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La questione oggetto d'esame trae origine da un licenziamento disciplinare, che, secondo il lavoratore, sarebbe da dichiararsi nullo per difetto di comunicazione del relativo atto al lavoratore. |
- in data 5 febbraio 2019 via PEC;
- in data 7 febbraio 2019 a mezzo raccomandata.
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Secondo il Giudice di seconde cure la comunicazione via PEC effettuata presso l'indirizzo del difensore costituiva idonea modalità secondo la disciplina dettata dall'art. 52-bis del |
Svolgimento del processo
1. NS ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi, avverso la sentenza con la quale la Corte d'Appello di Bologna, con la sentenza n. 260 del 2021, ha rigettato l'impugnazione da lui proposta nei confronti di X Università 1, avverso la sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di Bologna, che aveva rigettato l'impugnazione del licenziamento disciplinare irrogatogli il 15 febbraio 2019.
2. Resiste con controricorso X Università, che ha depositato memoria in prossimità dell'udienza pubblica.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta l'assenza di motivazione ai sensi dell'art. 360, n.S, cod. proc. civ.
Il ricorrente premette che il paradigma del vizio dedotto è costituito dalla mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità.
Nella specie veniva in rilievo la nullità del licenziamento per difetto di comunicazione del relativo atto e dei suoi motivi al lavoratore, che, come aveva dedotto in appello, costituiva eccezione che poteva essere rilevata d'ufficio.
Espone il ricorrente che la Corte d'appello non ha fornito in merito alcun riscontro, limitandosi ad affermare che la nullità del licenziamento era stata eccepita in primo grado solo con le memorie autorizzate precedenti la discussione, e che nel verbale di prima udienza l'eccezione non risultava verbalizzata, senza motivare sul mancato rilievo d'ufficio della eccezione e della possibilità del rilievo d'ufficio anche nei successivi gradi di giudizio (v., in, particolare pagg. 11 e 12 del ricorso)
1.2. Il motivo è inammissibile.
La Corte d'Appello ha premesso che nello stesso ricorso in appello, si dava atto che il licenziamento era stato comunicato alla PEC del difensore del lavoratore in data 5 febbraio 2019, e il successivo 7 febbraio 2,019, sempre al difensore, a mezzo raccomandata (spedita il giorno precedente), ed ancora, che il successivo 15 febbraio il lavoratore aveva ricevuto la suddetta comunicazione tramite raccomandata al proprio indirizzo (si. v. pag. 5 della sentenza di appello).
Il giudice di secondo grado ha quindi osservato che il lavoratore era ben edotto che vi erano state tali comunicazioni di talché lo stesso era nella piena possibilità di eccepire tempestivamente la nullità della comunicazione del licenziamento, come posta in essere con PEC e a mezzo raccomandata, onde dedurre la tempestività dell'impugnazione del licenziamento.
Ha quindi affermato che la comunicazione via PEC effettuata presso l'indirizzo del difensore costituiva idonea modalità secondo la disciplina dettata dall'art. 52-bis del d.lgs. n. 165 del 2001, vigente ratione temporis.
Dopo aver richiamato l'art. 55-bis del d.lgs. n. 165 qel 2001 nella formulazione anteriore al d.lgs. n. 75 del 2017, ha rilevato che il dipendente nel corso del procedimento amministrativo aveva effettuato dichiarazione di elezione di domicilio in allegato alla procura dallo stesso rilasciata all'avv. S., dal seguente tenore: "Io sottoscritto NS (...) residente in X , fraz. X 21, delega a rappresentarlo e difenderlo nel presente procedimento in ogni sua fase, stato e grado, l'avv. I. S. (...). Elegge domicilio in Bologna presso il suo studio in via (omissis), con preghiera di inviarsi comunicazioni, notificazioni al relativo indirizzo di posta elettronica certificata risultante dai pubblici elenchi ed ivi riportato:
(...)".
Era evidente come lo stesso lavoratore avesse indicato quale luogo per procedere alla notifica l'indirizzo di posta elettronica dell'avv. S., presso il cui studio aveva eletto domicilio, individuando tale indirizzo come luogo idoneo di invio, così eleggendolo, in via mediata, come di sua disponibilità atteso il legame fiduciario qualificato individuato a mezzo della comunicazione inviata.
Di talché la questione devoluta con il presente motivo di ricorso ai sensi dell'art. 360, n. 5, cod. proc. civ., come mancanza di motivazione, è stata trattata dalla Corte d'Appello, che correttamente ha ritenuto idonea la comunicazione PEC in ragione della elezione di domicilio effettuata dal lavoratore.
2. Con il secondo motivo di ricorso è prospettata la violazione/erronea applicazione dell'art. 55-bis del d.lgs. n. 165 del 2001 ed artt. 2-6 della legge n. 604 del 1966.
Dopo aver richiamato il contenuto dell'art. 55-bis, cit., nel testo originario (Ogni comunicazione al dipendente, nell'ambito del procedimento disciplinare, è effettuata tramite posta elettronica certificata, nel caso in cui il dipendente dispone di idonea casella di posta, ovvero tramite consegna a mano. Per le comunicazioni successive alla contestazione dell'addebito, il dipendente può indicare, altresì, un numero di fax, di cui egli o il suo procuratore abbia la disponibilità. In alternativa all'uso della posta elettronica certificata o del fax ed altresì della consegna a mano, le comunicazioni sono effettuate tramite raccomandata postale con ricevuta di ritorno. Il dipendente ha diritto di accesso agli atti istruttori del procedimento. È esclusa l'applicazione di termini diversi o ulteriori rispetto a quelli stabiliti nel presente articolo), e nel testo successivo alle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 75 del 2017, il ricorrente precisa che la novella trova applicazione solo per gli illeciti disciplinari commessi successivamente all'entrata in vigore del medesimo d.lgs. Gli illeciti contestati al lavoratore erano stati tutti commessi tra il 2009 e il 2011, con la conseguenza che agli stessi andava applicata l'originaria formulazione della norma, che non prevedeva la possibilità di effettuare la comunicazione del licenziamento anche alla PEC del difensore del lavoratore, ma solo alla PEC del lavoratore qualora ne fosse in possesso o a mani o al fax proprio o del difensore, o a mezzo raccomandata al lavoratore.
Pertanto, il licenziamento era nullo, perché intimato senza il rispetto delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 dell'art. 2 della legge n. 604 del 1966 - da cui si evince che il termine di 60 giorni per l'impugnazione non opera per il licenziamento non comunicato per iscritto o di cui non siano indicati i motivi (operando in tal caso l'ordinario termine di prescrizione) e dunque inidoneo a risolvere il rapporto di lavoro.
Erroneamente la Corte d'Appello ha affermato che l'elezione di domicilio fatta dal lavoratore presso il domicilio del proprio difensore potesse costituire deroga rispetto alla norma originaria, così da legittimare la comunicazione del licenziamento alla PEC del difensore, poi erroneamente individuando dalla data di tale comunicazione il termine per l'impugnazione del recesso, ritenuto stragiudiziale. Inoltre, avendo l'Università effettuato tre comunicazioni del licenziamento, erroneamente la Corte d'Appello aveva ritenuto di dare rilievo a quella più remota rispetto alla quale le successive avevano solo una funzione di ulteriore chiarezza.
2.1. Il motivo è inammissibile.
La censura non coglie la ratio decidendi della sentenza di appello, che nell'applicare l'art. 55-bis, del d.lgs. n. 165 del 2001, come vigente ratione temporis, considera la qualità di avvocato del soggetto presso cui il lavoratore ha eletto domicilio nel procedimento amministrativo.
Ed infatti, lo statuto giuridico dell'avvocato, già come vigente ratione temporis, attribuisce specifico rilievo alla PEC dello stesso, quale domicilio privilegiato per le comunicazione e notificazioni, atteso che ciascun avvocato è munito di un proprio "domicilio digitale", conoscibile da parte dei terzi attraverso la consultazione dell'indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC) e corrisponde11te all'indirizzo PEC che l'avvocato ha indicato al Consiglio dell'Ordine di appartenenza e da questi è stato comunicato al Ministero della giustizia per l'inserimento nel registro generale degli indirizzi elettronici ReGindE (Cass., SU n. 23620 del 2018; Cass., n. 16581 del 2020).
In proposito, si può ricordare che nell'interpretare il testo dell'articolo 125, cod. pro. civ., risultante dalle modifiche di cui al d.l. 13 agosto 2011, n. 138, art. 2, comma 35-ter, convertito con modificazioni dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, che prevedeva che negli atti di parte, "il difensore deve, altresì, indicare il proprio indirizzo di posta elettronica certificata e il proprio numero di fax", I giurisprudenza di legittimità ha affermato che l'indicazione della PEC senza ulteriori specificazioni limitative, era idonea a far scattare l'obbligo del notificante di utilizzare la notificazione telematica (cfr. Cass. 1658'1..del 2020 giurisprudenza ivi richiamata).
La legittimità della comunicazione del licenziamento in data 5 febbraio 2019, all'indirizzo PEC del difensore come chiesto dal lavoratore - che il giudice di appello con accertamento di fatto ha ritenuto idonea a rendere edotto il lavoratore del recesso - priva di rilevanza le ulteriori doglianze prospettate nel motivo, che nel complesso è inammissibile.
3. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
4. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro 4.000,00, per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.