Presentando la questione davanti alla Suprema Corte, il ricorrente non ottiene una riforma della decisione, in quanto, anche gli Ermellini ribadiscono il mancato assolvimento dell'onere probatorio gravante sull'attore/appellante, che deve dimostrare le modalità dell'incidente e la sua attribuibilità alla condotta dolosa o colposa, esclusiva o concorrente, del conducente dell'altro mezzo e, inoltre, che tale veicolo è rimasto sconosciuto. Infatti, secondo le regole generali del riparto dell'onere probatorio, non era la convenuta a dover dimostrare che il sinistro aveva avuto origine diversa da quella affermata dall'attore, ma era questo a dover dimostrare il fatto costitutivo della propria pretesa, vale a dire che l'evento era stato determinato dallo scontro con il veicolo rimasto non identificato: onere, nella specie non assolto.
Svolgimento del processo
1. A.A. ricorre con sei motivi, nei confronti della Allianz Spa (che resiste con controricorso, illustrato da successiva memoria), per la cassazione della sentenza in epigrafe con la quale la Corte d'Appello di Trieste, respingendone il gravame, ha confermato la decisione di primo grado che aveva rigettato la sua domanda risarcitoria per i danni subiti a seguito di sinistro stradale occorso in data 11 ottobre 2015, avendone ritenuto non provata la dedotta origine dallo scontro con veicolo rimasto non identificato, avuto in particolare riguardo:
- alle versioni contraddittorie rese dallo stesso danneggiato dapprima al momento dell'accesso al pronto soccorso (allorquando disse di aver perso il controllo dell'auto), quindi con la denuncia querela (nella quale parlò di tamponamento) e, infine, con l'atto di citazione introduttivo del giudizio civile (nel quale indicò la causa nell'urto tra la fiancata destra del veicolo non identificato in fase di sorpasso in curva e il passaruota posteriore sinistro della sua auto);
- alla mancanza di riscontri oggettivi che confermassero la tesi del tamponamento;
- alla inattendibilità dell'unico teste escusso.
2. Conformemente al primo giudice la Corte d'Appello di Bari ha rilevato in sintesi (v. pag. 16 della sentenza) che:
• la ricostruzione dell'incidente più credibile (perché di poco successiva ai fatti e certamente più genuina) era quella fornita dal A.A. al medico del Pronto Soccorso, peraltro avvalorata dai Carabinieri intervenuti sul posto (che hanno ipotizzato una perdita di controllo dell'auto Citroen C3 dovuta al manto stradale bagnato dalla pioggia);
• quella esposta nella denuncia-querela era smentita da un dato oggettivo (ovvero la mancanza sull'auto dell'appellante di danni compatibili con un tamponamento);
• quella dedotta in citazione era invece confermata solo dal teste B.B., che doveva però ritenersi inattendibile: a) per la diversa e incoerente descrizione del sinistro data dallo stesso ai Carabinieri; b) per essere stato indicato come testimone oculare per la prima volta nella denuncia-querela, non comprendendosi come mai il fratello del danneggiato non avesse invece indicato la sua presenza sui luoghi ai Carabinieri intervenuti per i sopralluoghi e nemmeno nei giorni successivi; c) il teste aveva affermato che sui luoghi vi era altro teste oculare, ovvero il conducente della Fiat Panda che si era fermato a prestare soccorso e aveva chiamato al telefono il fratello del A.A., che però stranamente non era stato indicato come testimone;
• l'appellante non era quindi riuscito ad adempiere al suo onere probatorio e cioè a dimostrare che il sinistro era stato causato da un altro veicolo rimasto sconosciuto.
3. È stata fissata per la trattazione l'odierna adunanza camerale ai sensi dell'art. 380-bis.1 cod. proc. civ., con decreto del quale è stata da rituale comunicazione alle parti.
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.
La controricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all'art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., "violazione e falsa applicazione sia dell'articolo 2735, primo comma, del codice civile che degli articoli 115 e 116 c.p.c. nonché dell'art. 2697 c.c." per avere la Corte d'Appello ritenuto più credibile la ricostruzione dell'incidente da lui fornita al Pronto Soccorso senza considerare che: si trattava di ipotesi diversa da quelle che, in alcuni precedenti della S.C., sono stati ritenuti configurare confessione stragiudiziale fatta ad un terzo; egli non aveva mai rilasciato alcuna dichiarazione orale circa la causa dell'incidente, né aveva firmato alcuna dichiarazione scritta; Allianz non aveva provato tale circostanza.
2. Il motivo è inammissibile e comunque infondato.
2.1. La censura non coglie quella che costituisce la principale e assorbente ratio decidendi posta a fondamento della sentenza, vale a dire il mancato assolvimento dell'onere probatorio gravante sull'attore/appellante di dimostrare le modalità del sinistro stesso e la sua attribuibilità alla condotta dolosa o colposa, esclusiva o concorrente, del conducente dell'altro mezzo e, inoltre, che tale veicolo è rimasto sconosciuto (Cass. n. 10540 del 19/04/2023, Rv. 667410 - 01; Cass. n. 10762 del 19/09/1992, Rv. 478760).
Pur ammettendo, per mera ipotesi, che, come sostiene il ricorrente, male abbia fatto la Corte d'Appello a ritenere provata la dichiarazione resa dal A.A. al P.S. e ad attribuire alla stessa l'efficacia di elemento di prova liberamente valutabile nel senso sopra detto, ciò nulla toglierebbe alla correttezza della decisione, atteso che, secondo le regole generali del riparto dell'onere probatorio, non era la convenuta a dover dimostrare che il sinistro aveva avuto origine diversa da quella affermata dall'attore, ma era questo a dover dimostrare il fatto costitutivo della propria pretesa, vale a dire che l'evento era stato determinato dallo scontro con veicolo rimasto non identificato: onere nella specie non assolto, secondo valutazione di merito non sindacabile in questa sede e peraltro nemmeno attinta da specifico motivo di critica.
2.2. Varrà comunque rilevare che la censura è anche palesemente destituita di fondamento.
Del tutto correttamente la Corte d'Appello ha ritenuto dimostrato il fatto storico della dichiarazione resa dal A.A. al P.S., in quanto di essa si dà atto nel referto della struttura sanitaria (v. sentenza, pag. 9).
Come questa Corte ha avuto modo più volte di chiarire, "il referto del pronto soccorso di una struttura ospedaliera pubblica è atto pubblico assistito da fede privilegiata e, come tale, fa piena prova sino a querela di falso della provenienza dal pubblico ufficiale che lo ha formato, delle dichiarazioni rese al medesimo, e degli altri fatti da questi compiuti o che questi attesti avvenuti in sua presenza restando, invece, non coperte da fede privilegiata le valutazioni, le diagnosi o, comunque, le manifestazioni di scienza o di opinione in essa espresse" (v., da ultimo, Cass. 13/06/2024, n. 16572, in motivazione, e, ivi richiamate, Cass. 16/09/2022, n. 27288, Rv. 665724; 24/09/2015, n. 18868, Rv. 636969).
Come altrettanto correttamente evidenziato nella sentenza impugnata, il valore di prova legale riguarda il solo dato estrinseco della dichiarazione, ossia il fatto che quella dichiarazione fu effettivamente resa e lo fu con quel contenuto rappresentato nell'atto, non anche il valore probatorio intrinseco della dichiarazione medesima, ossia l'idoneità della stessa a dar prova del fatto che si tratta di provare (nella specie l'origine autonoma e non coinvolgente altro veicolo dell'incidente).
In tale direzione a quella dichiarazione non può assegnarsi altra valenza che quella di confessione stragiudiziale resa ad un terzo, la quale, ai sensi dell'art. 2735, primo comma, secondo inciso, cod. civ., è liberamente valutabile dal giudice del merito (del tutto generica, meramente assertiva e comunque infondata è la tesi secondo cui invece tale non potrebbe considerarsi la dichiarazione de qua, del che però non si vede ragione essendone chiaramente integrata la fattispecie; i precedenti citati non affermano certo che le ipotesi ivi considerate sono da ritenere tassativamente le uniche nelle quali è possibile riconoscere una confessione stragiudiziale resa a un terzo).
A tale schema concettuale si è correttamente attenuta la Corte territoriale che, nel ritenere tale dichiarazione idonea a fondare il convincimento espresso circa l'origine dell'evento, null'altro ha fatto che esercitare il suo dovere/potere di libero apprezzamento della prova, come tale non sindacabile in questa sede.
Fermo restando, comunque, che, come si è detto, tale convincimento costituisce solo un argomento aggiuntivo e non dirimente del rigetto della domanda, il quale rimarrebbe comunque giustificato, indipendentemente da esso, dalla ritenuta mancata prova positiva della riferibilità causale dell'evento allo scontro con altro veicolo non identificato.
3. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, in subordine, con riferimento all'art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, lamentando l'"erroneo apprezzamento" da parte della Corte di merito "sull'esito delle prove", per avere essa tratto prova della dichiarazione suddetta sulla base di quanto verbalizzato nel referto di Pronto Soccorso, omettendo di considerare che la prova che tale dichiarazione fosse stata effettivamente resa, chiesta in comparsa dalla compagnia convenuta attraverso l'esame testimoniale della stessa dottoressa che quel referto aveva firmato, non era stata ammessa.
4. Il motivo è inammissibile, sotto vari profili.
4.1. Anzitutto, e in via assorbente, per la preclusione che deriva - ai sensi dell'art. 348-ter, ultimo comma, cod. proc. civ. (come sostituito dall'art. 54, comma 1, lett. a), D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134) - dall'avere la Corte d'Appello deciso in modo conforme alla sentenza di primo grado (c.d. doppia conforme), non avendo il ricorrente assolto l'onere in tal caso su di esso gravante di indicare le ragioni di fatto della decisione di primo grado ed in cosa queste si differenziavano da quelle poste a fondamento della decisione di appello (v. Cass. 22/12/2016, n. 26774; 6/08/2019, n. 20994; 15/03/2022, n. 8320); al contrario la piena conformità delle valutazioni di merito espresse da entrambi i giudici pare costituire dato pacifico in causa ed è comunque ricavabile da quanto esposto in sentenza e nello stesso ricorso.
4.2. In secondo luogo, e comunque, (il motivo è inammissibile) perché, quand'anche tale preclusione non operasse nella specie, il vizio di omesso esame non è dedotto nei termini in cui la pacifica interpretazione di questa Corte lo dice deducibile.
Occorre al riguardo rammentare che, ai sensi dell'art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ. quale risultante dalla modifica introdotta dall'art. 54, comma 1, lett. b), D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 (applicabile ai ricorsi proposti avverso sentenze depositate dall'11 settembre 2012), dà luogo a vizio della motivazione sindacabile in cassazione l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia) e che, in tale nuova prospettiva, l'omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U 7/04/2014, n. 8053; Id. 22/09/2014, n. 19881).
Nella specie, non è in alcun modo indicato un fatto dalle indicate caratteristiche la cui considerazione sia stata omessa dal giudice a quo, lamentando piuttosto il ricorrente, ben diversamente, l'"erroneo apprezzamento" delle "prove raccolte" che è critica certamente non riconducibile all'evocato paradigma.
4.3. In terzo luogo, ma trattasi ancora una volta di rilievo preliminare e assorbente, il motivo è inammissibile perché investe un passaggio motivazionale di rilievo solo marginale e non fondante della decisione, che rimane comunque retta dal ritenuto mancato assolvimento dell'onere probatorio gravane sull'attore/appellante.
5. Con il terzo motivo il A.A. denuncia, con riferimento all'art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e dell'art. 2729 cod. civ., per avere la Corte d'Appello ritenuto non integrata la fattispecie di cui all'art. 283, comma 1, lett. a), cod. ass. sulla scorta di una serie di elementi indiziari privi della necessaria precisione, gravità e concordanza richieste dall'art. 2729 c.c.
Lamenta che erroneamente la Corte d'Appello ha ritenuto che il Tribunale bene avesse fatto a considerare la dichiarazione al P.S. alla stregua di dichiarazione stragiudiziale fatta al terzo e ne avesse pertanto tenuto conto come "elemento indiziario utile ai fini della ricostruzione della dinamica del sinistro", avendo omesso di considerare che egli in realtà non aveva mai rilasciato quella dichiarazione, "e tutto ciò per le seguenti ragioni" (così a pag. 53 del ricorso, in apertura di un lungo elenco di proposizioni che occupano le pagine seguenti fino a pag. 60 e che qui si sintetizzano come segue):
a) come risulta dal referto, al momento del suo arrivo al P.S. egli non era "collaborante";
b) solamente in data 27/10/2015 veniva sciolta la prognosi riservata;
c) in data 16/12/2015 aveva presentato denuncia-querela nei confronti di persone da identificare, esponendo che nell'occorso era stato tamponato da un autoveicolo che sopraggiungeva da dietro;
d) B.B., indicato nella denuncia-querela, veniva sentito dai Carabinieri della Legione Carabinieri Puglia Stazione Compagnia di M in ordine alla dinamica del sinistro e aveva confermato che una Peugeot di colore rosso, nel sorpassare la Citroen del A.A., l'aveva "toccata" sulla parte posteriore sinistra;
e) lo stesso B.B., escusso in qualità di teste nel giudizio di primo grado, aveva descritto - con "dovizia di particolari" come riconosciuto dal Tribunale - le modalità dell'incidente;
f - i) in particolare, il teste aveva dichiarato che: il mattino dell'11/10/2015 stava piovendo; l'auto condotta dal A.A., dopo essere stata urtata dalla Peugeot, si era girata ed era andata ad urtare con il tettuccio vicino al tronco di un ulivo che si trovava dentro il fondo adiacente; dopo cinque minuti era arrivato sul posto a prestare soccorso il fratello ed aveva dato una mano per spingere l'autoveicolo in posizione orizzontale, era quindi entrato nell'auto e, dopo aver sbloccato la cintura, aveva estratto dall'abitacolo il malcapitato occupante (circostanze tutte confermate anche dalla relazione dei Carabinieri);
j) Allianz non aveva provato che, giunto al P.S., avesse reso la dichiarazione di cui i giudici di merito hanno tenuto conto, non essendo stata ammessa la prova per testi di cui aveva fatto richiesta, peraltro non reiterata nelle conclusioni.
6. Il motivo è inammissibile, sotto vari profili.
6.1. Anzitutto, e in via assorbente, perché anch'esso investe affermazione che, nell'economia della sentenza, ha rilievo solo marginale e non fondante (valgano le considerazioni già sopra svolte ai parr. 2.1. e 4.3).
6.2. In secondo luogo, perché non si confronta in alcun modo con la decisione, la quale non ha affatto ricavato il convincimento che la ripetuta dichiarazione fu effettivamente resa da un ragionamento probatorio di tipo presuntivo ma ben diversamente, come pure s'è detto, dal referto del P.S. ove si attestava che quella dichiarazione e in quei termini era stata resa dal A.A. al medico ivi presente e ciò, come detto, con valore di prova legale. Del tutto fuori segno, dunque, è l'argomentare censorio circa la violazione dei requisiti della prova presuntiva dettati dall'art. 2729 cod. civ.
6.3. Non è dato comprendere, poi, la correlazione logico argomentativa dei riferimenti (sui quali si dilunga per gran parte l'illustrazione del motivo) alla denuncia querela ed alla deposizione del teste B.B. con il tipo di vizio denunciato e il suo specifico obiettivo.
È appena il caso di rammentare che detti elementi istruttori sono stati dalla Corte d'Appello ritenuti inidonei ad assolvere l'onere probatorio gravante sull'attore/appellante, il teste B.B. in particolare per essere stato considerato inattendibile. Ciò con motivazione che non viene attinta in ricorso da alcuno specifico motivo di censura, tanto meno riconducibile ad alcuno dei vizi cassatori.
7. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all'art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. nonché dell'art. 2697 cod. civ. per avere la Corte d'Appello "fondato il proprio convincimento non sulla base delle risultanze istruttorie ma su fatti impeditivi che non sono stati provati dalla difesa della Allianz Spa" (fatto impeditivo essendo considerato, nella prospettazione censoria, la dichiarazione confessoria fatta al P.S. che la Corte d'Appello ha ritenuto acquisita al processo): nella successiva illustrazione si ribadisce, ripetutamente (probabilmente per un disattento copia-incolla ripetuto tante volte dello stesso testo), che Allianz non aveva provato che il A.A. avesse reso quella dichiarazione, la relativa richiesta di prova per testi non essendo stata ammessa, e si richiamano di contro le deposizioni del teste B.B.
8. Con il quinto motivo la medesima ripetitiva doglianza viene dedotta con riferimento all'art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., prospettandosi con essa vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
9. Entrambi detti motivi sono inammissibili.
Vale in tal senso, anche per essi, l'assorbente rilievo dell'essere essi indirizzati verso argomentazione aggiuntiva e non dirimente, non essendo invece attinta da alcuno specifico motivo la ratio fondante rappresentata dal mancato assolvimento dell'onere probatorio gravante sull'attore.
È appena il caso di soggiungere che: a) la dichiarazione confessoria non è "fatto impeditivo" del diritto reclamato (al risarcimento ex art. 283 lett. a cod. ass.), ma elemento di prova ritenuto in sentenza idoneo a dimostrare un fatto diverso e incompatibile con il fatto costitutivo di quel diritto, fermo restando che comunque di tale fatto costitutivo l'attore, che ne era onerato, non ha offerto prova idonea; b) la fonte di prova da cui è tratto quell'elemento è stata correttamente ritenuta essere rappresentata dal referto del P.S., del tutto irrilevante rimanendo che la prova per testi chiesta al riguardo da Allianz non fosse stata ammessa; c) anche in tal caso privo di comprensibile rilievo argomentativo è il richiamo alla deposizione del teste B.B. in mancanza di alcuna specifica e ammissibile censura della valutazione di inattendibilità motivatamente espressa dalla Corte d'Appello (anche sul punto conforme a quella del primo giudice); d) la denuncia del vizio di omesso esame proposta con il quinto motivo, oltre a non rispettare il relativo paradigma, è comunque preclusa, come già detto, dall'avere la Corte d'Appello deciso in modo conforme alla sentenza di primo grado (c.d. doppia conforme).
10. Con il sesto motivo il ricorrente denuncia, infine, con riferimento all'art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., "violazione e falsa applicazione dell'art. 2054, primo comma, del cod. civ. e dell'art. 149, primo comma, del codice della strada".
Lamenta che la Corte d'Appello sia incorsa nella violazione e/o falsa applicazione dell'art. 149, primo comma, cod. strada per avere affermato la responsabilità esclusiva di esso ricorrente nella causazione del sinistro senza tener conto che la difesa della Allianz Spa, nella sua qualità di impresa designata per la Puglia alla gestione del Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada, nel giudizio di primo grado non aveva assolto l'onere di fornire la prova liberatoria avente ad oggetto l'esistenza di un fatto idoneo ad interrompere il nesso causale tra la circolazione ed il danno e che pertanto il conducente pirata della strada dell'autoveicolo Peugeot, ai sensi dell'art. 2054, primo comma, cod. civ., doveva essere ritenuto responsabile comunque del danno prodotto dalla circolazione del veicolo.
11. Il motivo è inammissibile, ai sensi dell'art. 366 n. 4 cod. proc. civ.
La censura si appalesa del tutto eccentrica rispetto all'effettivo contenuto della sentenza, la quale - ben diversamente da quanto incomprensibilmente postulato a base della critica - non ha confermato il rigetto della domanda risarcitoria per avere ritenuto la responsabilità esclusiva del A.A. nello scontro tra le due autovetture, ma ha proprio escluso che fosse stato dimostrato, come era onere dell'attore/appellante, che ad origine dell'evento dannoso vi fosse stato lo scontro tra l'autovettura dallo stesso condotta e un veicolo rimasto non identificato.
È appena il caso di richiamare il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale, il motivo d'impugnazione è rappresentato dall'enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d'impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, siccome per denunciare un errore occorre identificarlo (e, quindi, fornirne la rappresentazione), l'esercizio del diritto d'impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell'esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito, considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo.
In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un "non motivo", è espressamente sanzionata con l'inammissibilità ai sensi dell'art. 366 n. 4 cod. proc. civ. (Cass. 11/01/2005, n. 359; v. anche ex aliis Cass. Sez. U. 20/03/2017, n. 7074, in motivazione, non massimata sul punto; Id. 5/08/2016, n. 16598; Id. 3/11/2016, n. 22226; Cass. 15/04/2021, n. 9951; 5/07/2019, n. 18066; 13/03/2009, n. 6184; 10/03/2006, n. 5244; 4/03/2005, n. 4741).
12. Il ricorso deve essere dunque dichiarato inammissibile.
13. Alla soccombenza segue la condanna del ricorrente alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.
14. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso da essa proposto, ove dovuto, a norma dell'art. 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.500 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell'art. 1-bis dello stesso art. 13.