Con istanza di arbitrato rituale, Tizio, socio lavoratore della società cooperativa X impugnava, dinanzi la camera arbitrale e di conciliazione della cooperazione di Roma, la delibera con la quale il consiglio di amministrazione della cooperativa aveva disposto la sua esclusione da socio a norma dell'art. 11, lett. c) dello statuto, a...
Svolgimento del processo
Con domanda di arbitrato rituale del 9.6.16, P.G.B., socio lavoratore della (omissis) Società coop. sociale impugnava, avanti la camera arbitrale e di conciliazione della cooperazione di Roma, la delibera del 20.4.16 con la quale il consiglio di amministrazione della cooperativa aveva disposto la sua esclusione da socio a norma dell’art. 11, lett. c) dello statuto, aggiornato a giugno 2014, a tenore del quale: “l’esclusione può essere deliberata dall’organo amministrativo, oltre che nei casi previsti dalla legge, nei confronti del socio che risulti gravemente inadempiente per le obbligazioni che derivano dalla legge, dallo statuto, dai regolamenti o che ineriscano al rapporto mutualistico, nonché dalle deliberazioni adottate dagli organi sociali”.
Al riguardo, l’attore deduceva che dal testo della raccomandata non era possibile evincere alcuna motivazione posta a base della sua esclusione e che la mancata puntuale contestazione di alcuna delle ipotesi di cui all’art. 11, lett. c) dello statuto gli impediva di predisporre un’adeguata difesa in relazione alla sanzione irrogata.
Con lodo sottoscritto il 12.4.17, l’arbitro unico annullava la delibera di esclusione, dichiarando la conseguente ricostituzione di tutti i rapporti mutualistici preesistenti, rigettando la domanda risarcitoria in quanto non provata.
Al riguardo, l’arbitro osservava che: la raccomandata d’esclusione dell’attore era priva di qualsiasi riferimento concreto a condotte poste in essere da quest’ultimo ovvero, secondo l’art. 11 lett. c) dello statuto, a circostanziati e gravi inadempimenti alle obbligazioni derivanti dalla legge, dallo statuto, dai regolamenti o che ineriscano al rapporto mutualistico, nonché dalle deliberazioni adottate dagli organi sociali, e che dunque la verifica sulla gravità dell’inadempimento era preclusa ab origine; né i verbali del consiglio d’amministrazione, né l’ispezione del Ministero dello Sviluppo Economico del 17.6.16 indicavano gli specifici addebiti che avevano condotto la società cooperativa all’esclusione del socio, posto che i primi richiamavano generiche irregolarità di gestione imputabili al più ai membri del predetto consiglio di cui il B. non faceva più parte dal 2004, e il secondo invitava l’organo gestionale a sanare alcune irregolarità senza individuare responsabilità in capo ai singoli; la circostanza dedotta dalla cooperativa, secondo cui l’attore avrebbe ricoperto il ruolo di amministratore di fatto nei rapporti con i terzi, e anche riguardo alla gestione dei soci e del personale, nulla provava in merito a presunti inadempimenti alle obbligazioni imposte ex lege, dal momento che l’operato del medesimo aveva ricevuto sempre specifico avallo da parte del consiglio d’amministrazione; la legittimità dell’esclusione del socio non poteva fondarsi sull’interdizione perpetua dai pubblici uffici per reati gravi contro lo Stato, avendo il B. riportato una condanna per siffatto reato.
L’arbitro riteneva inoltre di essere competente a decidere sulla domanda di ricostituzione dei rapporti mutualistici pendenti, tra cui il rapporto di lavoro, formulata dal B., ritenendola conseguenza diretta ed immediata dell’annullamento della delibera di esclusione dalla cooperativa, sostenendo: che dal momento che il rapporto di lavoro era sussunto in quello sociale, la cessazione di quest’ultimo determinava automaticamente la risoluzione del primo senza necessità di ricorrere al giudice del lavoro; che la pronuncia sulla ricostituzione del rapporto di lavoro, in quanto connessa all’accertamento relativo all’esclusione del socio, era ricompresa nei poteri assegnati all’arbitro dalla clausola compromissoria, sulla scorta dell’art. 39 dello statuto, da interpretarsi in senso ampio.
Avverso tale lodo la cooperativa proponeva impugnazione chiedendo l’accertamento parziale o integrale della nullità del lodo e, in caso di accertamento parziale della sua nullità, la dichiarazione di legittimità della delibera di esclusione del 20.4.16.
Nelle more del giudizio d’appello decedeva il B., e si costituiva l’erede E. B..
Con sentenza del 19.7.22, la Corte d’appello di Bologna ha rigettato l’impugnativa, osservando che: non sussisteva violazione dell’art. 806, c.2, c.p.c. in quanto l’art. 39 del contratto collettivo di settore vigente al momento della delibera impugnata consentiva alle parti il ricorso all’opzione arbitrale; non era accoglibile la domanda di nullità del lodo ex art. 829, 4°c., n.1, nella parte in cui ha dichiarato la conseguente ricostituzione di tutti i rapporti mutualistici preesistenti, in quanto la cooperativa non aveva eccepito nel corso dell’arbitrato che le conclusioni dell’altra parte esorbitavano dai limiti della convenzione arbitrale, come richiesto dall’art. 817, u.c., c.p.c.; il lodo era conforme al principio secondo il quale l’estinzione del rapporto di lavoro del socio di cooperativa poteva derivare dall’adozione della delibera di esclusione di cui costituiva conseguenza necessitata ex lege, o dal formale licenziamento (e solo in quest’ultimo caso vi era spazio per le tutele connesse all’estinzione del rapporto di lavoro); nella specie, nei confronti del B. non era stato adottato nessun atto concorrente di licenziamento, né la delibera di esclusione recava motivazione lavorativa in tal senso; non era rinvenibile uno specifico riferimento al rapporto di lavoro nella raccomandata inviata al socio con il quale la cooperativa si era limitata a comunicargli di avere deliberato la sua esclusione da socio; lo scioglimento del rapporto sociale determinava altresì la risoluzione dei rapporti mutualistici pendenti; non poteva dunque ritenersi che il rapporto di lavoro, se ascrivibile ai rapporti mutualistici pendenti, sia venuto meno anche in difetto di licenziamento, così che una volta annullata la delibera di esclusione il rapporto lavorativo si era ricostituito; anche aderendo all’orientamento che valorizza la natura autonoma e separata dei due rapporti (sociale e di lavoro), mancando un licenziamento nulla poteva essere disposto in ordine al rapporto di lavoro, mai venuto meno.
La cooperativa ricorre in cassazione con due motivi. Resiste con controricorso, E. B., quale erede di P.G.B., illustrato da memoria.
Motivi della decisione
Il primo motivo denunzia violazione dell’art. 2533 c.c., per aver la Corte d’appello pronunziato l’annullamento della delibera impugnata, presentando invece quest’ultima tutti i requisiti per essere considerata valida, cioè: è stata adottata dal consiglio di amministrazione, e comunicata al socio il quale ha potuto impugnarla in sede arbitrale, rilevando che la suddetta norma non contempla l’obbligo di motivare la delibera in questione.
Il secondo motivo denunzia violazione dell’art. 829, c.1, n.4, c.p.c., non per avere la Corte d’appello ritenuto che l’arbitro che ha deciso l’impugnativa del lodo dovesse pronunciare solo rispetto all’esclusione del socio, e che quindi quest’ultimo non avrebbe potuto determinare anche la ricostituzione di tutti gli altri rapporti mutualistici, compreso quello lavorativo.
Al riguardo, la ricorrente lamenta che l’arbitro, sulla base dell’art. 39 dello statuto, non avrebbe potuto decidere anche su questioni non riguardanti lo status di socio (tale disposizione dispone che sono devolute alla cognizione degli arbitri rituali, secondo le disposizioni di cui al d.lgs. n. 5/03, tutele controversie insorgenti tra soci o tra soci e società che abbiano ad oggetto diritti disponibili, anche quando sia oggetto di controversia la qualità di socio, le controversie relative alla validità delle deliberazioni assembleari).
Secondo la ricorrente, il socio impugnante era decaduto dalla possibilità di poter ricostituire il rapporto mutualistico, poiché avrebbe dovuto impugnare il licenziamento ex art. 6 l. n. 604/66 e poi, entro 180 gg. dall’impugnazione, adire ex art. 413 c.p.c. il giudice del lavoro competente per territorio, dimostrando i presupposti per sospendere, ex art. 295 c.p.c., il giudizio all’esito del procedimento volto ad accertare l’illegittimità del provvedimento di esclusione da socio (per poi riassumere la causa a seguito di un pronunzia favorevole).
E. B., quale erede di P.G.B., eccepisce l’infondatezza del ricorso in quanto la cooperativa non aveva eccepito nel corso dell’arbitrato che le conclusioni dell’altra parte esorbitavano dai limiti della convenzione arbitrale, come richiesto dall’art. 817, u.c., c.p.c., essendo dunque preclusa la possibilità d’impugnare il lodo nel procedimento in questione.
Il ricorso è infondato.
Il primo motivo (violazione art. 2533 c.c.) è inammissibile perché del tutto generico, essendosi il ricorrente limitato ad asserire che la delibera del 20 aprile 2016, di esclusione del socio dalla cooperativa era legittima, perché rispondente al modello legale. Va osservato, al riguardo, che il vizio della sentenza previsto dall'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., dev'essere dedotto, a pena d'inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell'art. 366, n. 4, cod. proc. civ., non solo con l'indicazione delle norme che si assumono violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l'interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, senza limitarsi a giustapporre alle argomentazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, quelle sostenute dal ricorrente.
Diversamente verrebbe ad essere impedito alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione (Cass., 29/11/2016, n. 24298; Cass., 05/08/2020, n. 16700; Cass. Sez. U., 28/10/2020, n. 23745; Cass. 18998/2021).
Il motivo di ricorso, peraltro, non dice neppure in quale punto, e sotto quale profilo, la sentenza impugnata si sarebbe posta in contrasto con l’art. 2533 c.c., o con l’interpretazione che ne ha dato questa Corte, avendo ¿ anzi ¿ affermato che la pronuncia, sul punto sarebbe conforme a quanto statuito da questa Corte, circa l’obbligo di motivazione della delibera di esclusione.
Il secondo motivo (violazione art. 829, n. 4 c.p.c.) è, in parte inammissibile ed in parte infondato. La Corte d’appello ha rilevato ¿ e sul punto non vi è una specifica impugnazione ¿ che il ricorrente non aveva dedotto, in sede arbitrale, che le conclusione della controparte eccedevano la convenzione di arbitrato, per cui il lodo non poteva essere impugnato per questo motivo (art. 829, n. 4, c.p.c.).
Inoltre, la censura è infondata, laddove assume che l’arbitro si sarebbe dovuto limitare alla pronuncia di diritto societario sulla legittimità, o meno, della delibera di esclusione, senza pronunciarsi sul ripristino del rapporto di mutualità e di lavoro, pronunce che avrebbero dovuto essere emesse dal giudice del lavoro, su ricorso dell’interessato.
Trattasi, per contro, di pronuncia meramente conseguenziale all’accertata ¿ da parte dell’arbitro ¿ illegittimità della delibera di esclusione. Peraltro, questa Corte ha affermato, al riguardo, che l'estinzione del rapporto di lavoro del socio di società cooperativa può derivare dall'adozione della delibera di esclusione, di cui costituisce conseguenza necessitata ex lege, o dall'adozione di un formale atto di licenziamento; solo in quest'ultimo caso, in presenza dei relativi presupposti, vi sarà spazio per l'esplicazione delle tutele connesse alla cessazione del rapporto di lavoro (risarcimento, tutela obbligatoria o reale, ex l. 604/1966: Cass. 35341/2021).
Pertanto, nella specie, una volta che il lodo è stato invalidato perché la delibera di esclusione del socio non era stata fondata su specifiche ragioni, ovvero per la mancata contestazione al socio delle inosservanze allo statuto societario, l’annullamento della delibera impugnata ha determinato necessariamente la ricostituzione dei rapporti mutualistici e del rapporto di lavoro, connessi funzionalmente allo status di socio.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida nella somma di euro 7.200,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% quale rimborso forfettario delle spese generali, iva ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater, del d.p.r. n.115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.