
Confermato il licenziamento del dipendente per aver abusato dei permessi previsti dall'art. 33, comma 3, L. n. 104/1992 poiché il parente disabile si trovava ricoverato presso una struttura per anziani del tutto assimilabile a una struttura ospedaliera.
Il Giudice di secondo grado confermava la sentenza impugnata, ritenendo legittimo il licenziamento intimato al lavoratore per aver abusato dei permessi previsti dall'
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La Corte d'Appello riteneva infatti raggiunta la prova dell'abuso per tre giorni lavorativi, risultando che il parente disabile del lavoratore si trovava ricoverato presso una struttura di assistenza h 24 che poteva ritenersi del tutto assimilabile ad una struttura ospedaliera, e le sue visite peraltro erano state ristrette ad appena mezz'ora al giorno, dunque per un tempo limitatissimo in ciascuna delle giornate di permesso fruite. |
Il lavoratore impugna la decisione mediante ricorso per cassazione lamentando un'interpretazione troppo ristretta sulla normativa sui permessi 104.
Non è dello stesso avviso la Cassazione, che con l'ordinanza n. 5948 del 6 marzo 2025 dichiara inammissibile il ricorso.
Il ricorrente infatti non si è confrontato con una delle ragioni del rigetto, quella decisiva concernente il fatto che il parente disabile era ricoverato presso una struttura per persone anziane che era del tutto assimilabile ad una struttura ospedaliera, considerando l'assistenza sanitaria continua che la caratterizzava, e tale circostanza, ai sensi del comma 3 dell'
Nulla da fare dunque per il lavoratore, ormai ex.
Svolgimento del processo
1. La Corte di appello di Bologna confermando la sentenza del Tribunale della medesima sede, ha ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa intimato da s.p.a., in data 28.2.2020, a (omissis) per abuso dei permessi ex art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992.
2. La Corte di appello, ha, in sintesi, osservato, che - sulla base della documentazione e delle deposizioni acquisite - poteva ritenersi raggiunta la prova dell'abuso dei permessi ex art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992 fruiti in tre giornate lavorative risultando, da una parte, che il parente disabile era ricoverato in maniera permanente e a tempo pieno presso una residenza per anziani che (per l'assistenza fornita h 24:00 da parte di infermieri professionali, operatori socio sanitari qualificati e fisioterapisti, nonché per l'affiancamento di medici) era del tutto assimilabile ad una struttura ospedaliera e, dall'altra, che il lavoratore aveva prestato un tempo limitatissimo (non più di mezz'ora di visita, ossia di assistenza del tutto atecnica del familiare, considerate le condizioni di ricovero del parente) in ciascuna delle giornate di permesso fruite (in assenza di ulteriori attività riferibili, latu sensu all'assistenza).
3. Per la cassazione di tale sentenza il lavoratore ha proposto ricorso affidato a un motivo. La società ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
4. Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell'ordinanza nei successivi sessanta giorni.
Motivi della decisione
1. Con il primo ed unico motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., violazione degli artt. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992 e 2106 e 2119 c.c., avendo, la Corte territoriale, erroneamente interpretato l'art. 33 della legge n. 104 del 1992 nella misura in cui ha ritenuto inidoneo (ed anzi, configurante un abuso del diritto) l'assistenza parziale e residuale (circa mezz'ora ogni giorno di permesso) prestata dal lavoratore al parente disabile, considerato l'attuale approccio articolato e flessibile della giurisprudenza di legittimità. In ogni caso, l'abuso dei permessi deve ritenersi fattispecie assimilabile all'assenza ingiustificata dal posto di lavoro, evento che il CCNL applicato (Metalmeccanici Industria) punisce con il licenziamento solamente se protratto per quattro giorni consecutivi, con conseguente sproporzione della sanzione rispetto all'infrazione del caso di specie.
2. Il ricorso è inammissibile.
3. La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell'affermare che "il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere fa mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall'ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti. Ne consegue che, qualora fa decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra foro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali rationes decidendi, neppure sotto il profilo del vizio di motivazione." (Cass. S.U. 29.3.2013 n. 7931).
4. Nel caso di specie il ricorrente ha argomentato sulla erroneità della interpretazione dell'art. 33 della legge n. 104 del 1992, alla quale - secondo il lavoratore - è stata data una lettura del tutto restrittiva, secondo un orientamento ormai superato da più avveduta giurisprudenza di legittimità (che in sintesi, ritiene idonea un'assistenza al familiare disabile anche svolta in orari diversi da quelli dell'orario di lavoro), ma nulla ha dedotto sull'altra ragione del rigetto, affrontata per prima dalla Corte territoriale, ossia il ricovero del familiare disabile presso una struttura (residenza per persone anziane autosufficienti e non autosufficienti) del tutto assimilabile ad una struttura ospedaliera trattandosi di struttura che assicura assistenza sanitaria continuativa (come da accertamento di fatto, insindacabile in questa sede di legittimità, nonché in ossequio ad orientamento già espresso da questa Corte, cfr. Cass. n. 21416 del 2019); tale circostanza, come richiede l'incipit del comma 3 dell'art. 33 della legge n. 104 del 1999, esclude la sussistenza del diritto ai permessi giornalieri retribuiti.
5. L'omessa impugnazione di tutte le rationes decidendi rende inammissibili, per esistenza del giudicato sulla ratio decidendi non censurata, le censure relative alle singole ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime, quand'anche fondate, non potrebbero comunque condurre, stante l'intervenuta definitività delle altre non impugnate, all'annullamento della decisione stessa.
5. In conclusione, il ricorso è inammissibile e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza.
6. Sussistono le condizioni di cui all'art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002;
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.