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3 luglio 2024
Nessun risarcimento se si è «vittime» di satira

Lo ha stabilito la Cassazione con l'ordinanza n. 6960/2024 in cui viene chiarito che questa forma di giornalismo non è vincolata al requisito della verità, in quanto esprime un giudizio ironico e critico su un fatto noto all'opinione pubblica. 

di La Redazione

La satira è sottratta all'obbligo di riflettere fatti veri, in quanto esprime un giudizio ironico ed è espletata anche attraverso immagini ed espressioni che possono risultare lesive della reputazione altrui. Non trattandosi di cronaca e non avendo scopo informativo, non è vincolata alla verità; si tratta, infatti, di una forma di critica e denuncia sociale la cui valutazione non può escludere quella del contesto culturale in cui si va a inserire. Non è quindi configurabile una possibilità di risarcimento senza una preventiva valutazione della rilevanza sociale e della vicenda e della notorietà dei suoi protagonisti. 

La questione emerge a seguito della controversia sorta dopo la pubblicazione a corredo di un articolo su un noto periodico, di un'immagine, con relativa didascalia ritenuta diffamatoria. Il destinatario della rappresentazione satirica era un Collegio giudicante all'atto della lettura del dispositivo della sentenza che assolveva l'allora Presidente del Consiglio dei Ministri dalle accuse di concussione atti sessuali con una minorenne. Nella didascalia si leggeva: «Giustizia da fiction su X», e dove si paragonavano i presenti magistrati a un gruppo di attori di una serie tv. Venivano così convenuti in giudizio per ottenere il risarcimento del danno, il giornalista che aveva firmato il pezzo, la casa editrice e il direttore responsabile che soccombevano in primo e in secondo grado, e facevano così ricorso in Cassazione.

Secondo quanto rilevato dai Giudici del Palazzaccio nei giudizi precedenti è mancato l'esame del contesto di sincera non veridicità finalizzata alla critica e alla dissacrazione di un personaggio politico di alto rilievo. L'articolo e l'immagine incriminata erano atte a provocare l'amaro riso del lettore e non possono essere valutate in maniera avulsa dal contesto socio-culturale in cui erano state pubblicate, vista l'accesa polemica che si era sviluppata in relazione alla vicenda che vedeva come protagonista di un processo penale l'ex Presidente del Consiglio dei Ministri. Va messo in luce il fatto che, a differenza della cronaca, la satira è sottratta dagli obblighi di riflettere fatti veri «in quanto essa assume i connotati dell'inverosimiglianza e dell'iperbole per destare il riso e sferzare il costume ed esprimere mediante il paradosso e la metafora surreale un giudizio ironico su un fatto, pur rimanendo assoggettata al limite della continenza e della funzionalità delle espressioni o delle immagini rispetto allo scopo di denuncia sociale o politica perseguito».

Gli orientamenti passati della Suprema Corte hanno affermato che «nella formulazione del giudizio critico e tanto più quello satirico, possono essere utilizzate espressioni di qualsiasi tipo, anche lesive della reputazione altrui, purché siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dell'opinione o comportamento preso di mira e non si risolvono in un'aggressione gratuita e distruttiva dell'onere e della reputazione del soggetto interessato». Va, inoltre, tenuto conto della dimensione pubblica della vicenda o della notorietà del personaggio perso di mira. Elementi che mancavano nei precedenti giudizi, per questo motivo gli Ermellini accolgono il ricorso e cassano la sentenza, rinviandola alla Corte d'Appello.   

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