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Lo ha stabilito la Cassazione con l'ordinanza n. 6960/2024 in cui viene chiarito che questa forma di giornalismo non è vincolata al requisito della verità, in quanto esprime un giudizio ironico e critico su un fatto noto all'opinione pubblica.
La satira è sottratta all'obbligo di riflettere fatti veri, in quanto esprime un giudizio ironico ed è espletata anche attraverso immagini ed espressioni che possono risultare lesive della reputazione altrui. Non trattandosi di cronaca e non avendo scopo informativo, non è vincolata alla verità; si tratta, infatti, di una forma di critica e denuncia sociale la cui valutazione non può escludere quella del contesto culturale in cui si va a inserire. Non è quindi configurabile una possibilità di risarcimento senza una preventiva valutazione della rilevanza sociale e della vicenda e della notorietà dei suoi protagonisti.
La questione emerge a seguito della controversia sorta dopo la pubblicazione a corredo di un articolo su un noto periodico, di un'immagine, con relativa didascalia ritenuta diffamatoria. Il destinatario della rappresentazione satirica era un Collegio giudicante all'atto della lettura del dispositivo della sentenza che assolveva l'allora Presidente del Consiglio dei Ministri dalle accuse di concussione atti sessuali con una minorenne. Nella didascalia si leggeva: «Giustizia da fiction su X», e dove si paragonavano i presenti magistrati a un gruppo di attori di una serie tv. Venivano così convenuti in giudizio per ottenere il risarcimento del danno, il giornalista che aveva firmato il pezzo, la casa editrice e il direttore responsabile che soccombevano in primo e in secondo grado, e facevano così ricorso in Cassazione.
Secondo quanto rilevato dai Giudici del Palazzaccio nei giudizi precedenti è mancato l'esame del contesto di sincera non veridicità finalizzata alla critica e alla dissacrazione di un personaggio politico di alto rilievo. L'articolo e l'immagine incriminata erano atte a provocare l'amaro riso del lettore e non possono essere valutate in maniera avulsa dal contesto socio-culturale in cui erano state pubblicate, vista l'accesa polemica che si era sviluppata in relazione alla vicenda che vedeva come protagonista di un processo penale l'ex Presidente del Consiglio dei Ministri. Va messo in luce il fatto che, a differenza della cronaca, la satira è sottratta dagli obblighi di riflettere fatti veri «in quanto essa assume i connotati dell'inverosimiglianza e dell'iperbole per destare il riso e sferzare il costume ed esprimere mediante il paradosso e la metafora surreale un giudizio ironico su un fatto, pur rimanendo assoggettata al limite della continenza e della funzionalità delle espressioni o delle immagini rispetto allo scopo di denuncia sociale o politica perseguito».
Gli orientamenti passati della Suprema Corte hanno affermato che «nella formulazione del giudizio critico e tanto più quello satirico, possono essere utilizzate espressioni di qualsiasi tipo, anche lesive della reputazione altrui, purché siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dell'opinione o comportamento preso di mira e non si risolvono in un'aggressione gratuita e distruttiva dell'onere e della reputazione del soggetto interessato». Va, inoltre, tenuto conto della dimensione pubblica della vicenda o della notorietà del personaggio perso di mira. Elementi che mancavano nei precedenti giudizi, per questo motivo gli Ermellini accolgono il ricorso e cassano la sentenza, rinviandola alla Corte d'Appello.
Svolgimento del processo
1. Con atto di citazione del 2015 C.C. - assumendo la diffamatorietà di una fotografia con relativa didascalia, pubblicate a corredo di un articolo a firma del giornalista B.B. apparso su @4Le@ in data 31 luglio 2014 dal titolo "Errata Corrige... Vent'anni di scandali, processi e figuracce internazionali. Dopo la sentenza, photo - gallery d'autore. Per non dimenticare B.", apparso anche sul sito internet del settimanale con il diverso titolo "@5Be@ rivisitato, ecco la vera storia di un cittadino modello" - conveniva dinanzi al Tribunale di Roma il Gruppo Editoriale L'Espresso Spa, (poi GEDI Gruppo Editoriale Spa e oggi GEDI Periodici e Servizi Spa) in qualità di società editrice del periodico @4Le@, A.A., quale direttore responsabile del suddetto periodico al momento dei fatti e B.B., autore dello scritto, al fine di sentirli condannare in solido, previo accertamento incidentale del reato di diffamazione a mezzo stampa, a risarcire all'attrice: i danni subiti per i fatti di cui in narrativa, (quantificati nella misura di Euro 150.000,00), la riparazione ai sensi dell'art. 12 Legge n. 47/1948 (quantificata nella misura di Euro 30.000,00) e ottenere la rimozione dell'articolo diffamatorio di cui in narrativa dall'archivio on line del periodico @4Le@ o in subordine, la rimozione della fotografia ritraente l'attrice e della relativa didascalia, dall'articolo diffamatorio di cui in narrativa, rinvenibile nell'archivio on line del periodico @4Le@ o, in ulteriore subordine, l'inserimento, nella pagina web, di un collegamento che informi gli utenti dell'emananda sentenza.
Si costituivano il Gruppo Editoriale L'Espresso Spa, A.A. e B.B. chiedendo il rigetto della domanda, ponendo quindi, l'accento sulla natura apertamente satirica dell'intervento di B.B. che compariva sotto la inequivocabile dicitura "Satira & Politica" che era in grado di chiarire l'ambito all'interno del quale l'articolo, in tutte le sue parti, doveva essere letto e interpretato.
Il Tribunale di Roma, in accoglimento della domanda, condannava i convenuti a corrispondere all'attrice in via tra loro solidale di Euro 50.000,00 a titolo di risarcimento danni per diffamazione a mezzo stampa, oltre interessi dalla sentenza al saldo, condannava B.B. al pagamento in favore dell'attrice della somma di Euro 10.000,00 a titolo di riparazione pecuniaria ex art. 12 l. n. 47/1948, oltre interessi dalla sentenza al saldo; - condannava il Gruppo Editoriale Spa, in persona del legale rappresentante, ad inserire nella versione on line dell'articolo giornalistico in questione presente sul sito internet www.@4Le@.repubblica.it una nota (postilla) dalla quale risultasse la sua accertata natura diffamatoria e la conseguente condanna al risarcimento del danno, condannava infine i convenuti, in solido tra loro, alla refusione delle spese di lite nei confronti dell'attrice.
2. Avverso la sentenza del Tribunale, il Gruppo Editoriale L'Espresso Spa, A.A. e B.B. proponevano appello avanti alla Corte d'Appello di Roma; si costituiva l'appellata chiedendo il rigetto del gravame.
La Corte d'Appello di Roma con sentenza n. 1771/2021, respingeva l'appello, condannando gli appellanti al pagamento delle spese di lite.
3. Avverso la sentenza di appello, il Gruppo Editoriale L'Espresso Spa, A.A. e B.B. hanno proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi; ha resistito con controricorso C.C.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell'art. 380 - bis 1 c.p.c.
Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni.
Le parti hanno depositato rispettive memorie.
Motivi della decisione
1. Con il ricorso i ricorrenti lamentano:
1.1. con il primo motivo, "(art. 360, n. 3, c.p.c.)" la "violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (artt. 21 Cost., 2043 c.c., 51 e 595 c.p. e 11 L. 8 febbraio 1948 n. 47) in relazione ai principi elaborati della giurisprudenza in tema di legittimo esercizio del diritto di satira"; in particolare, deducono che la Corte d'appello ha escluso l'applicabilità dell'esimente del diritto di satira ritenendo che la fotografia in parola, con la relativa didascalia avessero, senza dubbio, carattere diffamatorio, senza considerare, viceversa, che la satira di B.B. era volta a censurare, in maniera iperbolica, esagerata e quindi surreale la allora recente emissione della sentenza della Corte di Appello di Milano, con la quale @5Be@, all'epoca dei fatti Presidente del Consiglio dei Ministri, veniva assolto dalle imputazioni di concussione e atti sessuali con una minorenne; il Giudice d'appello non contestualizzando la foto e la relativa didascalia, non ha compiuto un'operazione che avrebbe immediatamente consentito di escludere che nell'ambito del globale intervento di B.B., quelle stesse espressioni risultavano del tutto prive di intento diffamatorio nei confronti dei magistrati ritratti ed in particolare, della dott.ssa C.C.
A parere dei ricorrenti, la Corte di Appello con la sentenza impugnata non ha valutato lo scritto contestato alla luce delle caratteristiche strutturali e intrinseche del diritto di satira e richiamano a supporto della propria tesi precedenti della giurisprudenza europea (CEDU sentenza Grebneva e Alisimchik contro Russia, 22 novembre 2016) e di legittimità (Cass. pen. Sez. V, sentenza n. 8447 del 4 febbraio 2020);
1.2. con il secondo motivo, "(art. 360 n. 3 c.p.c.): Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1223, 2043 e 2059 c.c. laddove la Corte di Appello ha ritenuto provata la sussistenza del danno non patrimoniale in via presuntiva in carenza di ogni allegazione avversaria, senza avere la Corte svolto una preventiva valutazione circa la sussistenza di un nesso di causalità effettivamente immediato e diretto tra il danno non patrimoniale lamentato e l'articolo contestato"; a parere dei ricorrenti, appare gravemente errato avere riconosciuto in favore della dott.ssa C.C. il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale, e ciò nonostante la stessa nel corso del giudizio di primo e secondo grado non abbia mai provato la esistenza effettiva del danno non patrimoniale asseritamente subito, né soprattutto il nesso di causalità tra i presunti danni e la pubblicazione contestata.
1.3. Con il terzo motivo, "(art. 360 n. 3 c.p.c.): violazione e/o falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. laddove la Corte di Appello ha disposto la condanna ad annotare a margine l'articolo on line in mancanza della relativa domanda"; i ricorrenti contestano che con la sentenza impugnata, il giudice d'appello ha confermato quanto statuito dal giudice di prime cure e respinto il motivo di appello con cui avevano denunciato che la pubblicazione della sentenza ordinata dal Tribunale fosse rimedio che la dott.ssa C.C. non aveva mai domandato, con la conseguenza che la decisione appare in aperto contrasto con l'art. 112 c.p.c. che impone al Giudice di pronunciare "non oltre i limiti" della domanda; difatti, l'ordine del Giudice di pubblicare la postilla non è nemmeno equiparabile ad un aggiornamento dell'articolo in quanto un articolo che non sia di mera cronaca si presta difficilmente ad un vero aggiornamento sui fatti riportati;
2. Il primo motivo, così come prospettato e sopra sinteticamente riassunto, è fondato nei limiti e in ragione delle seguenti considerazioni.
2.1. In via generale, vale rammentare che questa Corte ha già più volte avuto modo di affermare che la satira, quale specie del più ampio genere del diritto di critica, rientra nell'ambito di applicazione dell'art. 21 Cost. che tutela la libertà della manifestazione del pensiero nella comunicazione ma che allo stesso tempo non può consistere in un esercizio indiscriminato, che può entrare in conflitto con alcuni valori fondamentali della persona, quali la reputazione, l'onore, il decoro, l'immagine etc., definiti dalla Corte Costituzionale "patrimonio irretrattabile di ogni essere umano" (Corte Cost. 24/01/1994 n. 13).
Il diritto di satira ha un fondamento complesso individuabile nella sua natura di creazione dello spirito, nella sua dimensione relazionale ossia di messaggio sociale, nella sua funzione di controllo esercitato con l'ironia ed il sarcasmo nei confronti dei poteri di qualunque natura.
Comunque si esprima e, cioè, in forma scritta, orale, figurata, la satira costituisce una critica corrosiva e spesso impietosa basata su una rappresentazione che enfatizza e deforma la realtà per provocare il riso; ne è espressione anche la caricatura e, cioè, la consapevole ed accentuata alterazione dei tratti somatici, morali e comportamentali di una persona realizzata con lo scritto, la narrazione, la rappresentazione scenica. In altri termini, la satira è espressione artistica nella misura in cui opera una rappresentazione simbolica quale metafora caricaturale.
Può al riguardo richiamarsi quanto autorevole dottrina ha osservato in tema di satira e parodia e cioè che esse offrono all'interprete "un altrove" ove il paradosso e la provocazione mutano il disincanto e la severità del diritto di critica e di cronaca, in riso o in burla.
Diversamente dalla cronaca, infatti, la satira è sottratta all'obbligo di riferire fatti veri, in quanto essa assume i connotati dell'inverosimiglianza e dell'iperbole per destare il riso e sferzare il costume ed esprime mediante il paradosso e la metafora surreale un giudizio ironico su di un fatto, pur rimanendo assoggettata al limite della continenza e della funzionalità delle espressioni o delle immagini rispetto allo scopo di denuncia sociale o politica perseguito.
Sul piano della continenza, il linguaggio essenzialmente simbolico e frequentemente paradossale della satira - in particolare di quella esercitata in forma grafica - è svincolato da forme convenzionali, per cui è inapplicabile il metro della correttezza dell'espressione.
In tale perimetro concettuale, è stato affermato da questa Corte che la satira, al pari di ogni altra manifestazione del pensiero, non può infrangere il rispetto dei valori fondamentali della persona.
Nello specifico, in ambito penale, non è stata riconosciuta la scriminante di cui all'art. 51 c.p. per le attribuzioni di condotte illecite o moralmente disonorevoli, gli accostamenti volgari o ripugnanti, la deformazione dell'immagine in modo da suscitare disprezzo o dileggio (Cass. pen. sez. 5, 2/12/1999 n. 2128, V.; Cass. pen. Sez. 5, 23/05/2013 n. 37706, R.; Cass. Sez. 5 15/11/2022 n. 9953, P.) e più nello specifico, è stata esclusa la scriminante nella satira che, trasmodando da un attacco all'immagine pubblica del personaggio, si risolva in un insulto o in un'aggressione gratuite alla persona in quanto tale (Cass. pen., Sez. 5, 11/5/2006 n. 23712, G. e altro) o nella rappresentazione caricaturale e ridicolizzante di alcuni magistrati posta in essere allo scopo di denigrare l'attività professionale da loro svolta attraverso l'allusione a condotte lesive del dovere funzionale di imparzialità (Cass. pen., Sez. 5, 4/6/2001, n. 36348, F.; Cass. Sez. 5, 27/10/2010 n. 3356, M. e altro).
In ambito civile, nello stesso solco, è stato affermato come nella formulazione del giudizio critico e tanto più in quello satirico, possono essere utilizzate espressioni di qualsiasi tipo, anche lesive della reputazione altrui, purché siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dall'opinione o comportamento preso di mira e non si risolvano in un'aggressione gratuita e distruttiva dell'onore e della reputazione del soggetto interessato (Cass. Sez. 1, 20/03/2018 n.6919; Cass. Sez. 6-3, 17/09/2013, n. 21235; Cass. Sez. 3, 28/11/2008, n. 28411; Cass. Sez. 3, 08/11/2007 n. 23314; Cass. Sez. 3, 29/05/1996 n. 4993); ad esempio, nessuna scriminante può ammettersi allorché la satira diventa forma pura di dileggio, disprezzo, distruzione della dignità della persona (Cass. Sez. 24 marzo 2015, n. 5851), ovvero quando comporta l'impiego di espressioni gratuite, volgari, umilianti o dileggianti, non necessarie all'esercizio del diritto (Cass. Sez. 3, 11/09/2014 n. 19178), comportanti accostamenti volgari o ripugnanti o tali da comportare la deformazione dell'immagine pubblica del soggetto bersaglio e da suscitare il disprezzo della persona o il ludibrio della sua immagine pubblica (Cass. Sez. 3, 17/09/2013 n. 21235);
viceversa, è stato ravvisato il legittimo esercizio del diritto di satira posto, in essere attraverso l'impiego di un detto popolare avente ad oggetto una facezia di carattere scatologico, se contestualizzata e riconosciuta sorretta da un intento di esasperazione grottesca ed iperbolica dell'impraticabilità di un ipotizzato paragone od accostamento della condotta tenuta dalla persona attinta dalla satira, o da essa pubblicamente ammessa o riconosciuta, rispetto ad altra vicenda storica (Cass. Sez. 3, 07/04/2016 n. 6787).
2.2. Sul piano della funzionalità delle espressioni o delle immagini rispetto allo scopo satirico perseguito, va tenuto conto di un ulteriore presupposto necessario alla espressione satirica, e cioè della rilevanza dell'interesse del pubblico all'esposizione del fatto in tale peculiare forma ovvero della dimensione pubblica della vicenda o della notorietà del personaggio preso di mira volto solo ed esclusivamente al fine di suscitare il riso nel lettore.
La sussistenza di tale presupposto è ritenuta necessaria sia dalla giurisprudenza interna, come veduto, sia da quella sovranazionale.
La Corte di Giustizia dell'Unione Europea, difatti, con riferimento ad una vignetta satirica dal forte carattere politico, ha riaffermato l'inviolabilità del principio di non discriminazione, così come sancito dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea all'articolo 21, paragrafo 1, (CGUE Grande Sezione, 3/09/2014 Causa C - 201/13, JohanDeckmyn e Vrijheidsfonds VZW c. Helena Vandersteen et al.).
Nella stessa prospettiva, la Corte dei diritti dell'uomo ha affermato che la protezione offerta dall'art. 10 della Carta, a tutela della libertà di espressione, non può prevalere di fronte ad uno spettacolo comico dalla forte connotazione antisemita (Corte EDU n. 25239/13, del 20/10/2015, M'bala M'bala c. France, in ordine allo spettacolo negazionista del comico Dieudonnè).
La lente utilizzata nei richiamati arresti europei mette a fuoco la necessità di escludere dall'ontologia delle espressioni satiriche, quelle che non rivolgono i propri strali verso i potenti, ma che infieriscono su categorie deboli, oggetto di discriminazione, razzismo, sessismo etc., non suscitando il sorriso amaro che la satira dovrebbe provocare, bensì semplice dileggio o disprezzo.
In tale contesto, efficacemente, gli odierni ricorrenti hanno richiamato un arresto della Corte EDU che ha ritenuto come nei periodi elettorali sia necessario garantire una libertà ancora più ampia, che include satira e parodia, nel caso di discorsi politici e di questioni di interesse per la collettività inseriti in un contesto generale di polemica in ordine al sostegno economico e politico ad alcuni candidati piuttosto che ad altri (Corte EDU 22/11/2016, Grebneva e Alisimchik vs Russia; nella specie, nell'immagine rappresentata si faceva un parallelismo tra il volto di un candidato, procuratore della regione di Primorskiy, e un corpo di donna avvolta in una banconota, sottolineandone l'evidente carattere provocatorio, che non era certo equiparabile a un attacco gratuito, tanto più che non si richiamava alcun aspetto della vita privata del raffigurato).
2.3. Alla luce del complesso dei principi appena richiamati e nei limiti del controllo affidato a questa Corte, restando del tutto estraneo al giudizio di legittimità l'accertamento relativo alla capacità diffamatoria delle espressioni in contestazione, riservato al giudice di merito, detto controllo va condotto al fine della verifica dell'avvenuto corretto esame da parte del giudice del merito dei requisiti fondanti la scriminante invocata.
In particolare, la Corte romana, sebbene abbia assunto a monte del proprio convincimento il principio in diritto che, secondo la giurisprudenza di questa Corte fornisce le coordinate dell'esercizio legittimo della satira, richiamando in particolare la massima ricavata dalla ordinanza n. 6919/2018, a mente della quale, "La satira costituisce una modalità corrosiva e spesso impietosa del diritto di critica, sicché, diversamente dalla cronaca, è sottratta all'obbligo di riferire fatti veri, in quanto esprime mediante il paradosso e la metafora surreale un giudizio ironico su di un fatto, pur soggetta al limite della continenza e della funzionalità delle espressioni o delle immagini rispetto allo scopo di denuncia sociale o politica perseguito. Conseguentemente, nella formulazione del giudizio critico, possono essere utilizzate espressioni di qualsiasi tipo, anche lesive della reputazione altrui, purché siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dall'opinione o comportamento preso di mira e non si risolvano in un'aggressione gratuita e distruttiva dell'onore e della reputazione del soggetto interessato"; immediatamente dopo, alla stregua di tale massima, ha affermato "non vi è dubbio che la fotografia del Collegio giudicante al momento della lettura del dispositivo della sentenza nel procedimento penale contro @5Be@, con la didascalia dal titolo "Giustizia da fiction su @6Ca@", sotto la quale i tre componenti del collegio della Corte di Appello ivi ritratti (tra cui l'odierna appellata) vengono testualmente definiti: "un gruppo di attori milanesi durante le prove estive di @7Ze@" abbia carattere diffamatorio" (pag. 2 della sentenza impugnata), evidenziando che "il destinatario della rappresentazione satirica era un Collegio giudicante all'atto della lettura del dispositivo di una sentenza che, condivisa o meno che fosse, non legittimava il B.B. a ledere l'onore dei componenti del collegio, con una immagine caricaturale già di per sé sgradevole e del tutto gratuita, ma a svilire l'esercizio della funzione giurisdizionale da questi svolta. Definire i componenti del collegio un gruppo di attori di un programma comico equivale sostanzialmente a rimarcare l'assoluta inaffidabilità degli stessi, non veri magistrati che emettono una sentenza sgradita, ma semplici attori, per di più di un programma comico (...)". La Corte territoriale ha altresì aggiunto che "l'affermazione pure contenuta nell'articolo che "il principio sancito dalla Costituzione per cui la legge è uguale per tutti è una delle più celebri battute di spirito della storia", vale a rimarcare non solo l'inaffidabilità soggettiva dei magistrati, ma a negarne l'onestà intellettuale ed il difetto di imparzialità che è una delle più gravi accuse che possa essere rivolta ad un magistrato, essendo indipendenza, imparzialità ed equilibrio i fondamenti della funzione" (pagg. 2 e 3 della sentenza impugnata), concludendo, infine, nel rilevare che "il collegamento a @6Ca@ e alla trasmissione @7Ze@ per i rapporti dell'emittente con l'imputato @5Be@ valgono sotto altro profilo a rimarcare la parzialità del Collegio, un collegio di attori di un programma dell'imputato" (pag. 3 della sentenza impugnata).
2.4. Ebbene, nella specie, è del tutto mancato l'esame del contesto in cui si inseriva la fotografia e la didascalia pubblicate all'interno dell'inserto in oggetto.
Difatti, è mancato l'esame dell'elemento necessario all'esposizione del fatto in tale peculiare forma satirica (attraverso il paradosso e la metafora surreale), costituito dalla dimensione pubblica della vicenda, dalla notorietà del personaggio preso di mira e dalla rilevanza dell'interesse manifestato dal pubblico.
Invero, la rappresentazione provocatoria in esame e la direzione paradossale ed iperbolica della satira utilizzata nel verso della leale inverosimiglianza e dell'accostamento sarcastico e sferzante, offerte al lettore, senza proporre alcuna funzione informativa (accostamento dell'immagine del collegio giudicante ad un gruppo di attori di un noto programma riferibile al palinsesto televisivo del personaggio politico in argomento sia con riferimento alla burlesca, dissacrante, parodia dell'affermazione secondo cui la legge è eguale per tutti), non possono essere considerate in modo avulso dal contesto socio - culturale in cui erano calate, in considerazione delle numerose reazioni dell'opinione pubblica e dell'accesa polemica sviluppatesi con riguardo alla peculiare vicenda giudiziaria penale (di particolare scabrosità), protrattasi per diversi anni, ascritta all'ex Presidente del Consiglio dei ministri, notissimo uomo politico, imprenditore televisivo e industriale, all'indomani della sua assoluzione in appello.
In altri termini, è mancato l'esame del contesto di sincera non veridicità finalizzata alla critica e alla dissacrazione di un personaggio politico di alto rilievo, all'indirizzo del quale, in definitiva, l'intero inserto fotografico in oggetto (contenente, tra le altre, la fotografia del Collegio giudicante d'appello), intendeva provocare l'amaro riso del lettore.
3. In conclusione, il ricorso è accolto in relazione al primo motivo, assorbiti i restanti; la sentenza impugnata va cassata in relazione e rinviata alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione, che provvederà a riesaminare la fattispecie alla luce dei richiamati principi ed anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso in relazione al primo motivo, assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.