Il Tribunale di Savona richiama i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità e dalla Corte costituzionale allo scopo di delineare il confine preciso tra gli strumenti di protezione previsti dal nostro ordinamento: interdizione, inabilitazione e amministrazione di sostegno, con focus sulla figura del tutore.
La vicenda
Chi si rivolge al Tribunale di Savona sono alcuni congiunti dell'interessata, una donna di 84 anni che in seguito ad un aneurisma con esiti di natura cognitiva e neurologica era stata dapprima ricoverata presso una struttura ospedaliera e poi, su consiglio del personale medico, collocata in una RSA. I ricorrenti chiedono che sia dichiarata l'interdizione della congiunta, essendo oramai evidente che la stessa fosse totalmente dipendente da terzi nello svolgimento degli atti della vita quotidiana. Proprio per questo, la Commissione medica la aveva infatti dichiarata invalida con necessità di assistenza continua, nonché portatrice di handicap grave, riconoscendole l'indennità di accompagnamento.
La disputa familiare
Si costituivano in giudizio altri congiunti della donna, i quali invece portavano in giudizio i miglioramenti cui era andata incontro nel tempo: ella, raccontano, non indossava più infatti il catetere e si alimentava ora da sola. Inoltre, non sussistevano i presupposti dell'interdizione perché la signora viveva in RSA e non aveva un patrimonio complesso da gestire (un libretto postale, una casa ove aveva abitato fino a 6 mesi prima, due pensioni, una di invalidità e una di vecchiaia che in tutto ammontavano ad euro 16mila circa l'anno, somma che pressoché coincideva con la retta annuale della RSA).
A questo punto, i familiari chiedono piuttosto la nomina di un amministratore di sostegno e, nel caso, che venga nominata tale la figlia.
Le condizioni dell’interessata
Occorre a questo punto capire quali siano le reali condizioni della donna, sottoposta ad esame proprio per stabilire quale misura sia più appropriata a tutelare i suoi interessi.
Dagli esiti dell'esame, in sostanza, era emerso che la malattia che affliggeva l'interessata era grave al punto da impedirle di rispondere adeguatamente alle semplici domande rivoltele, corroborando le conclusioni raggiunte dal perito della parte attrice che si era espresso dopo aver valutato la documentazione medica in atti. Egli infatti aveva constatato come il quadro clinico dell'interdicenda avesse evidenziato una grave compromissione cognitiva con un deficit a carico di tutte le funzioni superiori che ne comportava una disabilità grave richiedente assistenza h 24. Ella appariva totalmente incapace di provvedere ai suoi interessi, non in grado di determinarsi sui luoghi e sulle modalità di gestione del quotidiano, e nemmeno in grado di esprimersi con riguardo al consenso informato circa i trattamenti sanitari proposti, non avendo alcuna consapevolezza delle proprie condizioni di salute. In definitiva, la capacità di intendere e di volere era grandemente scemata.
La decisione del Tribunale
Il Tribunale di Savona, con sentenza del 20 maggio 2024, appoggia le conclusioni del perito di parte, concentrandosi su quale strumento sia più adeguato in termini di assistenza, cura della persona e gestione patrimoniale. In tal senso, richiama alcuni principi di diritto espressi dalla giurisprudenza di legittimità e dalla Corte costituzionale che evidenziano l'assoluta necessità di perimetrare i tre istituti di protezione delineati nel Codice civile: amministrazione di sostegno, inabilitazione e interdizione.
Si parte dalla figura del tutore, allo scopo di distinguerlo dall'amministratore di sostegno e dal curatore.
|
Come affermano i Giudici, il tutore ha sia la rappresentanza del tutelato, sia l'obbligo di prendersi cura della sua persona, partendo dal presupposto che egli è totalmente incapace in tal senso. Sotto tale profilo, quello del tutore è un ruolo eccezionale perché a nessun altro soggetto è consentito di sostituirsi a un individuo attraverso modalità così invasive e ciò si spiega per via della fonte da cui trae origine la legittimazione del tutore, che è di natura giurisdizionale collegiale. La decisione, poi, è assunta in presenza della difesa tecnica. Da qui, i compiti del tutore:
Per questi motivi, il primo atto della tutela è quello di acquisire un progetto personalizzato dal quale ricavare le necessarie cure e le indicazioni ai fini della collocazione del tutelato. Qui, la gestione del profilo patrimoniale acquista un rilievo strumentale rispetto alla cura della persona, potendo sempre il tutore operare su autorizzazione del giudice tutelare. |
L’interdizione come misura più adeguata alla tutela integrale della persona
Tornando al caso di specie, il Tribunale, preso atto delle condizioni in cui versa l'interessata e ritenendo l'amministrazione di sostegno non sufficiente a garantire una protezione “totale” degli interessi della donna, soprattutto sotto il profilo sanitario, preso atto altresì che i miglioramenti di cui parlano i congiunti non sono tali da giustificare una misura di protezione meno invasiva, si pronuncia l'interdizione quale unico strumento che assicura una protezione adeguata in termini di assistenza, cura della persona e gestione patrimoniale, nominando a tal fine una persona estranea alla famiglia allo scopo di scongiurare eventuali tensioni che potrebbero pregiudicare il tutelato.
Svolgimento del processo
Con atto depositato in data 26.2.2024, gli odierni ricorrenti hanno chiesto al Tribunale di pronunciare l'interdizione de la congiunta O. M..
A tal fine hanno esposto che “a seguito di un aneurisma sacciforme con esiti cognitivi e neurologici (lieve emiparesi sinistra), la Signora O. M., dal 14 Ottobre al 3 di Novembre 2023, è stata ricoverata presso l'Ospedale Santa Corona di Pietra Ligure e, alle dimissioni ospedaliere, su consiglio dei sanitari, veniva inserita in una RSA”.
Per i ricorrenti, la congiunta ad oggi “è vigile ma ha difficoltà a mantenere la concentrazione ed è rallentata sul piano ideomotorio, è totalmente disorientata nel tempo e nello spazio, allettata e portatrice di catetere vescicale, totalmente dipendente negli atti della vita quotidiana”.
La stessa, per questo, è stata dichiarata dalla competente Commissione medica invalida ultrasessantacinquenne con necessità di assistenza continua e portatrice di handicap in situazione di gravità, con riconoscimento dell’indennità di accompagnamento.
Ricorso e decreto di fissazione dell'udienza sono stati notificati all’interdicenda ed alle persone indicate dall'art. 712, II cm. c.c. nonché comunicate alla Procura de la Repubblica – SEDE.
L'interdicenda non si è costituita in giudizio e ne viene, pertanto, dichiaratala contumacia con la presente sentenza.
Si sono, invece, costituiti i congiunti (omissis), (omissis) i quali:
• hanno precisato che l’interdicenda ad oggi non ha più il catetere vescicale e si alimenta autonomamente;
• hanno negato la sussistenza dei presupposti per disporre l’interdizione, in quanto la sig.ra O. vive protetta in una RSA; non ha un patrimonio complesso da gestire, essendo titolare di un libretto postale di circa €. 7.000,00 e proprietaria della casa in cui ha abitato fino a 6 mesi fa. E null’altro; ha una rete familiare (tre figli e cinque nipoti residenti a Savona) a lei vicini, anche fisicamente; uno di questi ha delega per le operazioni sul libretto postale; dispone di due pensioni, una di vecchiaia e una di invalidità, per complessivi €. 1.270,96 netti mensili, per totali netti annui €. 16.427,72, contro un esborso mensile di RSA di €. 45,50 giornalieri, per complessivi €. 16.607,50 annui e così per una differenza annua fra avere e dare di - €. 179,78;
• hanno dedotto che, a tutto voler concedere, nella specie, possono ritenersi esistenti soltanto i presupposti dell’amministrazione di sostegno;
• hanno chiesto che, qualora dovesse aprirsi un’amministrazione di sostegno, AdS sia nominata la figlia dell’interessata (omissis), di professione commercialista e revisore legale nonché tutrice della sorella (omissis).
Proceduto all’esame della Sig.ra O.M. ed acquisita documentazione medica, la causa è stata rimessa al Collegio per la decisione.
Motivi della decisione
Nel merito, il Collegio osserva che O. M. ha 84 anni ed il di lei esame personale dimostra chela stessa è in grado di declinare le proprie generalità (nome, cognome e data di nascita), ma non è in grado di indicare la propria età né la propria residenza. Ella non ha saputo riferire l’anno in corso né dove si trovasse né cosa avesse fatto il giorno prima. Ha negato di essersi mai sposata, pur essendosi coniugata addirittura due volte. Non è riuscita a riferire il nome di tutti i propri figli né a fornire indicazioni sula propria pensione né sul proprio stato di salute né sui farmaci in uso.
In definitiva, gli esiti dell’esame hanno confermato che la malattia che affligge O. M. è di tale gravità da impedirle di rispondere in modo adeguato alle domande più elementari a lei rivolte e corroborano le conclusioni raggiunte dal perito di parte attrice, Dott. (omissis) il quale si è espresso dopo aver attentamente valutato la documentazione medica in atti.
Il Dott. (omissis) ha rilevato che “lo stato di coscienza è apparso vigile, ma caratterizzato da facile distraibilità con difficoltà a mantenere la concentrazione, appare rallentata sul piano ideomotorio. E’ in grado di riferire correttamente i propri dati anagrafici e l’età, ma fornisce l’indirizzo di residenza errato. E’ totalmente disorientata nel tempo e nello spazio. Non sa dire dove si trovi, né da quanto tempo…Non è in grado di fornire notizie anamnestiche, né tento meno la sua storia personale in modo completo ed esauriente, inquanto sono conservati solo pochi ricordi mnesici. Non sa riferire precedenti di pertinenza medica o chirurgica, se non un intervento chirurgico al seno, che non sa però collocare nel tempo…Ricorda di aver avuto due figli maschi, (omissis) e (omissis), dei quali non ricorda la data di nascita. Afferma(erroneamente) che (omissis) ha 40 anni e (omissis) 38. Non sa riferire quando si è sposata. Divorziata da molti anni, è convinta di vivere tuttora con il marito, il Sig. (omissis), del quale non ricorda i dati anagrafici ed afferma(erroneamente) che avrebbe 85 anni. In realtà di è sposata due volte e ha avuto cinque figli, due maschi e tre femmine. Non ricorda il livello di scolarità conseguito. Riferisce, correttamente, di avere gestito una attività commerciale nel campo dell’antiquariato, ma è convinta di avere svolto l’attività lavorativa fino a circa un mese fa, quando in realtà è in pensione da molti anni. L’eloquio spontaneo è assente, quello evocato è povero e ripetitivo, talvolta farfugliante. L’espressione e la comprensione appaiono sufficientemente conservate, seppur solo per contenuti semplici ed elementari…Le funzioni mnesiche risultano fortemente deficitarie…Nel corso del colloquio si rilevano diversi contenuti di pensiero di tipo confabulatorio. Il pensiero astratto è totalmente compromesso. Si rileva una mancanza di insight rispetto alla propria condizione di malattia e di grave disabilità”.
Il perito di parte ha accertato e concluso che l’esame clinico dell’interdicenda ha evidenziato una grave compromissione cognitiva, con deficit a carico di tutte le funzioni superiori; “le funzioni mnesiche sono compromesse, con deficit a carico della memoria recente, della memoria remota, di quella autobiografica e della memoria di lavoro. E’ totalmente disorientata nel tempo e nello spazio, E’ solo conservato l’orientamento personale. L’eloquio è conservato ma caratterizzato da contenuti semplici ed elementari. L’espressione è spesso poco comprensibile e farfugliante. Si rileva la presenza di confabulazioni. Sul piano neurologico si rilevano esiti di emiparesi sinistra e disfagia lieve. Si rileva una compromissione funzionale con disabilità grave che richiede una assistenza nelle 24 ore. Alla valutazione funzionale: ADL (Autonomie negli atti della vita quotidiana): 0/6 – nessuna funzione conservata; IADL (Autonomia negli atti strumentali della vita quotidiana): 0/8 – nessuna funzione conservata. Indice Barthel: 10/100(disabilità grave). Il quadro clinico depone per un disturbo neurocognitivo vascolare maggiore che causa una infermità mentale abituale. Non è in grado di compiere atti di ordinaria estraordinaria amministrazione senza l’assistenza di terza persona. E’ totalmente incapace di provvedere ai propri interessi. Non è in grado di determinarsi in merito al luogo in cui vivere e alle modalità di gestione del quotidiano. Non è in grado di esprimere compiutamente un consenso informato ai trattamenti sanitari non avendo alcuna consapevolezza delle proprie condizioni di salute. La capacità di intendere e di volere è grandemente scemata”.
Il Collegio ribadisce che, pur trattandosi di una perizia di parte, i rilievi e le conclusioni in essa contenuti appaiono perfettamente coerenti rispetto al materiale probatorio in atti e rispetto agli stessi esiti dell’esame dell’interdicenda.
Anche la documentazione medica citata dalla difesa F., (omissis) e (omissis), non smentisce le conclusioni de la predetta perizia di parte, ma al contrario le conferma ed avvalora laddove fa menzione del certificato reso in data 17.4.2024 dallo specialista in neurologia, Dott. (omissis)
Ed invero in detto certificato si legge, fra l’altro, a proposito dell’interdicenda: “paziente vigile, disorientata nel tempo e nello spazio, sufficientemente collaborante, malgrado discreto rallentamento psicomotorio” e poi ancora “assai ridotte le autonomia nelle attività quotidiane (ADL=1/6, IADL=1/8)”; “declino cognitivo digrado moderato”; “residua limitata facoltà cognitiva con solo parziale capacità di intendere e di volere”.
L’univocità del materiale probatorio in atti ha reso superfluo licenziare consulenza tecnica sullo stato dell’interdicenda.
Tanto chiarito, occorre valutare, ora, quale strumento risulti più opportuno a garantire un'adeguata protezione all’interdicenda in termini di assistenza, cura della persona e gestione patrimoniale.
Sul punto occorre richiamare i principi di diritto posti dalla giurisprudenza de la Corte Costituzionale e di Cassazione.
La Corte di Cassazione (cfr. tra le altre, Cass. Civ., n. 13584\06 e Cass. Civ., n. 22332/2011) e la Corte Costituzionale (sentenza n. 440\2005), hanno premesso l'assoluta necessità di "perimetrare" i tre istituti di protezione previsti al titolo XII del libro I del codice Civile: amministrazione di sostegno, inabilitazione, interdizione.
Non può omettersi una demarcazione tra le diverse figure al fine di evitare una confusione tra gli ambiti di operatività dei singoli strumenti laddove lo stesso Giudice Costituzionale (sentenza citata), ha ribadito che l'individuazione de lo strumento de la tutela in favore dell'inabile non possa essere lasciato, in assenza di chiari confini fra le diverse fattispecie, alla discrezionalità de l'organo giurisdizionale, in una materia potenzialmente lesiva della sfera di libertà e autodeterminazione dei singoli; ne sarebbero altrimenti compromessi i valori costituzionali fissati agli artt. 2,3 e 4 de la Costituzione nonché violate ulteriori garanzie del pieno dispiegarsi de la personalità.
Affrontando la questione dei poteri sula persona è doveroso richiamare i caratteri che identificano la figura del tutore alfine di delineare le diversità dalla figura de l'amministratore di sostegno e del curatore.
Il tutore (art. 357 c.c.) ha non solo la mera rappresentanza del tutelato (patrimoniale, di amministrazione), ma soprattutto ha l'obbligo di curarsi de la cura de la persona sul presupposto de la totale incapacità di quest'ultima.
Quello del tutore è un ruolo eccezionale perché a nessun altro soggetto, nel nostro ordinamento, è consentito di sostituirsi ad un altro individuo con modalità così invasive. Tutto ciò può avvenire in quanto il tutore trae la sua legittimazione da una pronuncia giurisdizionale collegiale, assunta in presenza di una difesa tecnica, che acclara che il processo patologico (infermità), stabile (abituale), che interessa una data persona, ne inficia la sfera cognitiva e/o volitiva al punto che, anche ove il medesimo riesca ad esprimere una sua determinazione, questa debba ritenersi viziata a causa de la patologia che lo affligge.
Da questa premessa discende che il tutore ha il dovere di prendersi cura del tutelato, di reperire un'adeguata collocazione (art. 371 c.c.) e di individuare modalità di assistenza (c.d. progetto personalizzato) coinvolgendo il tutelato ma anche contro la volontà del soggetto (volontà che per quanto sopra detto deve ritenersi viziata).
È per questi motivi che il primo atto della tutela consiste ne l'acquisire un progetto personalizzato dal quale ricavare le necessità di cura e indicazioni per la collocazione del tutelato (che non è in grado di fornirle). La gestione patrimoniale acquista un rilievo strumentale rispetto alla cura de la persona; il tutore deve operare ne l'ambito di un quadro autorizzato e controllato dal Giudice Tutelare (si pensi alla scelta fra permanenza al domicilio o collocazione in struttura).
Il tutore non può non preoccuparsi di un soggetto dichiarato incapace di gestire i propri interessi perché ne ha, ex lege, la responsabilità finanche di natura penale (art. 591 c.p. abbandono di persona incapace).
L'interdizione patisce di molti handicap storici ed etimologici, ma sancisce una relazione particolare fra tutore (rappresentante) e tutelato (analogamente al genitore nei confronti del figlio minore), cioè di rendere giuridicamente rilevante il dovere di preoccuparsi di un altro soggetto (non soltanto con una generica e indefinibile "presa in carico").
Tutto ciò comporta l'individuazione di un potere\dovere del tutore in ordine alla collocazione del tutelato, disciplinata espressamente dagli artt. 371 c.c. e negli artt. 357 c.c. 44 disp. att. c.c., e costituisce il fondamento del potere de l'intervento sostitutivo del tutore nei confronti del rappresentato sino ad arrivare alla c.d. collocazione senza il consenso del tutelato (es. residenzialità protratte).
La tutela, quindi, è l'unico strumento che legittimi una collocazione protratta, anche contro la volontà de l'interessato e che legittimi una sostituzione al paziente nel consenso a terapie e trattamenti sanitari e chirurgici (art. 37 Codice Medico Deontologico 16.12.2006 ma nello stesso senso anche il precedente) ovvero nella scelta di modalità assistenziali. In ciò consiste il quid iuris di protezione che l'interdizione può assicurare, ai sensi de l'art 414 c.c., in presenza di una condizione di abituale infermità cui necessita una rappresentanza integrale nella gestione di tutti propri interessi.
Nella specie, come accertato dalla documentazione medica versata in atti O. M. non è in grado di provvedere autonomamente alla gestione de la propria quotidianità; non è capace di garantirsi un'assistenza adeguata, individuare una collocazione adeguata né di rilasciare un consenso informato; non ha neppure consapevolezza del proprio stato di salute e dei farmaci da assumere; un amministratore o un curatore non potrebbe sostituirsi a O. M. nelle scelte terapeutiche ma neppure nella gestione di ogni atto di natura patrimoniale come, invece, nella specie, necessita.
Ritiene, pertanto, il Collegio come proprio in applicazione dei criteri posti dalla Suprema Corte e di valutazioni in ordine alla conformità della misura alle suindicate esigenze debba concludersi che, nella specie, tenendo conto del criterio c.d. finalistico, l'interdizione sia l'unico strumento che assicuri un'adeguata protezione ala convenuta in termini di assistenza, cura de la persona e gestione patrimoniale, risultando lo strumento de la amministrazione di sostegno a tali fini, strutturalmente inadeguato soprattutto con riferimento alla gestione della sfera personale.
Non a caso la ricorrente, sentita all’udienza del 23.4.2024, ha spiegato: “abbiamo anche vagliato l’opportunità di un’eventuale nomina di AdS ma la questione è che io vorrei che fosse individuata una figura che sia legittimata a prendere decisioni sotto il profilo sanitare quando ese dovesse verificarsi la necessità”.
I miglioramenti che l’interdicenda avrebbe riportato secondo le prospettazioni della resistente non paiono tali da giustificare una diversa misura di protezione, perché resta il fatto che O. M. non è in grado di provvedere autonomamente alla gestione de la propria quotidianità; non è capace di garantirsi un'assistenza adeguata, individuare una collocazione adeguata né di rilasciare un consenso informato.
Va quindi pronunciata, in presenza delle condizioni di cui all'art. 414 c.c., l’interdizione di O. M. non apparendo adeguata nessun’altra misura, tanto meno l’amministrazione di sostegno.
Per quanto riguardala nomina del tutore e pro-tutore, ferme restando le competenze del Giudice Tutelare, pare opportuno nominare fin d’ora una persona estranea alla famiglia e non riconducibile ad alcuno dei congiunti, onde evitare che le tensioni presenti all’interno dell’ambito familiare finiscano per pregiudicare il soggetto tutelato.
Va allora nominato quale tutore l’Avv. e quale pro tutore l’Avv. (omissis).
Le spese processuali anticipate, in considerazione de la natura de la causa, vanno integralmente compensate.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente decidendo nella causa n. 428/2024, così provvede:
DICHIARA
La contumacia di O. M. (C.F. ), nato a (PC) il /1939;
PRONUNCIA
l'interdizione di O. M. (C.F. ), nato a (PC) il /1939;
NOMINA
tutore l’Avv. ;
pro tutore l’Avv. ;
MANDA
alla Cancelleria per i conseguenti adempimenti;
DICHIARA
compensate le spese.