
Caio veniva licenziato, per giusta causa, dalla società presso cui lavorava per aver abusato dei permessi 104.
- Il Giudice del gravame, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava l'illegittimità del licenziamento e condannava la s.r.l. alla reintegrazione e al pagamento di un'indennità risarcitoria. ...
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Milano ha accolto il reclamo proposto da (omissis) contro la sentenza del Tribunale di Busto Arsizio che aveva respinto la sua opposizione all’ordinanza del medesimo Tribunale che, nella fase sommaria del procedimento ex lege n. 92/2012, aveva rigettato l’impugnazione dallo stesso proposta del licenziamento per giusta causa intimatogli dalla convenuta (OMISSIS) s.r.l. in data 7.6.2017 a motivo dell’abuso dei permessi concessigli ex art. 33, comma 3, l. n. 104/1992, contestatogli dalla datrice di lavoro.
2. La Corte territoriale, in particolare, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava l’illegittimità del suddetto licenziamento; condannava la (OMISSIS) s.r.l. alla reintegrazione del (omissis) nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto pari ad € 2.817,47 mensili, dal giorno del licenziamento sino a quella dell’effettiva reintegrazione, entro il limite massimo di dodici mensilità, oltre a rivalutazione monetaria ed interessi legali dal licenziamento al saldo; condannava inoltre la (OMISSIS) al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento nei termini di cui all’art. 18, comma 4, l. n. 300/1970; oltre al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio, come liquidate.
3. Dopo ampia premessa in punto di diritto in base a diversi precedenti di legittimità, la Corte osservava che le condotte addebitate al ricorrente nella lettera di contestazione – ivi comprese quelle non esplicitamente esaminate nella sentenza reclamata, per essere state ritenute non abusive già nell’ordinanza conclusiva della fase sommaria del procedimento – per natura e circostanze di tempo e di luogo in cui sono state poste in essere, non erano in alcun modo idonee a far venir meno il carattere continuo, permanente ed esclusivo dell’assistenza prestata dal (omissis) al coniuge.
3.1. In particolare, la Corte riteneva che il carattere abusivo dovesse essere senz’altro escluso con riguardo alle giornate nelle quali il lavoratore allora reclamante aveva accompagnato la moglie presso una località di soggiorno marino, trascorrendo con lei, al mare, alcune giornate di permesso.
3.2. Quanto alle contestazioni relative all’avere il (omissis) utilizzato parte dei permessi oggetto di causa per portare il cane dal veterinario, la valutazione unitaria degli e(omissis)enti in dettaglio illustrati dalla Corte di merito la portava ad escludere, alla luce di principi interpretativi in precedenza richiamati, la rilevanza disciplinare della condotta ascritta al reclamante.
4. Avverso tale decisione la (OMISSIS) s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
5. Ha resistito l’intimato con controricorso e successiva memoria.
Motivi della decisione
1. Un primo motivo è rubricato: “Sulla nullità/illegittimità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992 e ss.mm., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.”. Secondo la ricorrente, la sentenza impugnata è censurabile in quanto i giudici del gravame hanno chiaramente violato e falsamente applicato il disposto dell’art. 33, comma 3, della L. n. 104 del 1992 per avere ritenuto che accudire il cane domestico rientri nel precetto normativo di “assistenza al disabile” comportando comunque una diminuzione dell’aggravio delle attività destinate ad essere alternativamente svolte dal coniuge disabile (asmatica) e, dunque, l’assenza dal lavoro sia legittima e rispettosa dei principi normativi ivi disposti con conseguente illegittimità del licenziamento.
2. Un secondo motivo è rubricato: “Sulla nullità/illegittimità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.”. Lamenta la ricorrente che la Corte d’appello erroneamente ha posto a fondamento della sua decisione, ritenendolo “fatto notorio”, in aperta violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., “che il soggiorno al mare, anche nei periodi invernali, possa portare giovamento ai pazienti asmatici”. Secondo la ricorrente, infatti, per aversi fatto notorio occorre che si tratti di un fatto che si imponga all’osservazione ed alla percezione della collettività, di modo che questa possa compiere per suo conto la valutazione critica necessaria per riscontrarlo, sicché al giudice non resti che constatarne gli effetti e valutarlo soltanto ai fini delle conseguenze giuridiche che ne derivano.
3. Un terzo motivo è rubricato: “Sulla nullità/illegittimità della sentenza per aver omesso l’esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.”. Per la ricorrente, l’impugnata sentenza merita, altresì, di essere cassata per aver la Corte di appello omesso di valutare un fatto decisivo – oggetto di discussione in tutti i precedenti gradi di giudizio – ovvero l’uso improprio del permesso utilizzato dal sig. (omissis) nella giornata dell’11 aprile 2017, dalle ore 15,00 alle ore 17,00, determinandone un errore e carenza motivazionale.
4. Un quarto motivo è rubricato: “Sulla nullità/illegittimità della sentenza per violazione del principio di disponibilità e di valutazione delle prove ex artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.”. Secondo la ricorrente, l’impugnata sentenza va cassata per aver il giudice di gravame derogato al principio dispositivo valutando quale fatto notorio che il soggiorno al mare, anche nei periodi invernali, possa portare giovamento ai pazienti asmatici.
5. Il primo motivo è privo di fondamento.
6. Per pacifica giurisprudenza di questa Corte può costituire giusta causa di licenziamento l'utilizzo, da parte del lavoratore che fruisca di permessi ex lege n. 104 del 1992, in attività diverse dall'assistenza al familiare disabile, con violazione della finalità per la quale il beneficio è concesso (Cass. n. 4984/2014; Cass. n. 8784/2015; Cass. n. 5574/2016; Cass. n. 9217/2016; Cass. n. 17968/2016; Cass. n. 9749/2016; Cass. n. 23891/2018, Cass. n. 8310/2019; Cass. n. 1394/2020).
In coerenza con la ratio del beneficio, l'assenza dal lavoro per la fruizione del permesso deve porsi in relazione diretta con l'esigenza per il cui soddisfacimento il diritto stesso è riconosciuto, ossia l'assistenza al disabile. Tanto meno la norma consente di utilizzare il permesso per esigenze diverse da quelle proprie della funzione cui la norma è preordinata: il beneficio comporta un sacrificio organizzativo per il datore di lavoro, giustificabile solo in presenza di esigenze riconosciute dal legislatore (e dalla coscienza sociale) come meritevoli di superiore tutela. Ove il nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile manchi del tutto non può riconoscersi un uso del diritto coerente con la sua funzione e dunque si è in presenza di un uso improprio ovvero di un abuso del diritto (cfrD.ata pubblicazione 09/05/2024 Cass. sez. VI, 16.6.2021, n. 17102; id., sez. lav., 19.7.2019, n. 19580; id., sez. lav., 25.3.2019, n. 8310; id., sez. lav., 13.9.2016, n. 17968), oppure, secondo concorrente o distinta prospettiva, di una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro (che sopporta modifiche organizzative per esigenze di ordine generale) che dell'ente assicurativo (anche ove non si volesse seguire la figura dell'abuso di diritto che comunque è stata integrata tra i principi della Carta dei diritti dell'unione Europea (art. 54), dimostrandosi così il suo crescente rilievo nella giurisprudenza Europea: in termini v. Cass. n. 9217 del 2016).
6.1. Inoltre, la verifica in concreto, sulla base dell'accertamento in fatto della condotta tenuta dal lavoratore in costanza di beneficio, dell'esercizio con modalità abusive difformi da quelle richieste dalla natura e dalla finalità per cui il congedo è consentito appartiene alla competenza ed all'apprezzamento del giudice di merito (in termini: Cass. n. 509 del 2018; v. anche Cass. n. 29062 del 2017; Cass. n. 30676 del 2018).
Nondimeno, in relazione a fattispecie concrete più simili a quella che ci occupa, questa Corte ha sancito che deve ritenersi illegittimo il licenziamento intimato al lavoratore per abuso dei permessi assistenziali ex art. 33 L. n. 104 del 1992 allorché sia emerso in corso di causa che il lavoratore aveva utilizzato tali permessi per attendere a finalità assistenziali in favore della ex moglie presso la propria abitazione (cfr. Cass. sez. lav., 20.8.2019, n. 21529, in cui fu respinta la tesi datoriale secondo cui vi era, quantomeno, un inadempimento parziale da parte del lavoratore, atteso che una parte della giornata in cui aveva fruito del permesso non era stata dedicata all’assistenza al disabile); ovvero, per contro, che la condotta del lavoratore nella fruizione dei permessi retribuiti previsti dalla L. 5 febbraio 1992, n. 104, consistente nell’aver svolto l’attività assistenziale soltanto per una parte marginale del tempo totale concesso, concreta un abuso in grave violazione dei principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto di cui agli artt. 1175 c.c. e 1375 c.c. e costituisce pertanto giusta causa di recesso del datore di lavoro (così Cass. sez. lav., 22.3.2016, n. 5574, già cit.).
Tutti tali principi sono stati, di recente, confermati anche in Cass. 24.8.2022, n. 25290, pure riferita a caso analogo a quello in esame, ponendosi in luce che i permessi ex art. 33, comma 3, L. n. 104/1992, da un lato, sono delineati quali permessi giornalieri (tre al mese), e non su base oraria o cronometrica, e, dall’altro, possono essere fruiti “a condizione che la persona handicappata non sia ricoverata a tempo pieno”, ma per assistere, in forme non specificate, segnatamente in termini infermieristici o di accompagnamento, una “persona con handicap in situazione di gravità”.
7. La Corte territoriale nella sua motivazione ha richiamato, tra le altre pronunzie di legittimità, anche Cass. 5.12.2017, n. 29062 e Cass. 19.7.2019, n. 19580; decisioni che, in tema di congedo straordinario ex art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001, hanno affermato che l’assistenza che legittima il beneficio in favore del lavoratore, pur non potendo intendersi esclusiva al punto da impedire a chi la offre di dedicare spazi temporali adeguati alle personali esigenze di vita, deve comunque garantire al familiare disabile in situazione di gravità di cui all’art. 3, comma 3, della l. n. 104 del 1992 un intervento assistenziale di carattere permanente, continuativo e globale nella sfera individuale e di relazione; pertanto, ove venga a mancare del tutto il nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile, si è in presenza di un uso improprio o di un abuso del diritto ovvero di una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro che dell’ente assicurativo.
Nella motivazione di Cass. n. 19580/2019 (cfr. in particolare il § 3.2., cui si rimanda) era stato spiegato che l’istituto del congedo straordinario ex art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151/2001 è diverso da quello dei permessi ex art. 33, comma 3, L. n. 104/1992, pur illustrando i punti di contatto tra i due istituti.
Ed è in quest’ottica di contiguità dei due istituti che deve essere considerata Cass., sez. lav., 19.6.2020, n. 12032 (pure citata dalla Corte territoriale), la quale, in relazione a fattispecie che concerneva una contestata fruizione abusiva di permessi previsti dall’art. 33, comma 3, L. n. 104/1992, ha richiamato anche Cass. n. 19580/2019.
8. La decisione della Corte di merito risulta in linea con i principi di diritto sopra esposti, riferiti specificamente ai permessi ex art. 33, comma 3, L. n. 104/1992.
8.1. In particolare, la Corte d’appello ha premesso che al lavoratore era stato contestato di aver abusato dei permessi in questione ottenuti per prestare assistenza al coniuge affetto da asma bronchiale grave qualificato come handicap in situazione di gravità.
La sua valutazione in un primo momento si è concentrata sui giorni 20, 21, 22 febbraio e 14 aprile 2017, vale a dire le “giornate nelle quali il reclamante ha accompagnato la moglie presso località di soggiorno marino, trascorrendo con lei, al mare, alcune giornate di permesso”.
Nell’escludere il carattere abusivo di tali condotte, ha osservato: “è notorio che il soggiorno al mare, anche nei periodi invernali, possa portare giovamento ai pazienti asmatici, come del resto comprovato sia dai plurimi pareri medici prodotti agli atti (irrilevante essendo che detti pareri siano successivi al fatto contestato), oltre che dalla certificazione – pre-esistente ai fatti contestati che sconsiglia alla disabile, sia pur in ambito lavorativo, la “permanenza in ambienti inquinati o con microclima sfavorevole”, oltre che il compimento di sforzi intensi (doc. 2 reclamante; cfr. anche doc. 7 e 8 reclamante)”. Quindi, ha svolto ulteriori considerazioni volte a spiegare perché “la presenza del marito durante il soggiorno al mare del coniuge avesse finalità assistenziali per quest’ultimo”, facendo riferimento ad ulteriore documentazione. E’ dunque evidente che si è trattato di una valutazione complessiva, in cui il dato desunto dalla comune esperienza è stato corroborato dalle altre emergenze istruttorie, che tutte hanno concorso alla formazione del convincimento del giudicante. Va peraltro rilevato che il ricorso al notorio rientra nel potere discrezionale del giudice di merito e può essere censurato in cassazione solo deducendo la inesatta nozione del medesimo (Cass.4428/2020).
9. Quanto ai giorni 14 e 31 marzo e 11 aprile 2017, rispetto ai quali al lavoratore era stato contestato di aver “utilizzato parte dei permessi oggetto di causa per portare il cane dal veterinario”, la Corte ha considerato che: “la valutazione unitaria di e(omissis)enti quali: l’impiego di una frazione di tempo assai limitata rispetto alla durata complessiva del permesso per il trasporto del cane dal veterinario (secondo quanto allegato dalla stessa reclamata nelle relazioni investigative depositate in atti ai doc. n. 2 e n. 3); l’utilizzo della restante frazione di permessi per attività domestiche e assistenziali a beneficio del coniuge; la circostanza che l’accudimento dell’animale domestico di famiglia da parte del marito comporti comunque una diminuzione dell’aggravio delle attività destinate ad essere alternativamente svolte dal coniuge disabile; il carattere urgente e non prevedibile delle cure veterinarie in concreto praticate (urgenza da ritenersi provata sulla scorta delle dichiarazioni scritte del veterinario di cui ai doc. 44 reclamante, comprovate e del referto dell’1.8.2016 sopra trascritte); porta ad escludere, alla luce dei sopra richiamati principi interpretativi, la rilevanza disciplinare della condotta ascritta al reclamante”.
10. Ora, la critica mossa dalla ricorrente nel primo motivo anzitutto non è all’evidenza aderente alla parte di motivazione da ultimo riportata.
Il complesso delle circostanze e considerazioni su riportate ha condotto la stessa Corte, non a ritenere che accudire il cane domestico rientri nel precetto normativo di “assistenza al disabile”, come invece sostenuto dalla ricorrente, bensì ad escludere “la rilevanza disciplinare della condotta ascritta al reclamante”.
Come si è visto, infatti, i giudici d’appello hanno, tra l’altro, apprezzato “l’impiego di una frazione di tempo assai limitata rispetto alla durata complessiva del permesso per il trasporto del cane dal veterinario”.
10.1. Si è in presenza, in definitiva, di una valutazione circa il grado di sviamento della condotta concreta rispetto al legittimo esercizio del diritto, che spetta al giudice del merito, e non è sindacabile direttamente in questa sede di legittimità (cfr. Cass. n. 21529/2019 già cit.).
11. Possono essere congiuntamente esaminati il secondo ed il quarto motivo.
12. Tali due censure sono prive di fondamento.
13. Esse presentano profili d’inammissibilità per le parti in cui propongono una differente valutazione delle risultanze processuali (cfr. facciate 17 e 18 del ricorso e note in calce, per il secondo motivo, e facciate 21-22 del ricorso, per il quarto motivo).
14. Appare, comunque, dirimente nel senso dell’infondatezza di tali censure il rilievo che, come ben risulta dal passo motivazionale in precedenza testualmente riportato (sub § 8.1.) nell’esaminare il primo motivo, la Corte di merito, pur avendo accennato ad un “notorio”, ha poi ritenuto comprovato che il soggiorno al mare, anche nei periodi invernali, potesse nella specie giovare, in base ad una serie di documenti precisamente indicati, consistenti in pareri medici, ma anche in una certificazione di cui ha evidenziato la preesistenza rispetto ai fatti contestati, e specificamente riferita alla persona disabile, affetta da asma bronchiale grave, e non ai pazienti asmatici in generale.
Per quanto riguarda, poi, la presenza del marito insieme alla moglie durante tali giorni di soggiorno al mare, la Corte distrettuale ha ritenuto che essa rivestisse finalità assistenziali anche in base ad ulteriore documentazione.
15. Risulta chiaro, dunque, da una corretta e completa lettura di tale parte di motivazione che i giudici del reclamo, in realtà, hanno fondato il loro convincimento non certamente sul “fatto notorio”, inteso come “fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabile e incontestabile” (cfr., ad es., Cass. n. 8580/2022). Tanto che i giudici di secondo grado in proposito hanno fatto leva su plurime fonti di prova documentale, che non vi sarebbe stato bisogno ovviamente di richiamare ed apprezzare, se il potenziale giovamento per i pazienti asmatici di soggiorni al mare, anche nei periodi invernali, fosse stato reputato di per sé fatto notorio e quindi incontestabile.
16. Infondato è anche il terzo motivo.
17. Nello svolgimento di tale censura il fatto decisivo di cui la Corte avrebbe omesso l’esame, indicato all’inizio nei termini in precedenza riportati, è piuttosto esposto come segue: <il sig. (omissis), nella giornata 11 aprile 2017 chiedeva ed usufruiva di un permesso ex art. 33 L. 104/92 di due ore dalle ore 15,00 alle 17,00 allo scopo di accompagnare la moglie “alla visita ortopedica alla Clinica Mater Domini di Castellanza alle 16,00”> (così alla fine della facciata 18 del ricorso).
In breve, la tesi che la ricorrente propone in tale censura è che le ore di permesso di quel giorno, chieste ed ottenute dal lavoratore per la suddetta finalità assistenziale, sarebbero state totalmente destinate ad accudire il cane di famiglia, sicché nessuna restante frazione del tempo del permesso era stata destinata dallo stesso ad attività domestiche e assistenziali a beneficio del coniuge.
18. Ebbene, in primo luogo la doglianza s’incentra anche su una diversa valutazione delle risultanze processuali a riguardo di quello specifico giorno (cfr. facciate 18 e 19 del ricorso per cassazione, e le relative note in calce).
18.1. In secondo luogo, come si è già visto nell’esaminare il primo motivo di ricorso, la Corte territoriale ha espresso una globale valutazione delle contestazioni “relative all’avere (omissis) utilizzato parte dei permessi oggetto di causa per portare il cane dal veterinario”, ivi compreso quindi il giorno 11.4.2017; valutazione nell’ambito della quale ha, però, ritenuto che la frazione di tempo dedicata all’accudimento del cane fosse, sempre nel complesso, “assai limitata”.
Pertanto, quand’anche il permesso dell’11.4.2017 fosse stato chiesto solo per le ore indicate dalla ricorrente e non per quell’intero giorno, non può ritenersi che tale circostanza non sia stata considerata dalla Corte di merito.
Neppure, inoltre, della medesima circostanza singola potrebbe assumersi la decisività per il giudizio, sia perché è rientrata nella ridetta valutazione unitaria in ragione della quale la Corte ha escluso la rilevanza disciplinare di questa parte delle condotte contestate per più giorni, sia perché la stessa Corte ha escluso del tutto il carattere abusivo delle altre condotte addebitate (relative ai giorni di soggiorno al mare).
19. La ricorrente, pertanto, di nuovo soccombente, dev’essere condannata al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo. La ricorrente è inoltre tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
20. Siccome considerati nella motivazione dati relativi alla salute di persona fisica terza rispetto alle parti, va adottata a riguardo la statuizione specificata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 5.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15% e I.V.A e C.P.A. come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi del controricorrente e del coniuge a norma dell’art. 52 del d.lgs. n. 196 del 2003, come modificato dal d.lgs. n. 101 del 2018.