Nessuna condanna per l'Italia: con le decisioni in commento, la Corte EDU evidenzia che non sussiste alcuna violazione dell'art. 8 CEDU nel rifiuto da parte delle autorità italiane di trascrivere l'atto di nascita straniero di bambini nati mediante GPA. Unico rimedio possibile per il genitore intenzionale è la strada dell'adozione in casi particolari.
Oggetto dei ricorsi sottoposti all'attenzione della Corte EDU è sostanzialmente il rifiuto da parte delle autorità italiane di trascrivere nei registri dello
Oggetto della causa
I presenti ricorsi riguardano il rifiuto delle autorità italiane di riconoscere degli atti di nascita rilasciati in California e in Canada per dei bambini nati in tali paesi mediante gestazione per altri («GPA»), in ragione del fatto che tali atti stabilivano un rapporto di filiazione nei confronti dei padri intenzionali, mentre invece i secondi genitori, ossia i rispettivi padri biologici dei bambini in questione, erano di per sé riconosciuti. I ricorrenti invocano l’articolo 8 della Convenzione, nonché l’articolo 14 in combinato disposto con l’articolo 8.
L’elenco dei ricorrenti e le precisazioni pertinenti sui ricorsi sono riportati della tabella allegata alla presente decisione.
Valutazione della corte
Tenuto conto della similitudine dei ricorsi per quanto riguarda il loro oggetto, la Corte ritiene opportuno esaminarli congiuntamente in una sola decisione.
I ricorrenti lamentano che il rifiuto di riconoscere un rapporto di filiazione tra i genitori intenzionali e i bambini costituisce una violazione del loro diritto al rispetto della loro vita privata e familiare. Inoltre, ritengono che la possibilità di avviare una procedura di adozione anziché far riconoscere l’atto di nascita dei bambini interessati non possa essere considerata un rimedio a tale violazione.
La Corte osserva che il Governo non contesta che la doglianza dei ricorrenti rientri nel campo di applicazione dell’articolo 8 della Convenzione.
La Corte rammenta innanzitutto che il rispetto della vita privata esige che ogni bambino possa stabilire i dettagli della propria identità di essere umano, il che comprende la sua filiazione (Mennesson c. Francia, n. 65192/11, §§ 46 e 96, CEDU 2014).
Inoltre, la Corte precisa che ai fini dell’applicazione del profilo relativo alla vita familiare dell’articolo 8, è sufficiente che i genitori intenzionali si occupino fin dalla nascita di un bambino nato da una PMA come lo farebbero dei genitori biologici, e che figli e genitori conducano insieme una vita che non si distingue dalla «vita familiare» comunemente intesa (Mennesson, sopra citata, § 44).
Da quanto sopra esposto, la Corte conclude che l'articolo 8 della Convenzione è applicabile alla doglianza dei ricorrenti sia per quanto riguarda il profilo relativo alla vita privata che per quanto riguarda il profilo relativo alla vita familiare.
Inoltre, la Corte ritiene che non vi sia alcun dubbio che vi è stata ingerenza nell’esercizio da parte dei ricorrenti del loro diritto al rispetto della vita privata e della vita familiare. L’ingerenza in questione perseguiva due degli scopi legittimi elencati nel secondo paragrafo dell'articolo 8 della Convenzione: la protezione della salute e la protezione dei diritti e delle libertà altrui.
Rimane da stabilire se tale ingerenza fosse necessaria in una società democratica per raggiungere questi scopi, poiché la nozione di «necessità» implica un'ingerenza fondata su un bisogno sociale imperioso e, soprattutto, proporzionato allo scopo legittimo perseguito.
La Corte ritiene che le circostanze delle cause esaminate congiuntamente in questo caso siano simili a quelle della causa B. e altri c. Svizzera (nn. 58817/15 e 58252/15, §§ 76-83, 22 novembre 2022), e constata che i principi elaborati, da un lato, nelle cause Mennesson (sopra citata) e Labassee c. Francia (n. 65941/11, 26 giugno 2014), e, dall’altro, nel parere consultivo relativo al riconoscimento nel diritto interno di un rapporto di filiazione tra un bambino nato da una gestazione per altri praticata all'estero e la madre intenzionale [GC] (domanda n. P16-2018-001, Corte di cassazione francese, 10 aprile 2019), e infine nella causa D c. Francia (n. 11288/18, 16 luglio 2020), possono applicarsi al caso di specie, e più precisamente alla questione del rapporto di filiazione tra i padri intenzionali e i bambini.
Innanzitutto, la Corte rammenta che l'interesse superiore del minore comprende inter alia l'individuazione, in diritto, delle persone che hanno la responsabilità di crescerlo, di soddisfare i suoi bisogni e di assicurare il suo benessere, nonché la possibilità di vivere e di svilupparsi in un ambiente stabile (parere consultivo n. P16-2018-001, sopra citato, § 42). Per questo motivo, il rispetto della vita privata del minore richiede che il diritto interno offra la possibilità di riconoscere un rapporto di filiazione tra il minore e il genitore intenzionale (ibidem, dispositivo, § 1). Di conseguenza, il margine di apprezzamento degli Stati è limitato per quanto riguarda il principio stesso dell’accertamento o del riconoscimento della filiazione (ibidem, §§ 44-46). Inoltre, la Corte ritiene che l’interesse del minore non possa dipendere soltanto dall’orientamento sessuale dei genitori. Per contro, la Corte rammenta che, sebbene il principio stesso dell’accertamento o del riconoscimento della filiazione lasci agli Stati solo un margine di apprezzamento limitato, questo margine è più ampio per quanto riguarda i mezzi da utilizzare a tale scopo (ibidem, § 51).
La Corte osserva che il sistema giuridico italiano vieta, in quanto contraria all’ordine pubblico, la trascrizione dell’atto di nascita straniero che riconosce un rapporto di filiazione tra un bambino nato mediante una GPA e un genitore intenzionale. In particolare, la Corte fa riferimento alla sentenza n. 12193 dell’8 maggio 2019 delle Sezioni Unite della Corte di cassazione che ribadisce il principio secondo il quale non può essere trascritto nei registri dello Stato civile italiano il provvedimento di un giudice straniero con cui è stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all'estero mediante GPA e un soggetto che non abbia con lo stesso alcun rapporto biologico. Tuttavia, la Suprema Corte ha dichiarato che i valori tutelati dal predetto divieto non escludono la possibilità di attribuire rilievo al rapporto genitoriale mediante il ricorso ad altri strumenti giuridici, quali l’adozione in casi particolari (articolo 44, comma primo, lett. d) della legge n. 184 del 1983).
Inoltre, la Corte rileva che la Corte costituzionale italiana, esaminando nella sua sentenza n. 33 del 2021 alcune questioni di costituzionalità relative allo stato civile dei bambini nati mediante GPA (pratica vietata dalla legge italiana e, in particolare, dall’articolo 12, comma 6, della legge n. 40 del 2004) ha rammentato la necessità per le autorità di riconoscere i legami del minore con la sua famiglia affinché quest’ultimo possa essere identificato dalla legge come membro della famiglia nella quale vive. La Corte costituzionale ha precisato che, nel caso in questione, non era in discussione il diritto alla genitorialità delle persone che si prendono cura del bambino, ma l’interesse del minore, ed ha ritenuto che questo interesse dovesse essere bilanciato con l’obiettivo legittimo del sistema giuridico, che è quello di disincentivare il ricorso alla GPA, pratica sanzionata dal diritto penale.
La Corte costituzionale ha anche espresso l’auspicio che il legislatore trovi una soluzione che tenga conto di tutti i diritti e gli interessi in gioco, adeguando la legge esistente alla necessità di proteggere i bambini nati mediante GPA, vale a dire disciplinando l’adozione in modo più aderente alle peculiarità della situazione in esame.
La Corte osserva anche che, il 24 febbraio 2022, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle disposizioni relative all’adozione «in casi particolari», in quanto queste ultime non assicuravano che si creasse tra l’adottato e la famiglia dell’adottante, lo stesso rapporto di parentela che si instaurava con gli altri tipi di adozione.
Inoltre, con una sentenza dell’8 novembre 2022, le Sezioni Unite della Corte di cassazione, pur ribadendo che la trascrizione dell’atto di nascita di un bambino nato mediante una GPA praticata all’estero era, per quanto riguardava il genitore intenzionale, vietata perché contraria all’ordine pubblico, ha affermato, facendo riferimento alle sentenze B. e altri c. Svizzera e D c. Francia, sopra citate, che «il bambino nato da maternità surrogata ha un diritto fondamentale al riconoscimento, anche giuridico, del legame sorto in forza del rapporto affettivo instaurato e vissuto con colui che ha condiviso il disegno genitoriale. L’ineludibile esigenza di assicurare al bambino nato da maternità surrogata gli stessi diritti degli altri bambini nati in condizioni diverse è garantita attraverso l’adozione in casi particolari, ai sensi dell’articolo 44, primo comma, lettera d), della legge n. 184 del 1983. Allo stato dell’evoluzione dell’ordinamento, l’adozione rappresenta lo strumento che consente di dare riconoscimento giuridico, con il conseguimento dello status di figlio, al legame di fatto con il partner del genitore genetico che ha condiviso il disegno procreativo e ha concorso nel prendersi cura del bambino sin dal momento della sua nascita».
Basandosi sui principi esposti nel paragrafo 12 supra, la Corte constata che, alla data di nascita dei ricorrenti del ricorso n. 59054/19, il diritto interno non offriva loro alcuna possibilità di ottenere il riconoscimento del rapporto di filiazione che li univa al loro padre intenzionale, poiché è soltanto a partire dal 2014 che diversi tribunali hanno iniziato a consentire al genitore intenzionale di fare ricorso all’adozione in casi particolari.
Tuttavia, la Corte osserva che, nel caso in questione, il genitore biologico e il genitore intenzionale hanno richiesto la trascrizione nei registri dello stato civile italiano degli atti di nascita formati all'estero soltanto nel 2016 – vale a dire in un momento in cui era già ammessa la possibilità dell'adozione in casi particolari –, e che, a quanto pare, hanno presentato una domanda di adozione solo in data recente.
Per quanto riguarda gli altri due ricorsi (nn. 12109/20 e 45426/21), la Corte osserva che l’evoluzione giurisprudenziale che ha permesso di riconoscere l’adozione da parte del genitore intenzionale è anteriore alla nascita dei bambini, e che non sembra che sia stata presentata alcuna domanda di adozione.
Di conseguenza, la Corte constata che il desiderio di ottenere il riconoscimento di un legame tra i bambini e i genitori intenzionali non si scontrava con una impossibilità generale e assoluta, in quanto i ricorrenti avevano a loro disposizione la via dell’adozione e non se ne sono avvalsi.
La Corte è inoltre chiamata a verificare se, respingendo le domande dei ricorrenti volte a ottenere, nel caso dei ricorsi nn. 59054/19 e 12109/20, il riconoscimento degli atti di nascita formati all’estero e, nel caso del ricorso n. 45426/21, il reinserimento della menzione del padre intenzionale nell’atto di nascita, le autorità italiane non hanno tenuto in considerazione il rapporto di filiazione tra i bambini interessati e i loro genitori intenzionali, e in tal modo hanno violato il diritto dei ricorrenti al rispetto della loro vita familiare ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione.
La Corte rammenta che la GPA della quale i genitori dei ricorrenti nel ricorso n. 59054/19, i primi due ricorrenti nel ricorso n. 12109/20 e il primo ricorrente nel ricorso n. 45426/21 si sono avvalsi per creare una famiglia, è contraria all’ordine pubblico italiano e che, del resto, gli interessati non sostengono che non sapevano che per il diritto italiano essa era vietata.
Peraltro, la Corte ritiene che il mancato riconoscimento da parte delle autorità italiane degli atti di nascita stranieri nella misura in cui tali atti riguardavano i padri intenzionali, in pratica, non abbia pregiudicato in maniera significativa il godimento da parte degli interessati del loro diritto alla vita familiare. Pertanto, essa conclude che le difficoltà pratiche che i ricorrenti potrebbero incontrare nella loro vita familiare a causa del mancato riconoscimento nel diritto italiano di un legame tra il padre intenzionale e i minori interessati non oltrepassano i limiti che impone il rispetto dell’articolo 8 della Convenzione (si veda, mutatis mutandis, Mennesson, sopra citata, § 93).
Per quanto riguarda la doglianza presentata dai ricorrenti ai sensi dell’articolo 14 della Convenzione in combinato disposto con l’articolo 8, relativa all’impossibilità concreta per le coppie dello stesso sesso di far riconoscere un rapporto di filiazione tra un minore e un genitore intenzionale, la Corte ritiene, alla luce delle conclusioni alle quali è giunta nel paragrafo 21 supra, che essa non sollevi alcuna questione fondamentale distinta, e conclude dunque non doversi deliberare separatamente su questo punto (si veda, in tal senso, Centro di risorse giuridiche in nome di Valentin Câmpeanu c. Romania [GC], n. 47848/08, § 156, CEDU 2014).
Alla luce di quanto sopra esposto, dopo avere proceduto a un esame approfondito delle osservazioni delle parti e dei terzi intervenienti, e dopo avere analizzato la giurisprudenza pertinente, la Corte considera che, nel caso di specie, lo Stato convenuto non abbia oltrepassato l’ampio margine di apprezzamento di cui disponeva in materia di attuazione dei mezzi che permettono di stabilire o di riconoscere la filiazione.
Di conseguenza, i ricorsi devono essere respinti in applicazione dell’articolo 35 § 4 della Convenzione.
Per questi motivi, la Corte, all’unanimità,
Decide di riunire i ricorsi;
Dichiara i ricorsi irricevibili.
Oggetto della causa
I ricorsi riguardano il rifiuto delle autorità italiane di trascrivere nei registri dello stato civile italiano gli atti di nascita americani di bambini legalmente concepiti negli Stati Uniti mediante gestazione per altri (GPA) e i cui genitori intenzionali (tre coppie omosessuali) sono italiani, in quanto la gestazione per altri è in contrasto con il diritto italiano. I ricorrenti – i genitori e i bambini – denunciano una violazione dell’articolo 8.
L’elenco dei ricorrenti e le precisazioni pertinenti sui ricorsi sono riportati della tabella allegata alla presente decisione.
Valutazione della corte
Tenuto conto della similitudine dei ricorsi per quanto riguarda il loro oggetto, la Corte ritiene opportuno esaminarli congiuntamente in una sola decisione.
I ricorrenti lamentano che il rifiuto di trascrivere i certificati di nascita costituisce una violazione del diritto al rispetto della loro vita privata e familiare. Inoltre, ritengono che la possibilità di avviare una procedura di adozione anziché far riconoscere l’atto di nascita dei bambini interessati non possa essere considerata un rimedio a tale violazione.
La Corte rammenta innanzitutto che il rispetto della vita privata esige che ogni bambino possa stabilire i dettagli della propria identità di essere umano, il che comprende la sua filiazione (Mennesson c. Francia, n. 65192/11, §§ 46 e 96, CEDU 2014).
Inoltre, la Corte precisa che ai fini dell’applicazione del profilo relativo alla vita familiare dell’articolo 8, è sufficiente che i genitori intenzionali si occupino fin dalla nascita di un bambino nato da una GPA come lo farebbero dei genitori biologici, e che figli e genitori conducano insieme una vita che non si distingue dalla «vita familiare» comunemente intesa (Mennesson, sopra citata, § 44).
Da quanto sopra esposto, la Corte conclude che l'articolo 8 della Convenzione è applicabile alla doglianza dei ricorrenti sia per quanto riguarda il profilo relativo alla vita privata che per quanto riguarda il profilo relativo alla vita familiare.
Inoltre, la Corte ritiene che non vi sia alcun dubbio che vi è stata ingerenza nell’esercizio da parte dei ricorrenti del loro diritto al rispetto della vita privata e della vita familiare. L’ingerenza in questione perseguiva due degli scopi legittimi elencati nel secondo paragrafo dell'articolo 8 della Convenzione: la protezione della salute e la protezione dei diritti e delle libertà altrui.
Rimane da stabilire se tale ingerenza fosse necessaria in una società democratica per raggiungere questi scopi, poiché la nozione di «necessità» implica un'ingerenza fondata su un bisogno sociale imperioso e, soprattutto, proporzionato allo scopo legittimo perseguito.
La Corte ritiene che le circostanze delle cause esaminate congiuntamente in questo caso siano simili a quelle della causa B. e altri c. Svizzera (nn. 58817/15 e 58252/15, §§ 76-83, 22 novembre 2022), e constata che i principi elaborati, da un lato, nelle cause Mennesson (sopra citata) e Labassee c. Francia (n. 65941/11, 26 giugno 2014), e, dall’altro, nel parere consultivo relativo al riconoscimento nel diritto interno di un rapporto di filiazione tra un bambino nato da una gestazione per altri praticata all'estero e la madre intenzionale [GC] (domanda n. P16-2018-001, Corte di cassazione francese, 10 aprile 2019), e infine nella causa D c. Francia (n. 11288/18, 16 luglio 2020), possono applicarsi al caso di specie, e più precisamente alla questione del rapporto di filiazione tra i padri intenzionali e i bambini.
Innanzitutto, la Corte rammenta che l'interesse superiore del minore comprende inter alia l'individuazione, in diritto, delle persone che hanno la responsabilità di crescerlo, di soddisfare i suoi bisogni e di assicurare il suo benessere, nonché la possibilità di vivere e di svilupparsi in un ambiente stabile (parere consultivo n. P16-2018-001, sopra citato, § 42). Per questo motivo, il rispetto della vita privata del minore richiede che il diritto interno offra la possibilità di riconoscere un rapporto di filiazione tra il minore e il genitore intenzionale (ibidem, dispositivo, § 1). Di conseguenza, il margine di apprezzamento degli Stati è limitato per quanto riguarda il principio stesso dell’accertamento o del riconoscimento della filiazione (ibidem, §§ 44-46). Inoltre, la Corte ritiene che l’interesse del minore non possa dipendere soltanto dall’orientamento sessuale dei genitori. Per contro, la Corte rammenta che, sebbene il principio stesso dell’accertamento o del riconoscimento della filiazione lasci agli Stati solo un margine di apprezzamento limitato, questo margine è più ampio per quanto riguarda i mezzi da utilizzare a tale scopo (ibidem, § 51).
La Corte osserva che il sistema giuridico italiano vieta, in quanto contraria all’ordine pubblico, la trascrizione dell’atto di nascita di un bambino nato mediante una GPA praticata all’estero. In particolare, la Corte fa riferimento, a tale riguardo, alla sentenza n. 12193 dell’8 maggio 2019 delle Sezioni Unite della Corte di cassazione che ribadisce il principio secondo il quale non può essere trascritto nei registri dello stato civile italiano il provvedimento di un giudice straniero con cui è stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all'estero mediante GPA e un soggetto che non abbia con lo stesso alcun rapporto biologico. Tuttavia, la Suprema Corte ha dichiarato che i valori tutelati dal predetto divieto non escludono la possibilità di attribuire rilievo al rapporto genitoriale mediante il ricorso ad altri strumenti giuridici, quali l’adozione in casi particolari (articolo 44, comma primo, lett. d) della legge n. 184 del 1983).
Inoltre, la Corte rileva che la Corte costituzionale italiana, esaminando nella sua sentenza n. 33 del 2021 alcune questioni di costituzionalità relative allo stato civile dei bambini nati mediante GPA (pratica vietata dalla legge italiana e, in particolare, dall’articolo 12, comma 6, della legge n. 40 del 2004) ha rammentato la necessità per le autorità di riconoscere i legami del minore con la sua famiglia affinché quest’ultimo possa essere identificato dalla legge come membro della famiglia nella quale vive. La Corte costituzionale ha precisato che, nel caso in questione, non era in discussione il diritto alla genitorialità delle persone che si prendono cura del bambino, ma l’interesse del minore, ed ha ritenuto che questo interesse dovesse essere bilanciato con l’obiettivo legittimo del sistema giuridico, che è quello di disincentivare il ricorso alla GPA, pratica sanzionata dal diritto penale.
La Corte costituzionale ha anche espresso l’auspicio che il legislatore trovi una soluzione che tenga conto di tutti i diritti e gli interessi in gioco, adeguando la legge esistente alla necessità di proteggere i bambini nati mediante GPA, vale a dire disciplinando eventualmente l’adozione in modo più aderente alle peculiarità della situazione in esame.
La Corte osserva anche che, il 24 febbraio 2022, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle disposizioni relative all’adozione «in casi particolari», in quanto queste ultime non assicuravano che si creasse tra l’adottato e la famiglia dell’adottante, lo stesso rapporto di parentela che si instaurava con gli altri tipi di adozione.
Inoltre, con una sentenza dell’8 novembre 2022, le Sezioni Unite della Corte di cassazione, pur ribadendo che la trascrizione dell’atto di nascita di un bambino nato mediante una GPA praticata all’estero era, per quanto riguardava il genitore intenzionale, vietata perché contraria all’ordine pubblico, ha affermato, facendo riferimento alle sentenze B. e altri c. Svizzera e D c. Francia, sopra citate, che «il bambino nato da maternità surrogata ha un diritto fondamentale al riconoscimento, anche giuridico, del legame sorto in forza del rapporto affettivo instaurato e vissuto con colui che ha condiviso il disegno genitoriale. L’ineludibile esigenza di assicurare al bambino nato da maternità surrogata gli stessi diritti degli altri bambini nati in condizioni diverse è garantita attraverso l’adozione in casi particolari, ai sensi dell’articolo 44, primo comma, lettera d), della legge n. 184 del 1983. Allo stato dell’evoluzione dell’ordinamento, l’adozione rappresenta lo strumento che consente di dare riconoscimento giuridico, con il conseguimento dello status di figlio, al legame di fatto con il partner del genitore genetico che ha condiviso il disegno procreativo e ha concorso nel prendersi cura del bambino sin dal momento della sua nascita».
Pertanto, la Corte è chiamata a verificare se il rifiuto di riconoscere gli atti di nascita formati all’estero, in particolare per quanto riguarda il rapporto di filiazione tra i bambini e i loro genitori intenzionali, costituisca una violazione del diritto di questi ultimi al rispetto della loro vita familiare ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione.
La Corte rammenta che la gestazione per altri della quale i ricorrenti si sono avvalsi per creare una famiglia era contraria all’ordine pubblico italiano e che, del resto, gli interessati non sostengono che non sapevano che per il diritto italiano essa era vietata.
La Corte fa osservare che lo Stato italiano, sebbene non permetta la trascrizione dell’atto di nascita per quanto riguarda il padre intenzionale, garantisce che quest’ultimo possa essere riconosciuto giuridicamente mediante l’adozione. A tal fine, è necessario richiedere la trascrizione dell’atto di nascita per quanto riguarda il genitore biologico: e ciò non è stato fatto nel caso di specie.
Quanto all’argomentazione non suffragata dei ricorrenti secondo la quale essi non potrebbero adottare perché sono residenti all’estero, la Corte rammenta innanzitutto che, secondo quanto dispone l’articolo 40 della legge n. 218 del 1995 in materia di diritto internazionale privato, i giudici italiani hanno giurisdizione in materia di adozione quando gli adottanti o uno di essi o l’adottando sono cittadini italiani ovvero stranieri residenti in Italia. Inoltre, la Corte fa riferimento ai principi espressi nella recente sentenza della Corte di cassazione dell’8 novembre 2022 (si veda il paragrafo 15 supra).
Peraltro, la Corte ritiene che il mancato riconoscimento da parte delle autorità italiane degli atti di nascita stranieri non abbia, in pratica, pregiudicato in maniera significativa il godimento da parte degli interessati del loro diritto alla vita familiare. Pertanto, la Corte conclude che le difficoltà pratiche, che i ricorrenti incontrano nella loro vita familiare in mancanza di un riconoscimento nel diritto italiano di un rapporto di filiazione, potrebbero essere in parte risolte dal riconoscimento del rapporto di filiazione del padre biologico dopo una richiesta di trascrizione parziale degli atti di nascita.
Alla luce di quanto sopra esposto, dopo avere proceduto a un esame approfondito delle osservazioni delle parti e dei terzi intervenienti, e dopo avere analizzato la giurisprudenza pertinente, la Corte ritiene che, nel caso di specie, lo Stato convenuto non abbia oltrepassato l’ampio margine di apprezzamento di cui disponeva in materia di attuazione dei mezzi che permettono di stabilire o di riconoscere la filiazione.
Di conseguenza, questa parte del ricorso deve essere respinta in applicazione dell’articolo 35 § 4 della Convenzione.
Per questi motivi, la Corte, all’unanimità,
Decide di riunire i ricorsi;
Dichiara i ricorsi irricevibili.