Svolgimento del processo
Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, sez. staccata di Messina, veniva rigettato l'appello proposto da IM nella qualità di legale rappresentante della società PG S.r.l., svolgente attività di bonifica ambientale. L'impugnazione eniva proposta avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Messina n. 404/9/2012 di parziale accoglimento del ricorso introduttivo, avente ad oggetto l'avviso di accertamento n. X relativamente ad IVA pel l'anno di imposta 2003 e sanzioni.
Le riprese relative all'imposta armonizzata derivavano da operazioni 2003 differite in cui l'IVA risultava pagata nel 2004 e 2005, e originavano la contestazione di omessa contabilizzazione di operazioni imponibili, oltre che contestazioni di indebita detrazione di costi non inerenti e di presentazione della dichiarazione annuali IVA per imposta in misura inferiore al dovuto.
Il giudice di prime cure avvallava l'impianto delle riprese, ma riduceva le sanzioni irrogate nella misura del 50%, decisione confermata in sede di appello.
Avverso la sentenza d'appello propone ricorso per cassazione parte contribuente, affidato a tre motivi, cui replica l'Agenzia con controricorso.
Motivi della decisione
1. In via preliminare va dato atto dell'eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dalla controricorrente, perché l'atto sarebbe improntato ad una irrituale dinamica ampliativa delle censure, nel senso di accrescimento dei motivi di doglianza rispetto ai precedenti gradi di giudizio, eccezione scrutinabile solo unitamente alle singole doglianze.
2. Con il primo motivo di ricorso, in relazione all'art.360 primo comma n.3 cod. proc. civ., si prospetta la nullità o falsa applicazione dell'art.6 comma 5 del d.P.R. n.633/1972, per non aver la CTR tenuto conto del fatto che la società avrebbe correttamente adempiuto alle proprie incombenze, registrando nell'anno di emissione le fatture in contestazione, con dicitura IVA a esigibilità differita, sotto la voce di fattura in sospensione d'imposta, e contabilizzando di volta in volta l'imposta nella liquidazione periodica di effettivo incasso entro i termini di legge.
3. Il motivo è affetto da concorrenti profili di inammissibilità e di infondatezza.
3.1. L'art. 6, quinto comma, d.P.R. n. 633 del 1972, nel testo ratione temporis applicabile, ossia vigente successivamente alla novella introdotta dall'art.1-bis del d.I. 181/1998, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 1998, n. 271, prevede il riconoscimento dell'esigibilità differita dell'imposta solo ad una cerchia di soggetti specificamente delimitata. La previsione vale per le sole cessioni «fatte allo Stato, agli organi dello Stato ancorché dotati di personalità giuridica, agli enti pubblici territoriali e ai consorzi tra essi costituiti ai sensi dell'articolo 25 della legge 8 giugno 1990, n. 142, alle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, agli istituti universitari, alle unità sanitarie locali, agli enti ospedalieri, agli enti pubblici di ricovero e cura aventi prevalente carattere scientifico, agli enti pubblici di assistenza e beneficenza e a quelli di previdenza».
Il senso della disposizione va riferito in primo luogo al contenuto normativo di cui all'art. 13, par. 1, della Direttiva 112/2006/CE e, in precedenza, della disposizione omologa di cui all'art. 4, par. 5, della Direttiva 77/388/CEE, secondo il quale «Gli Stati, le regioni, le province, i comuni e gli altri enti di diritto pubblico non sono considerati soggetti passivi per le attività od operazioni che esercitano in quanto pubbliche autorità, anche quando, in relazione a tali attività od operazioni, percepiscono diritti, canoni, contributi o retribuzioni».
La Corte di Giustizia UE ha interpretato più volte la citata disposizione (v. ad es. Corte Giustizia UE, sentenze 16 maggio 2013, nella causa C-169/12, TNT Express, para. 24; 7 marzo 2013, nella causa C-19/12, Efir, para 31) nel senso che la richiamata particolare disciplina assicura un beneficio al contribuente, consentendo il risparmio sugli interessi in corrispondenza del pagamento differito dell'imposta dovuta per il periodo di imposta, in relazione a prestazioni. Proprio per tale ragione, costituendo una deroga alla regola, dev'essere interpretata restrittivamente.
3.2. Inoltre, il Collegio constata che l'interpretazione restrittiva della data previsione, nella prospettiva di contenere la deroga alle condizioni effettivamente necessarie e minime (cfr. anche Corte di Giustizia, sentenza 22 giugno 2016 nella causa C-267/15), è confermata un'ulteriore delimitazione contenuta nel medesimo art. 13 par. 1 della Direttiva IVA di rifusione. Tale è il senso della seguente specificazione: «Tuttavia, allorché tali enti esercitano attività od operazioni di questo genere, essi devono essere considerati soggetti passivi per dette attività od operazioni quando il loro non assoggettamento provocherebbe distorsioni della concorrenza di una certa importanza.».
3.3. Il precipitato di quanto precede è il seguente principio di diritto:
«In materia di esigibilità differita dell'IVA, l'art. 6, quinto comma, d.P.R. n. 633 del 1972, nel testo vigente successivamente alla novella introdotta dall'art. 1-bis del decreto-legge 12 giugno 1998, n. 181, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 1998, n. 271, posto in relazione con l'art. 13, par. 1, della Direttiva 112/2006/CE e, in precedenza, della disposizione omologa di cui all'art. 4, par. 5, della Direttiva 77 /388/CEE, dev'essere interpretato in senso restrittivo in quanto deroga alle condizioni effettivamente necessarie e minime in materia di imposta armonizzata e assicura un beneficio al contribuente, consentendo il risparmio sugli interessi in corrispondenza del pagamento differito per il periodo di imposta, in relazione alle cessioni o prestazioni di servizi compiute».
4. Così ricostruita la regola di diritto che governa la fattispecie, il Collegio osserva che il mezzo di impugnazione non riproduce le fatture in questione e, in modo generico e apodittico, afferma a pag.9 che <<la società ricorrente svolge attività di bonifica ambientale in prevalenza su commissione diretta da parte di enti pubblici, o in sub appalto».
Così facendo parte ricorrente non assolve l'onere della prova dei presupposti per godere del beneficio; onere che ricade per costante interpretazione giurisprudenziale su chi lo invoca (Cass. n.26666/2021; n.5137/2006). I presupposti per il beneficio dell'esigibilità differita dell'IVA, come sopra visto, sono oggetto di interpretazione restrittiva e valgono solo per cessioni di beni o prestazioni di servizi che riguardano un novero di soggetti specificamente delimitato, ossia lo Stato, gli organi dello Stato ancorché dotati di personalità giuridica, gli enti pubblici territoriali e i consorzi tra essi costituiti ai sensi dell'articolo 25 della legge 8 giugno 1990, n. 142, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, gli istituti universitari, le unità sanitarie locali, gli enti ospedalieri, gli enti pubblici di ricovero e cura aventi prevalente carattere scientifico, gli enti pubblici di assistenza e beneficenza e a quelli di previdenza e non società di capitali. In assenza della dimostrazione della ricorrenza di uno o più di tali presupposti, per ciò solo va esclusa nella fattispecie l'esigibilità differita dell'imposta armonizzata, senza che debba neppure essere valutata l'esistenza o meno di rischi di distorsioni della concorrenza di una certa importanza in caso di applicazione del beneficio alla contribuente.
4. Con il secondo motivo a pag.11 del ricorso si prospetta «l'omesso esame (violazione dell'art.112 cod. proc. civ.) del chiesto riconoscimento del diritto al rimborso di quanto la società ricorrente ha versato a titolo di IVA 2003 in via postergata negli anni successivi (2004 e 2005) art.360 comma 1 n.5 cod. proc. civ.».
5. Il motivo è inammissibile per più ragioni.
5.1. In primo luogo, l'inammissibilità deriva dal fatto che il mezzo, in parte, non individua neppure il corretto paradigma processuale rilevante che, in caso di prospettata violazione dell'art.112 cod. proc. civ., è il n.4 e non il n.5 dell'art.360 comma 1 cod. proc. civ.. Il profilo non è meramente formale, perché la riconfigurazione della censura comporta la conseguente necessità di strutturare diversamente la doglianza che, ad es., avrebbe dovuto riprodurre la parte dell'appello ove la questione sarebbe stata posta all'evidenza della CTR e sulla quale non vi sarebbe stata la pronuncia da parte del giudice.
5.2. In secondo luogo, la doglianza è aspecifica e contraddittoria, cumulando in una inestricabile prospettazione sia il vizio motivazionale di omesso esame sia quello di omessa pronuncia. Inoltre, pone la questione dell'indebito arricchimento in favore dello Stato unitamente a quella della duplicazione di imposta, profilo di doglianza non solo non sovrapponibile, ma completamente diverso. In sintesi, va ribadito al proposito che il giudizio di cassazione è un giueizio a critica vincolata (tra le tante, cfr. Cass. 28 novembre 2014 n. 25332), nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa.
5.3. In ogni caso, la censura è inammissibile anche perché manifestamente infondata, dal momento che il tardivo versamento dell'IVA non equivale evidentemente a duplicazione del versamento, mentre la conseguenza della rettifica sugli anni di imposta 2004 e 2005 non è neppure questione oggetto del presente processo, il cui perimetro è individuato dall'atto impositivo impugnato e riguarda la sola annualità 2003, wlteriore ragione di inammissibilità del mezzo di impugnazione.
6. Con il terzo motivo, in rapporto all'art.360 primo comma n.3 cod. proc. civ., si prospetta la nullità o falsa applicazione dell'art.6 comma 5 del d.lgs. n. 472/1997, in relazione all'art. 10 della I. n.212/2000, da parte della sentenza impugnata, là dove ha confermato la decisione di primo grado di riduzione delle sanzioni del 50%, senza tener conto del fatto che la società sarebbe incorsa in buona fede in un errore scusabile, ravvisabile nella circostanza oggettiva che l'imposta non sarebbe stata evasa, ma versata tardivamente negli anni successivi.
7. Il motivo è inammissibile per più profili.
7.1. Innanzitutto, per la tecnica di formulazione in cui non è chiaro quale comma dell'art.10 dello Statuto del contribuente sia invocato in relazione alla questione della riduzione delle sanzioni mentre nell'articolo sono contenute distinte previsioni la cui applicazione richiede l'esame di eterogenei presupposti.
7.2. Inoltre, non è pertinente il riferimento all'art.6 comma 5 del d.lgs. n.472/1997 relativo ad una causa di non punibilità per forza maggiore, questione all'evidenza non omogenea rispetto alla prospettata buona fede.
7.3. Ancora, non risulta che la questione oggetto del motivo sia stata sollevata davanti al giudice d'appello e, quindi, risulta inammissibile anche perché nuova.
7.4. Infine, anche a voler interpretare il contenuto profondo della doglianza nel senso che parte contribuente intendesse invocato il terzo comma dell'art.10 dello Statuto, la questione sarebbe comunque manifestamente infondata, dal momento che l'incertezza obiettiva che rileva per integrare la norma, per costante interpretazione giurisprudenziale, non è mai soggettiva come si prospetta in ricorso.
8. Il ricorso è conclusivamente rigettato e le spese di lite sono regolate come da dispositivo e seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite, liquidate in euro 5.800,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Si dà atto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento da parte della