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30 settembre 2024
Sbatti il mostro in prima serata: quando l'informazione diventa show. Limiti e libertà della cronaca
La spettacolarizzazione degli ultimi casi ha fatto emergere la questione su quali siano i confini che il giornalista dovrebbe rispettare nel riportare la notizia. Cosa prevede la legge a riguardo.
di La Redazione
I fatti degli ultimi giorni hanno suscitato non poche polemiche. La confessione di Lorenzo Carbone, che davanti alle telecamere di Pomeriggio Cinque ha ammesso di aver assassinato la madre, non è piaciuta a parte del pubblico, accendendo una discussione sulla linea sottile che separa la cronaca dalla spettacolarizzazione di un delitto. Il morboso desiderio di conoscere ogni minimo dettaglio di un crimine è insito nell'essere umano che, talvolta inconsapevolmente, si trova incollato ai mezzi di informazione per scoprire tutto ciò che riguarda l'avvenimento. Ma quando l'informazione deve porsi un limite? Quando finisce la mera notizia e inizia lo show?

Quello che è avvenuto nel salotto pomeridiano di Myrta Merilino non è sicuramente il primo caso. Negli anni i delitti che hanno catalizzato l'attenzione mediatica e i cui autori hanno avuto un ampio spazio televisivo, sono stati numerosi: l'ammissione di colpa ai microfoni di «Chi l'ha visto?» nel 1989 del ventisettenne Ferdinando Carretta, che a Parma aveva ucciso i genitori e il fratellino; o per parlare di un evento più recente che ha scosso l'opinione pubblica, la confessione resa da Michele Misseri per l'omicidio della giovane Sarah Scazzi in diretta da Barbara D'Urso. Non davanti alle telecamere, ma sempre in maniera mediatica è stata quella di Filippo Turetta, che lo scorso novembre ha assassinato l'ex fidanzata Giulia Cecchettin; un caso che è diventato, da una parte simbolo della lotta contro il femminicidio, ma che dall'altro ha concentrato l'attenzione sull'imputato e sul voler riportare ogni singolo dettaglio dei suoi movimenti, come la pubblicazione della conversazione privata avvenuta in carcere con il padre.

Tutte queste vicende, e molte altre, vengono narrate con una dovizia di particolari unica che sembra atta, per citare il celebre film con Gian Maria Volonté, a «sbattere il mostro in prima pagina». Ma se l'opera cinematografica diretta da Mario Bellocchio indagava i rapporti tra stampa e potere politico, oggi sembra che i motivi della spettacolarizzazione siano mutati: andando a colpire la «pancia della popolazione», la relazione che si crea è quella tra l'informazione e lo share televisivo, o la visualizzazione, nel caso degli articoli on line. Pecunia non olet, dicevano i latini. Ma è davvero giusto gettare in pasto al pubblico ogni vicenda cruenta che possa apportare nuovi spettatori? A riguardo è intervenuto di recente il Garante per la protezione dei dati personali che, a seguito della tragedia di Paderno Dugnano, ha voluto richiamare i mass media, che avevano riportato foto, nomi e particolari, anche di soggetti minori, eccedenti le finalità informative; un comportamento che «rischia di far degenerare la cronaca nella morbosa spettacolarizzazione della vicenda». 

Al di là, quindi, della questione morale, che si calibra sulla sensibilità del singolo, cosa prevede la legge in questi casi? Quali sono i diritti e i doveri del giornalista? Già i Padri Costituenti avevano voluto porre le basi e delineare dei confini per lo svolgimento di questa attività, da cui sono state poi ricavate norme che la regolano, quale la Legge n. 69/1963 che ha istituito l'Ordine professionale e la deontologia del mestiere. Infatti, se l'art. 2 della Costituzione prevede il « diritto alla riservatezza » come inviolabile, si trova in sua contrapposizione all'art. 21 comma 1, il « diritto di cronaca », che sancisce la libertà di ognuno a esprimere la propria opinione in qualunque forma, sottolineando al comma 2 come la stampa non possa essere soggetta a censure o autorizzazioni. Tuttavia, per un efficace esercizio del diritto di cronaca è necessario che ricorrano tre condizioni: la verità della notizia pubblicata, l'utilità sociale o l'interesse pubblico alla conoscenza del fatto e la correttezza formale dell'esposizione, che non deve eccedere lo scopo informativo da conseguire e rimanere obiettiva e priva di intenti denigratori.

Per quanto riguarda la cronaca, e in particolare quella giudiziaria, è importante che il giornalista verifichi l'essenzialità della notizia. In questi casi la libertà di stampa deve trovare un punto d'incontro con il diritto del singolo alla riservatezza che si sostanzia nei « motivi di interesse pubblico ». Al riguardo, nomi o foto segnaletiche di soggetti indagati o arrestati possono essere divulgati solo in virtù di tale principio, mentre è proibita la pubblicazione delle immagini di persone in manette o sottoposte a qualunque strumento di coercizione fisica se lesive del decoro della persona. Posto il divieto di diffondere immagini di individui soggetti a limitazioni della libertà fisica, per quanto riguarda quelle che raffigurano arresti, indagini e processi, il Garante della privacy ha affermato che dovranno essere acquisite e utilizzate in modo lecito e corretto, diffondendole dopo aver operato un'attenta valutazione sulla loro essenzialità e pertinenza alla notizia. In questa branca dell'informazione intervengono poi tutta una serie di cautele poste a tutela dell'imputato e del processo, ad esempio, in virtù del principio di non colpevolezza, va sempre menzionato lo stato in cui si trova il procedimento.

Diverso è il caso del condannato o del destinatario di provvedimenti giurisdizionali, i cui dati possono essere divulgati nel rispetto delle disposizioni processuali vigenti, in generale improntate a un regime di tendenziale pubblicità. In confronto alle generalità degli imputati, quelle dei condannati hanno una maggiore libertà di diffusione, vista l'ormai certezza della loro situazione processuale. In ogni caso, spetta al giornalista una valutazione personale del contesto, l'accertamento dell'assenza di ragioni impeditive alla pubblicazione e una speciale attenziona alla tutela della vittima del reato, cercando di evitarle ulteriori lesioni che potrebbero derivate dalla diffusione delle notizie. Infatti, il cronista dovrebbe rispettare le volontà di quest'ultima, che potrebbe essere contraria alla pubblicazione dei particolari che la riguardano. 

Si può quindi notare come la legge non delinei delle regole rigide e minuziose, ma proponga delle linee guida che vanno poi modellate sul caso specifico, lasciando la valutazione finale alla discrezionalità del professionista, in quanto una codificazione minuziosa dell'ambito sarebbe inadatta alla mutabilità delle singole vicende, ma anche della sensibilità che si delinea nel contesto sociale. Viene quindi attribuita ampia autonomia in capo al divulgatore, che si troverà poi giudicato dal «tribunale popolare» quando valicherà il confine della morale consolidatasi nel momento in cui si trova a operare e le informazioni riportate non saranno più gradite al pubblico che invece prima le bramava.
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