 comma 2 bis cod.proc.pen. alla luce dell'interpretazione giurisprudenziale ormai pacifica circa la non applicabilità dell'improcedibilità e di inutilizzabilità degli atti previsti dalla norma richiamata per i reati di durata come quello di maltrattamenti.
Nel caso in esame, l'azione penale è stata esercitata dopo l'emissione di un provvedimento di archiviazione, la richiesta di archiviazione si basava su dichiarazioni della persona offesa che all'epoca ancora convivente col marito violento e tossicodipendente minimizzava i fatti per paura di ritorsioni in proprio danno e dei figli minori. Così spiegava la stessa in sede di dibattimento. Solo in data 5 dicembre 2015 la persona offesa presentava per la prima volta una completa e dettagliata denuncia querela per il reato di maltrattamenti subiti e quindi per la prima volta l'autorità giudiziaria aveva presente tutti i fatti di violenza fisica psicologica e sessuale posti in essere dall'imputato. Pertanto, il tribunale aveva correttamente ritenuto che dovesse essere assorbito nel provvedimento di archiviazione solo l'episodio lesivo del 3 luglio 2015 e non anche tutta la condotta maltrattante poiché riferita fatti nuovi e diversi e mai emersi nel procedimento archiviato. La Corte territoriale, invece, nel dichiarare l'improcedibilità sarebbe incorsa in un vizio di violazione di legge, non avendo correttamente interpretato la sanzione di inutilizzabilità derivante dalla violazione dell'articolo 414 cod.proc.pen. che colpisce solo gli atti che riguardano lo stesso fatto oggetto dell'indagine conclusa col provvedimento di archiviazione e non anche fatti diversi o successivi benché collegati col fatto oggetto della presente indagine. In presenza di fatti diversi, come nel caso di cui ci si occupa, la decisione della Corte territoriale non avrebbe fatto corretta applicazione dei principi giurisprudenziali sopra richiamati.
Inoltre, proprio la specificità che caratterizza il delitto di maltrattamenti in famiglia i citati canoni giurisprudenziali assumerebbero valore ancora più pregnante alla luce delle indicazioni delle disposizioni internazionali in materia di violenza domestica e segnatamente in base alle disposizioni della Convenzione di Istanbul, di cui l'interprete deve tener conto nell'interpretazione del diritto interno, secondo cui il procedimento penale deve poter seguire il proprio corso anche in presenza di ritrattazione o rimessione di querela, come stabilisce esplicitamente l'articolo 55 della Convenzione. Consentire l'applicabilità dell'articolo 414 cod.proc.pen. nel caso in esame, frustrerebbe le indicazioni di fonte internazionale in materia di violenza domestica in base alle quali l'esito del processo penale non può e non deve essere pregiudicato dalla ritrattazione della persona offesa. Infatti, come dichiarato dalla stessa persona offesa nel dibattimento quest'ultima in sede di sommarie informazioni rese nell'originario procedimento poi archiviato non era riuscita a rappresentare la reale entità dei fatti illeciti per paura di ritorsioni posto che viveva ancora in casa col marito autore delle violenze.
La difesa ha depositato motivi nuovi ed ha insistito nell'accoglimento del ricorso.
3. Il Procuratore generale ha chiesto l'annullamento con rinvio alla Corte d'appello di Roma.
Motivi della decisione
1. L'impugnazione della parte civile avverso la sentenza di proscioglimento, ammissibile anche quando non contenga l'espressa indicazione che l'atto è proposto ai soli effetti civili (Sez. U, n. 6509 del 20/12/2012, P.C. in proc. Colucci e altri. P.M. Destro, Rv. 254130 - 01) ai sensi dell'art. 576 cod.proc.pen., previsione che legittima la parte civile non soltanto a proporre impugnazione contro la sentenza di proscioglimento, ma anche a chiedere al giudice dell'impugnazione, ai fini dell'accoglimento della propria domanda di risarcimento, di affermare, sia pure incidentalmente, la responsabilità penale dell'imputato ai soli effetti civili, statuendo in modo difforme, rispetto al precedente giudizio (Sez. 3, n. 3083 del 18/10/2016, Rv. 268894 - 01; Sez. 5, n. 3670 del 27/10/2010, Rv. 249698 - 01), non è fondato.
Il ricorso dell'imputato è, invece, parzialmente fondato nei sensi di cui in motivazione.
2. Nell'ordine logico dei motivi, va dapprima scrutinato il ricorso della parte civile, che deduce la violazione di legge processuale in relazione all'erronea applicazione dell'art. 414 cod.proc.pen. e il primo motivo di ricorso dell'imputato, che, per le ragioni di diritto che pongono, vanno trattati congiuntamente.
Giova rammentare che le Sezioni Unite n. 33885 del 24/06/2010, Giuliano, Rv. 247834 - 01, hanno affermato che il difetto di autorizzazione alla riapertura delle indagini determina l'inutilizzabilità degli atti di indagine eventualmente compiuti dopo il provvedimento di archiviazione e preclude l'esercizio dell'azione penale per lo stesso fatto di reato, oggettivamente e soggettivamente considerato, da parte del medesimo ufficio del pubblico ministero.
Già la sentenza della Corte costituzionale n. 27 del 1995, a giudizio delle Sezioni unite, aveva delineato in termini giuridicamente corretti la natura e la funzione del provvedimento di riapertura delle indagini ex art. 414 cod.proc.pen. e le conseguenze della sua mancanza sulle iniziative eventualmente assunte dal medesimo ufficio del pubblico ministero sullo stesso fatto oggetto del provvedimento di archiviazione.
Con questa sentenza, era stato affermato a chiare lettere che il provvedimento di archiviazione determina una preclusione processuale e che l'autorizzazione a riaprire le indagini funge da condizione di procedibilità, in mancanza della quale il giudice deve dichiarare che "l'azione penale non doveva essere iniziata".
La giurisprudenza di legittimità successiva ha mostrato adesione. Le Sez. un. Finocchiaro del 22 marzo 2000, che, pur occupandosi specificamente della questione della validità di una richiesta di misura cautelare proposta senza previo decreto di autorizzazione alla riapertura delle indagini (risolta in senso negativo), hanno sposato in tutto i principi affermati dalla Corte costituzionale, dando atto, tra l'altro, di un contrasto giurisprudenziale all'epoca già formatosi in termini analoghi a quello ora all'attenzione delle Sezioni unite e prendendo partito per la tesi (v. in particolare il punto 10 di detta decisione) secondo cui l'archiviazione determina una preclusione endoprocedimentale all'agere del medesimo ufficio del p.m., che inibisce non solo la ripresa dell'attività investigativa o le iniziative cautelari, ma lo stesso esercizio dell'azione penale, con riferimento allo stesso fatto oggetto del provvedimento di archiviazione, rimovibile solo attraverso il decreto ex art. 414 cod.proc.pen.
Anche le Sezioni Unite 23 febbraio 2000, n. 8, Romeo, trattando ex professo della preclusione derivante da una sentenza di non luogo a procedere, avevano mostrato di recepire in toto l'impostazione data dalla Corte costituzionale agli effetti della preclusione processuale derivante dal provvedimento di archiviazione.
Inoltre, alla medesima pronuncia costituzionale si è richiamata, pur senza specifici approfondimenti sul tema qui all'esame, anche Sez. un., 28 giugno 2005, Donati.
Né può ritenersi, sempre a giudizio delle citate Sezioni Unite, che l'efficacia preclusiva derivante dall'omessa riapertura delle indagini, concernendo soltanto le modalità di esercizio dell'azione penale elencate nell'art. 405 c.p.p. e operando esclusivamente nell'ambito del medesimo ufficio giudiziario, riguarderebbe la "notizia di reato" e non il "fatto", impedendo così la ripresa della fase procedimentale ma non il giudizio sulla imputazione.
La notizia di reato non è altro che il veicolo con cui viene rappresentato un fatto penalmente rilevante, come si ricava dalla disciplina contenuta negli artt. 330 e seguenti c.p.p., e il provvedimento di archiviazione, riconoscendo la "infondatezza" della notizia di reato si riverbera inevitabilmente sul contenuto di questa. Infine, le Sezioni Unite Giuliano hanno ribadito che la mancanza del provvedimento di riapertura delle indagini ex art. 414 c.p.p. determina non solo la inutilizzabilità degli atti di indagine eventualmente compiuti dopo il provvedimento di archiviazione ma anche la preclusione all'esercizio dell'azione penale per quello stesso fatto-reato, oggettivamente e soggettivamente considerato, da parte del medesimo ufficio del pubblico ministero.
Come implicitamente riconosciuto da Corte cost., ord. n. 56 del 2003, ciò va detto anche qualora il nuovo atto di impulso processuale passi attraverso un vaglio preventivo del giudice, come nel caso della richiesta di rinvio a giudizio, che dà luogo all'udienza preliminare (art. 416 c.p.p.). L'esercizio dell'azione penale è espressione di una scelta che il pubblico ministero, in relazione a una determinata notitia criminis, compie al termine delle indagini preliminari in alternativa alla richiesta di archiviazione (art. 405 comma 1 c.p.p.), sicché, archiviato il procedimento, il p.m. perde il potere di adottare ulteriori opzioni sul medesimo fatto, a meno che non chieda e ottenga il decreto di riapertura delle indagini, dal quale infatti consegue una nuova iscrizione nel registro delle notizie di reato (art. 414 comma 2 c.p.p.)
2.2. Tanto chiarito, va osservato che nel caso in esame un simile effetto preclusivo si è verificato ed è stato correttamente rilevato dalla Corte d'appello che, sul punto, ha riformato la sentenza di primo grado in relazione al delitto di cui all'art. 572 cod.proc.pen. con la pronuncia di non doversi procedere perché il fatto oggetto di precedente decreto di archiviazione.
Occorre muovere dai principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui nell'ipotesi di reato abituale, l'archiviazione non seguita dalla autorizzazione alla riapertura delle indagini non preclude lo svolgimento di nuove investigazioni e l'esercizio dell'azione penale in merito al medesimo illecito con riferimento a fatti e comportamenti realizzati in un momento successivo (Sez. 5, n. 23682 del 30/04/2021, Rv. 281408 - 01)
Si è chiarito che, come per i reati permanenti, il limite temporale della preclusione allo svolgimento delle indagini ed all'esercizio dell'azione penale per gli stessi fatti va individuato non nel momento dell'emissione del decreto di archiviazione dal parte del giudice per le indagini preliminari, ma nella data della relativa richiesta formulata dal pubblico ministero, mentre per i segmenti temporali successivi è consentito l'esercizio dell'azione penale per il medesimo titolo di reato, ove sia proseguita la condotta criminosa oggetto dell'originaria contestazione con mutamento delle caratteristiche strutturali del reato (Sez. 2, n. 5220 del 28/06/2018, Rv. 276049 - 01; Sez. 2, n. 5276 del 15/01/2019, Rv. 274890 - 01).
Dunque, ciò che rimane escluso dalla preclusione derivante dalla mancata riapertura delle indagini sono gli stessi fatti oggetto della richiesta di archiviazione, da cui la necessaria verifica del "fatto" oggetto del provvedimento di archiviazione laddove il "fatto" coperto dall'effetto preclusivo della archiviazione va inteso in senso giuridico, come fatto - reato.
La questione, che verrà approfondita compiutamente sub par. 3 allorchè verrà scrutinato il secondo motivo di ricorso, viene ora in rilievo in relazione alla censura difensiva, che pur da diversa prospettazione delle parti, ha ad oggetto la violazione dell'art. 414 cod.proc.pen. e la decisione impugnata che ha rilevato la preclusione processuale derivata dalla mancata riapertura delle indagini.
2.3. Come ha osservato la corte territoriale, a pag. 4, il reato di maltrattamenti in famiglia contestati nell'odierno processo penale risultavano commessi nello stesso arco temporale (tra luglio 2009 e 11/11/2015) dei fatti oggetto della richiesta di archiviazione del 15/12/2015 del proc. pen. 40213/2015, che traeva origine dalla denuncia della persona offesa, in data 3 luglio 2015, poi archiviata nel luglio 2016.
Dalla lettura degli atti e segnatamente della richiesta di archiviazione, a cui non si è opposta la persona offesa sebbene avvisata, risulta chiaramente che le indagini preliminari, scaturenti dalla denuncia del 3 luglio 2015, avevano ad oggetto il reato di cui all'art. 582 cod.pen. commesso il 3 luglio 2015 e il reato di cui all'art. 572 cod.pen.
Risulta chiaro che la corte territoriale è pervenuta alla declaratoria di non doversi procedere in conformità dell'indirizzo giurisprudenziale sopra citato rilevando che, con riguardo al reato di maltrattamenti come contestato nell'odierno procedimento, questo era improcedibile per essere gli stessi fatti oggetto di provvedimento di archiviazione in assenza di autorizzazione a riapertura, assenza di autorizzazione del G.I.P. alla riapertura delle indagini che vale a rimuovere una condizione di improcedibilità dell'azione penale, costituita dal provvedimento di archiviazione, e a consentire la riproposizione dell'azione penale (Sez. 4, n. 4195 del 20/03/1997 Rv. 208528 P.M. in proc. Saltannecchi).
2.4. Consegue che il ricorso della parte civile, che deduce l'errata applicazione dell'art. 414 cod.proc.pen. con riguardo al reato di maltrattamenti non è fondato.
Le argomentazioni svolte dalla parte civile non sono condivisibili perché non si confrontano con l'indirizzo interpretativo della giurisprudenza di legittimità che il collegio condivide.
Va rilevato che è indiscussa la circostanza che il reato di maltrattamenti era oggetto di indagini preliminari nel procedimento archiviato e che l'arco temporale del reato di maltrattamenti contestato nell'odierno processo (luglio 2009- 11/11/20i5) copre quello, oggetto della richiesta di archiviazione, fino al 15/12/2015, pertanto, ritiene, il Collegio, che non sia pertinente il richiamo della giurisprudenza che limita l'effetto preclusivo al fatto oggetto dell'indagine conclusa e non ai fatti diversi e successivi, benché collegati, nel caso di reato abituale nel quale il "fatto" coperto dall'effetto preclusivo della archiviazione va inteso in senso giuridico, come fatto - reato nella sua dimensione storica come contestato. Le stesse pronunce citate dalla parte civile ne confermano la conclusione nel senso che la preclusione processuale non opera limitatamente ai segmenti temporali successivi all'archiviazione (Sez. 2, n. 3255 del 10/10/2013, Rv. 258528 - 01; Sez. 5, n. 43663 del 14/05/2015 Rv. 264923 - 01).
Né si pone questione di interpretazione della disposizione di cui all'art. 414 cod.proc.pen. secondo i principi di matrice convenzionale e segnatamente dei principi della Convenzione di Istanbul, che rilevano, come si avrà modo di dire, nello scrutinio del secondo motivo di ricorso.
Va da subito rilevato, in via generale, che il reato di maltrattamenti in famiglia è procedibile d'ufficio e che nel nostro ordinamento la querela per i reati in materia di violenza sessuale è irretrattabile, come disposto dall'art. 609 septies comma 3 cod.proc.pen. e che la ritrattazione delle dichiarazioni della persona offesa non impedisce la prosecuzione del processo. Infatti, in materia di valutazione della prova testimoniale, il giudice può assegnare peso probatorio tanto alla prima o alle prime dichiarazioni quanto a quella o a quelle successive, a seconda degli elementi in suo possesso nel caso concreto, con l'ulteriore precisazione che, in presenza di una ritrattazione non inequivocabilmente idonea a svalutare le precedenti dichiarazioni, è imposto un controllo più incisivo sulle dichiarazioni iniziali e, possibilmente, sui motivi della variazione del dichiarato, potendosi poi anche pervenire, in presenza di una ritrattazione inattendibile o mendace, a ritenere che essa si traduce, proprio perché tale, in un ulteriore elemento di conferma delle originarie dichiarazioni accusatorie (Sez. 2, n. 4100 del 12/01/2016, Cadoni, Rv. 266424 - 01; Sez. 3, n. 3141 del 10/12/2013, Rv. 259310 - 01). Dunque, l'ordinamento italiano è pienamente conforme ai principi di matrice convenzionale e il richiamo all'art. 55 della Convenzione di Istanbul non è pertinente alla specifica questione che ci occupa.
Ciò premesso, la tesi secondo cui la preclusione processuale, derivante dalla mancata riapertura di un procedimento archiviato, non dovrebbe operare nei casi di delitti in materia di violenza domestica, caratterizzati da ritrattazioni delle vittime, è prospettazione difensiva che non ha pregio.
Come osservano le ripetute pronunce delle Sezioni Unite, l'archiviazione determina una preclusione endoprocedimentale all'agere del medesimo ufficio del p.m., che inibisce non solo la ripresa dell'attività investigativa o le iniziative cautelari ma lo stesso esercizio dell'azione penale, con riferimento allo stesso fatto oggetto del provvedimento di archiviazione, rimovibile solo attraverso il decreto ex art. 414 cod.proc.pen. Si tratta di uno sbarramento che può essere superato dalla autorizzazione alla riapertura delle indagini che, se ottenuta, non preclude al P.M. l'esercizio dell'azione penale anche per i fatti già archiviati. Si tratta di una norma posta a tutela l'indagato, una volta che ha ottenuto un provvedimento di archiviazione, dalle iniziative ulteriori per lo stesso fatto nei suoi confronti, senza vaglio del giudice, sicchè in caso di inerzia del P.M. nel corretto esercizio delle sue prerogative in tema di esercizio dell'azione penale, la sanzione prevista dall'ordinamento è quella della preclusione processuale e di inutilizzabilità degli atti. E' una disposizione, quella di cui all'art. 414 cod.proc.pen., che sanziona l'agire del P.M. il quale sa che se ha ottenuto l'archiviazione per un fatto di reato non può esercitare l'azione penale per lo stesso fatto in assenza di autorizzazione alla riapertura delle indagini, disposizione avente funzione di garanzia per l'imputato che non può trovare deroghe per categorie di reati, deroghe, peraltro, che sarebbero fondate su un vizio procedimentale del P.M. Diversamente opinando, infatti, si introdurrebbe la categoria delle nullità che rilevano per taluni reati e per altri no. Il che non è giuridicamente sostenibile.
Né tale conclusione sarebbe imposta sulla scorta delle norme convenzionali. L'ordinamento riconosce alla persona offesa il diritto di opporsi alla richiesta di archiviazione del P.M., con indicazioni di ulteriori indagini che, se accolta può sfociare in un supplemento di indagini o nella imputazione coatta, in modo da contrastare, già nella fase delle indagini, iniziative lacunose e/o non sufficientemente argomentate in merito alla infondatezza della notizia di reato da parte del P.M. così da veicolare ed osservare, già in questa fase, le indicazioni provenienti da fonte convenzionale in tema di violenza domestica e, successivamente, di far valere nuovi elementi per riaprire le indagini già archiviate, mediante nuove denunce di fatti successivi ovvero fatti precedenti non dichiarati/ritrattati, che se correttamente coltivate dal P.M., conducono all'esercizio dell'azione penale anche per i fatti archiviati, consentendo così alla vittima di violenza domestica tutela penale adeguata e allo stesso modo l'osservanza delle garanzie difensive per l'indagato da iniziative del P.M. su fatti già archiviati. Sulla scorta di questa ricostruzione di sistema risulta non fondato, sotto ogni profilo, il ricorso della parte civile.
Quanto al primo motivo di ricorso dell'imputato, coltivato da una diversa prospettiva, risulta privo di interesse tenuto conto dell'infondatezza del ricorso della parte civile e del parziale accoglimento del secondo motivo di ricorso in parte collegato al primo.
3. Il secondo motivo di ricorso dell'imputato è fondato sulla base delle seguenti ragioni.
La corte territoriale ha ritenuto procedibile il capo A), violenze sessuali commesse nel dicembre 2013 e febbraio 2015 (querela presentata il 05/12/2015), in presenza di connessione con il reato di maltrattamenti in famiglia, reato procedibile d'ufficio, per cui vi era la condizione di procedibilità ai sensi dell'art. 609 septies comma 4 n. 4 cod.pen.
3.1. Costituisce principio consolidato in seno alla giurisprudenza di legittimità quello secondo il quale l'estensione della procedibilità di ufficio in ordine ai delitti contro la libertà sessuale della persona, che siano connessi con un altro delitto per il quale si debba procedere di ufficio, trova la sua ratio nella considerazione che le attività processuali dirette all'accertamento di quest'ultimo delitto implicano necessariamente lo svolgimento di attività processuali dirette all'accertamento del delitto procedibile a querela, per il quale perciò si determina inevitabilmente la diffusione della notizia, cosicché viene a mancare la ragione del potere riconosciuto all'offeso di evitare lo strepitus fori non sporgendo querela. Si instaura, pertanto, una stretta relazione tra le modalità di accertamento di due o più fatti costituenti delitto (con esclusione, pertanto, delle contravvenzioni) e questo stretto rapporto, che lega tra di loro i fatti, non si identifica con l'istituto processuale della connessione previsto dall'art. 12 cod.proc.pen., ma si estende anche alla connessione investigativa e a tutte le forme di connessione materiale, in quanto ciò che rileva, ai fini della estensione della perseguibilità ex officio, è che l'accertamento del fatto costituente un delitto perseguibile di ufficio comporti la necessità di indagare sulla sussistenza o sulla commissione del fatto, anche se occasionalmente connesso, integrante gli estremi di un reato contro la libertà sessuale della persona (ex multis, Sez. 3, n. 37166 del 18/05/2016, B., Rv. 268313 - 01; Sez. 3, n. 10217 del 10/02/2015, G., Rv. 262654 - 01; Sez. 3, n. 2856 del 16/10/2013, dep. 2014, B., Rv. 258583 - 01; Sez. 3, n. 2876 del 21/12/2006, dep. 2007, Crudele, Rv. 236098 - 01; Sez. 3, n. 43139 del 07/10/2003, Vegini, Rv. 227477 - 01; Sez. 4, n. 2371 del 25/10/2000, dep. 2001, Lauceri, Rv. 218475 - 01).
Ed ancora, ai fini della perseguibilità, in mancanza di querela, del reato di violenza sessuale per connessione con altro reato procedibile d'ufficio, non è necessario che per quest'ultimo sia stata preventivamente esercitata l'azione penale, in quanto l'operatività della connessione non è subordinata alla formale contestazione del reato perseguibile d'ufficio, ma al necessario espletamento dell'attività di indagine anche in relazione al reato in materia sessuale, che fa venir meno la "ratio" della punibilità a querela, così divenendo irrilevante il momento in cui i due fatti fra loro connessi vengano denunciati (Sez. 3, n. 383 del 17/09/2020, Rv. 280915 - 03).
3.2. Si è anche precisato, situazione che rileva nel caso in esame, che il giudice di merito, avanti al quale sia stato eccepito il difetto o la tardività della condizione di procedibilità in ordine ad un delitto di regola perseguibile a querela di parte, ma procedibile d'ufficio se connesso ad altro delitto per il quale debba procedersi in via officiosa - nella specie, ai sensi dell'art. 609-septies, comma quarto, cod. pen. - , nel caso in cui per quest'ultimo sia stata pronunciata sentenza di assoluzione per insussistenza del fatto deve prendere atto della formula terminativa del giudizio e ritenere sciolta la connessione, mentre, nel caso di decreto di archiviazione, deve operare "incidenter tantum" un penetrante sindacato sul contenuto dell'atto per accertare se la dichiarata infondatezza della notizia di reato sia concretamente sostenuta da un'evidente insussistenza del fatto e sia, dunque, idonea a recidere il nesso intercorrente tra il delitto procedibile a querela e quello procedibile d'ufficio. (Sez. 3, n. 383 del 17/09/2020, Rv. 280915 - 02).
Sempre la citata sentenza ha poi chiarito che "l'estensione del regime della perseguibilità di ufficio ai delitti di violenza sessuale non è condizionata dall'esercizio dell'azione penale per il reato che, ai fini del regime della procedibilità, attrae quello perseguibile a querela, ne consegue che, anche nel caso di archiviazione della notitia criminis relativa al delitto perseguibile d'ufficio, può operare, ricorrendone le condizioni, il criterio di cui all'articolo 609-septies, comma quarto, n. 4 del codice penale allorquando, attraverso l'indagine sul delitto perseguibile d'ufficio, si debba esaminare anche quello sessuale procedibile a querela" (Sez. 3, n. 383 del 2020, dep. 2021). L'archiviazione della notizia di reato relativa al delitto perseguibile d'ufficio non fa venir meno necessariamente la connessione tra delitto sessuale procedibile a querela ed altro delitto, sessuale o meno, perseguibile d'ufficio, occorrendo verificare se e quando, con l'archiviazione della notizia di reato, si recida ab initio il nesso intercorrente tra i delitti a diversa procedibilità. E ciò in quanto, come ha avuto modo di osservare la giurisprudenza di legittimità, il principio della procedibilità per connessione non si applica ai casi di connessione apparente, ossia nei casi in cui il delitto perseguibile d'ufficio non esista nella sua materialità e siffatta situazione si verifica quando non sia configurabile, perché esclusa, la condotta tipica del reato connesso. In tal caso, cioè quando non sussiste il fatto concorrente con il reato connesso, riemerge, in materia di reati sessuali, la regola della perseguibilità a querela (Sez. 3, n. 36390 del 06/07/2007, Alberti, Rv. 237563).
3.3. Nella condivisione di tali principi, a cui il Collegio intende dare continuità, la questione si sposta allora sulla verifica della c.d. connessione apparente che richiede a sua volta di considerare come a proposito delle formule di proscioglimento terminative del giudizio, la giurisprudenza di legittimità ha rilevato che l'unico epilogo demolitivo del nesso tra delitto perseguibile d'ufficio e delitto perseguibile a querela è rapportato alla formula inerente all'insussistenza del fatto pronunciata in relazione al delitto procedibile ex officio, criterio che non è esportabile automaticamente al caso del decreto di archiviazione (ancora Sez. 3 n. 383 del 2020) stante le caratteristiche del decreto di archiviazione che, a differenza della sentenza, non ha gli effetti caratteristici della cosa giudicata, ma soprattutto perché, nell'attuale sistema processuale, l'archiviazione assume un'estensione ampia giacché il relativo decreto è emesso non solo nei casi tipici della infondatezza della notizia di reato (art. 408 cod.proc.pen.), ma anche quando risulta che manca una condizione di procedibilità, che il reato è estinto o che il fatto non è previsto dalla legge come reato (art. 415 cod.proc.pen.) e, comunque, ai sensi dell'art. 125 cod.proc.pen. quando la infondatezza della notitia criminis deriva perché gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non sono idonei a sostenere l'accusa in giudizio (Sez. 3, n. 2591 del 22/06/1990, Ghirarduzzi, Rv. 185220 - 01). Dal diverso piano in cui si colloca il decreto di archiviazione, rispetto alla sentenza connotata dal requisito della irrevocabilità, requisito inconcepibile per le pronunce di archiviazione, discende che le pronunce di archiviazioni sono suscettibili, pertanto, di essere controllate e rimeditate a seguito di appositi provvedimenti di riapertura delle indagini in ordine ai medesimi fatti oggetto del provvedimento di archiviazione (art. 414 cod.proc.pen.).
Da ciò consegue che occorre tenere ben distinti anche i diversi piani in cui si collocano le situazioni giuridiche di riferimento, nel senso che la mancanza del provvedimento di autorizzazione alla riapertura delle indagini preclude certamente l'esercizio dell'azione penale per il medesimo fatto (archiviato) ma non esclude necessariamente che possa esistere una connessione investigativa tra i fatti oggetto del decreto di archiviazione, eventuali fatti successivi (che, unitamente a quelli precedenti, avrebbero potenzialmente imposto addirittura la revoca della richiesta di archiviazione o la richiesta di essere autorizzati alla riapertura delle indagini) e i fatti di reato punibili a querela.
3.4. Tirando le file del discorso, nel compiere la valutazione incidenter tantum che il giudice deve fare per verificare lo scioglimento o meno della connessione con il delitto procedibile d'ufficio, oggetto di decreto di archiviazione, non è sufficiente assestarsi sul dato della ritenuta infondatezza della notizia di reato, per come possa emergere nel dispositivo, in quanto, in tema di ordinanze e decreti, vale il principio secondo cui occorre stabilire quale sia stata l'effettiva volontà del giudice, così come emerge dal provvedimento globalmente considerato nell'insieme di motivazione e dispositivo (Sez. 1, n. 754 del 27/01/1999, Orioli, Rv. 212750 - 01), cosicché occorre, in tali casi, verificare le ragioni che sono state poste a fondamento del provvedimento di archiviazione in modo che, per ritenere che la connessione sia venuta meno ab initio, deve risultare, allo stato degli atti, la certa infondatezza della notitia criminis per insussistenza del fatto di reato, desumibile dal decreto di archiviazione nel suo complesso (Sez. n. 383 del 2020).
3.5. Nel compiere la precedente valutazione, il giudice di merito, al quale sia stato eccepito il difetto o la tardività della condizione di procedibilità in ordine ad un delitto punibile, di regola, a querela di parte, ma perseguibile d'ufficio se ed in quanto connesso ad altro delitto a perseguibilità officiosa, deve anche tenere conto del contenuto della notizia di reato o, se del caso, delle denunce successive alla prima, accertando se le stesse contengano accuse suffragate da concreti elementi indizianti, i quali siano stati seriamente presi in considerazione nella delibazione della notitia criminis, così da escludere, da un lato, il rischio, in siffatte ipotesi, di una vanificazione del principio della perseguibilità a querela del reato, a sfondo sessuale laddove l'istanza di punizione manchi o risulti tardiva, in quanto è solo per effetto della riconosciuta insussistenza del reato connesso perseguibile di ufficio che può essere esclusa la connessione e dunque la perseguibilità di ufficio e, dall'altro, di accertare, sebbene incidenter tantum, che effettivamente di insussistenza del fatto di reato si tratti e non invece di una delibazione incompleta e lacunosa, sindacabile, se sostenuta da adeguata motivazione priva di vizi di manifesta illogicità, nel processo in cui si discute della sussistenza o meno della condizione di procedibilità e ciò marca, ancora una volta, la differenza tra la tipologia di provvedimenti (archiviazione e sentenza) con specifico riferimento ai poteri esercitabili dal giudice in materia.
3.5. Logico corollario di tale impostazione è che nella valutazione il giudice del merito dovrà orientarsi tenendo conto dei principi stabiliti dalla Convenzione di Istanbul che, quand'anche non trasfusi in specifiche norme di legge, costituiscono principi interpretativi della norma interna in funzione proprio dell'obbligo convenzionale assunto con la ratifica della suddetta convenzione nello Stato italiano.
E in tale ambito, nel caso concreto, dovrà valutare, nel compiere la valutazione incidentale, l'eventuale ritrattazione e/o il disvelamento progressivo delle condotte maltrattanti e tutti gli elementi contenuti nel procedimento archiviato al fine di stabilire la sussistenza o meno della connessione rilevante per la procedibilità del delitto punibile a querela.
3.6. A tali principi non si è attenuto il giudice del merito che si è limitato a rilevare la connessione del reato di violenza sessuale con quello di maltrattamenti (cfr. pag. 4) senza aver compiuto la valutazione incidentale richiesta per valutare, alla luce dei principi sopra richiamati, tenuto conto dell'archiviazione del reato di maltrattamenti in famiglia, la sussistenza o meno della connessione.
4. La sentenza va sul punto annullata con rinvio affinchè si accerti, secondo i principi sopra affermati, la sussistenza o meno della connessione del reato procedibile a querela con quello procedibile d'ufficio oggetto di provvedimento di archiviazione, giudizio che per la latitudine che involge, non può essere compiuto da questa Corte di legittimità.
In particolare, quanto al caso in esame, risulta che le indagini preliminari, scaturenti dalla denuncia del 3 luglio 2015, avevano ad oggetto il reato di cui all'art. 582 cod.pen. commesso il 3 luglio 2015 e il reato di cui all'art. 572 cod.pen.
Il reato di maltrattamenti in famiglia è stato oggetto di richiesta di archiviazione in data 15/12/2015; ma in data 05/12/2015, la persona offesa presentava atto di querela in cui denunciava di aver subito due episodi di violenza sessuale nel contestot!5:ell mtg_g ed in occasione del delitto di cui all'art. 572 cod.proc.pen. (cfr. pag. 4 sentenza di appello), il decreto di archiviazione è, poi, intervenuto a luglio 2016.
Le investigazioni per il reato procedibile d'ufficio (maltrattamenti in famiglia) erano ancora in corso alla data di presentazione della querela il 05/12/2015, per fatti connessi (violenza sessuali) con il delitto di maltrattamenti poi oggetto di archiviazione. Da cui la conseguente necessità di indagine volta a verificare la sussistenza delle ragioni di connessione ovvero la loro venuta meno a seguito dello scioglimento di tale vincolo secondo i principi enunciati sopra, che la corte territoriale non ha compiuto, e che ora sono demandati al giudice del rinvio.
Nella valutazione demandata al giudice del rinvio, questi dovrà altresì tenere conto delle linee tracciate dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 572 cod.pen. integra una ipotesi di reato necessariamente abituale che si caratterizza per la sussistenza di una serie di fatti, per lo più commissivi, ma anche omissivi, i quali, isolatamente considerati, potrebbero anche non costituire reato ed essere quindi in sé non punibili (atti di vessazione, di sopraffazione, di sopruso, di umiliazione generica, etc.) ovvero non penalmente perseguibili (ingiurie) o procedibili solo a querela, come le percosse o le minacce lievi (Sez. 6, n. 4636 del 28/02/1995, Cassani, Rv. 201148), ma che rinvengono la ratio dell'incriminazione nella loro reiterazione, che si protrae nel tempo, e nella persistenza dell'elemento intenzionale. Pertanto, poiché i fatti debbono essere molteplici e la reiterazione presuppone un arco di tempo che può essere più o meno lungo, ma comunque apprezzabile, la consumazione del reato si ha con l'ultimo atto di questa serie di fatti (Sez. 6, n. 3032 del 16/12/1986, Nenna, Rv. 175315), mentre il reato stesso si perfeziona nel momento e nel luogo in cui le condotte poste in essere divengono complessivamente riconoscibili e qualificabili come maltrattamenti (Sez. 6, n. 52900 del 04/11/2016, P., Rv. 268559) e ciò avviene quando l'agente realizza un minimo di tali condotte (delittuose o meno) collegate da un nesso di abitualità e il delitto può formare oggetto anche di continuazione ex art. 81 capoverso codice penale, come nel caso in cui la serie reiterativa sia interrotta da una sentenza di condanna ovvero da un notevole intervallo di tempo tra una serie di episodi e l'altra, fermo restando che, attesa la struttura persistente e continuativa del reato, ogni successiva condotta di maltrattamento, compiuta in costanza del nesso di abitualità, si riallaccia a quelle in precedenza realizzate, saldandosi con esse e dando vita ad un illecito strutturalmente unitario. Di tali principi dovrà tenere conto il giudice del rinvio della decisione sulla verifica della sussistenza della condizione di procedibilità del reato di violenza sessuale di cui al capo A).
Il carattere pregiudiziale dell'accoglimento del secondo motivo assorbe la disamina di quelli concernenti l'affermazione della responsabilità penale per il reato di cui al capo A).
5. Non così per l'autonomo motivo di ricorso sul capo C), terzo motivo, che è in parte fondato sulla base e nei limiti qui di seguito esposti.
Al netto del generico riferimento al mancato proscioglimento dal reato di lesioni, ai sensi dell'art. 129 comma 2 cod.proc.pen. in assenza di prova evidente dell'insussistenza del fatto, secondo la regula iuris delle Sezioni Unite Tettamanti, il motivo di ricorso che deduce la tardività della querela (presentata il 05/12/2015) in relazione al reato di lesioni personali, rispettivamente commesse, in data 21/10/2011, 16/09/2012, 24/08/2015, 25/08/2015 e 17/10/2015, è in parte fondato.
Va rilevato in primo luogo che la corte territoriale è pervenuta alla declaratoria di improcedibilità per il capo C) - artt. 81 comma 2, 582,585, 577 e 576 cod.pen. - per essere i reati estinti per prescrizione, confermando le statuizioni civili.
Il ricorrente ha, dunque, interesse ad impugnare per rilevare sia la sussistenza della condizione di procedibilità, che il momento in cui è maturata la prescrizione per gli eventuali riflessi sulle statuizioni civili.
Sotto il primo profilo va rilevato che il reato di lesioni personali, quando aggravato ai sensi dell'art. 576, comma primo, n. 5, cod. pen., perché commesso in occasione del delitto di maltrattamenti, come risulta dal capo di imputazione, è procedibile d'ufficio per effetto del richiamo operato dall'art. 582, comma secondo, cod. pen. all'art. 585 e di questo al citato art. 576 (Sez. 6, n. 11002 del 22/01/2020, Rv. 278714 - 01; Sez. 6, n. 3368 del 12/01/2016, Rv. 266007 - 01).
L'attuale testo dell'articolo 576 comma 1, n. 5 codice penale, quale sostituito dall'articolo 4 legge 172 del 2012, prevede quale circostanza aggravante l'ipotesi in cui il fatto è commesso "in occasione della commissione di taluno dei delitti previsti dagli articoli 572...". A seguito del richiamo operato dall'articolo 585 cod.pen. nei casi previsti dagli articoli 582 cod.pen., la pena è aumentata se concorre alcuna delle circostanze aggravanti previste dall'articolo 576. Questo comporta che, allo stato e comunque per i fatti commessi in epoca successiva alla data di entrata in vigore della legge 172 del 2012, il 23/10/2012, il reato di lesioni personale commesse in occasione del delitto di maltrattamenti è sempre aggravato dall'articolo 576 comma 1, numero 5 cod.pen., ciò che determina anche la sua procedibilità d'ufficio in seguito del richiamo l'articolo 582 cod.pen. all'articolo 585 cod.pen. e di questo all'articolo 576 cod.pen. (Sez. 6, n. 3368 del 12/01/2016, Rv. 266007 - 01).
Tuttavia, la procedibilità d'ufficio del reato di lesioni personali di cui al capo C), presuppone la verifica della sussistenza del reato di maltrattamenti in occasione del quale sono state commesse le lesioni, e, dunque, dipende dall'accertamento del reato di maltrattamenti, in occasione del quale sono stati commessi i reati di lesione, e, quindi, segue le sorti del già annullamento disposto proprio per verificarne la sussistenza di detto reato al fine della procedibilità per connessione con il reato di cui al capo A) e, ora, valevole anche per il reato di cui al capo C).
Con la precisazione che l'annullamento per verificare la procedibilità, ai soli effetti civili, va disposto con riguardo ai soli episodi commessi in data 24/08/2015, 25/08/2015 e 17/10/2015, rilevando, per inciso che per l'episodio commesso in data 17/10/2015 è stata presentata querela in data 05/12/2015, e con esclusione degli episodi commessi in data 21/10/2011 e 16/9/2012, precedenti alla entrata in vigore della legge n. 172 del 2012, reati di lesioni per i quali manca in radice la condizione di procedibilità della querela essendo stati commessi in epoca precedente al 23/10/2012 (è contestata unicamente la circostanza aggravante di cui all'art. 576 comma 1 n. 5 cod.pen. che non era applicabile ratione temporis).
Dall'esito dell'accertamento della condizione di procedibilità d'ufficio per essere i reati di lesione commessi in occasione del reato di maltrattamenti, il giudice del rinvio dovrà trarre le conseguenze in punto conferma o meno delle statuizioni civili, ferma restando la pronuncia di non doversi procedere per estinzione dei reati per prescrizione. In relazione, invece, ai reati di lesione commessi in data 20/04/2011 e 16/09/2012, prima ancora di rilevare, come indica la difesa, che la prescrizione già dichiarata dalla Corte d'appello, era maturata, tenuto conto di sessanta giorni di sospensione del corso della prescrizione, in data antecedente alla sentenza di primo grado del 25/03/2022, essendosi prescritti rispettivamente in data 20/06/2019 e 15/05/2020 e che, dunque, non potevano essere mantenute le statuizioni civili, va rilevato, comunque, che la condizione di procedibilità era insussistente ab origine non essendo applicabile la disposizione di cui all'art. 576 comma 1 n. 5 cod.pen., sicchè non potevano essere confermate le statuizioni civili non operando, in questa fattispecie, il disposto dell'art. 578 cod.proc.pen. limitato ai casi di prescrizione e amnistia.
In conclusione, la sentenza va, sul punto, annullata senza rinvio limitatamente alle statuizioni civili in relazione ai due episodi di lesione in data 20/04/2011 e 16/09/2012 che devono essere in parte qua revocate.
5. Conclusivamente la sentenza impugnata va annullata senza rinvio, agli effetti civili, limitatamente alle statuizioni civili disposte in relazione al capo C) per i reati di lesioni in data 21/10/2011 e 16/09/2012, statuizioni che vanno eliminate, con rinvio in relazione al punto concernente la condizione di procedibilità del reato di cui al capo A) e dei reati di cui al capo C) relativamente agli episodi del 24/05/2015, 25/08/2015 e 17/10/2015, con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d'appello di Roma cui demanda anche il regolamento delle spese della parte civile.
Nel resto il ricorso dell'imputato va rigettato.
Va rigettato il ricorso della parte civile. La soccombenza reciproca delle parti, derivante dal rigetto tanto del ricorso dell'imputato quanto di quello della parte civile, costituisce giusto motivo di compensazione delle spese processuali (Sez. 4, n. 39727 del 12/06/2019, Perugino, Rv. 277508 - 02).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio, agli effetti civili, la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni civili disposte in relazione al capo C) della rubrica per i reati di lesioni in data 21/10/2011 e 16/09/2012, statuizioni che elimina.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al punto concernente la condizione di procedibilità del reato di cui al capo A) della rubrica nonché al punto concernente la condizione di procedibilità del reato di cui al capo C) della rubrica relativamente agli episodi in data 24/05/2015, 25/08/2015 e 17/10/2015, con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d'appello di Roma.
Rigetta nel resto il ricorso di A.F.. Rigetta il ricorso della parte civile.