
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 31/10/2023, la Corte di appello di Roma ha confermato la pronuncia del giudice di primo grado e condannato A. P. e M. P. alla pena ritenuta di giustizia per il reato di cui all'art. 6, commi 1, 2 e 6 L.401 /1989, per aver omesso di ottemperare al divieto di accedere ai luoghi in cui si svolgono le partite di calcio e alle aree di rispetto e ai luoghi ed aree annesse e circostanti agli impianti sportivi, assistendo all'incontro di calcio C. 1999 vs A. dal balcone di una abitazione privata adiacente allo stadio.
2. A. P. e M. P. ricorrono per cassazione avverso la suddetta sentenza a mezzo del medesimo difensore, mediante ricorsi distinti ma di identico contenuto.
2.1.I ricorrenti deducono, con un unico motivo di ricorso, violazione di legge e vizio della motivazione, nonché travisamento della prova in ordine alla sussistenza della fattispecie contestata. Evidenziano di non aver fatto accesso a nessuno dei luoghi inibiti dal provvedimento questorile, né agli impianti sportivi, né ai luoghi di sosta e di transito adiacenti agli impianti sportivi, essendo contestato ai ricorrenti il fatto di aver assistito alla manifestazione sportiva da un balcone di una privata abitazione e non essendo stata acquisita alcuna prova che i ricorrenti abbiano fatto accesso ai luoghi di sosta e di transito. Al riguardo, richiamano quando dichiarato dagli agenti, i quali hanno affermato di non aver notato i due ricorrenti transitare nei luoghi di accesso o di uscita dello stadio o recarsi nell'impianto sportivo o nei luoghi adiacenti un'ora prima dell'inizio della partita.
Pertanto, il fatto contestato non costituisce reato, in quanto il divieto questorile, la cui inosservanza è sanzionata penalmente, inibisce la presenza dei prevenuti in luoghi pubblici o aperti al pubblico, al fine di evitare possibili contatti con la tifoseria avversa. Nel caso in disamina, i due ricorrenti si sono limitati ad accedere ad un'abitazione privata, contigua allo stadio, e ad assistere alla partita da tale postazione privata, senza trovarsi quindi in luoghi pubblici o aperti al pubblico.
Inoltre, non vi è stato alcun rischio di contatto fisico con i tifosi avversari che transitavano
verso lo stadio, né in entrata né in uscita dallo stadio, né con coloro che si trovavano all'interno della struttura sportiva.
3. Il Procuratore generale presso questa Corte, con requisitoria scritta, ha chiesto il rigetto del ricorso.
4. Con memoria difensiva hanno replicato alla requisitoria del Procuratore generale e ulteriormente illustrato il ricorso.
Motivi della decisione
1.1.II ricorso è fondato.
Al riguardo, si richiama il principio di diritto affermato da questa Corte secondo cui «In / tema di misure di prevenzione di fenomeni di violenza collegati a manifestazioni sportive, non / costituisce violazione del divieto di accesso ai sensi dell'dell'art. 6 della legge 13 dicembre 1989, n.401, la mera visione della competizione oggetto della interdizione da una casa privata adiacente allo stadio ove non si accerti anche la sussistenza del concreto pericolo, da tale condotta derivante, di contatti personali con gli spettatori in entrata e in uscita da detta manifestazione » (Sez.3, n. 43575 del 02/10/2018, Rv. 275390).
1.2. Come desumibile dalla sentenza impugnata, il giudice a quo ha preso atto che dalla
documentazione fotografica acquisita risulta che gli imputati assistevano alla competizione sportiva sporgendosi dalla finestra di un'abitazione di proprietà di un conoscente prossima al campo di calcio. Il giudice ha quindi ritenuto che la condotta contestata abbia determinato il pericolo concreto di contatti tra i soggetti sottoposti al divieto e gli spettatori, non soltanto in relazione alle fasi di entrata ed uscita del pubblico dallo stadio, ma anche con riferimento alla intera durata della manifestazione sportiva, in quanto ha ritenuto che, stante la vicinanza materiale degli imputati rispetto agli spettatori, anche "qualsivoglia espressione verbale di tifoseria sarebbe stata nitidamente udita da chiunque". Allo stesso tempo, dalla ricostruzione fattuale enucleabile dalla motivazione della sentenza impugnata, si evince che nessun contatto personale tra tifosi era materialmente possibile, in quanto gli imputati si trovavano all'interno di una abitazione privata. E', pertanto, incontrovertibile che gli imputati si siano collocati in una posizione tale da non potere venire a contatto con chicchessia, senza che il giudice a quo abbia indicato elementi di pericolo concreto di "contatti personali" richiesti, come sopra premesso, dalla giurisprudenza di questa Corte, diversi dalla mera possibilità di esternazioni verbali, anche a prescindere dalla loro percepibilità.
2. La sentenza impugnata deve, dunque, essere annullata senza rinvio ex art. 620 lett. I) cod. proc. pen. perché il fatto non sussiste posto che, in considerazione della semplicità dei lineamenti fattuali della fattispecie concreta in disamina e della completezza degli accertamenti espletati, un'eventuale giudizio di rinvio non potrebbe apportare significativi elementi di novità.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.