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10 febbraio 2025
Licenziamento disciplinare: la Cassazione distingue tra allontanamento e abbandono del posto di lavoro

La Cassazione si sofferma sulla distinzione tra le condotte di allontanamento e di abbandono del posto di lavoro ai fini del licenziamento disciplinare.

di La Redazione

Il Tribunale di Napoli annullava il licenziamento intimato all’odierno ricorrente ordinando la sua reintegra e condannando la società al risarcimento dei danni.
La Corte d’Appello ribaltava la situazione, accogliendo il reclamo della società.
In breve, l’addebito del lavoratore consisteva nell’essere egli stato trovato in un luogo diverso dal proprio posto di lavoro senza alcuna autorizzazione e occupato in attività diverse dalle sue mansioni quale addetto a guardiania/sorveglianza di un parco pubblico. La sua condotta, secondo i Giudici, andava qualificata come abbandono del posto di lavoro per via della lontananza del posto ove si trovava rispetto a quello ove avrebbe dovuto svolgere l’attività di lavoro, al punto da richiedere l’utilizzo dell’auto, recidendo così il legame con il luogo di espletamento della propria prestazione.
Il lavoratore propone ricorso per cassazione ritenendo, tra gli innumerevoli motivi di ricorso, che la sua condotta costituisse piuttosto un allontanamento dal posto di lavoro per via della sua temporaneità.

Con la sentenza n. 1321 del 20 gennaio 2025, la Cassazione rigetta il ricorso, osservando come sulla base della ricostruzione operata dalla Corte d’Appello, era chiaro che il ricorrente non si fosse allontanato per usufruire del bagno esterno o per comprarsi un panino, e nemmeno per fruire delle pause contrattualmente previste, bensì per andare per ben due volte nell’arco di circa 3 ore da un amico che si trovava ad un chilometro dal parco, allo scopo di aiutarlo a riparare un carrellino in ferro. Tale ricostruzione era stata oggetto di relazione della Polizia e riconosciuta dallo stesso ricorrente nell’immediatezza dei fatti.
Pertanto, sono inammissibili le doglianze del lavoratore che tendono ad ottenere la revisione dell’accertamento di merito del giudice, non sindacabile in tale sede.
Come ricordano gli Ermellini, le condotte di abbandono e di allontanamento dal posto di lavoro coincidono parzialmente tra loro solo per l’elemento temporale durante il quale si prolunga la condotta dell’agente, configurandosi un allontanamento esclusivamente se l’assenza di quest’ultimo dal posto di lavoro non sia tale da incidere sul regolare svolgimento del servizio.
Tuttavia, la Cassazione precisa che il concetto di definitività dell’assenza sul regolare svolgimento del servizio non va inteso in senso astratto, ma va valutato in concreto avendo riguardo: all’intensità dell’inadempimento agli obblighi di sorveglianza, alla durata nel tempo della condotta in relazione alla sua possibilità di incidere sulle esigenze di servizio e, sotto il profilo soggettivo, alla coscienza e volontà della condotta di abbandono, a prescindere dalle finalità perseguite e salva la configurabilità di cause scriminanti, restando irrilevante il motivo dell’allontanamento.

Alla luce di ciò, secondo la Cassazione è stata corretta la decisione dei Giudici di accogliere il reclamo del datore di lavoro e quindi di confermare la sanzione del licenziamento a fronte dell’abbandono del posto di lavoro del lavoratore, come previsto dal CCNL applicabile.
Del resto, la Cassazione ha già avuto modo di affermare che

ildiritto

«l’abbandono del posto di lavoro di chi svolge attività di custode o sorvegliante costituisce di per sé mancanza di rilevante gravità idonea, indipendentemente dall’effettiva produzione di un danno, a fare irrimediabilmente venire meno l’elemento fiduciario nel rapporto di lavoro e a integrare la nozione di giusta causa di licenziamento».

Segue il rigetto del ricorso.

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