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16 agosto 2024
L'infedeltà coniugale della moglie non salva dalla condanna per maltrattamenti
I comportamenti tenuti dalla vittima sono estranei alla struttura oggettiva e soggettiva del delitto di maltrattamenti.
di La Redazione
La Corte d'Appello confermava la condanna emessa dal Tribunale nei confronti dell'imputato per il delitto di maltrattamenti ai danni della moglie e dei loro tre figli.
 
L'uomo ricorre in Cassazione contro tale decisione, contestando in termini generali la presenza del dolo e, più nello specifico, deducendo che il suo comportamento era una reazione alla scoperta della relazione extraconiugale intrattenuta dalla consorte con il nuovo compagno, i quali avevano anche provato a spogliarlo del suo patrimonio.
 
In risposta alla doglianza, la Suprema Corte precisa innanzitutto che, nel reato di maltrattamenti, il dolo non è accertabile sulla base delle condotte tenute dalla persona offesa, in quanto i comportamenti di quest'ultima sono estranei alla struttura oggettiva e soggettiva del delitto.
 
In secondo luogo, ritenere che l'infedeltà coniugale della vittima sia determinatrice delle violenze dell'autore e sia così tale da escludere il dolo del reato, «richiama schemi interpretativi ampiamente superati dalla coscienza sociale e dall'ordinamento giuridico», in quanto «riconosce come plausibile la chiave di lettura discriminatoria offerta dall'agente sul presupposto che l'onore maschile, leso dal mero dubbio di relazioni extra-coniugali della moglie, imporrebbe di rimediarvi attraverso forme punitive, mosse da pulsioni incontrollabili, capaci di riaffermare, anche pubblicamente, la propria supremazia e, dunque, la propria rivendicata identità». L'elemento soggettivo del reato di violenza domestica ai danni delle donne, infatti, è costituito dalla coscienza e volontà dell'autore, la cui matrice è espressa dalla Convenzione di Istanbul; questa forma di violenza è definita come espressiva di «una manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi, che hanno portato alla dominazione sulle donne e alla discriminazione nei loro confronti da parte degli uomini ed impedito la loro piena emancipazione».
 
Sulla base di ciò, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso, con sentenza n. 26934 dell'8 luglio.
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