Svolgimento del processo
1. Con ordinanza del 23/12/2022 del Giudice per le indagini preliminari di Udine convalidava il provvedimento imposto a S.P. dal questore di Udine in data 16 dicembre 2022 n. 778/2022, notificato il 21 luglio 2022, con il quale, nell'inibire per anni 6 la partecipazione del ricorrente a tutte le competizioni sportive (c.d. "DASPO"), prescriveva altresì allo stesso di comparire persona1mente presso la stazione carabinieri di (omissis) dalla data di notifica del provvedimento, all'ora di inizio di ogni incontro ufficiale che la squadra dell'A. Calcio disputerà nelle manifestazioni in cui il provvedimento inibiva l'accesso.
2. Avverso tale ordinanza l'imputato propone, tramite il difensore di fiducia, ricorso per cassazione. lamenta in particolare:
2.1. Con il primo motivo, la violazione dell'articolo 606, comma 1, lettere b), c) ed e) cod. proc. pen., in riferimento agli articoli 6, comma 2, 2-bis, 3 e 5 della I. n. 401/1989; si duole in particolare il ricorrente che l'impugnata ordinanza non ha tenuto in nessun conto i contenuti della memoria difensiva depositata, così violando l'obbligo di assicurare un contraddittorio che, sia pur cartolare, deve essere effettivo, e non meramente formale, incorrendo così in un vizio di motivazione ed in nullità per violazione del diritto di difesa;
2.2. Con il secondo motivo, la violazione dell'articolo 606, comma 1, lettere b), c) ed e) cod. proc. pen., in riferimento agli articoli 6, comma 2, 2-bis, 3 e 5 della I. n. 401/1989, 13 e 24 Cost.; si duole in particolare il ricorrente del fatto che, nonostante ne avesse fatto richiesta sia alla Questura che al Tribunale, non aveva potuto estrapolare copia degli atti su cui il provvedimento si fondava, con palese violazione del diritto di difesa non potendo partecipare «efficacemente» al contraddittorio.
2.3. con il terzo motivo, la violazione dell'articolo 606, comma 1, lettere b) ed e) cod. proc. pen., in riferimento agli articoli 6, comma 2, 2-bis, e 5, 6-bis e 6-ter della I. n. 401/1989. Si duole il ricorrente del fatto che l'accensione di una «torcia illuminante» è un atto che non è connotato da alcuna valenza di pericolosità; inoltre, i lamentati «precedenti» di cui il ricorrente sarebbe gravato non aggiungono nulla in termini di pericolosità in concreto; di conseguenza, venendo meno il requisito delia pericolosità specifica, non può trovare applicazione la misura di prevenzione del DASPO.
2.4. con il quarto motivo, la violazione dell'articolo 606, comma 1, lettere b) ed e) cod. proc. pen., in riferimento agli articoli 6, commi 2 e 5, della I. n. 401/1989/manifesta illogicità della motivazione.
2.4.1. Si duole il ricorrente del fatto che la durata della misura è stata inflitta in misura superiore al minimo previsto dalla legge senza motivazione alcuna, dovendosi ritenere errata la contestazione di reati relativi alla medesima I. 401/1989 e il precedente DASPO, cessato da tempo all'epoca dei fatti.
2.4.2. Il provvedimento, inoltre, non chiarisce cosa debba intendersi con «incontro ufficiale», non consentendo al sottoposto di comprendere bene il significato del divieto.
3. Con conclusioni scritte del 30 maggio 2023, la difesa del ricorrente eccepiva il mancato deposito delle conclusioni scritte da parte del Procuratore generale ovvero la mancata trasmissione delle stesse alla difesa, insistendo per l'accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione
1. Preliminarmente, il Collegio evidenzia come le conclusioni del Procuratore generale siano state depositate telematicamente presso la Corte nei termini di legge.
In proposito, il Collegio sottolinea come l'articolo 23 del d.l. 28/10/2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla I. 18/12/2020, n. 176 (tuttora vigente per i ricorsi presentati entro il 30/06/2023, giusto il disposto dell'articolo 94, comma 2, d. lgs. 10/10/2022, n. 150), al comma 8 stabilisce che «per la decisione sui ricorsi proposti per la trattazione a norma degli articoli 12 7 e 614 del codice di procedura penale la Corte di cassazione procede in Camera di consiglio senza l'intervento del procuratore generale e dei difensori delle altre parti, salvo che una delle parti private o il procuratore generale faccia richiesta di discussione orale. Entro il quindicesimo giorno precedente l'udienza, il procuratore generale formula le sue richieste con atto spedito alla cancelleria della Corte a mezzo di posta elettronica certificata. La cancelleria provvede immediatamente a inviare, con lo stesso mezzo, l'atto contenente le richieste ai difensori delle altre parti che, entro il quinto giorno antecedente l'udienza, possono presentare con atto scritto, inviato alla cancelleria della corte a mezzo di posta elettronica certificata, le conclusioni.
Al contrario, l'articolo 611, comma 1, cod. proc. pen., nel disciplinare il procedimento in camera di consiglio dinanzi alla corte di cassazione, stabilisce che «se non è diversamente stabilito e in deroga a quanto previsto dall'articolo 127, la corte giudica sui motivi, sulle richieste del procuratore generale e sulle memorie senza la partecipazione del procuratore generale e dei difensori. Fino a quindici giorni prima dell'udienza il procuratore generale presenta le sue richieste e tutte le parti possono presentare motivi nuovi, memorie e, fino a cinque giorni prima, memorie di replica».
Pertanto, per i procedimenti trattati in camera di consiglio senza presenza delle parti (quale quello in esame) non è prevista la trasmissione alle parti delle conclusioni del P.G. e non è quindi ravvisabile alcun profilo di nullità.
2. Scendendo all'esame dei motivi di ricorso, il primo motivo è manifestamente infondato.
La Corte ha stabilito che è affetta da nullità, per violazione del diritto di difesa, l'ordinanza di convalida del provvedimento del Questore impositivo dell'obbligo di presentazione priva di qualsivoglia riferimento alle deduzioni oggetto della memoria difensiva depositata nei termini (Sez. 3, n. 20143 del 27/05/2010, Vezzoli, Rv. 247174 - 01); tale principio, come chiarito nella menzionata pronuncia, trae origine dall'esigenza di intendere la garanzia offerta al diffidato non in senso meramente formale, come possibilità di interlocuzione attraverso la presentazione di memorie, ma come garanzia effettiva che impone al giudice una valutazione delle deduzioni difensive.
Tuttavia, la Corte ha anche precisato che «l'obbligo del giudice di motivare in ordine al contenuto delle memorie o deduzioni, tempestivamente presentate dall'interessato in vista della convalida del provvedimento del Questore impositivo dell'obbligo di presentazione ad un ufficio o comando di polizia (art. 6, I. 13 dicembre 1989, n. 401), si intende assolto anche nel caso in cui ne risulti testualmente avvenuto l'esame e sia desumibile, dal complessivo tenore del provvedimento, l'implicita esclusione della loro fondatezza. (Sez. 3, n. 3740 del 10/12/2020, dep. 2021, Lupo, Rv. 281321; Sez. 3, n. 14832 del 13/12/2017, dep. 2018, Bertozzi, n.m.; Sez. 3, n. 2862 del 13/11/2014, dep. 2015, Luraschi, Rv. 262900 - 01; Sez. 3, n. 46223 del 16/11/2011, Di Lonardo, Rv. 251330)».
Nel caso di specie, il provvedimento impugnato il giudice dà atto di avere letto la memoria difensiva presentata nell'interesse del S.P., i cui contenuti sono sostanzialmente sovrapponibili agli odierni motivi di ricorso.
Seppure in forma sintetica, le motivazioni dell'ordinanza del G.I.P., lette in connessione con il provvedimento del questore, consentono di ritenere implicitamente valutate e disattese le allegazioni difensive, potendosi risalire agevolmente alle ragioni che hanno determinato la misura all'obbligo di presentazione in Questura (la presenza di un precedente DASPO, la condotta del S.P. in occasione dell'incontro di calcio Udinese-Atalanta, i precedenti penali del proposto), all'opportunità delle modalità di presentazione ed alle ragioni di necessità ed urgenza della adozione della misura stessa, così superando le censure proposte dal sottoposto alla misura, e ribadite all'interno della memoria depositata al GIP.
3. Il secondo motivo di ricorso è del pari manifestamente infondato.
Il comma 2-bis dell'articolo 6 della I. n. 401/1989, nello stabilire una precisa sequenza temporale, prevede la possibilità di attivare il contraddittorio cartolare nei ristretti termini previsti per la convalida delle prescrizioni imposte dal questore, mediante deposito di memorie.
Tale rigido sistema, finalizzato proprio a contenere nei tempi stabiliti dall'articolo 13 Cost. la limitazione della libertà personale del proposto prima dell'intervento dell'autorità giudiziaria, determina necessariamente la compressione della possibilità per il proposto di ottenere copia degli atti.
La Corte ha di recente osservato (Sez. 3, n. 11797 del 24/02/2023, Ferrari, n.m.) che nella presente materia intervengono due diritti fondamentali dell'individuo, che possono trovarsi in concreto tra loro in frizione: l'articolo 13 Cast., secondo il quale (terzo comma) i provvedimenti emanati dall'autorità amministrativa che limitano la libertà personale «devono essere comunicati entro quarantotto ore all'Autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto»; e l'articolo 24 Cast., a norma del quale all'interessato deve essere comunque assegnato un termine congruo entro cui poter esercitare fattivamente il diritto di difesa.
Come è evidente, dal primo principio deriva la previsione di un termine «massimo», decorso inutilmente il quale il provvedimento questorile viene caducato e ne cessano gli effetti, mentre dal secondo principio deriva la necessità di prevedere un termine «minimo», o almeno dilatorio, che consenta all'interessato d: instaurare il contraddittorio, in questo caso cartolare.
Non è dubbio che i termini previsti dall'articolo 6, comma 3, della I, 401/1989 si riferiscono al primo dei due aspetti, come del resto espressamente evidenziato dalle Sezioni Unite della Corte nella citata sentenza n. 44273/2004, Labbia («che la misura prevista dal 2° comma dell'art, 6 rientri nella garanzia giurisdizionale dell'art. 13 è riconosciuto - oltre che da dottrina e giurisprudenza del tutto uniformi su questo problema - dallo stesso legislatore che ha previsto una disciplina della convalida modulata sui tempi e sugli interventi previsti da questa norma»),
Si rammenta in proposito che la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito come «le prescrizioni imposte dal Questore cessano di avere efficacia soltanto nell'ipotesi in cui il giudice, provvedendo sulla richiesta del pubblico ministero, non disponga la convalida entro le novantasei ore dalla notifica del provvedimento all'interessato. Non è prevista, infatti, un'autonoma sanzione per la mancata formulazione, da parte del pubblico ministero, delle istanze al g.i.p. nel rispetto delle quarantotto ore decorrenti dalla notifica del provvedimento all'interessato o l'inefficacia del provvedimento del giudice per la mancata convalida nel termine di 48 ore dalla richiesta del pubblico ministero» (Sez. 3, n. 44431 del 09/11/2011, Tornasi, RV. 251598).
Il diritto di difesa è, al contrario, correlato all'obbligo di immediata notificazione all'interessato del provvedimento che impone le prescrizioni. Non a caso la Corte Costituzionale (sentenza n. 144/1997) ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 6, comma 3, della legge 13 dicembre 1989, n. 401, «nella parte in cui non prevede che la notifica del provvedimento del questore contenga l'avviso che l'interessato ha facoltà di presentare, personalmente o a mezzo di difensore, memorie o deduzioni al giudice per le indagini preliminari», sentenza cui ha fatto seguito la modifica della norma nel senso sopra indicato per effetto dell'inserimento nell'articolo 6 in parola del comma 2-bis (art. 1, comma 1, lett. b), d.l. 20/08/2001, n. 336, convertito, con modificazioni, dalla I. 19/10/2001, n. 377).
Il momento delia notifica del provvedimento all'interessato costituisce quindi il dies a quo per l'instaurazione del contraddittorio cartolare, che si sostanzia nell'obbligo del giudice di procedere ad un controllo «sostanziale», e non meramente formale, dei presupposti per l'emanazione del provvedimento (v., ex plurimis, Sez.U. Labbia, citata; Sez. 3, n. 22266 del 03/02/2016, Cassanelli, Rv. 267146 - 01; Sez. 3, n. 37728 del 7/07/2022, Perazzi, non massimata: «il controllo di legalità del giudice deve riguardare l'esistenza di tutti i presupposti legittimanti l'adozione dell'atto da parte dell'Autorità amministrativa»).
In assenza della espressa previsione di un dies ad quem, la giurisprudenza della Corte, nell'evidenziare la difficile conciliazione tra i principi costituzionali coinvolti (la citata pronuncia delle Sez.U. Labbia evidenzia come «ben possa la limitazione della libertà personale conseguente alle misure in questione coniugarsi "con la celerità nell'applicazione della misura, condizione necessaria perché :a stessa possa rivelarsi efficace, sì da giustificare, in un equilibrato rapporto fra le esigenze in giuoco, l'adozione di forme semplificate attraverso le quali possa esplicarsi il contradditorio"») ha ritenuto, che «il termine entro cui il destinatario del provvedimento del Questore ha diritto di esaminare gli atti e di presentare memorie e deduzioni al giudice della convalida, è di 48 ore decorrenti dalla sua notifica all'interessato, analogamente a quello entro cui il P.M. può richiedere al G.I.P. la relativa convalida, per cui la predetta convalida del provvedimento del Questore impositivo dell'obbligo di presentazione all'Autorità di polizia non può intervenire prima che sia decorso il termine di 48 ore dalla sua notifica all'interessato» (v., ex plurimis, Sez. 3, n. 6440 del 27/01/2016, Michelotto, RV. 266223; n. 18886 del 23/02/2022, Girolamo, non massimata).
La Corte pertanto ha colmato una lacuna normativa facendo ricorso ad una interpretazione analogica basata sul giudizio di convalida del provvedimento precautelare, facendo perno sulla evidente presenza di eadem ratio.
Come appare evidente dalla ricostruzione testè evidenziata, pur in assenza di una espressa previsione normativa, la giurisprudenza della Corte ha progressivamente enucleato una serie di principi in grado di contemperare i precetti costituzionali coinvolti: da un lato considerando il termine massimo di 96 ore per la convalida, dall'altro indicando in 48 ore dalla notifica del provvedimento il termine minimo per garantire il contraddittorio cartolare.
Non a caso, non è prevista a pena di nullità l'omessa disponibilità in capo al proposto della documentazione depositata dal pubblico ministero presso la cancelleria del GIP.
La Corte, sul punto, ha di recente affermato (Sez. 3, n. 12355 del 14/02/2023, Pisarelli) che nessun termine è previsto dalla legge in relazione all'esercizio, da parte della difesa, del diritto di accesso agli atti del procedimento di convalida di cui all'art. 6 legge n. 401 del 1989. Né dal sistema emergono utili indicazioni in proposito, anche solo in prospettiva analogica (v., in materia di convalida del provvedimento di fermo di indiziato di reato o dell'arresto in flagranza di reato, Sez. U, n. 36212 del 30/09/2010, G., Rv. 247939-01; con riguardo alla richiesta di copia delle registrazioni di conversazioni o comunicazioni intercettate ed utilizzate ai fini dell'adozione di una misura cautelare, Sez. U, n. 20300 del 22/04/2010, Lasala, Rv. 246908-01, in motivazione, § 7.6).
In realtà, dai complesse del sistema normativo si evince che alla difesa deve essere assicurato il diritto di accedere agli atti per poter meglio esercitare le sue ragioni in un tempo utile, ma senza che siano configurabiii rigidi termini dilatori.
Occorre poi considerare che, nel procedimento relativo alla convalida del provvedimento del Questore di cui all'art. 6 della legge n. 401 del 1989, gli atti sono reperibili sia presso la Questura che ha adottato il provvedimento, sia presso il pubblico ministero competente a richiedere la convalida, sia presso il G.i.p., preposto alla decisione sulla convalida.
Nel caso di specie, risulta come il ricorrente abbia richiesto copia degli atti presso la Questura e il G.i.p., ma non presso la locale Procura della Repubblica, dove pure avrebbe potuto estrarre copia o, almeno, consultare gli atti.
Non appare quindi ravvisabile alcuna violazione né della normativa relativa al DASPO, che non prevede alcuna sanzione per l'omessa estrazione di copia degli atti, né del precetto costituzionale, al cui rispetto, al contrario di quanto lamentato dal ricorrente, il complesso nella normativa è ispirato.
4. Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Il provvedimento del Questore indica nel S.P. colui che in occasione di una competizione sportiva ufficiale ha acceso una «torcia illuminante», ricevuta da altro tifoso.
L'articolo 6-ter I. 402/1989 indica, a mero titolo esemplificativo, «razzi, bengala, fuochi artificiali, petardi, strumenti per l'emissione di fumo o di gas visibile», locuzione con cui devono intendersi «fuochi artificiali o oggetti analoghi» (Sez. 3, n. 1988 dell'08/10/2014, Pinto, n.m.).
Una risalente pronuncia (Sez. 3, n. 29078 del 04/04/2002, Cini, Rv. 222037 - 01), aveva stabilito che «la semplice denuncia per il reato di cui all'art. 650 cod. pen., per essere stato trovato in possesso di un "fumogeno", non può giustificare l'emissione del provvedimento del questore a norma dell'art. 6 legge 13 dicembre 1989, n. 401, in quanto il reato previsto dall'art. 6-bis della medesima legge, la cui commissione rappresenta uno dei presupposti per l'applicazione della misura i:1terdittiva del divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive, punisce solo il lancio di corpi contundenti o di altri oggetti, compresi gli artifizi pirotecnici, che possono creare un pericolo per le persone, non anche il porto di tali oggetti».
Non vi è dubbio pertanto che, almeno ai sensi dell'articolo 6-ter, la condotta contestata al S.P. risulti tra quelle vietate in occasione di competizioni sportive.
Sussistevano quindi pienamente i presupposti per l'emissione del provvedimento questorile del divieto di accesso i luoghi ove si tengono manifestazioni sportive.
5. Il quarto motivo di ricorso è in. parte manifestamente infondato (punto 2.4.1) e in parte infondato (2.4.2).
Il provvedimento, infatti, prescrive l'obbligo di presentazione in occasione di «ogni incontro ufficiale che la squadra dell'A. Calcio disputerà nelle predette manifestazioni per le quali gli è stato inibito l'accesso».
Tale divieto concerne espressamente «l'accesso su tutto il territorio nazionale ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive di calcio valevoli per i campionati nazionali di serie A, B Lega Pro, nonché le altre manifestazioni nazionali ed europee, quali Champions League, Europa League, Conference League, Coppa Italia, Campionato e Coppa nazionale Primavera e gli incontri della Nazionale italiana compresa l'Under 21, nonché i luoghi ove si svolgono manifestazioni sportive di pallacanestro valevoli per i campionati nazionali di serie Al e A2, ovvero tornei nazionali con presenza di società di serie Al od A2 tornei internazionali di pallacanestro».
Non vi è quindi alcuna mancanza di chiarezza nel provvedimento, essendo indicato in modo analitico a quali competizioni si riferisca il provvedimento interdittivo.
Quanto al profilo di censura relativo alla durata del provvedimento, la Corte ritiene che se è evidente che incombe sul giudice la necessità di una motivazione sul punto, tale onere dovrà essere assolto in maniera tanto più puntuale quanto più la durata della misura sia fissata in misura superiore alla media tra minimo e massimo previsti dalla legge (Sez. 3, n. 32739 del 06/10/2020, Scarafiotti, n.m.).
Nel caso di specie, la misura è stata stabilita in anni 6.
Il GIP stabilisce sul punto che «considerata dunque la forbice edittale compresa tra 5 e 10 anni prevista per chi sia già destinatario di precedente divieto e valutato che rispetto alla gravità dei fatti rapportati al pericolo per la pubblica incolumità ed alla pericolosità del prevenuto, già destinatario di precedente DASPO e per quanto già sopra argomentato, sia congrua la durata della prescrizione di cui al comma 2 dell'art. 6 come stabilità dal Questore».
Nella parte precedente della motivazione, cui rinvia il provvedimento, il GIP aveva sottolineato l'esistenza di precedenti per stupefacenti e guida in stato di ebbrezza quali elementi di conferma della pericolosità del S.P..
Ritiene la Corte che, soprattutto alla luce del modesto scostamento rispetto al minimo edittale, il Giudice abbia assolto all'onere motivazionale in maniera sufficiente, non potendosi la motivazione - per quanto sopra detto- ritenere meramente «apparente».
6. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile ii ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.