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25 agosto 2025
Penale e processo
Se il datore di lavoro sospetta del dipendente, sì alle telecamere nascoste
Il datore di lavoro può installare nei locali della propria azienda telecamere nascoste per esercitare un controllo a beneficio del patrimonio aziendale messo a rischio da possibili comportamenti infedeli dei lavoratori e le cui videoregistrazioni saranno utilizzabili in sede processuale.
di Avv. Fabio Valerini
Il caso

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Con molta chiarezza, nella sentenza n. 28613 del 5 agosto 2025, la V Sezione penale della Corte di Cassazione ha affermato il principio di diritto secondo cui «il diritto alla riservatezza del dipendente cede di fronte all’esigenza di tutela contro i furti del datore di lavoro».

In altri termini, la Legge vieta la videosorveglianza sul luogo di lavoro quando questa sia predisposta per effettuare un controllo a distanza del lavoratore, non quando questa sia stata installata per effettuare un controllo mirato su un dipendente in presenza di un sospetto di un’attività illecita commessa.

Nel caso di specie, una dipendente di una farmacia era stata sospettata dal suo datore di lavoro aver sottratto somme di denaro dal registratore di casa in occasione dell’apertura del cassetto per le operazioni di pagamento dei clienti o di cambio moneta e di aver sottratto prodotti farmaceutici per un danno complessivo di poco superiore ai 120.000 euro.

Per dimostrare la responsabilità della dipendente, il datore di lavoro aveva installato senza dare alcun avviso ai dipendenti delle telecamere nascoste che puntavano sui registratori di cassa e sullo spogliatoio personale dei dipendenti.

Sulla base anche di questa prova documentale la Corte d'appello, in riforma della sentenza di assoluzione di primo grado per insussistenza del fatto, aveva condannato la dipendente per furto continuato aggravato dalla destrezza e per aver cagionato un danno di rilevante entità.

Il diritto

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Nel suo ricorso per cassazione, tra gli altri motivi, la dipendente aveva lamentato l’inutilizzabilità delle registrazioni delle telecamere per violazione degli articoli 189 e 101 c.p.p. perché, in assenza di informativa ai dipendenti, si sarebbero tradotte in una intercettazione ambientale priva dell’autorizzazione dell’autorità giudiziaria.

Nel rigettare il ricorso la Suprema Corte, dopo aver confermato la decisione dei Giudici di merito che avevano escluso la natura di  “privata dimora” dello spogliatoio ha sottolineato come sia attualmente vigente il divieto penalmente sanzionato di utilizzo di impianti audio-visivi per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori essendo consentita l’installazione di telecamere solo se giustificata da specifiche esigenze (organizzative e produttive, sicurezza del lavoro e tutela del patrimonio aziendale) e previa adeguata informativa ai lavoratori.

Tuttavia, la giurisprudenza di legittimità ritiene lecito l’impiego di una telecamera nascosta non segnalata da cartelli e installata senza il consenso dei sindacati o dell’Ispettorato se rivolta a controllare uno specifico dipendente nei confronti del quale ci siano già dei validi sospetti di comportamenti illeciti (c.d. controlli difensivi).

Ne deriva l’utilizzabilità, sia nel processo civile che in quello penale, delle registrazioni video realizzate all’insaputa del dipendente sul luogo di lavoro per proteggere il patrimonio aziendale che entrano nel processo come prova documentale ex art. 234 c.p.p..

La lente dell'autore

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Nessuna violazione della disciplina dello Statuto dei lavoratori e della normativa in materia di privacy, quindi, quando l’impianto sia strettamente funzionale alla tutela del patrimonio aziendale e sempre che il suo utilizzo non implichi un significativo controllo sull’ordinario svolgimento dell’attività lavorativa dei dipendenti o resti necessariamente “riservato” per consentire l’accertamento di gravi condotte illecite dei lavoratori.

In altri termini, le telecamere nascoste non possono essere impiegate:

  1. a scopo preventivo;
  2. nei confronti di soggetti nei confronti dei quali non sussistono sospetti di colpevolezza;
  3. per fare verifiche “random”, a campione.

L’esempio, viceversa, in cui la telecamera nascosta viene ammesso – ha precisato la Quinta sezione – è proprio quello finalizzato al controllo nei confronti del cassiere quando, in seguito a verifiche di cassa non tornino i conti sugli incassi registrati (e che corrisponde al caso oggetto del ricorso).

In conclusione, per la Suprema Corte, alle condizioni date, difendere il patrimonio aziendale tramite l’installazione di una telecamera (ad esempio anche tramite un investigatore privato) non può considerarsi attività illecita e, quindi, neppure possono considerarsi inutilizzabili le relative videoregistrazioni a scopi probatori.

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