Svolgimento del processo
1.- La società C. C. di C. C. e c. s.n.c. propone ricorso per cassazione articolato in sette motivi ed illustrato da memoria nei confronti dell’avv. F. M., per la cassazione della sentenza n. 1365 del 2022, pubblicata dalla Corte d'appello di Bologna il 20 giugno 2022, notificata il 21 giugno 2022 e regolarmente prodotta in copia notificata.
Resiste l’avv. M. con controricorso illustrato da memoria.
2. - Questa è la vicenda giudiziaria per quanto ancora rilevante:
La società ricorrente conveniva in giudizio l'avvocato M. chiedendone la condanna al risarcimento dei danni nella misura di 44.000 € circa, allegando di aver conferito incarico all'avvocato di proporre un'azione revocatoria nel 1990 in relazione a un atto di compravendita tra una società sua debitrice e tale T. D.. L’azione era accolta nel 2005 dal Tribunale di Padova e l’accoglimento successivamente confermato in appello. Nel 2010 la società assoggettava l’immobile in relazione al quale era risultata vincitrice in revocatoria ad esecuzione immobiliare. Allegava però di aver appreso solo in quella data che la domanda giudiziaria relativa alla revocatoria, risalente al 1990, era stata trascritta nei registri immobiliari dall'avvocato M. solo nel 1996, oltre due anni dopo l'iscrizione ipotecaria effettuata dalla Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo sugli stessi immobili oggetto dell'azione revocatoria. Assumeva quindi di aver subito un danno dal comportamento dell'avvocato M. perché sui beni oggetto di revocatoria, assoggettati a procedura esecutiva immobiliare, poteva pretendere di soddisfarsi con privilegio ipotecario la Cassa di Risparmio, il che le avrebbe impedito di soddisfarsi proficuamente sul ricavato della vendita del bene, o quanto meno mediante una eventuale richiesta di assegnazione del bene pignorato.
3. - Il Tribunale di Reggio Emilia rigettava la domanda di risarcimento dei danni.
Riteneva provato l'inadempimento dell'avvocato M., consistente nella trascrizione tardiva della domanda giudiziale, ma mancante la prova del danno e della sua derivazione causale dall'inadempimento dall'avvocato. Aggiungeva che mai la società attrice aveva chiesto l'assegnazione in proprietà dei beni immobili oggetto del pignoramento e che il pregiudizio della ricorrente era da ricondurre alla impossibilità di vendere i beni pignorati, i cui incanti erano andati varie volte deserti, piuttosto che alla tardiva trascrizione della domanda da parte dell'avvocato M.. Aggiungeva il tribunale trattarsi più che altro di un danno di perdita di chance.
4. - La società ricorrente proponeva appello, ribadendo che, se la domanda fosse stata tempestivamente trascritta, essa società avrebbe potuto richiedere, nell'ambito della procedura esecutiva immobiliare, l'assegnazione del bene in proprietà a un valore pari alle spese di esecuzione e al prezzo base stabilito nell'esperimento di vendita, non avendo di fronte a sé creditori con diritto di prelazione; assumeva che avrebbe senz’altro proposto la domanda di assegnazione del bene non appena il suo prezzo di aggiudicazione fosse sceso a valori congrui.
4.1. - Nel corso del giudizio d'appello la ricorrente dichiarava di essere venuta tardivamente a conoscenza della intervenuta vendita del bene, verificatasi nel 2015, nel corso del giudizio di primo grado, in quanto la relativa comunicazione era stata data solo all'avvocato M. che non informava la ex cliente sulla intervenuta aggiudicazione del bene; per questo la società chiedeva la condanna dell'avvocato M. anche per responsabilità aggravata avendo agito o resistito in giudizio con mala fede e colpa grave.
5. - In appello l'avvocato deduceva la inammissibilità della domanda di risarcimento danno da perdita di chance formulata dall'appellante in quanto domanda nuova e l'inammissibilità della documentazione prodotta in appello perché già a conoscenza del cliente in primo grado.
6. - La Corte d'appello di Bologna confermava il rigetto della domanda risarcitoria della società C. C., ribadendo che il pregiudizio lamentato dalla società fosse conseguente all'impossibilità di vendere il bene e non alla tardiva trascrizione della domanda giudiziale da parte dell'avvocato M., non essendo emersa la prova che se fosse stata tempestivamente trascritta la domanda giudiziale la società appellante avrebbe visto soddisfatto il proprio credito nell'esecuzione immobiliare.
Riteneva inammissibile in quanto domanda nuova la domanda di risarcimento danno da perdita di chance, non compresa nelle conclusioni originarie.
Affermava che l'avvocato M. aveva trasmesso tutte le informazioni sulla procedura esecutiva al nuovo avvocato della società, il quale fin dal primo grado di giudizio conosceva le date per i nuovi esperimenti di vendita e non riscontrava alcun deficit informativo in capo all'avvocato M..
Non ammetteva la produzione documentale relativa alla vendita in sede esecutiva, anche quanto ai documenti formatisi nel corso del giudizio di appello, perché tutti relativi ad un fatto sopravvenuto – la vendita- verificatosi già nel corso del giudizio di primo grado.
7. - La causa è stata avviata alla trattazione in camera di consiglio, all’esito della quale il Collegio ha riservato il deposito della decisione nei successivi sessanta giorni.
Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo di ricorso la società ricorrente denuncia la sentenza per violazione dell'articolo 112 c.p.c., avendo omesso di pronunciarsi sulla domanda proposta dall'appellante là dove si sosteneva che la tardiva trascrizione della domanda aveva impedito alla ricorrente di presentare istanza di assegnazione dei beni pignorati per un valore pari alle spese di esecuzione e al prezzo base stabilito per l'esperimento di vendita.
La ricorrente sostiene quindi che la sentenza d'appello non le abbia risposto sul punto.
2. - Il motivo è infondato, in quanto non è configurabile una omessa pronuncia: la domanda è stata valutata e rigettata.
La Corte d'appello ha condiviso la stessa linea motivazionale del primo giudice, escludendo la prova di un pregiudizio attuale subito dalla società, affermando che mai la C. C. avesse preso l’iniziativa di presentare effettivamente istanza di assegnazione dei beni pignorati.
Non ha preso in considerazione la doglianza relativa al non aver potuto chiedere l'assegnazione ad un prezzo conveniente, quando lo stesso, a seguito dei molteplici incanti deserti, fosse diminuito in misura confacente agli interessi della società, riconducendola nell’ambito della domanda di risarcimento danni per perdita di chance, tardivamente proposta.
3. - Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'articolo 702 quater e dell'articolo 345 c.p.c. censurando la violazione delle norme indicate laddove la sentenza impugnata ha ritenuto la richiesta di risarcimento danni da perdita di chance introdotta dalla ricorrente nel giudizio di appello come domanda nuova e come tale inammissibile.
4.- Il secondo motivo è infondato.
Come già chiarito dal giudice di prime cure, la ricorrente in primo grado non ha proposto una domanda di risarcimento danno da perdita di chance, che si fonda su presupposti diversi dalla domanda di risarcimento del danno patrimoniale subìto, limitandosi a chiedere il risarcimento del danno in concreto provocato dal comportamento negligente del professionista. Solamente in appello, prendendo atto delle ragioni del rigetto esplicitate nella sentenza di primo grado, ha valorizzato che dalla situazione determinatasi a causa della tardiva trascrizione della domanda giudiziale le fosse derivata anche una perdita di chance. Correttamente, quindi, la domanda è stata ritenuta inammissibile perché nuova. Peraltro, nella vigenza del regime giuridico delle preclusioni introdotto dalla l. n. 353 del 1990, la novità della domanda formulata nel corso del giudizio è rilevabile anche d'ufficio da parte del giudice, trattandosi di una questione sottratta alla disponibilità delle parti, in virtù del principio secondo cui il thema decidendum è modificabile soltanto nei limiti e nei termini a tal fine previsti, con la conseguenza che, ove in primo grado tali condizioni non siano state rispettate, l'inammissibilità della domanda poteva farsi valere anche in sede di gravame, non essendo la relativa eccezione annoverabile tra quelle in senso stretto, di cui l'art. 345 c.p.c. esclude la proponibilità in appello (v. Cass. n. 12633 del 2024).
Il principio della necessità di una autonoma domanda vale sia in relazione alla perdita di chance non patrimoniale (ed è stato più volte affermato in materia di responsabilità sanitaria: v. Cass. n. 25886 del 2022) sia in tema di perdita di chance patrimoniale. Cambia infatti la causa petendi perché i fatti posti alla base della perdita di chance anche patrimoniale sono necessariamente diversi rispetto ai fatti alla base della domanda di risarcimento del danno attuale, in quanto ai fini del risarcimento del danno da perdita di chances il danneggiato ha l'onere di provare non la perdita del risultato, cioè, in riferimento al caso di specie, che avrebbe ottenuto certamente l'aggiudicazione del bene, bensì soltanto la perdita della possibilità di conseguirlo o di recuperare integralmente il proprio credito (v., a proposito dell’ inadempimento dell’incarico professionale avente ad oggetto la partecipazione ad incanto per l’aggiudicazione di un immobile, Cass. 3824 del 2024).
5. - Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 702 quater e 345 c.p.c., denunciandone la violazione là dove la sentenza impugnata ha ritenuto inammissibile la deduzione da parte dell'appellante nel procedimento di secondo grado di un fatto sopravvenuto, costituito dalla vendita dei beni nell'ambito della procedura esecutiva immobiliare nei confronti di D. T., fatto che la Corte d'appello ha ritenuto avrebbe dovuto essere dedotto fin dal primo grado di giudizio.
6. – il terzo motivo è inammissibile perché la Corte d'appello ha accertato che l'avvocato M. ha comunicato al nuovo procuratore della società, tale avvocato B., tutte le vicende relative all'espropriazione immobiliare in corso e in particolare che fosse stato fissato un nuovo esperimento di vendita, per cui correttamente la Corte d'appello ha poi affermato che la vendita espropriativa del bene era circostanza della quale l'attore era a conoscenza o avrebbe dovuto essere a conoscenza fin dal primo grado e non ha ammesso la produzione documentale relativa alla vendita perché l'attore doveva esserne a conoscenza.
La ricorrente nega che l’avvocato B. fosse il nuovo legale dalla stessa incaricato di seguire la procedura esecutiva, e fa riferimento al nome di una diversa avvocatessa, ma non si confronta con l’accertamento contenuto nella sentenza impugnata là dove ha individuato un suo nuovo procuratore e ha affermato che a quel procuratore fossero state fornite prima del giudizio d'appello tutte le informazioni necessarie, limitandosi a negare esplicitamente di essere stata informata da alcuno della vendita del bene, a fronte del diverso accertamento contenuto nella sentenza di appello.
7. - Con il quarto motivo si denuncia la violazione degli articoli 702 quater e 345 c.p.c., là dove la Corte d'appello ha dichiarato inammissibile la documentazione prodotta dall'appellante nel giudizio d'appello perché riguardante un fatto già noto all'appellante nel giudizio di primo grado.
8. - Con il quinto motivo si denuncia la nullità della sentenza in relazione all'articolo 360 primo comma numero 4 c.p.c. per violazione dell'articolo 112 c.p.c. , non avendo svolto la sentenza nessuna argomentazione in relazione all'ammissibilità o meno della produzione del decreto di trasferimento del 2015, del progetto di distribuzione del 2017, del rendiconto del custode, dell'approvazione del piano di riparto e poi del provvedimento di estinzione della procedura esecutiva immobiliare, prodotti nell'atto di appello e nel corso del giudizio di secondo grado.
9. - Con il sesto motivo denuncia l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, rappresentato dalla vendita del bene e dalla assegnazione del suo ricavato in favore della Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo.
10. - I tre motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto presentano profili di connessione e sono complessivamente infondati, sebbene sia necessaria la correzione della motivazione su un punto.
Come in precedenza ricostruito, sia la sentenza di primo grado che quella d’appello hanno concordemente affermato la sussistenza della responsabilità professionale dell’avv. M. per la tardiva trascrizione della domanda giudiziale, ma hanno escluso che fosse stata fornita la prova del danno patrimoniale scaturente da tale tardiva trascrizione, non avendo mai la società in effetti chiesto l’assegnazione del bene in suo favore, prima della vendita.
Inoltre, il giudice d’appello non ha ammesso tutta la produzione documentale offerta dalla società, da quella attestante l’intervenuta vendita del bene fino al decreto di trasferimento e poi al piano di riparto, dalla quale emergeva che, venduto il bene, il ricavato è andato tutto in favore della banca che vantava l’iscrizione ipotecaria.
Deve ritenersi corretta la soluzione finale, nel senso del rigetto della impugnazione, sulla base delle seguenti considerazioni: l’accoglimento dell’azione revocatoria rende l’atto dispositivo inefficace, ma non attribuisce all’attore vincitore alcun tipo di privilegio sul bene assoggettato a revocatoria. Gli recupera solo la possibilità di agire su quel bene come se non fosse mai uscito dal patrimonio del suo debitore. Quindi, per ottenere soddisfazione su quel bene, la posizione del creditore vittorioso in revocatoria è destinata a soccombere nei confronti del creditore dotato di privilegio o di garanzia reale, come nel caso di specie. Per cui, in presenza di un creditore ipotecario, in caso di vendita del bene e distribuzione del ricavato, la posizione della ricorrente, vincitrice in revocatoria e creditore procedente, era pur sempre, a prescindere dalla tardiva trascrizione della domanda, quella di creditore chirografario, destinato a soddisfarsi dopo il privilegiato, sull’eventuale residuo.
L’unica, vera possibilità di soddisfazione che aveva la società ricorrente, una volta che il creditore ipotecario fosse intervenuto nella procedura esecutiva immobiliare che la società aveva intrapreso recuperando quell’immobile al patrimonio del proprio debitore, era quella di chiedere l’assegnazione del bene in proprietà ad un prezzo non inferiore alle spese di esecuzione e al valore dei crediti privilegiati anteriori a quello del pignorante, possibilità attribuitale dall’art. 506 c.p.c.
L’articolo 506 c.p.c., relativo al valore minimo per l'assegnazione, prevede infatti che l'assegnazione può essere fatta solo per un valore non inferiore alle spese di esecuzione e ai crediti aventi diritto a prelazione anteriori a quello dell'offerente. Quindi, se l'avvocato della ricorrente avesse tempestivamente trascritto la domanda di revocatoria, la società avrebbe potuto chiedere l’assegnazione del bene a un prezzo molto favorevole, recuperando il proprio credito. Essendo stata trascritta l’azione revocatoria dopo l’iscrizione ipotecaria, questa possibilità la società C., creditore procedente, l’ha persa proprio a causa del comportamento del professionista. Di qui la rilevanza della negligenza professionale del M.. Tuttavia, la corte d’appello ha escluso- correttamente - la prova di un danno attuale in capo al ricorrente non avendo mai la società chiesto l’assegnazione in proprietà del bene e non essendo quindi mai stata in concreto frustrata questa sua possibilità di recuperare il proprio credito (riconducendo alla mera perdita di chance, la cui risarcibilità non è stata tempestivamente richiesta, la perdita della mera possibilità di richiederla).
Deve aggiungersi che la Corte d'appello non ha consentito alla ricorrente di depositare alcuni documenti in appello perché tutti relativi ad un fatto o prendenti le mosse da un fatto - la vendita in sede esecutiva - che era già in corso come ripreso esperimento di vendita nel 2015 e si è verificato nel luglio 2015, quindi durante il giudizio di primo grado.
Alcuni, però, erano documenti formatisi nel corso del giudizio di appello, dai quali risultava che tutta la capienza della procedura esecutiva intrapresa dalla società, a cui era finalizzata la precedente azione revocatoria, proprio su quell'immobile che con l'azione revocatoria la società ricorrente aveva cercato di ricondurre nell'ambito della propria garanzia patrimoniale, era stata devoluta a favore della banca in ragione di quella iscrizione ipotecaria che non avrebbe impedito alla creditrice di chiedere quanto meno l’assegnazione del bene se la sua azione revocatoria fosse stata tempestivamente trascritta.
A fronte di ciò, la motivazione della sentenza va corretta là dove non ha ritenuto ammissibile la produzione dei documenti formatisi nel corso del giudizio di appello (quali il progetto di distribuzione del ricavato, il definitivo piano di riparto e il provvedimento di estinzione della procedura esecutiva), perché, sebbene collegati ad una unica vicenda – la vendita in sede esecutiva – avevano tuttavia una propria autonomia sia storica, in quanto erano venuti in essere in un momento successivo alla definizione del primo grado, che contenutistica. Erano quindi documenti che la parte non aveva potuto produrre nel procedimento sommario per causa ad essa non imputabile (v. art. 702 quater c.p.c.), e pertanto la produzione documentale poteva essere ammessa.
Tuttavia, l’eventuale produzione documentale, ove ammessa, non avrebbe avuto rilievo idoneo a scalfire la permanente validità dell’affermazione secondo la quale rimane esclusa la responsabilità del M. in difetto della prova del danno in concreto provocato dalla sua negligenza, non avendo mai la società chiesto l’assegnazione in proprietà dell’immobile.
11. - Infine, con il settimo motivo denuncia la nullità della sentenza laddove ha omesso di pronunciarsi in ordine alla richiesta di condanna dell'avvocato F. M. per responsabilità aggravata. Il settimo motivo è infondato: in relazione alla domanda di condanna dell’avv. M. ex art. 96 c.p.c., non c’è omessa pronuncia ma implicito rigetto, atteso che, essendo stata rigettata la domanda della società nei confronti dell'avvocato M. per responsabilità professionale, l'avvocato non è uscito soccombente dal giudizio, non essendo ipotizzabile una condanna ex articolo 96 c.p.c. se non associata alla soccombenza.
Il ricorso va pertanto rigettato.
La particolarità della vicenda giustifica la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.
Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e la parte ricorrente risulta soccombente, pertanto è gravata dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dell’ art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.