Svolgimento del processo
1. Con ordinanza del 31 gennaio 2024, il Tribunale del riesame di Roma confermava il decreto di sequestro probatorio disposto dal PM nei confronti di P. L., indagato per il reato di cui all'art. 518-quater. cod. pen.
2. Avverso l'ordinanza impugnata nel presente procedimento, il predetto ha proposto ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo due motivi, di seguito sommariamente indicati.
2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di violazione della legge processuale in relazione agli artt. 157, 157-ter, 161, comma 4, cod. proc. pen., per l'omessa notifica dell'avviso di udienza e conseguente inefficacia del sequestro probatorio eseguito nonché in relazione all'art. 125, comma 3, cod. proc. pen. per motivazione apparente.
In sintesi, sostiene il ricorrente che la notifica dell'avviso dell'udienza camerale davanti al Tribunale del riesame sarebbe affetta da nullità in quanto eseguita mediante consegna al difensore ai sensi dell'art. 161, comma 4, cod. proc. pen. Premesso che l'indagato aveva provveduto a dichiarare domicilio presso l'indirizzo di (omissis), via (omissis), n. 97, e che i farabinieri incaricati della notifica da parte del Tribunale del riesame, ne avevano accertato l'irreperibilità al domicilio dichiarato, con conseguente notifica ex art. 161, comma 4, cod. proc. pen., sostiene la difesa, dopo aver operato una ricognizione normativa, citando le disposizioni a suo avviso rilevanti (art. 324, comma 2, cod. proc. pen., ritenuta erroneamente applicabile dai giudici del riesame; art. 157-ter, comma 3, cod. proc. pen., che invece, a dire della difesa, avrebbe dovuto essere applicata) che, avendo la stessa difesa dichiarato in data 30 gennaio 2023 di rifiutare la notificazione (dichiarazione che non sarebbe stata comunicata all'indagato come invece prescrive il comma 4-bis, dell'art. 161, cod. proc. pen.), la notifica non avrebbe potuto essere effettuata in alcun caso al difensore, ma si sarebbe dovuto seguire il disposto dell'art. 157 cod. proc. pen., con conseguente deposito presso la casa comunale, lasciandone avviso sulla porta e spedendo la raccomandata prevista, dalla cui ricezione la notificazione si sarebbe dovuta considerare come perfezionata.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all'art. 528-quater cod. pen. ed in relazione agli artt. 253 cod. proc. pen. e 125, comma 3, cod. proc. pen. sotto il profilo della motivazione apparente.
In sintesi, richiamato per stralcio il passaggio motivazionale con cui il Tribunale del riesame si pronuncia in relazione al fumus commissi delicti e trascritto il disposto dell'art. 528-quater cod. pen., si censura la motivazione del decreto di sequestro per aver lo stesso affermato, senza alcun riscontro, l'esistenza della provenienza delittuosa dei beni sequestrati, donde, in assenza della prova del delitto presupposto, difetterebbe la configurabilità dell'ipotizzata ricettazione di beni culturali. La stessa motivazione del sequestro, si aggiunge, renderebbe evidente la mancanza del pericu/um in mora, censurandosi l'affermazione contenuta nel provvedimento in cui afferma che quanto rinvenuto "sembra" essere reperto archeologico, sostenendosi che il riferimento del verbo "sembrare" non sia idoneo a rappresentare la natura di corpo del reato o di cose ad esso pertinenti, contestandosi che la necessità di ulteriori indagini in merito alla autenticità o meno di tali reperti ben avrebbe potuto e dovuto essere eseguita in loco mediante la presenza di esperti nominati ausiliari, trattandosi di copie, come dichiarato dall'indagato. Il sequestro, invece, si sarebbe esteso indiscriminatamente a tutti i beni repertati, mediante un'attività di vera e propria spoliazione del tutto sproporzionata rispetto all'illecito presunto. Richiamati, per stralcio, i contenuti della relazione della soprintendenza speciale archeologica e l'informativa del 23 gennaio 2024 redatta dal Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, e ribadito che era stato lo stesso indagato a dichiarare che, ove fosse stata accertata l'autenticità dei reperti sequestrati, essendo egli convinto essersi trattato di copie, questi avrebbe optato per la rinuncia del bene in favore della Soprintendenza, si sostiene che quanto sopra, se correttamente valutato, avrebbe dovuto condurre ad escludere il fumus del reato ipotizzato, non applicabile al caso in esame ratione temporis, atteso che l'apprensione da parte dell'indagato si sarebbe verificata in data antecedente al 23 marzo 2022, data di entrata in vigore della nuova disposizione incriminatrice, avendo l'indagato dichiarato che l'apprensione risaliva a lasciti ereditari. Infine, richiamata la disciplina applicabile alla categoria dei beni culturali, si sostiene che la detenzione, essendo anteriore alla data di entrata in vigore della I. n. 185 del 1902, escluderebbe in radice anche la stessa configurabilità del reato di omessa denuncia di beni culturali, non essendo nemmeno certa la culturalità del bene per l'assenza di qualsiasi accertamento in merito, peraltro aggiungendosi che il sequestro sarebbe stato illegittimamente disposto perché eseguito presso uno studio legale in assenza del P.M. e del rappresentante del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati in violazione dell'art. 103 cod. proc. pen. In ogni caso, a prescindere dalla consapevolezza e della configurabilità in punto di fumus dell'art. 173, D.lgs. n. 42 del 2004, si osserva che la normativa prevede la possibilità di sanare l'omissione della denuncia attraverso l'adempimento tardivo di cui all'art. 62, comma 4, D.lgs. n. 42 del 2004, risultando comunque il trasferimento del bene viziato a norma dell'art. 164, D.lgs. n. 42 del 2004.
Motivi della decisione
1. Il ricorso, trattato oralmente a seguito della richiesta di trattazione orale ai sensi dell'art. 24. d.l. n. 137 del 2020 e successive modifiche ed integrazioni, è complessivamente infondato.
2. Il primo motivo è infondato.
Alla luce degli atti compulsati da questa Corte, cui il Collegio ha fatto doverosamente accesso attesa la natura processuale dell'eccezione, si premette che l'indagato, in data 15 gennaio 2024 aveva ricevuto notifica dell'informazione sul diritto di difesa, il decreto di perquisizione e sequestro e verbale. Contestualmente era stato redatto verbale identificativo in cui veniva nominato l'attuale difensore di fiducia e dichiarato domicilio presso l'abitazione dell'indagato medesimo sita in Roma, via (omissis) n. 9'l ed indicata la mail avvocato@P.L..it per le notificazioni di cui all'art. 161, comma 1, cod. proc. pen., nuova formulazione, rendendo edotto l'indagato che le successive notificazioni, ad eccezione che per gli atti indicati dal richiamato comma 1 dell'art. 161, cod. proc. pen., sarebbero state eseguite con consegna al difensore.
Risulta, poi, quanto alla notifica dell'avviso di fissazione dell'udienza camerale, che la polizia giudiziaria in data 27 gennaio 2024 ricercava l'indagato presso il domicilio dichiarato con esito negativo, estendendo le ricerche presso il DAP e la banca dati delle forze di polizia, procedendo alla notifica dell'avviso dell'udienza camerale del 31 gennaio 2024 al difensore nominato di fiducia.
3. I giudici del riesame hanno respinto l'identica eccezione difensiva proposta in sede di legittimità, richiamando il disposto dell'art. 324, comma 2, cod. proc. pen., che, nella formulazione originaria - antecedente alle modifiche introdotte dall'art. 2, comma 1, lett. h), D.lgs. 19 marzo 2024, n. 3, che ha soppresso le parole: «o non si sia proceduto a norma dell'articolo 161 comma 2» - successiva alla decisione impugnata ed alla stessa impugnazione in questa sede, prevedeva che "Se la richiesta è proposta dall'imputato non detenuto né internato, questi, ove non abbia già dichiarato o eletto domicilio [: «o non si sia proceduto a norma dell'articolo 161 comma 2»], deve indicare il domicilio presso il quale intende ricevere l'avviso previsto dal comma 6; in mancanza, l'avviso è notificato mediante consegna al difensore".
I giudici del riesame hanno ritenuto - essendo all'epoca della decisione, vigente l'art. 324, comma 2, cod. proc. pen. che ancora prevedeva l'inciso successivamente abrogato - che il richiamo all'art. 161, comma 2, cod. proc. pen. (peraltro, abrogato dall'art. 98, comma 1, lett. a1D.lgs. n. 150 del 2022, a decorrere dal 30 dicembre 2022) legittimasse a ritenere rituale la notifica eseguita al difensore, in quanto seguita a vane ricerche presso il domicilio indicato, secondo la previsione dell'art. 161, comma 2, cod. proc. pen., nell'originaria formulazione, tuttavia già abrogata al momento della decisione, richiamato dall'art. 324, comma 2, cod. proc. pen., trattandosi di notifica successiva alla prima e dunque da effettuarsi al difensore, non potendo l'avviso di fissazione dell'udienza camerale essere assimilabile agli atti introduttivi del giudizio, incluso il giudizio di impugnazione per cui vi è un atto di citazione a giudizio.
4. Sul punto - premesso di dover condividere l'argomentazione dei giudici del riesame che hanno escluso l'applicabilità al caso in esame della disciplina dell'art. 157-ter, comma 3, cod. proc. pen. che, come reso palese dalle stesse parole impiegate dalla norma, si riferisce all'impugnazione "proposta dall'imputato o nel suo interesse", richiamando "la notificazione dell'atto di citazione a giudizio", essendo quindi chiara la non estensibilità all'istanza di riesame dell'indagato cui fa seguito l'avviso di fissazione dell'udienza e non la citazione a giudizio - si osserva come, nella procedura conseguente ad istanza di riesame, non sono consentiti nè il rinvio dell'udienza ne la declaratoria d'irreperibilità dell'imputato, entrambi incompatibili con i suoi termini strettissimi e con le sue finalità.
La norma dell'art. 324, comma 2, cod. proc. pen., prevede, in particolare, che ove la richiesta sia presentata da imputato non ristretto in vinculis, solo ove non abbia dichiarato od eletto domicilio è tenuto ad indicare (si intende, nella richiesta), "il domicilio presso il quale intende ricevere l'avviso previsto dal comma 6" della stessa disposizione (che, appunto stabilisce che "l'avviso della data fissata per l'udienza è comunicato al pubblico ministero e notificato al difensore e a chi ha proposto la richiesta"), stabilendo che "in mancanza" (si intende, della indicazione del domicilio nella richiesta di riesame) "l'avviso è notificato mediante consegna al difensore".
La norma non prevede, dunque, una disciplina particolare per l'ipotesi in cui l'indagato abbia già dichiarato domicilio, in cui rientra il caso in esame (atteso che, come visto, l'indagato aveva dichiarato il proprio domicilio in data 15 gennaio 2024), donde, per l'individuazione della normativa applicabile, deve necessariamente farsi riferimento ad altra disposizione di legge. Non, in particolare, alla disciplina generale in tema di notificazioni di cui all'art. 161. cod. proc. pen. Relativo al "domicilio dichiarato, eletto o determinato per le notificazioni", posto che tale disciplina riguarda, per espressa previsione di legge dopo le modifiche introdotte dal D.lgs. n. 150 del 2022, solo le notificazioni "dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare, degli atti di citazione a giudizio ai sensi degli articoli 450, comma 2, 456, 552 e 601 nonché del decreto penale di condanna" (comma 1), tant'è che il "nuovo" comma 4, attesa l'espunzione dell'incipit "se la notificazione nel domicilio determinato a norma del comma 2 diviene impossibile, le notificazioni sono eseguite mediante consegna al difensore", limita tale eventualità (ossia, quella della consegna al difensore), solo nei casi del comma 1 (e del comma 3, che riguarda l'ipotesi dell'imputato "scarcerato"), prevedendo che solo in caso di forza maggiore o caso fortuito si applichino le disposizioni di cui agli artt. 157 e 159, cod. proc. pen. e che, infine, nei predetti casi (ossia quelli di cui all'art. 161, comma 1 e 3, cod. proc. pen.) dell'elezione di domicilio debba essere data comunicazione al difensore.
5. Escluso, come anticipato, che la norma applicabile sia quella dell'art. 157-ter, cod. proc. pen., in quanto riguardante, per espressa previsione di legge le "notifiche degli atti introduttivi del giudizio all'imputato non detenuto", la norma applicabile, in base alla novella del 2022 (non trattandosi di "prima notificazione all'imputato non detenuto", per la quale sarebbe stata applicabile la previsione dell'art. 157, cod. proc. pen.), è quella dell'art. 157-bi:- cod. proc. pen. riguardante le "notifiche all'imputato non detenuto successive alla prima".
Che questa sia la norma applicabile, lo si desume agevolmente dallo stesso contenuto della disposizione in esame che, in particolare, prevede che "in ogni stato e grado del procedimento" - dunque, con previsione sicuramente applicabile alla fase dinanzi altribunale del riesame-, le notificazioni all'imputato non detenuto successive alla prima, "diverse" dalle notificazioni relative agli atti contemplati dal comma 1 dell'art. 1611 cod. proc. pen., debbano essere "eseguite mediante consegna al difensore di fiducia o di ufficio" (il comma 2, peraltro, riguarda l'ipotesi di nomina di difensore di ufficio, che nel caso in esame non rileva, essendo stato infatti già in data 15 gennaio 2024 nominato dall'indagato come difensore di fiducia l'attuale legale del ricorrente).
Dunque, nell'ordine, la procedura da seguirsi è la seguente: a) notifica al domicilio dichiarato od eletto; b) qualora non si riesca nell'intento di notificare l'avviso di udienza all'imputato, non trovato in nessuno dei luoghi da lui stesso indicati come domicilio - proprio perché si versa nella procedura conseguente ad istanza di riesame in cui non sono consentiti né il rinvio dell'udienza né' la declaratoria d'irreperibilità dell'imputato, entrambi incompatibili con i suoi termini strettissimi e con le sue finalità - non va applicata la procedura di cui al comma 4 dell'art. 161 citato, ma quella dell'art. 157-bis, comma 1, cod. proc. pen., che prevede l'esecuzione della notificazione mediante consegna dell'atto al difensore, di fiducia o d'ufficio.
Tale conclusione, ad avviso del Collegio, è del tutto logica, coordinandosi con quella "generale" dell'art. 324, comma 2, cod. proc. pen., come novellato, in quanto le esigenze di assicurare la rapidità di fissazione e la sicura rappresentanza dell'indagato dinanzi al Tribunale del riesame, che sono alla base di tale nuova disciplina - che, come anticipato, prevede che ove la richiesta sia presentata da imputato non ristretto in vinculis, solo ove non abbia dichiarato od eletto domicilio è tenuto ad indicare (si intende, nella richiesta), "il domicilio presso il quale intende ricevere l'avviso previsto dal comma 6" della stessa disposizione (che, appunto stabilisce che "l'avviso della data fissata per l'udienza è comunicato al pubblico ministero e notificato al difensore e a chi ha proposto la richiesta"), stabilendo che "in mancanza" (si intende, della indicazione del domicilio nella richiesta di riesame) "l'avviso è notificato mediante consegna al difensore" - valgono, a maggior ragione, nel caso in cui tale dichiarazione od elezione di domicilio da parte dell'indagato vi sia già stata, donde, in caso sia divenuta impossibile la notifica al domicilio dichiarato od eletto, è del tutto ragionevole e conforme alla ratio normativa, che l'avviso sia notificato mediante consegna al difensore, essendo assimilabili i presupposti a fondamento delle due ipotesi (mancanza dell'indicazione di domicilio nella richiesta di riesame, nell'ipotesi "ordinaria" di cui al comma 2 dell'art. 324 cod. proc. pen.; impossibilità di eseguire la notifica al domicilio indicato, nell'ipotesi sub iudice, con applicazione dell'art. 157-bis, comma 1, cod. proc. pen.), non potendosi ipotizzarsi una disciplina diversa, quale quella suggerita dalla difesa dell'indagato, per l'impossibilità di eseguire la notifica al domicilio indicato, la quale comporterebbe inevitabili lungaggini procedurali, incompatibili con le esigenze di una rapida celebrazione dell'udienza camerale dinanzi al Tribunale del riesame.
6. Deve, dunque, essere affermato il seguente principio di diritto: «L'avviso di fissazione de/l'udienza camerale dinanzi al tribunale del riesame, previsto dall'art. 324, comma 6, cod. proc. pen., ove chi ha fatto la richiesta non sia detenuto e non abbia precedentemente dichiarato o eletto domicilio deve essere comunicato, in caso di mancata indicazione nella richiesta del domicilio presso cui intende riceverlo a norma dell'art. 324, comma 2, stesso codice, dev'essere notificato mediante consegna al difensore; ove, invece, chi ha fatto la richiesta di riesame non sia detenuto ed abbia precedentemente dichiarato o eletto domicilio, la notificazione dell'avviso dell'udienza camerale di cui al comma 6 dell'art. 324, cod. proc. pen., nel caso in cui la notificazione al domicilio dichiarato od eletto divenga impossibile, dev'essere parimenti eseguita mediante consegna al difensore di fiducia o d'ufficio a norma dell'art. 157-bis, comma 1, cod. proc. pen.».
7. Facendo, quindi, applicazione di tale principio al caso di specie, è evidente che, non essendo stato reperito l'indagato al domicilio dichiarato, la notifica andava eseguita, come avvenuto, al difensore di fiducia, ma non a norma dell'art. 161, comma 4, quanto, piuttosto, a norma dell'art. 157-bis, comma 1, cod. proc. pen.
Ne discende, pertanto, che, essendo corretto l'esito decisorio del'fribunale del riesame, deve essere emendato solo l'errore di diritto nella motivazione dei giudici del riesame, ciò che, come è noto, non comporta l'annullamento del provvedimento impugnato, trattandosi di errore suscettibile di correzione ex art. 619, comma 1, cod. proc. pen., non avendo avuto alcuna influenza, tantomeno decisiva, sul dispositivo, essendo infatti stata correttamente rigettata l'eccezione per essere stata ritenuta rituale la notifica al difensore di fiducia, ancorché a norma dell'art. 161, comma 2, cod. proc. pen., norma come detto, tuttavia non applicabile perché già abrogata al momento della decisione, a nulla rilevando la circostanza che ad essa facesse rinvio il testo originario dell'art. 324, comma 2, cod. proc. pen., abrogato successivamente all'adozione della decisione dei giudici del riesame.
8. Anche il secondo motivo è privo di pregio.
11 motivo, infatti, a dispetto degli evocati vizi di violazione di legge, è in realtà orientato a sindacare la motivazione del provvedimento impugnato, censurandolo dunque per vizi non consentiti, atteso che, in questa fase, trova applicazione l'art. 325, cod. proc. pen. che consente la proposizione del ricorso per cassazione per il solo vizio di violazione di legge.
9. In merito al fumus commissi delicti, infatti, i giudici del riesame motivano puntualmente al § 2 dell'impugnata ordinanza (pag. 5), osservando come gli accertamenti preliminari e, soprattutto, le circostanze esposte dalla funzionaria della Soprintendenza in occasione del primo esame dei beni che aveva fatto, grazie al fascicolo fotografico, avevano consentito di concludere nel senso che gli stessi beni, mai dichiarati denunciati alla competente Soprintendenza e sprovvisti di documentazione attestante la legittimità del possesso, erano da ritenere autentici sia perché archeologici, sia perché, gli altri, forse provenienti da siti religiosi. I giudici del riesame, dunque, ritengono, correttamente, che i primi accertamenti avevano consentito di ipotizzare il fumus del delitto di ricettazione di beni culturali ex art. 518-quater cod. pen., considerata l'assenza di qualunque documentazione quanto al possesso - osservandosi, a tal proposito, come il presunto lascito ereditario ad oggi non risulta essere stato documentato, ciò che rende priva di pregio la doglianza difensiva sul punto acriticamente riproposta anche in sede di legittimità -, l'assenza di denuncia alle autorità, le caratteristiche dei beni e, dunque, si legge nell'ordinanza, in presenza di una pluralità di elementi che provavano indiziariamente la loro illecita provenienza, in quanto dimostravano che i beni erano da riferire a furti eseguitiVperpetrati da siti scavati clandestinamente.
10. Quanto sopra argomentato è del tutto sufficiente al fine di sorreggere la motivazione in tema di fumus delicti, essendo del tutto priva di pregio l'eccezione difensiva riguardante il mancato accertamento del delitto presupposto che ne escluderebbe la configurabilità.
Ed invero, è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che il presupposto del delitto di ricettazione (dunque, anche quella riguardante beni culturali), non deve essere necessariamente accertato in ogni suo estremo fattuale, poiché la provenienza delittuosa del bene posseduto può ben desumersi dalla natura e dalle caratteristiche del bene stesso (si veda, da ultimo: Sez. 1, n. 46419 del 18/09/2019, Rv. 277334 - 01).
E, nel caso di specie, la provenienza delittuosa è stata desunta proprio dalle condizioni dei beni sequestrati (precisandosi, come risulta dallo stesso provvedimento del Tribunale del riesame, che il sequestro, ad oggi, riguarda solo due anfore, e cioè due beni indicati chiaramente di natura archeologica).
11. Ne discende, pertanto, che tutte le ulteriori argomentazioni svolte dalla difesa dell'indagato, riguardanti il periculum, o la non applicabilità della nuova disposizione dell'art. 548-quater cod. pen. ai fatti pregressi (basata su una asserita antecedenza del possesso al 23 marzo 2022 per lascito ereditario, in realtà non documentata, come attesta il Tribunale del riesame) come, del resto, il ricco quanto superfluo riferimento ad una serie di norme del codice Urbani (d. lgs. n. 42 del 2004) riguardanti la disciplina dei beni culturali, l'accertamento della culturalità del bene, la procedura da seguirsi, etc., al fine di sostenere, al più, la configurabilità nella specie del reato di cui all'art. 173, D.lgs. n. 42 del 2004, non assumono, come detto, alcun rilievo, in presenza, rebus sic stantibus, di elementi idonei a ritenere sussistente il fumus del reato di ricettazione di beni culturali, per come ipotizzato dalla Procura della Repubblica, salvi ovviamente gli sviluppi investigativi nei quali, come è assolutamente ragionevole e normale, la difesa potrà far valere le argomentazioni a sostegno della propria tesi, allo stato, tuttavia, sprovvista di idoneo supporto probatorio.
12. Quanto, infine, all'asserita illegittimità del sequestro perché eseguito presso lo studio legale dell'indagato ed in assenza del P.M. e del rappresentante del Consiglio dell'ordine, trattasi di censura che, oltre ad essere relativa a sequestro diverso da quello oggetto di riesame (come si desume dalla lettura di pag. 3 dell'ordinanza, in cui si dà atto che presso lo studio legale vennero sequestrati solo due leoni in marmo e due putti, che non riguardano il provvedimento di sequestro attualmente sub iudice), in ogni caso è palesemente priva di pregio, posto che le guarentigie previste dall'art. 103 cod. proc. pen., non sono volte a tutelare chiunque eserciti la professione legale ma solo colui che rivesta la qualità di difensore in forza di specifico mandato conferitogli nelle forme di legge, essendo essenzialmente apprestate in funzione di garanzia del diritto di difesa dell'imputato; pertanto, esse non possono trovare applicazione qualora gli atti di cui all'art. 103 cod. proc. pen. - ispezioni, perquisizioni, sequestri - debbano essere compiuti nei confronti di esercente la professione legale sottoposto ad indagine (tra le tante: Sez. 5, n. 12155 del 05/12/2011, dep. 2012, Rv. 252147 - 01).
13. Al rigetto del ricorso segue ex /ege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.