Svolgimento del processo
1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte d'appello di Bari confermava la condanna dell'imputato per abuso d'ufficio (art. 323 cod. pen.) in quanto, nella sua qualità di amministratore unico pro tempore di s.r.l.", in data 31/03/2017, stipulava un contratto di consulenza legale con l'Avv. il cui valore complessivo superava il limite di€ 40.000, previsto per i contratti c.d. sotto-soglia, senza far precedere la stipula dalla procedura ad evidenza pubblica.
2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso per cassazione l'imputato, per il tramite dell'Avvocato premettendo quanto segue.
2.1. La difesa aveva dedotto in appello l'insussistenza del fatto sotto i seguenti profili.
Quanto alla ritenuta violazione di legge, aveva eccepito come l'art. 36 d.lgs. 18/04/2016, n. 50 (c.d. codice dei contratti pubblici) non fosse applicabile a s.r.l.", che non è un'amministrazione pubblica bensì una società di capitali interamente partecipata dalla ASL di -e che svolge non già lavori pubblici bensì somministrazione di lavoro dipendente (fornisce all'ASL di - il personale per il 118 e per le pulizie). D'altronde, l'art. 3 d.l. 13/08/2011, n. 138, convertito in I. 14/09/1011, n. 148, prevede che le società affidatarie in house adottino, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi, nel rispetto dei principi di cui all'art. 35, comma 3, d. lgs. 30/03/2001, n. 165.
Ancora, aveva dedotto l'inapplicabilità dell'art. 36 d.lgs. n. 50 del 2016 cit. anche perché si trattava non di un appalto di servizi ma dell'affidamento intuitu personae di plurimi incarichi difensivi al medesimo legale. Il Tribunale avrebbe infatti pretermesso di considerare quanto riferito in dibattimento dall'Avv.• il quale aveva dichiarato di aver ricevuto ben quarantasei procure alle liti, dal momento che s.r.l." era stata investita di numerosi contenziosi eche l'imputato, amministratore unico della società, aveva conferito i mandati professionali ad un unico legale per non gravare troppo sul bilancio (nel 2017, la società aveva un organico di circa 1000 dipendenti).
In sede di appello si era precisato che il conferimento era stato, peraltro, regolare. Infatti: s.r.l." aveva ricevuto dall'ASL una short list di avvocati cui affidare incarichi per il patrocinio legale; la normativa interna prevedeva che tale la short list fosse utilizzabile anche per il conferimento di incarichi di consulenza in materia civile penale o amministrativa; il nominativo dell'Avv.• era regolarmente inserito nella lista.
Sempre sotto il profilo dell'assenza del requisito della violazione di legge, l'appellante aveva denunciato, infine, il mancato esame, da parte dei Giudici di primo grado, dei documenti versati in atti. Il Tribunale aveva ritenuto che, avendo l'appalto un valore superiore a€ 40.000 ma inferiore a€ 150.000, ai sensi dell'art 36, comma 2, lettera b) d.lgs. n. 50 del 2016 cit., si sarebbe dovuto provvedere alla previa valutazione di almeno cinque operatori economici, in base alla procedura ad evidenza pubblica semplificata. In realtà, tale procedura fu effettivamente seguita dall'imputato, come emerge dal contratto di consulenza legale tra s.r.l." e l'Avv. - in cui è precisato che furono comparativamente esaminati i curricula anche di altri cinque avvocati.
Era stato poi eccepito l'errore su legge extra-penale, in quanto l'imputato non poteva conoscere le linee guida ANAC del 2018 e la successiva giurisprudenza del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti, citate nella sentenza di primo grado, essendo stato il fatto compiuto il 31/03/2017.
Aveva quindi dedotto il difetto di dolo intenzionale, tautologicamente inferito dal Tribunale sulla base della ritenuta macroscopica illegittimità dell'atto, senza tener conto del fatto che l'imputato agì per ridurre le spese legali della società e non per avvantaggiare l'Avv.• (come desumibile da altro documento acquisito nel fascicolo del dibattimento, anch'esso non esaminato dal Tribunale, in cui scriveva al Direttore sanitario della ASL di chiarendo che il conferimento dell'incarico non solo era legittimo ma anche vantaggioso, in considerazione delle comprovate capacità professionali dello - Con il contratto, che prevedeva un corrispettivo di 3.166 euro mensili, oltre IVA ed accessori, per la durata di tre anni, egli limitò, dunque, mediante fissazione di un tetto mensile, il compenso da erogare, considerato l'elevato numero di vertenze, con evidente vantaggio per la società.
Aveva concluso, infine, rilevando il difetto sia del danno per la pubblica amministrazione sia dell'ingiusto vantaggio per il contraente.
2.2. Essendo state tali deduzioni disattese - prosegue il ricorrente -, la sentenza della Corte di appello è stata impugnata, per i seguenti due motivi:
2.2.1. Violazione della legge penale sostanziale e processuale in rapporto all'art. 323 cod. pen.
La Corte di appello ha richiamato l'art. 16, ult. comma, d. lgs. 19/08/2016, n. 175 (Testo unico delle società a partecipazione pubblica), come modificato dal d. lgs. 16/06/2017, n. 100, il quale stabilisce che le società in house sono tenute all'acquisto di lavori e servizi nel rispetto del d.lgs. 50/2016 cit. Tuttavia, tale norma è entrata in vigore dopo la stipula del contratto, avvenuto in data 31/03/2017, sicché, al momento del contratto, non sussisteva alcun obbligo di applicare il codice dei contratti pubblici.
La Corte di secondo grado, violando i principii in materia di appalto e il divieto di reformatio in peuis (mancava appello specifico del pubblico ministero sul punto), ha affermato, inoltre, che il contratto tra la società e l'Avv. -ha avuto addirittura ad oggetto non il conferimento di servizi legali, ma addirittura un contratto di lavoro dipendente, senza considerare le risultanze istruttorie (testimonianze) né il fatto che lo - sottoscrisse quarantadue mandati professionali e trascurando, come pure affermato in sentenza, che allo stesso fu riconosciuto il diritto agli onorari liquidati in sentenza, in caso di esito favorevole della lite.
La Corte d'appello (p. 7 sentenza) ha poi ritenuto inconferente il richiamo effettuato nell'atto di appello all'errore su legge extra-penale con riferimento all'art. 17, comma 1, lett. d) del codice dei contratti pubblici che, al punto 2, esclude che le procedure ad evidenza pubblica valgano anche per il conferimento di incarichi legali, come nel caso di specie.
2.2.2. Violazione della legge penale sostanziale, non avendo la sentenza impugnata risposto a quanto già dedotto sull'insussistenza della c.d. doppia ingiustizia, requisito espresso dell'art. 323 cod. pen.
3. Disposta la trattazione scritta del procedimento, ai sensi dell'art. 23, comma 8, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. dalla I. 18 dicembre 2020, e successive modificazioni, in mancanza di richiesta, nei termini ivi previsti, di discussione orale, il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.
4. La parte civile ASL per il tramite dell'Avvocato ha presentato conclusioni scritte.
Oltre a rilevare l'inammissibilità del ricorso, in quanto reiterativo di censure già motivatamente analizzate e respinte dalla Corte di appello, si osserva che le deduzioni difensive appaiono nel merito manifestamente infondate, per ragioni coincidenti con quelle indicate dal Giudice di secondo grado.
Si aggiunge che gli artt. 5 e 16 del d.lgs. n. 50 del 2016, in tema di società con partecipazione pubblica, fanno espresso richiamo alla disciplina prevista nel medesimo codice e che l'art. 192, comma 2, dello stesso d. lgs. impone alla pubblica amministrazione di motivare la scelta del ricorso all'autoproduzione, specificando le ragioni del mancato ricorso al mercato e le utilità ricavabili per la collettività da una gestione del servizio, per così dire, inter-organica, precisando pure come tale obbligo di motivazione concerna qualsiasi affidamento, a prescindere dal fatto che sia al di sotto o al di sopra della soglia di rilevanza comunitaria.
Infatti, sebbene per i rapporti sotto soglia la pubblica amministrazione goda di maggior flessibilità, l'operatore va individuato, salvi casi marginali di affidamento diretto, pur sempre nel rispetto dei principi di concorrenza e delle regole di rotazione degli inviti e di massima partecipazione, con particolare riguardo verso le piccole e le medie imprese. Dal che, l'obbligo di motivazione a prescindere dal valore del contratto.
5. Il ricorrente ha avanzato in aula, a mezzo del suo difensore, richiesta di discussione orale e di produzione di una memoria. Le richieste sono state respinte, poiché non formulate nei termini di legge.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato, sebbene per ragioni diverse da quelle dedotte dall'impugnante.
2. L'imputato, all'epoca dei fatti amministratore unico pro tempore di s.r.l.", società in house (con socio unico la ASL di_o_p_e-ra-n-te- nell'ambito dell'ausiliariato, pulizia e manutenzione dei presidi sanitari baresi, aveva stipulato, in data 31/03/2017, un contratto tra la società stessa e l'Avvocato conferendo a quest'ultimo mandato per le liti, ma incaricandolo anche del compimento di molti altri servizi.
In particolare, dalla sentenza di primo grado (che, trattandosi di c.d. doppia conforme, con quella impugnata forma un unico corpo motivazionale: Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218) si desume che all'Avv.• furono affidati i seguenti incarichi: recupero crediti in via stragiudiziale; rilascio di pareri orali e/o scritti; redazione di modulistica aziendale; stesura di schemi di contratti tipo; evasione della corrispondenza, anche telefonica; sessioni informative sia in studio che in azienda; risoluzione di problematiche relative al rapporto con OO.SS. e dipendenti; consulenza stragiudiziale nelle procedure disciplinari; assistenza in arbitrati; riunioni sindacali; riunioni con il socio unico ASL- consulenza per la progettualità per l'incremento di servizi; raccordo con gli altri avvocati a cui la società aveva affidato mandati ad !item.
Inoltre, nel contratto si prevedeva: che il professionista fosse tenuto a prestare l'attività di consulenza ogni qualvolta gli fosse richiesto e, comunque, almeno una volta alla settimana; che l'incarico durasse tre anni; che il compenso fosse di€ 3.116 mensili, oltre al rimborso forfettario; che nell'incarico fosse inclusa ogni eventuale attività giudiziale (il cui compenso era compreso nella remunerazione prevista), con l'aggiunta delle eventuali spese giudizialmente riconosciute nel caso di esito favorevole della causa.
3. Non può dunque revocarsi in dubbio - in considerazione dell'ampiezza dei suoi contenuti - la qualificazione del contratto in oggetto come appalto di servizi.
I Giudici del merito, dunque, correttamente hanno escluso si trattasse di singoli mandati ad !item conferiti intuitu personae, come preteso dal ricorrente.
Con argomentazione compiuta ed esente da vizi logici, hanno rilevato poi come, superandosi il tetto dei € 40.000 e non essendo stata fatta precedere la stipula del contratto dalla procedura ad evidenza pubblica, fosse stato violato l'art. 36 del c.d. codice dei lavori pubblici (d.lgs. n. 50 del 2016 cit.).
Ne desumono fosse integrata la condotta del delitto sotto il profilo della violazione di legge, anche nella formulazione, più tipizzata, attualmente vigente, dell'art. 323 cod. pen. (secondo cui le regole di condotta devono essere specifiche ed espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge, non dovendo da esse residuare margini di discrezionalità).
Reato, del resto, configurabile anche per la ricorrenza degli ulteriori suoi requisiti.
Nessun dubbio, in particolare, investe la qualifica soggettiva pubblicistica in capo all'imputato (essendo il profilo dedotto indirettamente - attraverso l'analitico richiamo compiuto nel ricorso all'atto di appello - sul punto sia sufficiente citare, per tutte, la recente Sez. 6, n. 23910 del 03/04/2023, Ciccimarra, Rv. 284759).
La pronuncia impugnata si sofferma poi sulla c.d. "doppia • ingiustizia" dell'evento, che riferisce al vantaggio economico procurato all'Avv. - in ragione della quantificazione del compenso, ma che potrebbe in ipotesi qualificare anche il danno procurato dalla pubblica amministrazione, per effetto della mancata applicazione della disciplina, all'epoca vigente, relativa all'evidenza pubblica della procedura.
Ravvisa, ancora, la sussistenza dell'elemento soggettivo, precisando, con argomentazione esente da vizi, che l'imputato aveva senz'altro le specifiche competenze tecniche per comprendere che la stipula di quella tipologia di contratto avrebbe dovuto essere preceduta dall'espletamento di una gara.
Desume la conferma del dolo dal carattere macroscopico dell'illegalità ed anche dai comportamenti, antecedenti e successivi, del di informare preventivamente la direzione della ASL di che aveva evitato della stipula del contratto e che, di fronte alla contestazione della sua irregolarità, anziché rivendicare la legittimità del suo operato, come sarebbe stato normale, si limitava a rappresentare che, per porvi rimedio, era sufficiente risolvere gli stessi.
Argomenta, in definitiva, sulla base di considerazioni non illogiche la sussistenza del delitto di abuso di ufficio.
4. Ciò premesso, e per completezza, va ricordato che, nelle conclusioni scritte, la parte civile ha insistito sull'inosservanza, da parte dell'imputato, dell'obbligo di motivazione, già previsto nel vecchio codice dei contratti pubblici ed ora ribadito all'art. 7, comma 2, d.lgs, n. 36/2023.
Tale aspetto è irrilevante.
A parte la considerazione che, come precisato nella sentenza di primo grado, il contratto faceva riferimento, in premessa, alla necessità di razionalizzare l'ufficio legale della società, assicurando una presenza costante all'interno della stessa e valorizzando, in proposito, i risultati in precedenza raggiunti dallo - la violazione della disposizione sull'obbligo di motivazione non era stata contestata nel capo di imputazione (in esso compariva soltanto il riferimento alla violazione dell'obbligo di trasparenza, venuto poi meno, avendo il Tribunale accertato che la pubblicazione sul sito Internet c'era stata).
Di conseguenza, tale violazione - ammesso pure che potesse assurgere a rilievo penale - non ha costituito oggetto dei due giudizi di merito.
5. La questione di diritto che qui rileva riguarda tutt'altro aspetto, vale a dire la persistente configurabilità del fatto come abuso d'ufficio, sotto il profilo della condotta e, in particolare, della violazione di legge, a seguito della recente modifica della normativa sugli appalti c.d. sotto-soglia.
Ribadita, infatti, la sicura qualificazione del contratto stipulato dal ricorrente quale appalto di servizi, già il d.l. 16/07/2020, n. 76, convertito con I. 11/09/2020,
n. 120 (c.d. "decreto Semplificazioni"), aveva consentito l'affidamento diretto per i servizi e le forniture entro l'importo di € 139.000. Si trattava, tuttavia, di misura
- per espressa previsione normativa - emergenziale temporanea, in quanto legata alla gestione del fenomeno pandemico e alle sue ripercussioni sull'economia del Paese, per la quale valeva, dunque, la regola del tempus regit actum, di cui all'art. 2, comma 5, cod. pen.
Ora, l'art. 50 del "nuovo" codice degli appalti (d.lgs. 31/03/2023, n. 36, entrato in vigore 1'01/04/2023) ha recepito l'innalzamento della soglia "a regime", portandola, per i servizi, a € 140.000 (lasciando ferma la facoltà per l'amministrazione di ricorrere alle procedure aperte o ristrette allo scopo di testare il mercato e/o attivare la concorrenza).
Nel caso che qui interessa, il valore complessivo dell'appalto di servIzI conferito all'Avv.• ammontava a€ 112.176,00, come si evince dalla sentenza di primo grado.
Oggi risulterebbe, dunque, sotto soglia.
Di conseguenza, si tratta di comprendere se la modifica della legge extra penale possa sortire effetti retroattivi, facendo venire meno la rilevanza penale del fatto sulla base del fenomeno noto come "successione mediata di leggi penali".
6. Si ritiene che la risposta debba essere positiva.
7. Questa Corte, infatti, ha chiarito che la modificazione della norma extrapenale richiamata dalla disposizione incriminatrice esclude la punibilità del fatto precedentemente commesso se tale norma è integratrice di quella penale (oppure ha essa stessa efficacia retroattiva) (Sez. U, n. 2451 del 27/09/2007, dep. 2008, Magera, Rv. 238197).
A tal fine, ha precisato che «l'indagine sugli effetti penali della successione di leggi extrapenali va condotta facendo riferimento alla fattispecie astratta e non al fatto concreto, sicché non basta riconoscere che oggi il fatto commesso dall'imputato non costituirebbe più reato, ma occorre prendere in esame la fattispecie e stabilire se la norma extrapenale modificata svolga in collegamento con la disposizione incriminatrice un ruolo tale da far ritenere che, pur essendo questa rimasta letteralmente immutata, la fattispecie risultante dal collegamento tra la norma penale e quella extrapenale sia cambiata e in parte non sia più prevista come reato», con l'effetto di ricondurre il fenomeno della "successione mediata" ad una abolitio criminis parziale».
8. A fronte della oggettiva difficoltà di distinguere le norme extrapenali integratrici da quelle che incidono soltanto su presupposti fattuali, senza attingere al disvalore del fatto (a tacer d'altro, in un obiter dictum, la citata sentenza a Sezioni Unite esclude esemplificativamente il fenomeno della successione proprio in relazione all'art. 323 cod. pen., sebbene in un caso inverso a quello in oggetto, e cioè quando il fatto fosse stato commesso in vigenza di leggi extrapenali alla cui stregua era in origine lecito, e successivamente mutate), spetta al giudice il delicato compito di verificare - anche considerando i beni tutelati - se l'elemento normativo interessato dal mutamento legislativo rivesta, nell'economia complessiva della fattispecie penale nel quale è inserito, un ruolo tale per cui il suo venir meno si riflette sulla stessa offensività del reato, negandola.
Ciò accade, tipicamente, nel caso di "norme integratrici".
Si verificherà, dunque, sempre un fenomeno di successione mediata, ad esempio, nel caso, ricordato dalle stesse Sezioni Unite, in cui sia depenalizzato o decriminalizzato il reato-fine di una fattispecie associativa.
Una successione mediata si realizzerà, inoltre, là dove una riforma legislativa produca riflessi su una norma definitoria che compare nella fattispecie penale, mutandone radicalmente il contenuto, o, ancora, quando ci si trovi al cospetto di una "norma penale in bianco", e cioè di una disposizione che si limita a comminare la sanzione e rinvii, quanto all'individuazione del precetto, ad altra fonte normativa, appunto, interessata dalla novazione legislativa.
8.2. In quest'ultima tipologia di situazioni rientra il caso in esame.
Avendo, infatti, l'art. 323 cod. pen. la struttura di una norma - prevalentemente - in bianco, la condotta può essere identificata soltanto mediante il riferimento alla violazione di leggi concernenti il comparto della pubblica amministrazione, sicché la legge extra-penale finisce con il riempire di senso il precetto penale.
Ne consegue che la modificazione della legge la cui violazione è richiesta dal tipo legale dell'abuso d'ufficio reagisce immediatamente sul giudizio di disvalore espresso mediante la posizione della fattispecie: nella vicenda concreta, facendolo venir meno.
In definitiva, a seguito della citata novella in punto di disciplina dei contratti pubblici e per la parte riconducibile a tale modifica, il fatto commesso dal ricorrente ha cessato di costituire reato, ex art. 2, comma 2, cod. pen.
9. La sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato. Le statuizioni civili vanno conseguentemente revocate.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato. Revoca le statuizioni civili.