In presenza di abusiva reiterazione del contratto a termine, al lavoratore spetta un risarcimento «corrispondente ad un danno presunto, con valenza sanzionatoria qualificabile come “danno comunitario”, determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto, che non può comunque farsi derivare dalla perdita del posto».
La controversia trae origine dalla richiesta di un docente di materie non militari presso la scuola militare di dichiarare l'illegittimità dei termini apposti ai contratti di lavoro che erano intercorsi con il Ministero della Difesa, in forza di convenzioni, dal 1987 al 2007 nonché il ristoro del danno.
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Svolgimento del processo
1. R.M., cui succedeva nella qualità di erede M. R., ha agito in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma nei confronti del Ministero della Difesa.
Ha esposto di avere svolto attività di insegnamento delle materie non militari: riguardanti l’elettronica e le telecomunicazioni, presso Reparto Tecnico Operativo dell’Aeronautica Militare, in forza di convenzioni (a far data dal 1987), rinnovate di anno in anno, e dal 2004 di semestre in semestre, fino al 2007.
Ha chiesto che fosse dichiarata l’illegittimità dei termini apposti ai suddetti contratti di lavoro che erano intercorsi con il Ministero della Difesa e il ristoro del danno.
2. Il Tribunale di Roma ha accolto la domanda: ha affermato che tra le parti erano intercorsi nella sostanza rapporti di lavoro subordinato ed ha ritenuto l’illegittimità dei termini apposti ai contratti di lavoro stipulati successivamente all’entrata in vigore del d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368 (Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES), pubblicato sulla G.U. n. 235 del 9 ottobre 2001, per la mancanza della specificazione in essi delle ragioni tecnico organizzative, sostitutive o produttive che avrebbero dovuto legittimare l’apposizione dei termini, secondo quanto stabilito dal medesimo decreto legislativo.
Il Tribunale ha condannato il Ministero della Difesa al risarcimento del danno, ai sensi dell’art. 36, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), pubblicato sulla G.U. n. 106 del 2001, che ha quantificato in 15 mensilità di retribuzione.
3. La sentenza del Tribunale è stata impugnata dinanzi alla Corte d’Appello di Roma dal Ministero della Difesa, che sosteneva che tra le parti era intercorso un rapporto di lavoro autonomo in ragione delle convenzioni stipulate tra il lavoratore ed esso Ministero, e non un rapporto di lavoro subordinato.
Alla fattispecie non era applicabile – proseguiva il Ministero appellante - il d.lgs. n. 368 del 2001, che aveva dato attuazione alla direttiva 1999/70/CE, in quanto l’insegnamento nelle materie non militari presso le Scuole militari era disciplinato dalla legge 15 dicembre 1969, n. 1023 (Conferimento di incarichi a docenti civili per l’insegnamento di materie non militari presso scuole, istituti ed enti della Marina e dell’Aeronautica), pubblicata sulla G.U. n. 6 del 1970, e dal Decreto del Ministro della Difesa, di concerto con il Ministro per il tesoro e il Ministro per la pubblica istruzione, adottato in data 20 dicembre 1971 (Conferimento di incarichi a docenti civili per l’insegnamento di materie non militari presso scuole, istituti ed enti della Marina e dell’Aeronautica), pubblicato sulla G.U. n. 322 del 1973, che consentivano di affidare l’insegnamento a docenti esterni con incarichi annuali. Il Ministero contestava il risarcimento del danno.
La Corte d’Appello ha accolto in parte l’appello proposto dal Ministero della Difesa.
Il giudice di secondo grado, da un lato, ha confermato la sentenza del Tribunale in ordine alla sussistenza di rapporti di lavoro subordinato tra il docente e il Ministero della Difesa, atteso che, in mancanza di una espressa indicazione della qualificazione del rapporto, nelle convenzioni che erano state allegate, le pattuizioni intercorse tra le parti – che prevedevano l’attribuzione al docente della 13^ mensilità, delle ferie retribuite, del TFR e degli assegni del nucleo familiare e del versamento dei contributi previdenziali – deponevano per l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato.
Ma la Corte d’Appello, accogliendo il relativo motivo di appello proposto dall’Amministrazione, ha riformato la sentenza del Tribunale ritenendo inapplicabile nella specie il d.lgs. n. 368 del 2001 per essere la fattispecie disciplinata dalla normativa speciale dettata dalla legge n. 1023 del 1969, su cui non aveva inciso detto decreto legislativo.
La Corte d’Appello ha precisato, in proposito, che la disciplina speciale della legge n. 1023 del 1969 trovava fondamento nella particolare natura delle Scuole della Marina e dell’Aeronautica militare e nelle specifiche competenze dei docenti esterni concretamente impiegati, atteso che occorrevano conoscenze spesso mutevoli e diversificate e sottoposte a continui aggiornamenti per i mutamenti di tecnologie e dotazioni militari adottate nello specifico campo. A ciò conseguiva l’infondatezza della pretesa risarcitoria del lavoratore.
4. Manuel R. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza emessa tra le parti dalla Corte d’Appello di Roma, prospettando cinque motivi di ricorso.
5. Il Ministero della Difesa ha resistito con controricorso, con cui ha chiesto il rigetto del ricorso, ed ha proposto, a sua volta, ricorso incidentale per la cassazione della sentenza di appello, articolato in un solo motivo, con cui ha contestato che tra le parti siano intercorsi rapporti di lavoro subordinati a termine.
6. Il lavoratore ha resistito al ricorso incidentale con controricorso.
7. Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.
8. Con ordinanza interlocutoria n. 11037 del 2023 il Collegio ha disposto rinvio pregiudiziale alla CGUE sui seguenti quesiti:
– Se la clausola 5 “Misure di prevenzione degli abusi” dell’Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE del Consiglio, debba essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale, quale quella italiana di cui all’art. 2, comma 1, della legge n. 1023 del 1969, e dell’art. 1 del D.M. 20 dicembre 1971, che prevede il conferimento di incarichi annuali (ai sensi dell’art. 7 del D.M. 20 dicembre 1971 “per la durata massima di un anno scolastico”) di insegnamento nelle materie non militari presso le scuole, gli istituti e gli enti della Marina e dell’Aeronautica militare, a personale civile estraneo all’Amministrazione dello Stato, senza prevedere l’indicazione di ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo degli stessi (espressamente previsto all’art. 4 del medesimo D.M., nel prevedere una diminuzione della retribuzione per il secondo incarico), la durata massima totale dei contratti a tempo determinato e il numero massimo dei rinnovi, e senza prevedere la possibilità, per tali docenti di ottenere il risarcimento del danno eventualmente subito a causa di un siffatto rinnovo, in mancanza peraltro di un ruolo dei docenti di tali scuole, a cui accedere.
– se costituiscano ragioni obiettive, ai sensi della clausola 5, punto 1, della direttiva 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE, le esigenze di organizzazione del sistema degli Istituti, scuole ed enti della Marina e dell’Aeronautica militare, tali da rendere compatibile con il diritto dell’Unione europea una normativa come quella italiana sopra richiamata, che per il conferimento di incarichi di docenza a personale estraneo a detti istituti, scuole ed enti militari, non stabilisce condizioni per ricorrere al lavoro a termine in coerenza con la Direttiva 1999/70/CE e l’allegato Accordo quadro, e non prevede il diritto al risarcimento del danno.
9. La CGUE ha esaminato la suddetta domanda di rinvio pregiudiziale nell’ordinanza 8 gennaio 2024 causa C-278/23.
10. All’esito della comunicazione della decisione della CGUE, il ricorso è stato fissato per la trattazione all’udienza pubblica dell’8 maggio 2024.
11. Il Procuratore Generale ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso principale e il rigetto del ricorso incidentale.
12. Il ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’udienza pubblica.
13. La causa riservata in decisione veniva rinviata all’udienza del 5 giugno 2024, attesa l’astensione di un componente del Collegio per aver conosciuto del processo in altro grado di giudizio.
Motivi della decisione
1. Il ricorrente ha proposto i seguenti motivi di ricorso.
Primo motivo: Violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge n. 1023/1969 (ai sensi dell’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.).
Il ricorrente deduce che è intercorso con l’Amministrazione della Difesa un rapporto di lavoro subordinato, per l’insegnamento di materie non militari, con conseguente inapplicabilità della legge n. 1023 del 1969.
Erroneamente, pertanto la Corte d’Appello ha applicato l’art. 2 della legge n. 1023 del 1969, che prevede la possibilità per l’Amministrazione di attuare convenzioni di lavoro autonomo.
Ricorda come il rapporto di lavoro in questione si è protratto per venti anni, secondo le direttive, i programmi istituzionali, il calendario e gli orari predisposti dal reparto, con la corresponsione della tredicesima mensilità, l’erogazione degli assegni familiari, il pagamento degli aumenti stipendiali: tutte circostanze che escludono la sussistenza di un rapporto di lavoro autonomo.
Le convenzioni sottoscritte dalle parti non richiamavano la legge speciale n. 1023 del 1969 che contempla l’ipotesi di collaborazioni autonome della durata massima di un anno.
Secondo motivo: Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, n. 5, cod. proc. civ.).
Il ricorrente, dopo aver ricordato la giurisprudenza di legittimità sull’ambito dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., assume che la Corte d’Appello avrebbe omesso di verificare che le singole convenzioni stipulate non richiamavano la legge n. 1023 del 1969. La volontà delle parti è stata quella di costituire rapporti di lavoro subordinato.
Terzo motivo: Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, n. 5, cod. proc. civ.).
La Corte d’Appello non avrebbe valutato l’incidenza della volontà negoziale (di stipulare rapporti di lavoro subordinato) in riferimento alla normativa applicabile nel caso di specie che non poteva essere la legge n. 1023 del 1969.
Quarto motivo: Violazione e falsa applicazione dell’art. 1362, cod. civ. (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.).
La Corte d’Appello nell’esaminare le convenzioni avrebbe erroneamente ritenuto che le parti non avessero posto in essere rapporti di lavoro subordinato.
Quinto motivo: Violazione falsa applicazione dell’art. 2 della legge n. 1023 del 1969, degli artt. 1 e 10, del d.lgs. n. 368 del 2001, e dell’art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001 (ai sensi dell’art. 360, n.3, cod. proc. civ.)
Assume il ricorrente che trova applicazione nella specie il d.lgs. n. 368 del 2001, anche qualora si ritenesse applicabile la legge n. 1023 del 1969, atteso che nella stessa non vi sono disposizioni che siano incompatibile con la disciplina del contratto a termine, né il d.lgs. 368 del 2001 prevede fra i casi di esclusione dall’applicazione la suddetta disciplina.
Pertanto, nel caso della violazione delle norme poste a tutela dei lavoratori con riguardo ai contratti a termine, come nella specie per il ricorso abusivi agli stessi, seppure l’art. 36, del d.lgs. n. 165 del 2001, non consente la conversione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato, sussiste il diritto al risarcimento del danno, ai sensi dell’art. 32 della legge n. 183 del 2010, a prescindere dalla prova del danno.
2. L’Amministrazione, con il ricorso incidentale, ha dedotto la violazione ed erronea applicazione degli artt. 2239, 2094, nonché degli artt. 1362 e 1366, cod. civ., in relazione all’art. 360, n.3, cod. proc. civ.
È censurata la statuizione con la quale è stato ritenuto intercorrere tra l’Amministrazione e il lavoratore un rapporto di lavoro subordinato, basandosi sull’attribuzione allo stesso della tredicesima mensilità, del TFR, degli assegni familiari, dei contributi previdenziali. Nella specie invece vi erano state convenzioni dalle quali non emergeva la sussistenza di condizioni che erano indici della subordinazione.
3. Ha priorità logica l’esame del ricorso incidentale del Ministero della Difesa. Lo stesso non è fondato.
Ai sensi dell’art. 2 della legge n. 1023 del 1969 “All’insegnamento delle materie non militari presso le scuole, gli istituti e gli enti elencati nel primo comma dell'articolo 1 si può provvedere, mediante convenzioni annuali, con personale incaricato tratto dagli insegnanti di ruolo o non di ruolo abilitati di istituti e scuole statali, previo nulla osta del Ministero della pubblica istruzione, nonché dai magistrati ordinari, amministrativi e militari e dagli impiegati civili dell'amministrazione dello Stato in attività di servizio, ovvero con personale incaricato estraneo all'amministrazione dello Stato. Gli insegnanti di ruolo, impegnati nell'insegnamento di cui all'articolo 1 per tutto l'orario scolastico, possono essere impiegati anche nella posizione di comando”.
Con il D.M. dicembre 1971 sono stati stabiliti i criteri e le modalità per la scelta dei docenti e per la determinazione, nei limiti dello stanziamento dei competenti capitoli di bilancio, dei compensi da attribuire in relazione al livello didattico dei corsi di insegnamento.
Tali disposizioni sono state abrogate dal d.lgs. n. 66 del 2010 e dal relativo d.P.R. n. 80 del 2010 di attuazione.
Trovano applicazione i principi già affermati da questa Corte, Cass. n. 12361 del 2020, ai quali si intende dare continuità, secondo i quali i docenti incaricati sulla base di convenzione annuale ai sensi della legge n. 1023 del 1969 sono da ritenere pubblici impiegati, stante l’assoluta similitudine rispetto agli incarichi proprio dei professori della scuola pubblica, pacificamente di natura subordinata, nonché l'osservanza di un orario settimanale, la previsione dell'applicazione del trattamento di previdenza e quiescenza degli insegnanti statali e la soggezione alle direttive della Pubblica Amministrazione
In tal senso vanno considerate le previsioni contenute nella legge n. 1023 del 1969, e nel relativo provvedimento attuativo, circa la prestazione dell'attività sulla base di un orario, l’inserimento pieno nell’organizzazione lavorativa altrui, la remunerazione secondo le regole proprie del lavoro dipendente (v. assegni c.d. accessori e indennità di quiescenza) e la soggezione al medesimo regime di assistenza e previdenza dei docenti della scuola pubblica.
Del resto, questa Corte ha anch'essa delineato una definizione di pubblico impiego che va al di là della comune evenienza del rapporto privatizzato di cui al d.lgs. n. 165 del 2001, per abbracciare fattispecie eventualmente munite di connotazioni spurie (v., con riferimento ai portieri degli enti previdenziali, assoggettati a regolamento negoziale di stampo esclusivamente privatistico: Cass., S.U., 28 novembre 1990, n. 11459 e, più di recente, Cass. 18 novembre 2019, n. 29897; v. con riferimento ai collaboratori esperti linguistici presso le Università, l'art. 4, co. 2, d.l. 120/1995, riportati però al pubblico impiego, ad es. per quanto attiene al regime degli accessori sui crediti: Cass. 15 luglio 2019, n. 18897), e dunque almeno in parte destinatarie discipline speciali.
Dunque, il rapporto di lavoro, sulla base di convenzioni annuali, con i docenti civili di scuole militari, di cui alla legge n. 1023 del 1969, ora regolato dagli articoli 1035 e seguenti del decreto legislativo n. 66 del 2010, Codice dell'ordinamento militare, ha natura di rapporto di lavoro subordinato di pubblico impiego con la Pubblica Amministrazione, regolato dalle norme speciali per esso previste.
Nella specie, la Corte d’Appello, con accertamento di fatto che si sottrae a censura in questa sede, essendo supportato da specifica motivazione che considera e dà conto delle risultanze istruttorie, ha affermato che in mancanza di una espressa indicazione del nomen iuris nelle convenzioni allegate, doveva concordarsi con apprezzamento del Tribunale relativamente all’inequivoco elemento pattizio integrato dall’attribuzione - incontestata tra le parti- ai lavoratori della 13 mensilità, delle ferie retribuite, del TFR e degli assegni per il nucleo familiare e del versamento dei contributi previdenziali, circostanze che deponevano per l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato.
4. Può passarsi ad esaminare, congiuntamente in ragione della loro connessione, i motivi del ricorso principale.
5. Il ricorso è fondato, nei limiti di cui alla presente motivazione, e va accolto.
5.1. La CGUE con l’ordinanza 8 gennaio 2024, causa C-278/23 ha esaminato congiuntamente, le due questioni oggetto del rinvio pregiudiziale con cui si chiedeva in sostanza, da un lato, se la clausola 5 dell’accordo quadro debba essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale che esclude il personale civile incaricato dell’insegnamento di materie non militari nelle scuole militari dall’applicazione delle norme volte a sanzionare il ricorso abusivo a una successione di contratti a tempo determinato e, dall’altro, se le esigenze di organizzazione di tali scuole possano essere qualificate come «ragioni obiettive» che giustificano il rinnovo di siffatti contratti, ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro.
La CGUE ha affermato che dalla stessa formulazione della clausola 2, punto 1, dell’accordo quadro risulta che l’ambito d’applicazione di quest’ultimo deve essere inteso in senso ampio, poiché riguarda in generale i «lavoratori a tempo determinato con un contratto di assunzione o un rapporto di lavoro disciplinato dalla legge, dai contratti collettivi o dalla prassi in vigore di ciascuno Stato membro». Inoltre, si deve rammentare che la nozione di «lavorator[i] a tempo determinato» ai sensi della clausola 3, punto 1, dell’accordo quadro include tutti i lavoratori, senza operare distinzioni basate sulla natura pubblica o privata del loro datore di lavoro (sentenza del 13 gennaio 2022, MIUR e Ufficio Scolastico Regionale per la Campania, C-282/19, EU:C:2022:3, punto 69 e giurisprudenza ivi citata).
Atteso che l’accordo quadro non esclude alcun settore particolare dal suo ambito di applicazione, esso si applica quindi anche al personale assunto nel settore dell’insegnamento impartito presso istituti pubblici (sentenza del 13 gennaio 2022, MIUR e Ufficio Scolastico Regionale per la Campania, C-282/19, EU:C:2022:3, punto 70 e giurisprudenza ivi citata).
In presenza di rapporti di lavoro subordinato il lavoratore insegnante per le materie non militare presso le scuole militari rientra nell’ambito di applicazione dell’accordo quadro.
La clausola 5 dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale che esclude il personale civile incaricato dell’insegnamento di materie non militari nelle scuole militari dall’applicazione delle norme volte a sanzionare il ricorso abusivo a una successione di contratti a tempo determinato, se e in quanto tale normativa non contenga alcuna altra misura efficace per prevenire e, se del caso, sanzionare il ricorso abusivo a una successione di contratti a tempo determinato.
Esigenze di organizzazione di tali scuole non sono idonee a costituire «ragioni obiettive» che giustificano il rinnovo di siffatti contratti con il personale incaricato dell’insegnamento di tali materie, ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), di detto accordo quadro.
La CGUE ha poi affermato che la clausola 5 dell’accordo quadro non enuncia un obbligo generale degli Stati membri di prevedere la trasformazione dei contratti di lavoro a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato.
Pertanto, affinché una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, la quale vieta la conversione di una successione di contratti a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato, possa essere considerata conforme all’accordo quadro, l’ordinamento giuridico interno dello Stato membro interessato deve prevedere un’altra misura effettiva per prevenire e, se del caso, sanzionare l’utilizzo abusivo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato.
Per quanto riguarda il risarcimento del danno subito come misura che sanziona in modo effettivo l’abuso del ricorso a contratti di lavoro a tempo determinato, il principio su cui si fonda tale risarcimento e il principio di proporzionalità impongono agli Stati membri di prevedere un’adeguata riparazione, che deve andare oltre il risarcimento puramente simbolico, senza tuttavia eccedere la compensazione integrale.
5.2. Le Sezioni Unite civili di questa Corte, con la sentenza n. 5072 del 2016, hanno statuito proprio rispetto alla portata applicativa e alla parametrazione del danno risarcibile ai sensi dell'art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001, in presenza di abusiva reiterazione dei contratti a termine.
Le Sezioni Unite, con la citata sentenza, hanno avuto modo di chiarire che il pregiudizio economico oggetto e il risarcimento non può essere collegato alla mancata conversione del rapporto: quest'ultima, infatti, è esclusa per legge e trattasi di esclusione affatto legittima sia secondo i parametri costituzionali che secondo quelli comunitari. Piuttosto, considerato che l'efficacia dissuasiva richiesta dalla clausola 5 dell'Accordo quadro recepito nella direttiva 1999/70'CE postula una disciplina agevolatrice e di favore che consenta al lavoratore che abbia patito la reiterazione eli contratti a termine di avvalersi di una presunzione di legge circa l'ammontare del danno, che sarà normalmente correlato alla perdita di chance di altre occasioni di lavoro stabile. le Sezioni Unite, con la citata sentenza, hanno rinvenuto nell'art. 32, comma 5, della legge n. 183 del 2010, una disposizione idonea allo scopo. nella misura in cui, prevedendo un risarcimento predeterminato tra un minimo ed un massimo, consente pro tanto al lavoratore di essere esonerato dall'onere della prova, fermo restando il suo diritto di provare di aver subito danni ulteriori.
I principi enunciati dalle Sezioni Unite hanno trovato conferma nella sentenza della Corte di Giustizia 7 marzo 2018, C-494/16, Santoro. e nella sentenza della Corte costituzionale n. 248 del 2018. Va inoltre considerato che (Cass., Sezione Lavoro, ordinanza n. 23373 del 26 luglio 2022) l’immissione in ruolo del lavoratore costituisce misura sanzionatoria idonea a reintegrare le conseguenze pregiudizievoli dell’illecito costituito dall’abusiva reiterazione dei contratti a termine, a condizione che essa avvenga nei ruoli dell’Ente che ha commesso l’abuso e che si ponga con esso in rapporto di diretta derivazione causale.
6. Pertanto, in accoglimento del ricorso principale, la sentenza di appello va cassata con rinvio, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione che si atterrà, nell’ulteriore esame del merito della controversia, a tutti i principi su affermati e, quindi, anche al seguente: «il docente con rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato subordinato a termine con l’Amministrazione della Difesa per l’insegnamento di materie non militari presso le scuole militari in conformità alle statuizioni dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza 8 gennaio 2024, causa C-278/23) rientra nell’ambito di applicazione della clausola 5 dell’Accordo quadro e in conformità con il canone di effettività della tutela affermati dalla Corte di Giustizia UE (7 marzo 2018, C-494/16, Santoro) e con i principi enunciati dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 5072 del 2016, ai fini del risarcimento del danno spettante al lavoratore nell'ipotesi di illegittima o abusiva reiterazione di contratti a termine, deve farsi riferimento alla fattispecie di portata generale di cui all'art. 32, comma 5, della legge n. 183 del 2010, da configurare come corrispondente ad un danno presunto, con valenza sanzionatoria qualificabile come “danno comunitario”, determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto, che non può comunque farsi derivare dalla perdita del posto.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso principale nei sensi indicati in motivazione e rigetta il ricorso incidentale.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del presente giudizio di cassazione alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione.