Svolgimento del processo
con sentenza resa in data 3/12/2020, la Corte d’appello di Roma, in accoglimento dell’appello proposto da G.A. e in riforma della decisione di primo grado, ha condannato Reti Televisive Italiane s.p.a. e G.F. al risarcimento dei danni causati all’attore in conseguenza del carattere diffamatorio delle dichiarazioni contenute nella trasmissione televisiva ‘Quinta Colonna’ diffusa, nel settembre del 2013, sul Canale Mediaset Rete 4, gestito da RTI s.p.a. e diretto dal G.F.;
in particolare, la corte territoriale ha ritenuto falsa e diffamatoria la notizia contenuta all’interno del servizio televisivo dal titolo ‘Case super scontate per i politici’ con il quale si dava conto dell’acquisto, da parte del G.A., di un immobile da un ente pubblico a un prezzo particolarmente vantaggioso e, dunque, attraverso la fruizione di un sostanziale (quanto ingiustificato) privilegio;
a fondamento della decisione assunta la corte territoriale ha rilevato come i convenuti avessero diffuso la falsa notizia dell’acquisto dell’immobile, da parte della coniuge del G.A., da una società pubblica (la società Tirrenia) (là dove, al contrario, tale immobile era stato acquistato da un privato), confidando superficialmente sulle risultanze dei dati catastali (notoriamente non aggiornate e inaffidabili), senza approfondire doverosamente le indagini attraverso l’esame dell’atto pubblico di acquisto agevolmente consultabile presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari, sì che il requisito della verità
putativa – astrattamente idoneo a legittimare l’esercizio del diritto di cronaca (unitamente alle condizioni della continenza espressiva e dell’interesse pubblico della notizia) – doveva ritenersi del tutto assente nel caso di specie, con la conseguente integrazione del carattere illecito della notizia diffamatoria così propalata;
avverso la sentenza d’appello, Reti Televisive Italiane s.p.a. e Giuseppe Giovanni Maria G.F. propongono ricorso per cassazione sulla base di tre motivi d’impugnazione;
G.A. resiste con controricorso; i ricorrenti hanno depositato memoria;
Motivi della decisione
con il primo motivo, i ricorrenti si dolgono della nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., 2697, 2699, 2728, 2729 c.c., 21 Cost. e 51 c.p. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente escluso l’applicazione, al caso di specie, dei principi in tema di verità putativa in relazione al documento (visura catastale) utilizzato dagli autori del servizio giornalistico andato in onda nella trasmissione televisiva;
in particolare, rilevano i ricorrenti come l'intestazione di un immobile a un determinato soggetto, sì come emergente dall’esame della documentazione catastale, facendo sorgere in ogni caso una presunzione de facto in ordine alla veridicità delle relative risultanze, avrebbe ragionevolmente indotto gli autori del servizio televisivo in esame a riporre un corrispondente incolpevole affidamento:
sotto altro profilo, i ricorrenti contestano l’avvenuta considerazione alla stregua di un fatto notorio, da parte del giudice a quo, della circostanza secondo cui i dati appresi in sede di esame della documentazione catastale non fossero aggiornati in violazione dell’art. 115, secondo comma, c.p.c., specie a fronte del frequente richiamo normativo dei dati catastali ai fini dell’esatta individuazione degli immobili (cfr. l’art. 51, n. 6, della legge 28 febbraio 1913, n. 89 - legge notarile, il d.p.r. 640/1972 all’art. 4 e all’art. 14, il d.l. 31 maggio 2010, n. 78 - convertito in l. 31 luglio 2010, n. 122, la legge 27 febbraio 1985, n. 52 all’art. 19, comma 14); il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come la corte territoriale abbia correttamente applicato i principi di diritto rilevanti nel caso di specie, ritenendo di dover accertare, ai fini dell’integrazione dei requisiti per il legittimo esercizio del diritto di cronaca, la condizione della c.d. ‘verità putativa’ della notizia diffusa dagli odierni ricorrenti;
in particolare, la corte territoriale ha affermato che “La giurisprudenza della S.C. reputa […] con particolare rigore i limiti della verità putativa, collegandola alla particolare affidabilità delle fonti (Cass. civ. Sez. 3 Ordinanza n. 25420 del 26/10/2017) ovvero ad un ‘serio e diligente lavoro di ricerca’, richiedendo che la notizia sia stata ‘accuratamente verificata’ (Cass. pen. Sez. 3, Sentenza n. 2751 del 08/02/2007)”;
al riguardo, appena è il caso di rilevare come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di esercizio del diritto di cronaca, il giornalista ha l'obbligo di controllare l’attendibilità della fonte informativa, a meno che non provenga dall’autorità investigativa o giudiziaria, e di accertare la verità del fatto pubblicato, restando altrimenti responsabile dei danni derivati dal reato di diffamazione a mezzo stampa, salvo che non provi l’esimente di cui all'art. 59, ultimo comma c.p., ossia la sua buona fede. A tal fine la cosiddetta verità putativa del fatto non dipende dalla mera verosimiglianza dei fatti narrati, essendo necessaria la dimostrazione dell'involontarietà dell'errore, dell'avvenuto controllo - con ogni cura professionale, da rapportare alla gravità della notizia e all'urgenza di informare il pubblico - della fonte e della attendibilità di essa, onde vincere dubbi e incertezze in ordine alla verità dei fatti narrati (cfr., da ultimo, Sez. 1, Ordinanza n. 29265 del 07/10/2022, Rv. 665893 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 2271 del 04/02/2005, Rv. 579526 – 01); nel caso di specie, i giudici del merito hanno ritenuto che il giornalista, limitandosi al solo controllo dei dati catastali (al di là del carattere effettivamente notorio, o meno, della relativa scarsa attendibilità), senza estendere opportunamente l’esame (che sarebbe stato del tutto agevole) alla consultazione dei registri immobiliari, si fosse sottratto a quell’obbligo di cura professionale, di serietà e di diligenza nella ricerca delle fonti della notizia, il cui rispetto avrebbe legittimato l’esercizio del diritto di cronaca;
si tratta di una valutazione, nella specie eseguita sulla base di un’articolazione argomentativa logicamente corretta e giuridicamente fondata, che spetta istituzionalmente al giudice di merito, la cui contestazione, lungi dall’integrare un’ipotesi di violazione o falsa applicazione di legge, si risolve in una proposta di rilettura nel merito dei fatti di causa e delle prove, secondo un’impostazione critica non consentita in sede di legittimità;
in particolare, deve escludersi, in sede di legittimità, la deducibilità, come violazione o falsa applicazione di legge, di un errore in cui sarebbe incorso il giudice di merito nell’interpretazione e nella valutazione dei fatti di causa (nel caso di specie, del carattere effettivamente inattendibile dei dati catastali e dell’opportunità dell’agevole consultazione dei registri immobiliari), non ponendosi in discussione la ricognizione della fattispecie astratta prevista dalle norme di legge richiamate, bensì la ricognizione della fattispecie concreta mediata dalla valutazione dei mezzi di prova (che si assume erroneamente condotta);
ciò posto, la censura in esame si risolve in una sostanziale contestazione di un vizio di motivazione, dedotto del tutto al di fuori dei limiti ancora consentiti dall’art. 360 n. 5 c.p.c.;
con il secondo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per omesso esame di un fatto decisivo controverso (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.), per avere la corte territoriale trascurato la considerazione del documento allegato alla memoria ex art. 183, co. 6, n. 2, c.p.c. (ossia “procura dott. G.F. in data 15.9.2011” – asseritamente mai contestato da controparte) dal quale emergerebbe che la delega conferita al dott. G.F. per il controllo sui programmi del canale Rete 4 non riguardava le trasmissioni “riconducibili alle testate giornalistiche” (tra cui quelle riferibili a ‘VIDEONEWS’, a cui apparteneva la trasmissione ‘Quinta Colonna’), con la conseguente piena attestazione dell’estraneità del G.F. a qualsivoglia obbligo di controllo sui contenuti della ridetta trasmissione televisiva;
il motivo è fondato;
osserva il Collegio come, effettivamente, dal testo della motivazione elaborata dalla corte territoriale non risulti alcun accenno alla documentazione tempestivamente offerta in esame dagli odierni ricorrenti ai fini della dimostrazione della non imputabilità al G.F. del controllo sui programmi riconducibili a testate giornalistiche (tra cui Videonews, a cui apparteneva la cura della trasmissione incriminata in questa sede);
l’effettiva esenzione del G.F. dall’esercizio di detto controllo, peraltro, appare prima facie desumibile dalla lettura della procura allo stesso conferita in data 15/9/2011 (depositata in atti), così come parrebbe astrattamente riconducibile all’ambito delle trasmissioni di Videonews la diffusione delle affermazioni diffamatorie dedotte nell’odierno giudizio (cfr. i c.d. screenshot prodotti dagli odierni ricorrenti);
trattandosi di circostanze di fatto il cui esame risulta totalmente omesso dal giudice a quo, e che appaiono altresì dotate di sicura decisività ai fini dell’ascrizione al G.F. della responsabilità allo stesso ascritta dalle controparti, dev’essere disposta, in accoglimento della censura in esame, la cassazione della sentenza impugnata, con la conseguente attribuzione, al giudice del rinvio, del compito di procedere all’esame della documentazione richiamata ai fini della verifica dell’effettiva responsabilità del G.F. in relazione ai fatti dedotti nell’odierno giudizio;
con il terzo motivo, proposto in via subordinata al mancato accoglimento delle precedenti censure, i ricorrenti si dolgono della nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli art. 2697 e 2729 c.c. (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.) e degli artt. 115, 116, 163, 183, comma 6, c.p.c. (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.), per avere la corte territoriale accertato la sussistenza di danni non patrimoniali a carico del G.A. in assenza di alcuna allegazione e prova di pregiudizi dallo stesso effettivamente subiti per effetto esclusivo della trasmissione ritenuta lesiva del suo onore e della sua reputazione;
il motivo è infondato;
osserva il Collegio come la corte d’appello abbia richiamato una serie di indici di natura presuntiva idonei a giustificare la ritenuta sussistenza di un’adeguata dimostrazione di conseguenze dannose sofferte dal G.A. a seguito della trasmissione lesiva diffamatoria oggetto dell’odierno giudizio; in particolare, la corte territoriale ha asserito che “non appare
revocabile in dubbio che l'avvenuta diffusione su una rete televisiva di rilievo nazionale, in prima serata in un programma specificamente. dedicato all'abuso delle funzioni pubbliche politiche per interessi personali, di una notizia falsa sulla condotta di una soggetto che ha rivestito importanti funzioni volte viceversa alla cura dell'interesse pubblico, abbia determinato un grave danno all'immagine e alla reputazione dello stesso”;
si tratta del richiamo di indici di fatto che, secondo l’apprezzamento di merito fatto proprio dalla corte territoriale, valgono, nel loro complesso, a ritenere integrata una significativa compromissione dell’immagine e della reputazione del soggetto passivo, con la conseguente dimostrazione, per via presuntiva, del danno concretamente sofferto dal G.A.;
al riguardo, la corte territoriale risulta essersi correttamente allineata al consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui in tema di responsabilità civile per diffamazione, il pregiudizio all'onore ed alla reputazione, di cui si invoca il risarcimento, non è in re ipsa, identificandosi il danno risarcibile non con la lesione dell'interesse tutelato dall'ordinamento ma con le conseguenze di tale lesione, sicché la sussistenza di siffatto danno non patrimoniale deve essere oggetto di allegazione e prova, anche attraverso presunzioni, assumendo a tal fine rilevanza, quali parametri di riferimento, la diffusione dello scritto, la rilevanza dell'offesa e la posizione sociale della vittima (cfr., da ultimo, Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 8861 del 31/03/202, Rv. 660992 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 25420 del 26/10/2017, Rv. 646634 - 04);
la censura in esame, pertanto, nella misura in cui muove dal presupposto secondo cui la corte territoriale avrebbe riconosciuto la natura lesiva della diffamazione in esame senza che fosse stata fornita alcuna effettiva dimostrazione di conseguenze dannose sofferte da parte del G.A., deve ritenersi priva di fondamento;
sulla base di tali premesse, rilevata la fondatezza del secondo motivo, l’inammissibilità del primo e l’infondatezza del terzo, dev’essere disposta la cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con il conseguente rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità;
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo; dichiara inammissibile il primo; rigetta il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.