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7 ottobre 2024
Diritti umani
Viola il diritto UE non riconoscere il cambiamento di identità di genere legalmente acquisito in un altro Stato membro

Nel caso analizzato dalla CGUE, un cittadino rumeno registrato alla nascita come femmina chiedeva al proprio Stato membro di ottenere il rilascio di un nuovo certificato anagrafico contenente le menzioni relative al riconoscimento della sua identità di genere maschile ottenuta nel Regno Unito dove risiedeva.

di La Redazione

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Un cittadino rumeno registrato alla nascita come di sesso femminile si trasferiva nel 2008 nel Regno Unito e acquistava la cittadinanza britannica, conservando al contempo quella rumena. In tal paese in cui risiede cambiava nel 2017 il suo prenome e il suo titolo di cortesia da femminile a maschile ed otteneva, nel 2020, un riconoscimento legale della sua identità di genere maschile.
Sulla base di due documenti ottenuti nel Regno Unito che attestano detti cambiamenti, il cittadino chiedeva alle autorità amministrative rumene di annotare nel suo atto di nascita le menzioni relative al suo cambiamento di prenome, di sesso e di codice numerico personale affinché corrispondessero al sesso maschile. Ha chiesto inoltre il rilascio di un nuovo certificato di nascita contenente tali nuove menzioni.
Le autorità rumene respingevano tali domande, invitandolo ad avviare un nuovo procedimento di cambiamento di identità di genere dinanzi ai giudici rumeni. Il richiedente adiva il tribunale di Bucarest per disporre che il suo atto di nascita fosse reso conforme al suo nuovo prenome e alla sua identità di genere, riconosciuta definitivamente nel Regno Unito.

Tale tribunale adiva la CGUE per chiederle se la normativa nazionale sulla quale si fonda la decisione di diniego delle autorità rumene sia conforme al diritto dell'Unione e se la Brexit incida sulla controversia.

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Con sentenza del 4 ottobre 2024 nella causa C-4/23, la CGUE risponde che «una normativa di uno Stato membro che rifiuta di riconoscere e di annotare nell'atto di nascita di un cittadino il cambiamento di prenome e di identità di genere legalmente acquisito in un altro Stato membro, nel caso di specie il Regno Unito, è contraria al diritto dell'Unione. Ciò si applica anche se la domanda di riconoscimento di tale cambiamento è stata fatta dopo il recesso del Regno Unito dall'Unione».
Anzitutto, la Corte rileva che il cambiamento di prenome e di identità di genere è stato ottenuto rispettivamente prima della Brexit e durante il periodo di transizione che vi ha fatto seguito.

La Corte spiega, poi, che «il rifiuto di uno Stato membro di riconoscere un cambiamento di identità di genere legalmente acquisito in un altro Stato membro ostacola l'esercizio del diritto di libera circolazione e di soggiorno. Il genere, come il prenome, è un elemento fondamentale dell'identità personale». La divergenza tra le identità crea difficoltà nel provare la propria identità nella vita quotidiana, nonché seri inconvenienti professionali, amministrativi e privati.

Secondo la Corte, «il fatto di costringere l'interessato ad avviare un nuovo procedimento di cambiamento di identità di genere nello Stato membro d'origine, esponendolo al rischio che il procedimento sfoci in un risultato diverso da quello adottato dalle autorità dello Stato membro che hanno legalmente concesso tale cambiamento di prenome e di identità di genere, non sono giustificati».

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