Nel caso analizzato dalla CGUE, un cittadino rumeno registrato alla nascita come femmina chiedeva al proprio Stato membro di ottenere il rilascio di un nuovo certificato anagrafico contenente le menzioni relative al riconoscimento della sua identità di genere maschile ottenuta nel Regno Unito dove risiedeva.
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Un cittadino rumeno registrato alla nascita come di sesso femminile si trasferiva nel 2008 nel Regno Unito e acquistava la cittadinanza britannica, conservando al contempo quella rumena. In tal paese in cui risiede cambiava nel 2017 il suo prenome e il suo titolo di cortesia da femminile a maschile ed otteneva, nel 2020, un riconoscimento legale della sua identità di genere maschile. Tale tribunale adiva la CGUE per chiederle se la normativa nazionale sulla quale si fonda la decisione di diniego delle autorità rumene sia conforme al diritto dell'Unione e se la Brexit incida sulla controversia. |
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Con sentenza del 4 ottobre 2024 nella causa C-4/23, la CGUE risponde che «una normativa di uno Stato membro che rifiuta di riconoscere e di annotare nell'atto di nascita di un cittadino il cambiamento di prenome e di identità di genere legalmente acquisito in un altro Stato membro, nel caso di specie il Regno Unito, è contraria al diritto dell'Unione. Ciò si applica anche se la domanda di riconoscimento di tale cambiamento è stata fatta dopo il recesso del Regno Unito dall'Unione». La Corte spiega, poi, che «il rifiuto di uno Stato membro di riconoscere un cambiamento di identità di genere legalmente acquisito in un altro Stato membro ostacola l'esercizio del diritto di libera circolazione e di soggiorno. Il genere, come il prenome, è un elemento fondamentale dell'identità personale». La divergenza tra le identità crea difficoltà nel provare la propria identità nella vita quotidiana, nonché seri inconvenienti professionali, amministrativi e privati. Secondo la Corte, «il fatto di costringere l'interessato ad avviare un nuovo procedimento di cambiamento di identità di genere nello Stato membro d'origine, esponendolo al rischio che il procedimento sfoci in un risultato diverso da quello adottato dalle autorità dello Stato membro che hanno legalmente concesso tale cambiamento di prenome e di identità di genere, non sono giustificati». |
CGUE, Grande Sezione, sentenza 4 ottobre 2024, causa C-4/23
« Rinvio pregiudiziale – Cittadinanza dell’Unione – Articoli 20 e 21 TFUE – Articoli 7 e 45 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Diritto di libera circolazione e di libero soggiorno nel territorio degli Stati membri – Cittadino dell’Unione che ha legalmente acquisito, durante l’esercizio di tale diritto e nel corso del suo soggiorno in un altro Stato membro, il cambiamento del suo prenome e della sua identità di genere – Obbligo per lo Stato membro d’origine di riconoscere e di annotare nell’atto di nascita tale cambiamento di prenome e di identità di genere – Normativa nazionale che non consente un siffatto riconoscimento e una siffatta annotazione, costringendo l’interessato ad avviare un nuovo procedimento, di tipo giudiziario, di cambiamento di identità di genere nello Stato membro d’origine – Incidenza del recesso del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord dall’Unione europea »
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 2 TUE, degli articoli 18, 20 e 21 TFUE nonché degli articoli 1, 7, 20, 21 e 45 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).
2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra M.-A.A., cittadino rumeno, e la Direc¿ia de Eviden¿a a Persoanelor Cluj, Serviciul stare civila (Direzione dell’anagrafe di Cluj, servizio di stato civile, Romania), la Direc¿ia pentru Eviden¿a Persoanelor ¿i Administrarea Bazelor de Date din Ministerul Afacerilor Interne (Direzione responsabile del registro di stato civile e della gestione delle banche dati del Ministero degli Affari interni, Romania) e il Municipiul Cluj-Napoca (Comune di Cluj-Napoca, Romania), in ordine al riconoscimento e all’annotazione nell’atto di nascita rumeno di M.-A.A. delle informazioni relative al cambiamento di prenome e di identità di genere legalmente acquisito nel Regno Unito.
Contesto normativo
Diritto dell’Unione
Trattati UE e FUE
3 Ai sensi dell’articolo 2 TUE:
«L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini».
4 L’articolo 18, primo comma, TFUE così recita:
«Nel campo di applicazione dei trattati, e senza pregiudizio delle disposizioni particolari dagli stessi previste, è vietata ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità».
5 Ai sensi dell’articolo 20 TFUE:
«1. È istituita una cittadinanza dell’Unione. È cittadino dell’Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. La cittadinanza dell’Unione si aggiunge alla cittadinanza nazionale e non la sostituisce.
2. I cittadini dell’Unione godono dei diritti e sono soggetti ai doveri previsti nei trattati. Essi hanno, tra l’altro:
a) il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri;
(...)
Tali diritti sono esercitati secondo le condizioni e i limiti definiti dai trattati e dalle misure adottate in applicazione degli stessi».
6 L’articolo 21, paragrafo 1, TFUE così dispone:
«Ogni cittadino dell’Unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dai trattati e dalle disposizioni adottate in applicazione degli stessi».
La Carta
7 L’articolo 1 della Carta, intitolato «Dignità umana», prevede che:
«La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata».
8 L’articolo 7 della Carta, intitolato «Rispetto della vita privata e della vita familiare», dispone quanto segue:
«Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle proprie comunicazioni».
9 L’articolo 20 della Carta, intitolato «Uguaglianza davanti alla legge», così recita:
«Tutte le persone sono uguali davanti alla legge».
10 L’articolo 21 della Carta, intitolato «Non discriminazione», al paragrafo 1, prevede che:
«È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale».
11 L’articolo 45 della Carta, intitolato «Libertà di circolazione e di soggiorno», è così formulato:
«1. Ogni cittadino dell’Unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri.
2. La libertà di circolazione e di soggiorno può essere accordata, conformemente ai trattati, ai cittadini dei paesi terzi che risiedono legalmente nel territorio di uno Stato membro».
Accordo di recesso
12 L’accordo sul recesso del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord dall’Unione europea e dalla Comunità europea dell’energia atomica (GU 2020, L 29, pag. 7), adottato il 17 ottobre 2019 ed entrato in vigore il 1º febbraio 2020 (in prosieguo: l’«accordo di recesso»), è stato approvato a nome dell’Unione e della Comunità europea dell’energia atomica (CEEA) mediante la decisione (UE) 2020/135 del Consiglio, del 30 gennaio 2020 (GU 2020, L 29, pag. 1).
13 I commi quarto, sesto e ottavo del preambolo di tale accordo così recitano:
«Rammentando che, ai sensi dell’articolo 50 TUE in combinato disposto con l’articolo 106 bis [EA] e fatte salve le modalità stabilite nel presente accordo, il diritto dell’Unione e dell’Euratom cessa di essere applicabile nella sua interezza al Regno Unito a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente accordo,
(...)
Riconoscendo che è necessario garantire la protezione reciproca dei cittadini dell’Unione e dei cittadini del Regno Unito, e relativi familiari, che hanno esercitato diritti di libera circolazione prima della data stabilita nel presente accordo, e garantire che i diritti di cui godono in forza del presente accordo siano opponibili e si basino sul principio di non discriminazione; (...)
(...)
Considerando che è nell’interesse sia dell’Unione sia del Regno Unito stabilire un periodo di transizione o di esecuzione durante il quale (…) dovrebbe applicarsi al Regno Unito e nel Regno Unito, di norma con gli stessi effetti giuridici prodotti negli Stati membri, il diritto dell’Unione, compresi gli accordi internazionali, al fine di evitare turbative durante il periodo di negoziazione dell’accordo o degli accordi sulle future relazioni».
14 L’articolo 126 di detto accordo, intitolato «Periodo di transizione», prevede quanto segue:
«È previsto un periodo di transizione o esecuzione che decorre dalla data di entrata in vigore del presente accordo e termina il 31 dicembre 2020».
15 L’articolo 127 del medesimo accordo, intitolato «Ambito di applicazione della transizione», così recita:
«1. Salvo che il presente accordo non disponga diversamente, il diritto dell’Unione si applica al Regno Unito e nel Regno Unito durante il periodo di transizione.
(...)
3. Durante il periodo di transizione il diritto dell’Unione applicabile a norma del paragrafo 1 produce nei confronti del Regno Unito e nel Regno Unito gli stessi effetti giuridici che produce all’interno dell’Unione e degli Stati membri, ed è interpretato e applicato secondo gli stessi metodi e principi generali applicabili all’interno dell’Unione.
(...)
6. Salvo che il presente accordo non disponga diversamente, durante il periodo di transizione i riferimenti agli Stati membri nel diritto dell’Unione applicabile a norma del paragrafo 1, anche attuato e applicato dagli Stati membri, si intendono fatti anche al Regno Unito.
(...)».
16 Ai sensi dell’articolo 185 dell’accordo di recesso, quest’ultimo è entrato in vigore il 1º febbraio 2020.
Diritto rumeno
17 L’articolo 9 della Legea nr. 119/1996 cu privire la actele de stare civila (legge n. 119/1996, sugli atti di stato civile), del 16 ottobre 1996, come ripubblicata (Monitorul Oficial al României, parte I, n. 339 del 18 maggio 2012), nella versione applicabile al procedimento principale (in prosieguo: la «legge n. 119/1996»), è così formulato:
«Nel caso in cui l’ufficiale di stato civile o il funzionario che esercita funzioni di stato civile rifiuti di redigere un atto o effettuare un’annotazione che rientra nelle sue competenze, la persona la cui richiesta è rimasta disattesa può adire il giudice competente, in conformità con la legge».
18 L’articolo 41, paragrafi da 1 a 3, di tale legge così dispone:
«1. Gli atti di stato civile dei cittadini rumeni, redatti dalle autorità straniere, hanno valore probatorio nel paese solo se sono trascritti nei registri dello stato civile rumeni.
2. Il cittadino rumeno è tenuto, entro sei mesi dalla registrazione dell’atto o del fatto di stato civile presso le autorità straniere o dalla data di acquisizione/recupero della cittadinanza rumena, a chiedere la trascrizione dei certificati/estratti di stato civile presso il servizio pubblico locale del registro delle persone, il comune dell’unità amministrativa territoriale competente, o le rappresentanze diplomatiche o consolari di carriera della Romania.
3. La trascrizione dei certificati/estratti/estratti multilingue di stato civile è effettuata all’estero con l’accordo dei capi delle rappresentanze diplomatiche o consolari di carriera e, nel paese, con l’accordo del sindaco dell’unità amministrativa territoriale del luogo di domicilio/ultimo domicilio in Romania del titolare o del richiedente, a seconda dei casi, e previo parere conforme del capo del servizio pubblico comunitario dipartimentale del registro delle persone/servizio pubblico comunitario locale del registro delle persone del settore di Bucarest, e le ragioni del loro diniego devono essere indicate».
19 Ai sensi dell’articolo 43 di detta legge:
«Negli atti di nascita, e se del caso negli atti di matrimonio o di morte, si effettuano annotazioni relative ai cambiamenti intervenuti nello stato civile della persona, nei seguenti casi:
(...)
f) il cambiamento di nome;
(...)
i) il cambiamento del sesso, a seguito di una decisione giudiziaria passata in giudicato;
(...)».
20 L’articolo 57, paragrafo 1, della medesima legge prevede che:
«L’annullamento, l’integrazione o la modifica degli atti di stato civile e delle annotazioni in essi contenute possono essere effettuati solo in virtù di una decisione giudiziaria passata in giudicato».
21 L’articolo 4, paragrafo 2, dell’Ordonan¿a Guvernului nr. 41/2003 privind dobândirea ¿i schimbarea pe cale administrativa a numelor persoanelor fizice (decreto del governo n. 41/2003, sull’acquisizione e la modifica per via amministrativa dei nomi delle persone fisiche), del 30 gennaio 2003 (Monitorul Oficial al României, parte I, n. 68 del 2 febbraio 2003) enunciava che:
«Le domande di cambiamento di nome sono considerate fondate nei seguenti casi:
(...)
l) se la persona ha ottenuto l’approvazione del cambiamento di sesso con una decisione giudiziaria passata in giudicato e irrevocabile e chiede di portare un nome corrispondente, presentando un documento medico-legale che indichi il suo sesso;
(...)».
22 L’articolo 131, paragrafo 2, della Metodologie cu privire la aplicarea unitara a dispozi¿iilor în materie de stare civila (norme attuative relative all’applicazione uniforme delle disposizioni in materia di stato civile), approvata dalla Hotarârea Guvernului nr. 64/2011 (regolamento del governo n. 64/2011), del 26 gennaio 2011 (Monitorul Oficial al României, parte I, n. 151 del 2 marzo 2011), è così formulato:
«Il [codice numerico personale] è assegnato sulla base dei dati iscritti nell’atto di nascita relativi al sesso e alla data di nascita».
23 In applicazione dell’articolo 19, paragrafo 1, lettera i), dell’Ordonan¿a de urgen¿a a Guvernului nr. 97/2005 privind eviden¿a, domiciliul, re¿edin¿a ¿i actele de identitate ale ceta¿enilor români (decreto-legge del governo n. 97/2005, relativo al registro delle persone, al domicilio, alla residenza e ai documenti d’identità dei cittadini rumeni), del 14 luglio 2005, come ripubblicato (Monitorul Oficial al României, parte I, n. 719 del 12 ottobre 2011), il servizio pubblico responsabile del registro delle persone rilascia un nuovo documento d’identità in caso di cambiamento di sesso.
Procedimento principale e questioni pregiudiziali
24 M.-A.A. è una persona nata il 24 agosto 1992 a Cluj-Napoca, nel jude¿ul Cluj (dipartimento di Cluj, Romania), ed è stata registrata alla nascita come di sesso femminile. Il suo certificato di nascita rumeno contiene così un nome femminile, l’identifica come di sesso femminile e le attribuisce un codice numerico personale che anch’esso l’identifica come di tale sesso.
25 Dopo il trasferimento con i propri genitori nel Regno Unito nel corso del 2008, M.-A.A. ha acquisito altresì la cittadinanza britannica per naturalizzazione il 21 aprile 2016.
26 Il 27 febbraio 2017 M.-A.A. ha cambiato nel Regno Unito il suo prenome e il suo titolo di cortesia, passando dal femminile al maschile, secondo il procedimento del Deed Poll, che consente ai cittadini britannici di cambiare il loro cognome o il loro nome mediante semplice dichiarazione. Successivamente, ha proceduto alla sostituzione di taluni documenti ufficiali rilasciati dalle autorità britanniche, ovvero la sua patente di guida e il suo passaporto, emessi con il suo nuovo nome.
27 Il 29 giugno 2020 M.-A.A. ha ottenuto nel Regno Unito un Gender Identity Certificate (certificato di identità di genere), atto che conferma la sua identità di genere maschile.
28 Nel mese di maggio 2021, sulla base della dichiarazione effettuata nell’ambito del procedimento Deed Poll e del certificato di identità di genere, M.-A.A. ha chiesto alla Direzione dell’anagrafe di Cluj, servizio di stato civile, di annotare nel suo atto di nascita le menzioni relative al cambiamento del suo prenome, del suo genere e del suo codice numerico personale affinché corrispondessero al sesso maschile, nonché di rilasciargli un nuovo certificato di nascita contenente tali nuove menzioni.
29 Con decisione del 21 giugno 2021 le autorità rumene hanno respinto la domanda di M.-A.A. con la motivazione, in particolare, che, conformemente all’articolo 43, lettera i), della legge n. 119/1996, letto in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 2, lettera l), del decreto del governo n. 41/2003, la menzione relativa al cambiamento di identità di genere di una persona può essere annotata nel suo atto di nascita solo se è stata approvata con una decisione giudiziaria passata in giudicato.
30 Il 14 settembre 2021 M.-A.A. ha proposto un ricorso dinanzi alla Judecatoria Sectorului 6 Bucuresti (Tribunale di primo grado del 6º distretto di Bucarest, Romania), giudice del rinvio, avverso il servizio di stato civile della Direzione dell’anagrafe di Cluj, la Direzione responsabile dei registri di stato civile e della gestione delle banche dati del Ministero degli Affari interni, nonché il comune di Cluj-Napoca, volto a domandare che tali autorità fossero condannate ad annotare nel suo atto di nascita le menzioni relative al cambiamento del suo prenome, del suo genere e del suo codice numerico personale, affinché corrispondessero al sesso maschile, nonché a rilasciargli un nuovo certificato di nascita contenente tali nuove menzioni.
31 M.-A.A. chiede, in particolare, al giudice del rinvio di ordinare a dette autorità, in applicazione diretta del diritto dell’Unione, e segnatamente del diritto di ogni cittadino dell’Unione di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, di procedere a rendere conforme il suo atto di nascita al suo prenome e alla sua identità di genere legalmente acquisiti nel Regno Unito, affinché egli possa esercitare tale diritto senza ostacoli, disponendo di un documento di viaggio conforme alla sua identità di genere maschile. Secondo M.-A.A. il fatto di essere obbligato ad avviare un nuovo procedimento, di tipo giudiziario, in Romania, volto ad ottenere l’approvazione del cambiamento di identità di genere, l’esporrebbe al rischio di ottenere una decisione contraria a quella adottata dalle autorità britanniche. Inoltre, nella sentenza del 19 gennaio 2021, X e Y c. Romania (CE:ECHR:2021:0119JUD000214516), la Corte europea dei diritti dell’uomo avrebbe dichiarato che tale procedimento manca di chiarezza e di prevedibilità.
32 Il giudice del rinvio ritiene che la fondatezza delle pretese di M.-A.A. e, pertanto, la soluzione della controversia principale dipendano dall’interpretazione di disposizioni del diritto dell’Unione, in particolare dell’articolo 2 TUE, degli articoli 18, 20 e 21 TFUE, nonché degli articoli 1, 7, 20, 21 e 45 della Carta. Esso si chiede, più precisamente, se lo status di cittadino dell’Unione, nonché il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, ostino ad una normativa nazionale che obbliga l’interessato ad avviare un nuovo procedimento di cambiamento di identità di genere dinanzi ai giudici nazionali, quando quest’ultimo ha già concluso con successo un procedimento a tal fine in un altro Stato membro di cui possiede parimenti la cittadinanza.
33 Pur facendo riferimento alla giurisprudenza della Corte pertinente in materia, in particolare alle sentenze del 2 ottobre 2003, Garcia Avello (C-148/02, EU:C:2003:539); del 14 ottobre 2008, Grunkin e Paul (C-353/06, EU:C:2008:559); dell’8 giugno 2017, Freitag (C-541/15, EU:C:2017:432), nonché del 14 dicembre 2021, Stolichna obshtina, rayon «Pancharevo» (C-490/20, EU:C:2021:1008), il giudice del rinvio ritiene tuttavia che la risposta a tale questione non derivi con la necessaria chiarezza da tale giurisprudenza.
34 Inoltre, nell’ipotesi in cui venga fornita una risposta affermativa a detta questione, tale giudice si interroga anche sull’incidenza, per la soluzione della controversia principale, del recesso del Regno Unito dall’Unione. Esso osserva in particolare che, nel caso di specie, il procedimento di cambiamento di identità di genere è stato avviato nel Regno Unito prima del recesso di tale Stato dall’Unione, ma si è concluso dopo quest’ultimo, nel corso del periodo di transizione. Occorrerebbe quindi stabilire se, in tali circostanze, la Romania sia tenuta a riconoscere gli effetti giuridici di tale procedimento di cambiamento di identità di genere condotto nel Regno Unito.
35 Ciò posto, la Judecatoria Sectorului 6 Bucure¿ti (Tribunale di primo grado del 6º distretto di Bucarest) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se il fatto che l’articolo 43, lettera i), e l’articolo 57 della [legge n. 119/1996] non riconoscano i cambiamenti delle annotazioni relative al sesso e al nome di battesimo nello stato civile, realizzati da un uomo transgender, avente doppia cittadinanza (rumena e di un altro Stato membro), in un altro Stato membro attraverso il procedimento di riconoscimento giuridico del genere, e richiedano al cittadino rumeno di svolgere, dall’inizio, un distinto procedimento giudiziario in Romania, avverso il Servizio pubblico locale dell’Anagrafe e dello Stato civile, procedimento che è stato ritenuto privo di chiarezza e prevedibilità dalla Corte europea dei diritti dell’uomo [Corte EDU, 19 gennaio 2021, X e Y c. Romania, CE:ECHR:2021:0119JUD000214516] e che può sfociare in una decisione contraria a quella presa dall’altro Stato membro, osti all’esercizio del diritto alla cittadinanza dell’Unione (articolo 20 [TFUE]) e/o del diritto di circolare e soggiornare liberamente del cittadino dell’Unione (articolo 21 [TFUE e articolo 45 della Carta]) in condizioni di dignità, uguaglianza davanti alla legge e non discriminazione (articolo 2 [TUE, articolo 18 TFUE e articoli 1, 20 e 21 della Carta]), nel rispetto del diritto alla vita privata e alla vita familiare (articolo 7 della [Carta]).
2) Se l’uscita del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord dall’Unione europea influenzi la risposta alla questione di cui sopra, in particolare (i) laddove il procedimento per cambiare lo stato civile è iniziato prima della Brexit ed è stato completato nel periodo di transizione, e (ii) l’impatto della Brexit implica che la persona può usufruire dei diritti relativi alla cittadinanza europea, incluso il diritto alla libera circolazione e al soggiorno, solo in base ai documenti di identità o di viaggio rumeni in cui appare con sesso e nome di battesimo femminile, contrariamente all’identità di genere già riconosciuta giuridicamente».
Sulla ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale
36 Il governo rumeno ritiene che la domanda di pronuncia pregiudiziale sia irricevibile per il motivo che M.-A.A. ha presentato alle autorità competenti rumene la sua domanda di annotare nel suo atto di nascita rumeno il cambiamento di prenome e di identità di genere, legalmente acquisiti nel Regno Unito nel corso degli anni 2017 e 2020, soltanto nel mese di maggio 2021, vale a dire dopo la fine del periodo di transizione fissata, conformemente all’articolo 126 dell’accordo di recesso, al 31 dicembre 2020.
37 Pertanto, secondo tale governo, alla data in cui tali autorità sono state adite, il Regno Unito aveva la qualità di Stato terzo rispetto all’Unione, cosicché i cittadini dell’Unione e i cittadini del Regno Unito non potevano più avvalersi dei loro diritti in forza dell’accordo di recesso. Riferendosi alla sentenza del 12 maggio 2011, Runevic-Vardyn e Wardyn (C-391/09, EU:C:2011:291, punti 55 e 56), in cui la Corte ha dichiarato che le disposizioni del Trattato FUE relative alla cittadinanza dell’Unione trovano applicazione con riferimento agli effetti presenti di circostanze verificatesi anteriormente all’adesione di uno Stato membro all’Unione, detto governo sostiene che, mutatis mutandis, tali disposizioni non possono più essere applicate, dopo il recesso di uno Stato, agli effetti presenti di circostanze verificatesi quando quest’ultimo era ancora membro dell’Unione. Si tratterebbe quindi, nel caso di specie, di una circostanza puramente interna.
38 A tal riguardo, si deve ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, nell’ambito della cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali istituita dall’articolo 267 TFUE, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolarità del caso, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di emettere la propria decisione, sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, allorché le questioni sollevate riguardano l’interpretazione del diritto dell’Unione, la Corte, in via di principio, è tenuta a statuire (sentenza del 15 luglio 2021, The Department for Communities in Northern Ireland, C-709/20, EU:C:2021:602, punto 54 e giurisprudenza citata).
39 Il rifiuto della Corte di statuire su una questione pregiudiziale proposta da un giudice nazionale è possibile solo quando appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcuna relazione con la realtà effettiva o con l’oggetto della causa principale, qualora il problema sia di natura ipotetica oppure, ancora, qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per fornire una risposta utile alle questioni che le vengono sottoposte (sentenza del 15 luglio 2021, The Department for Communities in Northern Ireland, C-709/20, EU:C:2021:602, punto 55 e giurisprudenza citata).
40 Nel caso di specie, il giudice del rinvio interroga la Corte sull’interpretazione, in particolare, delle disposizioni del Trattato FUE relative alla cittadinanza dell’Unione, tra cui l’articolo 21, paragrafo 1, TFUE, nell’ambito di una causa in cui una persona cittadina della Romania, dove è nata, e del Regno Unito, dove risiede dall’anno 2008, chiede alle autorità competenti rumene l’aggiornamento del suo certificato di nascita affinché quest’ultimo sia conforme al suo nuovo prenome e alla sua nuova identità di genere, i quali sono stati legalmente acquisiti nel Regno Unito prima della fine del periodo di transizione fissata al 31 dicembre 2020.
41 A tal riguardo, occorre rilevare, in primo luogo, che un cittadino di uno Stato membro che, nella sua qualità di cittadino dell’Unione abbia esercitato la propria libertà di circolare e di soggiornare in uno Stato membro diverso dal suo Stato membro d’origine, può avvalersi dei diritti connessi a tale qualità, in particolare di quelli previsti dall’articolo 21, paragrafo 1, TFUE, anche, eventualmente, nei confronti del suo Stato membro d’origine (sentenza del 14 dicembre 2021, Stolichna obshtina, rayon «Pancharevo», C-490/20, EU:C:2021:1008, punto 42 e giurisprudenza citata).
42 Nel caso di specie, le modifiche relative allo stato civile di M.-A.A. sono intervenute nel Regno Unito, quanto al cambiamento di prenome, quando tale Stato era ancora uno Stato membro dell’Unione e, quanto al cambiamento di identità di genere, nel corso del periodo di transizione.
43 In secondo luogo, sebbene il 1º febbraio 2020, data di entrata in vigore dell’accordo di recesso, il Regno Unito sia receduto dall’Unione, divenendo così uno Stato terzo, tale accordo prevede tuttavia, al suo articolo 126, un periodo di transizione che va dalla data di entrata in vigore di detto accordo, ossia il 1º febbraio 2020, al 31 dicembre 2020. Conformemente all’articolo 127, paragrafo 6, del medesimo accordo, il Regno Unito, durante questo periodo, deve essere considerato, in particolare ai sensi delle norme relative alla cittadinanza dell’Unione e alla libera circolazione delle persone, come uno «Stato membro», e non come uno Stato terzo, in quanto, peraltro, il paragrafo 1 di tale articolo 127 precisa che il diritto dell’Unione era applicabile al Regno Unito durante detto periodo [v., in tal senso, sentenze del 15 luglio 2021, The Department for Communities in Northern Ireland, C-709/20, EU:C:2021:602, punti 47 e 48, nonché del 14 marzo 2024, Commissione/Regno Unito (Sentenza della Corte suprema), C-516/22, EU:C:2024:231, punto 53].
44 Pertanto, come rilevato in sostanza dall’avvocato generale ai paragrafi da 44 a 46 delle sue conclusioni, dato che M.-A.A., nella sua qualità di cittadino dell’Unione, rivendica nel suo Stato membro d’origine il riconoscimento del cambiamento del suo prenome e della sua identità di genere ottenuto, durante l’esercizio della sua libertà di circolazione e di soggiorno nel Regno Unito, rispettivamente prima del recesso di tale Stato membro dall’Unione e prima della fine del periodo di transizione, egli può avvalersi, nei confronti di tale Stato membro d’origine, dei diritti connessi a tale qualità, in particolare di quelli previsti dagli articoli 20 e 21 TFUE, e ciò anche dopo la fine di tale periodo.
45 Pertanto, la situazione di cui al procedimento principale non può essere assimilata ad una situazione puramente interna per il solo motivo che è dopo il 31 dicembre 2020, data fissata dall’accordo di recesso come la fine del periodo di transizione, che M.-A.A. ha presentato alle autorità competenti rumene una domanda di annotazione nel suo atto di nascita delle menzioni relative al cambiamento del suo prenome e della sua identità di genere.
46 Di conseguenza, la presente domanda di pronuncia pregiudiziale è ricevibile.
Sulle questioni pregiudiziali
47 Con le sue questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 20 e l’articolo 21, paragrafo 1, TFUE, letti alla luce degli articoli 7 e 45 della Carta, debbano essere interpretati nel senso che ostano a una normativa di uno Stato membro che non consente di riconoscere e di annotare nell’atto di nascita di un cittadino di tale Stato membro il cambiamento di prenome e di identità di genere legalmente acquisito in un altro Stato membro durante l’esercizio della sua libertà di circolazione e di soggiorno, con la conseguenza di costringerlo ad avviare un nuovo procedimento, di tipo giudiziario, di cambiamento di identità di genere in tale primo Stato membro, che prescinde da tale cambiamento già legalmente acquisito in tale altro Stato membro.
48 Il giudice del rinvio chiede altresì se il fatto che lo Stato in cui è stato legalmente ottenuto il cambiamento di prenome e di identità di genere, nella specie il Regno Unito, non sia ormai più uno Stato membro dell’Unione, abbia una qualche incidenza sulla risposta da fornire a tale questione.
49 A quest’ultimo riguardo, occorre anzitutto rilevare che dalle considerazioni svolte ai punti da 41 a 45 della presente sentenza, relative alla ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale in esame, emerge che la circostanza che il Regno Unito non sia più uno Stato membro dell’Unione non incide sulla risposta da fornire alla prima questione pregiudiziale, in quanto la situazione di M.-A.A. rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 20 e dell’articolo 21, paragrafo 1, TFUE.
50 In tali circostanze, occorre ricordare che, in quanto cittadino rumeno, M.-A.A. gode, ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 1, TFUE, dello status di cittadino dell’Unione.
51 Secondo una giurisprudenza costante della Corte, lo status di cittadino dell’Unione è destinato ad essere lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri (sentenze del 5 giugno 2018, Coman e a., C-673/16, EU:C:2018:385, punto 30, nonché del 14 dicembre 2021, Stolichna obshtina, rayon «Pancharevo», C-490/20, EU:C:2021:1008, punto 41 e giurisprudenza citata).
52 L’articolo 20, paragrafo 2, e gli articoli 21 e 22 TFUE ricollegano una serie di diritti a tale status. La cittadinanza dell’Unione conferisce, in particolare, conformemente all’articolo 20, paragrafo 2, lettera a), e all’articolo 21, paragrafo 1, TFUE, a ciascun cittadino dell’Unione il diritto fondamentale e individuale di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le restrizioni previste dal Trattato FUE e i provvedimenti adottati in applicazione delle stesse (sentenza del 9 giugno 2022, Préfet du Gers e Institut national de la statistique et des études économique, C-673/20, EU:C:2022:449, punto 50 nonché giurisprudenza citata).
53 Allo stato attuale del diritto dell’Unione, lo status delle persone, in cui rientrano le norme sul cambiamento di prenome e di identità di genere di una persona, è una questione di competenza degli Stati membri e il diritto dell’Unione non incide su tale competenza. Tuttavia, nell’esercizio di tale competenza, ciascuno Stato membro deve rispettare il diritto dell’Unione e, in particolare, le disposizioni del Trattato FUE relative alla libertà riconosciuta a ogni cittadino dell’Unione di circolare e di soggiornare nel territorio degli Stati membri, riconoscendo, a tal fine, lo status delle persone stabilito in un altro Stato membro conformemente al diritto di quest’ultimo [v., in tal senso, sentenze del 26 giugno 2018, MB (Cambiamento di sesso e pensione di fine lavoro), C-451/16, EU:C:2018:492, punto 29, nonché del 14 dicembre 2021, Stolichna obshtina, rayon «Pancharevo», C-490/20, EU:C:2021:1008, punto 52 e giurisprudenza citata].
54 A tal riguardo, per quanto concerne il rifiuto, da parte dell’amministrazione di uno Stato membro, di riconoscere il nome di un cittadino di tale Stato, che abbia esercitato il suo diritto di libera circolazione e che possegga parimenti la cittadinanza di un altro Stato membro, così come determinato in quest’ultimo Stato membro, la Corte ha statuito che un tale rifiuto è idoneo ad ostacolare l’esercizio del diritto, sancito all’articolo 21 TFUE, di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. Infatti, da una diversità tra i due nomi applicati ad una stessa persona possono nascere confusioni ed inconvenienti, poiché numerose attività della vita quotidiana, sia in ambito pubblico che privato, richiedono di fornire la prova della propria identità (v., in tal senso, sentenza dell’8 giugno 2017, Freitag, C-541/15, EU:C:2017:432, punti 36 e 37 nonché giurisprudenza citata).
55 Un siffatto ostacolo può altresì risultare dal rifiuto da parte delle medesime autorità di riconoscere il cambiamento di identità di genere operato in applicazione delle procedure previste a tal fine nello Stato membro in cui il cittadino dell’Unione ha esercitato la sua libertà di circolare e di soggiornare, indipendentemente dal fatto che tale cambiamento sia connesso ad un cambiamento di prenome, come nel caso di specie, o meno. Infatti, al pari del nome, il genere definisce l’identità e lo status personale di una persona. Pertanto, il rifiuto di modificare e di riconoscere l’identità di genere che un cittadino di uno Stato membro ha legalmente acquisito in un altro Stato membro è tale da generare per il medesimo seri inconvenienti di ordine amministrativo, professionale e privato, ai sensi della giurisprudenza della Corte (v., in tal senso, sentenza del 2 giugno 2016, Bogendorff von Wolffersdorff, C-438/14, EU:C:2016:401, punto 38 e giurisprudenza citata).
56 Così, per un cittadino dell’Unione che, come il ricorrente nel procedimento principale, abbia esercitato la propria libertà di circolare e di soggiornare in un altro Stato membro e che, durante il suo soggiorno in quest’ultimo, abbia cambiato il proprio prenome e la propria identità di genere in applicazione delle procedure previste a tal fine in tale altro Stato membro, esiste un rischio concreto, a causa del fatto di portare due prenomi differenti e di vedersi attribuire due identità di genere differenti, di dovere dissipare dubbi riguardo alla propria identità nonché all’autenticità dei documenti prodotti o alla veridicità dei dati in essi contenuti, situazione che costituisce una circostanza idonea ad ostacolare l’esercizio del diritto conferito dall’articolo 21 TFUE (v., in tal senso, sentenze del 2 giugno 2016, Bogendorff von Wolffersdorff, C-438/14, EU:C:2016:401, punto 40 e giurisprudenza citata, nonché dell’8 giugno 2017, Freitag, C-541/15, EU:C:2017:432, punto 38).
57 Di conseguenza, il rifiuto da parte delle autorità competenti in materia di stato civile di uno Stato membro, di riconoscere e di annotare nei registri dello stato civile e in particolare nell’atto di nascita di un cittadino di tale Stato membro, il cambiamento di prenome e di identità di genere legalmente acquisito da quest’ultimo in un altro Stato membro, sulla base di una normativa nazionale che non consente un siffatto riconoscimento né una siffatta annotazione, con la conseguenza di costringere l’interessato ad avviare un nuovo procedimento, di tipo giudiziario, per il cambiamento di identità di genere in questo primo Stato membro, procedimento che prescinde da tale cambiamento già legalmente acquisito in tale altro Stato membro, è idoneo a limitare l’esercizio del diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri.
58 Una siffatta restrizione deve altresì essere constatata per quanto riguarda il diritto sancito dall’articolo 45, paragrafo 1, della Carta. Infatti, tale diritto corrisponde a quello garantito all’articolo 20, paragrafo 2, primo comma, lettera a), TFUE e si esercita, ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 2, secondo comma, TFUE e dell’articolo 52, paragrafo 2, della Carta, alle condizioni e nei limiti definiti dai trattati e dalle misure adottate in applicazione di questi ultimi. Pertanto, qualsiasi restrizione ingiustificata dei diritti di cui all’articolo 21, paragrafo 1, TFUE violerebbe necessariamente l’articolo 45, paragrafo 1, della Carta, nei limiti in cui il diritto di ogni cittadino dell’Unione di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, previsto dalla Carta, riflette il diritto conferito dall’articolo 21, paragrafo 1, TFUE (sentenza del 22 febbraio 2024, Directia pentru Evidenta Persoanelor si Administrarea Bazelor de Date, C-491/21, EU:C:2024:143, punti 49 e 50).
59 Ai sensi di una costante giurisprudenza, una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che è idonea a limitare l’esercizio di tale diritto, sancito dall’articolo 21 TFUE, può essere giustificata solo se è basata su considerazioni oggettive e se è proporzionata all’obiettivo legittimamente perseguito dalla normativa nazionale (sentenza del 2 giugno 2016, Bogendorff von Wolffersdorff, C-438/14, EU:C:2016:401, punto 48 e giurisprudenza citata).
60 In tale contesto, occorre ancora ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, una normativa nazionale che impedisce che una persona transgender, a causa del mancato riconoscimento della sua identità di genere, possa soddisfare una condizione necessaria per l’esercizio di un diritto tutelato dal diritto dell’Unione dev’essere considerata in linea di principio incompatibile con il diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 27 aprile 2006, Richards, C-423/04, EU:C:2006:256, punto 31 e giurisprudenza citata).
61 Nel caso di specie, né il giudice del rinvio né il governo rumeno hanno fornito indicazioni in merito agli obiettivi perseguiti dalla normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale, la quale non consente il riconoscimento e l’annotazione nell’atto di nascita del cambiamento di prenome e di identità di genere, legalmente acquisito in un altro Stato membro, e che obbliga così l’interessato ad avviare un nuovo procedimento per il cambiamento di identità di genere dinanzi ai giudici nazionali, procedimento che prescinde da tale cambiamento già legalmente acquisito in tale altro Stato membro.
62 Inoltre, anche supponendo che tale normativa nazionale persegua un obiettivo legittimo, essa può, in ogni caso, essere considerata giustificata solo se è conforme ai diritti fondamentali sanciti dalla Carta di cui la Corte garantisce il rispetto (sentenza del 14 dicembre 2021, Stolichna obshtina, rayon «Pancharevo», C-490/20, EU:C:2021:1008, punto 58 e giurisprudenza citata) e, in particolare, al diritto al rispetto della vita privata di cui all’articolo 7 della Carta.
63 A tale riguardo, come risulta dalle spiegazioni relative alla Carta dei diritti fondamentali (GU 2007, C 303, pag. 17), a norma dell’articolo 52, paragrafo 3, della Carta, i diritti garantiti dall’articolo 7 della medesima hanno lo stesso significato e la stessa portata di quelli garantiti dall’articolo 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU») (sentenza del 14 dicembre 2021, Stolichna obshtina, rayon «Pancharevo», C-490/20, EU:C:2021:1008, punto 60), e quest’ultima disposizione costituisce una soglia di protezione minima (v., per analogia, sentenza del 29 luglio 2024, Alchaster, C-202/24, EU:C:2024:649, punto 92 e giurisprudenza citata).
64 Conformemente alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, l’articolo 8 della CEDU tutela l’identità sessuale di una persona in quanto elemento costitutivo e uno degli aspetti più intimi della sua vita privata. Pertanto, tale disposizione ingloba il diritto di ciascuno di stabilire i dettagli della propria identità di essere umano, il che ricomprende il diritto delle persone transessuali allo sviluppo personale e all’integrità fisica e morale, nonché al rispetto e al riconoscimento della loro identità sessuale (Corte EDU, 11 luglio 2002, Christine Goodwin c. Regno Unito, CE:ECHR:2002:0711JUD002895795, §§ 77, 78 e 90; Corte EDU, 12 giugno 2003, Van Kück c. Germania, CE:ECHR:2003:0612JUD003596897, §§ da 69 a 75 e 82, nonché Corte EDU, 19 gennaio 2021, X e Y c. Romania, CE:ECHR:2021:0119JUD000214516, §§ 147 e 165).
65 Tale articolo 8 impone, a tal fine, agli Stati, oltre ad obblighi negativi aventi ad oggetto quello di premunire le persone transessuali contro le ingerenze arbitrarie dei poteri pubblici, obblighi positivi, il che implica altresì l’istituzione di procedimenti efficaci e accessibili che garantiscano un rispetto effettivo del loro diritto all’identità sessuale. Inoltre, tenuto conto della particolare importanza di tale diritto, gli Stati godono soltanto di un margine discrezionale limitato in tale settore (Corte EDU, 19 gennaio 2021, X e Y c. Romania, CE:ECHR:2021:0119JUD000214516, §§ da 146 a 148 nonché giurisprudenza citata, e Corte EDU, 1º dicembre 2022, A.D. e a. c. Georgia, CE:ECHR:2022:1201JUD005786417, § 71).
66 Risulta quindi dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che, in forza di detto articolo 8, gli Stati sono tenuti a prevedere un procedimento chiaro e prevedibile di riconoscimento giuridico dell’identità di genere che consenta il cambiamento di sesso, e quindi di nome o di codice numerico personale, nei documenti ufficiali, in modo rapido, trasparente e accessibile (Corte EDU, 19 gennaio 2021, X e Y c. Romania, CE:ECHR:2021:0119JUD000214516, § 168).
67 Orbene, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato, nella sua sentenza del 19 gennaio 2021, X e Y c. Romania (CE:ECHR:2021:0119JUD000214516, §§ 157 e 168), che il procedimento previsto dalla normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale deve essere considerato incompatibile con l’articolo 8 della CEDU, in quanto tale procedimento non risponde alle esigenze imposte da tale disposizione per l’esame di una domanda di cambiamento di identità di genere, presentata per la prima volta dinanzi ad un giudice nazionale.
68 Detto procedimento non può neppure costituire un mezzo efficace che consenta a un cittadino dell’Unione che, durante il suo soggiorno in un altro Stato membro e, quindi, nell’esercizio del diritto garantito dall’articolo 21 TFUE e dall’articolo 45 della Carta, abbia già legalmente acquisito il cambiamento del suo prenome e della sua identità di genere in applicazione dei procedimenti previsti a tal fine in tale Stato membro, di far valere proficuamente i suoi diritti conferiti da tali articoli, letti alla luce dell’articolo 7 della Carta, tanto più in quanto lo stesso procedimento espone tale cittadino al rischio che detto procedimento sfoci in un risultato diverso da quello adottato dalle autorità dello Stato membro che hanno legalmente concesso tale cambiamento di prenome e di identità di genere.
69 Infatti, secondo una giurisprudenza consolidata, affinché una normativa nazionale come quella relativa all’annotazione nei registri dello stato civile del cambiamento di prenome e di identità di genere possa essere considerata compatibile con il diritto dell’Unione, è necessario che le disposizioni o il procedimento interno che consentono di presentare la domanda di una siffatta annotazione non rendano impossibile o eccessivamente difficile l’attuazione dei diritti conferiti dall’articolo 21 TFUE e, in particolare, del diritto al riconoscimento di tale cambiamento. Orbene, l’esercizio di tale diritto può essere messo in discussione dal potere discrezionale di cui dispongono le autorità competenti nell’ambito del procedimento di riconoscimento e di annotazione del prenome e dell’identità di genere, cui sono soggette le persone che hanno legalmente acquisito il cambiamento di tale prenome e di tale identità in un altro Stato membro. L’esistenza di un siffatto potere discrezionale può sfociare in una divergenza tra i due nomi e i due generi dati ad una stessa persona per la prova della sua identità, nonché ai seri inconvenienti di ordine amministrativo, professionale e privato menzionati ai punti 54 e 55 della presente sentenza.
70 Pertanto, una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che non consente un’annotazione del prenome e dell’identità di genere, legalmente acquisiti in un altro Stato membro, e che obbliga l’interessato ad avviare un nuovo procedimento, di tipo giudiziario, di cambiamento di identità di genere nello Stato membro d’origine, prescindendo dal fatto che il cittadino dell’Unione abbia già legalmente acquisito il cambiamento del suo prenome e della sua identità di genere nello Stato membro di sua residenza e si sia sottoposto ai procedimenti previsti a tal fine in quest’ultimo, viola i requisiti derivanti dall’articolo 21 TFUE.
71 Tenuto conto dell’insieme delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alle questioni sollevate che l’articolo 20 e l’articolo 21, paragrafo 1, TFUE, letti alla luce degli articoli 7 e 45 della Carta, devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa di uno Stato membro che non consente di riconoscere e di annotare nell’atto di nascita di un cittadino di tale Stato membro il cambiamento di prenome e di identità di genere legalmente acquisito in un altro Stato membro durante l’esercizio della sua libertà di circolazione e di soggiorno, con la conseguenza di costringerlo ad avviare un nuovo procedimento, di tipo giudiziario, per il cambiamento di identità di genere in tale primo Stato membro, procedimento che prescinde da tale cambiamento già legalmente acquisito in tale altro Stato membro. Al riguardo, è irrilevante il fatto che la domanda di riconoscimento e di annotazione del cambiamento di prenome e di identità di genere sia stata presentata in tale primo Stato membro in una data in cui il recesso dall’Unione dell’altro Stato membro aveva già avuto effetto.
Sulle spese
Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:
L’articolo 20 e l’articolo 21, paragrafo 1, TFUE, letti alla luce degli articoli 7 e 45 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea,
devono essere interpretati nel senso che:
ostano a una normativa di uno Stato membro che non consente di riconoscere e di annotare nell’atto di nascita di un cittadino di tale Stato membro il cambiamento di prenome e di identità di genere legalmente acquisito in un altro Stato membro durante l’esercizio della sua libertà di circolazione e di soggiorno, con la conseguenza di costringerlo ad avviare un nuovo procedimento, di tipo giudiziario, per il cambiamento di identità di genere in tale primo Stato membro, procedimento che prescinde da tale cambiamento già legalmente acquisito in tale altro Stato membro.
Al riguardo, è irrilevante il fatto che la domanda di riconoscimento e di annotazione del cambiamento di prenome e di identità di genere sia stata presentata in tale primo Stato membro in una data in cui il recesso dall’Unione europea dell’altro Stato membro aveva già avuto effetto.