La legge non si riferisce alla famiglia parentale, ma alla famiglia nucleare che ricomprende i figli, minori e maggiorenni, ancora a carico dei genitori e non autonomi patrimonialmente e, secondo la dottrina, gli affiliati e i minori in affidamento temporaneo.
Con la sentenza n. 27792 del 28 ottobre 2024, la Cassazione concentra la sua attenzione sull'istituto del fondo patrimoniale, nell'ambito di un procedimento ove si chiedeva la dichiarazione di nullità e/o di inefficacia dell'atto pubblico con il quale era stato costituito per mancanza e/o illiceità della causa o del motivo e per mancanza del soggetto e dell'oggetto. La richiesta proveniva dall'ex convivente ed era stata accolta in secondo grado, motivo per il quale i ricorrenti propongono ricorso per cassazione lamentando l'erroneo utilizzo del termine “famiglia”, da intendersi, con riferimento al fondo patrimoniale, alla famiglia nucleare e non parentale, formata dai coniugi insieme a tutti i soggetti al cui mantenimento essi siano obbligati, come nel caso degli ascendenti verso i nipoti, e che vantino diritti.
Ebbene, gli Ermellini condividono la tesi dei ricorrenti, ribadendo anzitutto che la costituzione del fondo patrimoniale rientra tra le convenzioni matrimoniali. Di conseguenza, la normativa non fa riferimento alla famiglia parentale, ma a quella nucleare che comprende figli minori e maggiorenni ancora a carico dei genitori e non autonomi a livello patrimoniale, oltre che gli affiliati ed i minori in affidamento temporaneo (secondo la dottrina).
Ciò significa che il fondo patrimoniale può essere costituito a beneficio di tutti i componenti della famiglia nucleare che si fonda sul matrimonio o sull'unione civile, e i beneficiari godono di un'aspettativa semplice di fatto ai proventi del fondo e alla destinazione dei beni.
Il riferimento alla sola famiglia nucleare può dedursi non solo dalla giurisprudenza di legittimità, ma anche dall'
Segue l'accoglimento del motivo di ricorso e il rinvio della causa alla Corte d'Appello di Venezia.
Svolgimento del processo
La Corte d'Appello di Venezia, con sentenza n. 1974, depositata il 14/7/2021, ha riformato una sentenza del Tribunale di Vicenza del 2017, con la quale era stato respinto il ricorso ex art. 702bis c.p.c. proposto, nei confronti di A.A., B.B. e C.C., da D.D., quale comproprietario per la quota indivisa del 50% dell'immobile, sito in C. V., Via Omissis, immobile assegnato, al termine (nel 2010) della relazione sentimentale tra il D.D. e la A.A., a quest'ultima, con provvedimento del 2019 del Tribunale di Vicenza, quale genitore collocatario della figlia minore E.E. (nata nel 2007), e, con atto pubblico del 2013, "conferito dalla A.A., per la quota indivisa di sua proprietà, nel fondo patrimoniale costituito dai propri genitori sig.ri B.B. e C.C., avente a oggetto beni immobili di loro proprietà", giudizio volto a sentire dichiarare che l'atto costitutivo del fondo patrimoniale, stipulato con atto pubblico del 27/11/2013, fosse dichiarato nullo e/o inefficace, in forza del combinato disposto degli artt. 1102, 1324, 1324 e 1418 c.c., per mancanza e/o illiceità della causa o del motivo e per mancanza del soggetto e dell'oggetto.
Il Tribunale aveva respinto la domanda in quanto il fondo patrimoniale era stato costituito dalla A.A. sulla sola "quota indivisa pari alla metà dell'unità immobiliare e del garage, come risulta dall'atto notaio F.F. di Padova del 27/11/2013 (doc. 3 D.D.) senza interessare in alcun modo la quota indivisa di comproprietà di cui è pacifico" e, in particolare, quelli della figlia minore e dei genitori della A.A. (i quali, a loro volta, con lo stesso atto notarile hanno costituito in fondo patrimoniale altri beni immobili di loro proprietà) nel rispetto della normativa di cui all'art. 167 c.c.; l'azione, peraltro, ad avviso del giudice di primo grado, era carente di interesse, sia perché lo stesso D.D. avrebbe potuto far valere i suoi diritti quale comproprietario sull'immobile de quo, proponendo domanda di scioglimento della comunione ordinaria, mentre non poteva dolersi del mancato godimento, avendo riconosciuto alla ex compagna l'uso esclusivo dell'abitazione in forza di un accordo intervenuto in sede di regolamentazione giudiziale del regime di affidamento della figlia minore.
I giudici di appello, accogliendo il gravame del D.D., hanno dichiarato nullo per mancanza di causa l'atto pubblico in data 27/11/2013 n. 102364 di Rep. Notaio E.E. di Padova, ordinando la trascrizione della sentenza presso l'Ufficio del Territorio di Vicenza.
La Corte territoriale, in particolare, ha accolto il primo motivo di gravame, con il quale l'appellante lamentava che il Tribunale avesse erroneamente ritenuto che la costituzione del fondo patrimoniale sarebbe avvenuta per far fronte ai bisogni della famiglia, osservando che: a) l'art. 167 c.c., che, secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite, comprende fra le convenzioni matrimoniali la costituzione del fondo patrimoniale e comporta un limite alla disponibilità di determinati beni con vincolo di destinazione per fronteggiare i bisogni familiari (Cass. S.U., n. 21658/2009), "non si riferisce alla famiglia c.d. parentale, ma alla famiglia nucleare, che comprende oltre che i coniugi anche i figli legittimi, naturali ed adottivi dei coniugi, minori e maggiorenni non autonomi patrimonialmente"; b) la causa del negozio non è quella di sottrarre il bene ai creditori, ma quella di far fronte ai bisogni della famiglia, tanto che l'esecuzione sui beni e sui frutti del fondo patrimoniale è consentita, a norma dell'art. 170 c.c., soltanto per debiti contratti per far fronte ad esigenze familiari, cosicché, escluso che nella specie il fondo fosse stato costituito per far fronte ai bisogni della famiglia di A.A., emergendo dall'atto costitutivo che le parti erano soltanto gli odierni appellati, la A.A. e i suoi genitori, e mai veniva nominata la minore, figlia della A.A. e del D.D., E.E. D.D., non appariva che "i bisogni della famiglia intesa come famiglia della A.A. siano salvaguardati" e il negozio era nullo per assenza di causa; d) d'altra parte, essendo il fondo costituito da soggetti terzi, sarebbe stata necessaria per il suo perfezionamento, l'accettazione dei coniugi (ex art. 167, comma 2 cc), come richiesto, in caso di costituzione del fondo per atto inter vivos da parte del terzo, in favore di uno solo dei coniugi, essendo il fondo essenzialmente destinato alla famiglia quindi anche all'altro coniuge, (salvo l'ottenimento dell'autorizzazione giudiziale ai sensi dell'art. 181 cc, qualora uno dei coniugi non voglia o non possa accettare, ipotesi qui non verificatasi).
La Corte di merito ha poi accolto anche il secondo motivo di gravame, in punto di statuizione sulla carenza di interesse all'azione del D.D., in quanto questi, laddove intraprendesse un'azione di divisione (e non di scioglimento, non essendovi alcuna comunione tra le parti, ex conviventi), a fronte dell'indivisibilità in natura di un appartamento con garage, la vendita dell'intero con ripartizione del denaro sarebbe resa impraticabile dal vincolo "segregativo" sul mezzo del compendio; inoltre, tale vincolo avrebbe impedito allo stesso comproprietario di accedere al credito bancario perché nessun istituto "giudicherebbe appetibile quale garanzia un bene il cui mezzo sia vincolato senza termine temporale". La Corte territoriale ha accolto pure il quarto motivo, in punto di carenza di interesse all'azione, per avere già il D.D. riconosciuto alla ex convivente il godimento della casa coniugale, in quanto "l'assegnazione costituisce un diritto non reale e a termine" e comunque l'appellante contestava "un atto segregativo posto in essere non nell'interesse della figlia ma dei genitori dell'ex convivente".
Avverso la suddetta pronuncia, A.A., B.B. e C.C. propongono ricorso per cassazione, notificato il 6/12/2021, affidato a tre motivi, nei confronti di D.D. (che resiste con controricorso, notificato l'11/01/2022).
Con ordinanza interlocutoria n. 8317/2024, la causa è stata rimessa in pubblica udienza, rivestendo le questioni trattate rilievo nomofilattico.
Il P.G. ha depositato memoria, chiedendo l'accoglimento del secondo motivo di ricorso, respinti gli altri.
Motivi della decisione
1.I ricorrenti lamentano: a) con il primo motivo, ex art. 360 n.3 c.p.c., violazione o falsa applicazione dell'art. 167 I comma ultima parte del codice civile, nella parte in cui nella sentenza impugnata si argomenta la funzione della costituzione del fondo patrimoniale, nonché violazione o falsa applicazione dell'art. 167 comma II del codice civile, nella parte in cui la Corte di merito argomenta che "essendo il fondo costituito da soggetti terzi, sarebbe stata necessaria per il suo perfezionamento, l'accettazione dei coniugi (ex art. 167, co.2 cc)"; b) con il secondo motivo, ex art. 360 n. 4 c.p.c., la nullità della decisione, per violazione dell'art. 112 c.p.c., avendo la Corte d'Appello investito di nullità l'intero atto notarile costitutivo del fondo patrimoniale, anche nella parte che attiene all'immobile (sito in Via Omissis - Camisano Vicentino) di proprietà indivisa dei coniugi B.B./C.C. e ciò, nonostante l'appellante avesse richiesto la declaratoria di nullità e/o inefficacia dell'atto pubblico soltanto con riferimento agli immobili intestati (pro quota: 50%) a A.A.; c) con il terzo motivo, ex art. 360 c.p.c., n. 3 e 5 c.p.c., sia la violazione o falsa applicazione di norme di legge sia l'omesso esame circa un fatto decisivo "che è stato oggetto di un giudizio e di un provvedimento-decreto emesso dal Tribunale di Vicenza (proc. N. 321/2019)", in relazione al disposto dell'art. 116 c.p.c., vale a dire lamentando che si sia trascurato di considerare che il conferimento della quota di proprietà della signora A.A. nel fondo patrimoniale dei suoi genitori aveva un obiettivo di tutela della sua figlia minore, nella eventualità di sua pre-morte o incapacità di esercizio dell'affido esclusivo, avendo già il Tribunale, nel decreto summenzionato, evidenziato quanto già noto e considerato al momento del conferimento, e cioè "la presenza di un quadro clinico paterno tale da costituire elemento di pregiudizio per la minore, se non inserito in un consolidato percorso terapeutico che aiuti D.D. a superare il trauma legato alla vicenda separativa ed a lavorare sulle proprie difficoltà nella gestione di una quotidianità stabile ed equilibrata".
2.La prima censura è infondata.
2.1. Lamentano i ricorrenti l'erroneità dell'argomentazione della Corte d'Appello relativa all'essere il termine "famiglia", impiegato nell'ambito della disciplina del fondo patrimoniale, da intendersi riferito alla famiglia nucleare e non parentale, formata dai coniugi insieme a tutti i soggetti al cui mantenimento essi siano, anche solo eventualmente, obbligati, come nel caso degli ascendenti verso i nipoti (art. 316bis e art. 433 c.c.), e che vantino diritti (art.317bis c.c.).
I ricorrenti censurano anche la statuizione in punto di necessità, essendo il fondo costituito da soggetti terzi, dell'accettazione dei coniugi, rilevando che tutti i soggetti, A.A., B.B. e C.C., avevano sottoscritto l'atto notarile, in calce.
2.2. Il primo profilo di censura risulta infondato. La costituzione del fondo patrimoniale (art. 167 c.c.) è funzionale a far fronte ai bisogni della famiglia, intesi come esigenze di vita dei suoi componenti considerate anche con una certa ampiezza, ricomprendendo in esse, oltre alle esigenze primarie attinenti alla vita della famiglia (mantenimento, abitazione, educazione della prole e dei componenti il nucleo, cure mediche, ecc.), in conformità con il potere di indirizzo della vita familiare in capo ai coniugi, anche i bisogni relativi allo sviluppo stesso della famiglia, nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa.
Quindi, lo strumento deve rispondere e soddisfare questa funzione economico-sociale che il legislatore ha inteso attribuirgli.
Secondo il dettato dell'art. 167 cod. civ., il fondo patrimoniale viene costituito da ciascuno o da ambedue i coniugi, ovvero anche da un terzo, destinando determinati beni mobili o immobili "a far fronte ai bisogni della famiglia". Qualora tale costituzione sia effettuata da un terzo con atto tra vivi, è necessaria l'accettazione da parte dei coniugi.
Le Sezioni Unite (Cass. Sez.Un. 21658/2009), richiamando i propri precedenti (tra cui Cass. 8824/1987), hanno chiarito che " La costituzione del fondo patrimoniale di cui all'art. 167 cod. civ. è soggetta alle disposizioni dell'art. 162 cod. civ., circa le forme delle convenzioni matrimoniali, ivi inclusa quella del quarto comma, che ne condiziona l'opponibilità ai terzi all'annotazione del relativo contratto a margine dell'atto di matrimonio, mentre la trascrizione del vincolo per gli immobili, ai sensi dell'art. 2647 cod. civ., resta degradata a mera pubblicità-notizia e non sopperisce al difetto di annotazione nei registri dello stato civile, che non ammette deroghe o equipollenti, restando irrilevante la conoscenza che i terzi abbiano acquisito altrimenti della costituzione del fondo".
Si è quindi ribadito che la costituzione del fondo patrimoniale rientra tra le convenzioni matrimoniali.
Di conseguenza, la norma non si riferisce alla cosiddetta famiglia "parentale" bensì alla famiglia "nucleare": in essa sono compresi i figli, minori e maggiorenni, ancora a carico dei genitori e non autonomi patrimonialmente, nonché, secondo la dottrina, gli affiliati ed i minori in affidamento temporaneo.
Il fondo patrimoniale può dunque costituirsi solo a beneficio di tutti i componenti della famiglia nucleare fondata sul matrimonio o sull'unione civile ((ex art.1, comma 13, L.76/2016) e i beneficiari godono di una semplice aspettativa di fatto ai proventi del fondo ed alla destinazione finale dei beni.
Tale principio si ricava o si trova affermato sia in Cass. 17811/2014 (che ha ritenuto di ricomprendere nel concetto di famiglia e di beneficiari anche i figli solo concepiti, così affermando che "I coniugi non possono sciogliere consensualmente il fondo patrimoniale in presenza di figli minori già nati od anche solo concepiti; i figli sono, pertanto, legittimati a dedurre la conseguente invalidità del negozio coniugale di scioglimento", in quanto per i componenti del "nucleo familiare" non è certamente irrilevante la consistenza del patrimonio istituzionalmente destinato all'esclusivo soddisfacimento dei relativi bisogni) sia in Cass. 22069/2019 (secondo cui " I figli, quali beneficiari del fondo patrimoniale, sono legittimati ad agire in giudizio in relazione agli atti dispositivi eccedenti l'ordinaria amministrazione che incidano sulla destinazione dei beni del fondo").
In tale pronuncia ultima, resa in una fattispecie in cui i coniugi avevano costituito un fondo patrimoniale, convenendo in un'apposita clausola che, in deroga al disposto dell'art. 169 c.c., i beni conferiti potessero "essere alienati, ipotecati e dati in pegno o comunque vincolati con il solo consenso di entrambi i coniugi, senza necessità di alcuna autorizzazione giudiziale" ed il figlio dei coniugi aveva promosso una lite contro la banca per sentir accertare l'illegittimità della cennata pattuizione e, conseguentemente, l'invalidità della garanzia ipotecaria rilasciata in assenza del controllo, asseritamente ineludibile, del giudice tutelare, si è chiarito che "la norma non si riferisce alla così detta famiglia parentale bensì alla famiglia nucleare; in essa sono compresi i figli legittimi, naturali ed adottivi dei coniugi, minori e maggiorenni non autonomi patrimonialmente, nonché, secondo la dottrina, gli affiliati ed i minori in affidamento temporaneo; in quest'ultimo caso in considerazione del fatto che i coniugi sono tenuti al mantenimento di tali soggetti".
Il fatto che l'istituto in esame riguardi la sola famiglia nucleare si deduce anche dal dettato dell'art.171 c.c., secondo cui lo scioglimento integrale del fondo patrimoniale, anche in assenza di atti dispositivi dei beni, si verifica nel caso del venir meno del vincolo matrimoniale, con l'annullamento o lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio. Seppure le ipotesi non sono tassative, rilevando anche lo scioglimento per mutuo consenso (Cass. 17811/2014), la norma è indicativa del fatto che il legislatore ha inteso tutelare con il vincolo di destinazione derivante dal fondo patrimoniale i bisogni del solo nucleo familiare rappresentato dai coniugi e dai figli.
Orbene, la Corte d'Appello ha accertato che, nell'atto costitutivo per cui è causa, non vi era alcun riferimento alla minore E.E. D.D., figlia della A.A. e del D.D., così escludendo che, nella specie, il fondo fosse stato costituito per far fronte ai bisogni "della famiglia di A.A.", emergendo dall'atto costitutivo che le parti erano soltanto la A.A. ed i suoi genitori e non risultando in alcun modo che anche "i bisogni della famiglia intesa come famiglia della A.A. siano salvaguardati".
E peraltro non può essere costituito un fondo patrimoniale in relazione ai bisogni di distinte famiglie nucleari: nella specie, l'unico nucleo familiare risultante dall'atto era quello rappresentato dai coniugi B.B. e C.C. e dalla loro figlia A.A.
Il conferimento della quota di comproprietà di quest'ultima sulla casa coniugale, in comunione con l'ex convivente di fatto D.D., risultava quindi privo di causa.
2.3. Il secondo profilo di doglianza è inammissibile.
Si censura la parte della sentenza impugnata in cui la Corte d'Appello ha altresì affermato: "in tale ipotesi" (quella in cui anche i bisogni della famiglia della A.A. fossero da ritenersi ricompresi nella causa dell'atto contestato), "essendo il fondo costituito da soggetti terzi sarebbe stata necessaria per il suo perfezionamento l'accettazione dei coniugi (ex art.167, comma 2, c.c.). Invero, in caso di costituzione del fondo per atto inter vivos da parte del terzo, in favore di uno solo dei coniugi, essendo il vincolo essenzialmente destinato alla famiglia quindi anche all'altro coniuge, l'accettazione deve essere espressa da entrambi i coniugi (salvo l'ottenimento dell'autorizzazione giudiziale ai sensi dell'art. 181 c.c., qualora uno dei coniugi non voglia o non possa accettare). Ipotesi qui non verificatasi".
La Corte di merito sembra, in tale passaggio motivazionale, aver fatto riferimento al D.D. e alla A.A. (terza rispetto ai genitori, i coniugi B.B. e C.C.) come se si trattasse di coniugi e non di ex conviventi di fatto, con conseguente inconferenza del richiamo all'art.167, comma 2, c.c.
Ma, in ogni caso, si tratta di una motivazione ad abundantiam, con la quale si intendeva rilevare, oltre all'assenza di causa, un altro vizio, di carattere formale, del negozio costitutivo del fondo patrimoniale.
Peraltro, come si dirà appresso, oggetto del giudizio non era la validità o meno dell'atto costitutivo del fondo patrimoniale nella sua interezza.
3. La seconda doglianza è, invece, fondata.
3.1.Lamentano i ricorrenti il vizio di ultrapetizione in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata, essendo stato dichiarato nullo per mancanza di causa l'intero atto costitutivo del fondo, anche per quanto attiene i beni immobili conferiti nel fondo patrimoniale dai coniugi - separati - B.B. e C.C., malgrado la domanda del D.D. fosse limitata alla declaratoria di nullità dell'atto in relazione alla quota di comproprietà del bene immobile conferito dalla ex convivente. Gli stessi rilevano che neppure dalla motivazione si può evincere che si sia ritenuta la clausola relativa all'atto di conferimento della A.A. in rapporto di interdipendenza ed inscindibilità con le altre pattuizioni o conferimenti dei due coniugi.
3.2.Rispetto a tale motivo, il controricorrente D.D. dichiara di non avere alcun interesse a prendere posizione; lo stesso, peraltro, in relazione al primo motivo, nell'affermare la correttezza della statuizione della Corte d'Appello, rappresenta che, essendo del tutto autonomi gli atti costitutivi del fondo patrimoniale posti in essere , da un lato, dai coniugi B.B. e C.C., in relazione ai loro beni di esclusiva proprietà, e, dall'altro, dalla A.A., di conferimento in tale fondo di un bene di cui la stessa era proprietaria, correttamente la Corte d'Appello ha ritenuto l'atto costitutivo carente sotto il profilo formale, stante la mancata accettazione da parte dei due coniugi dell'atto di liberalità posto in essere dalla loro figlia.
3.3. Il principio di conservazione degli atti giuridici consente di evitare, ove possibile, che un atto concluso venga caducato e posto nel nulla; a ciò sono rivolti gli artt. 1419, 1420 e 1446 c.c.
L'estensione della nullità all'intero contratto deve pertanto essere eccepita e provata dalla parte interessata e non può essere rilevata d'ufficio dal giudice (Cass. 16017/2008, secondo cui "mentre l'effetto estensivo della nullità della singola clausola o del singolo patto all'intero contratto, avendo carattere eccezionale rispetto alla regola della conservazione, non può essere dichiarato d'ufficio dal giudice con la conseguenza che incombe alla parte che assuma l'estensione l'onere di provare l'interdipendenza del resto del contratto dalla clausola o dal patto inficiato da nullità, non è vero il contrario, poiché mentre nel primo caso il giudice che pronunci la nullità dell'intero contratto senza essere stato investito della relativa domanda viola il principio della corrispondenza fra chiesto e pronunciato, nel secondo caso egli pronuncia pur sempre nei limiti della domanda della parte, accogliendola solo parzialmente"; Cass. 1189/2003). Le Sezioni Unite (Cass. 26242/2014; conf. Cass. 16051/2018) hanno in conformità statuito che "Il giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di nullità integrale del contratto deve rilevarne di ufficio la sua nullità solo parziale, e, qualora le parti, all'esito di tale indicazione officiosa, omettano un'espressa istanza di accertamento in tal senso, deve rigettare l'originaria pretesa non potendo inammissibilmente sovrapporsi alla loro valutazione ed alle loro determinazioni espresse nel processo". Il principio espresso da Cass. 16017/2008 e in Cass. 1189/2003 si trova ribadito successivamente in Cass. 18794/2023 ("Il concetto di nullità parziale, di cui all'art. 1419, comma 1, c.c., esprime il generale favore dell'ordinamento per la conservazione, ove possibile, degli atti di autonomia negoziale, ancorché difformi dallo schema legale, ed il carattere eccezionale dell'estensione all'intero contratto della nullità che ne colpisce una parte o una clausola; conseguentemente, spetta a chi ha interesse alla totale caducazione dell'assetto di interessi programmato l'onere di provare l'interdipendenza del resto del contratto dalla clausola o dalla parte nulla, mentre è precluso al giudice rilevare d'ufficio l'effetto estensivo della nullità parziale all'intero contratto") e in Cass. 11188/2024 ("Agli effetti della disposizione contenuta nell'art. 1419 c.c., la prova che le parti non avrebbero concluso il contratto senza quella parte affetta da nullità, con conseguente estensione della invalidità all'intero contratto, deve essere fornita dall'interessato ed è necessario al riguardo un apprezzamento, rimesso al giudice del merito, ed incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente e razionalmente motivato, in ordine alla potenziale volontà dei contraenti in relazione all'eventualità del mancato inserimento della clausola nulla e, dunque, in funzione dell'interesse in concreto perseguito").
L'art.1419 c.c. pone la regola della non estensibilità all'intero contratto della nullità che ne inficia eventualmente solo una parte, stabilendo, in via del tutto eccezionale, che la nullità parziale di un contratto o di singole clausole importi la nullità dell'intero contratto solo se risulta che "i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità". L'indagine sull'essenzialità della clausola nulla è finalizzata a ricostruire in chiave oggettiva se il contratto, una volta espunta la clausola nulla, sia ancora idoneo a realizzare gli interessi perseguiti dalle parti (Cass. 8970/2000).
Nella fattispecie, i ricorrenti sostengono che i coniugi A.A. avrebbero ugualmente costituito il fondo patrimoniale avente a oggetto i beni di loro rispettiva proprietà immobiliare, anche qualora la figlia A.A. non avesse conferito il potere dispositivo della sua quota (50%) di proprietà immobiliare, nei termini sopra argomentati.
La Corte d'Appello, con la decisione ivi impugnata, ha pronunciato una decisione viziata da extra petizione.
Invero, la parte appellante, come si evince dall'intestazione della sentenza impugnata, aveva concluso chiedendo "in totale riforma dell'ordinanza n. 2095/17 Rep. Pubblicata dal Tribunale di Vicenza in data 04.04.2017 ed in pari data comunicata via Pec, accertare e dichiarare nullo e/o inefficace l'atto pubblico in data 27 novembre 2013 n. 102364 di Rep. Notaio F.F. di Padova, con cui sono stati destinati a fondo patrimoniale dei signori B.B. e C.C. gli immobili catastalmente descritti in Comune di C. V. - C.U. - foglio Omissis - mappale Omissis sub Omissis - C/6 , mappale Omissis sub Omissis -A/2".
La Corte d'Appello di Venezia ha dichiarato nullo per mancanza di causa l'atto pubblico in data 27/11/2013 n. 102364 di Rep. Notaio F.F. di Padova, dichiarando la nullità dell'atto pubblico nella sua interezza, anche per ciò che attiene ai beni immobili ivi conferiti nel fondo patrimoniale dai coniugi B.B. e C.C. (coniugi separati legalmente, ma non divorziati).
Né la Corte ha argomentato e motivato la circostanza che la singola clausola (pertinente al solo conferimento dell'immobile della sig.ra A.A.) sia un elemento essenziale del negozio complessivo cui inerisce, né comunque ha esplicato - in motivazione - che il conferimento da parte della A.A. si sia posto in un rapporto di interdipendenza e di inscindibilità con le altre pattuizioni-conferimenti dei due coniugi, tale da non potersi considerare l'una senza le altre, o viceversa.
La Corte d'Appello ha quindi pronunciato violando il principio della domanda e della necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato e la sentenza va pertanto cassata sul punto.
4. Il terzo motivo denuncia vizio di omesso esame ex art.360 n. 5 c.p.c. o di motivazione apparente ex art.360 n. 4 c.p.c., in punto di interesse all'azione del D.D.
Si rileva che si sarebbe trascurato di considerare, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d'Appello, che la destinazione familiare data alla quota detenuta in comproprietà dalla A.A. A.A. non aveva comportato alcuna indisponibilità immutabile e perpetua della stessa e, a maggior ragione, dell'altrui quota di comunione pro-indivisa, liquidabile per mezzo di un'azione di divisione giudiziale, essendo peraltro la convenzione matrimoniale, sottoscritta dai sig.ri B.B. e C.C., ultrasettantenni, e dalla A.A., sempre modificabile.
Del pari, erronea sarebbe la valutazione circa la compromissione del diritto del D.D. di conferire l'immobile in garanzia, prescrivendo l'art.1108 c.c. la maggioranza di almeno due terzi del valore complessivo della cosa comune quale termine minimo e necessario a consentire l'iscrizione ipotecaria su un bene comune.
In definitiva, si lamenta che si sia tutelato l'unico interesse del D.D. a disporre dell'intero immobile, malgrado si trattava di casa familiare vincolata dall'assegnazione giudizialmente statuita, e si sia del tutto trascurato l'interesse della comproprietaria a tutela della figlia minore, attuale e concreto.
Il motivo è inammissibile, non essendo specificato quale sia il fatto decisivo (non la questione di diritto) il cui esame è stato omesso dalla Corte d'Appello.
Né ricorre il vizio di motivazione carente o apparente ex art.360 n. 4 c.p.c.(Cass. Sez.Un. 22232/2016: "La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da "error in procedendo", quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture")
3. Per quanto sopra esposto, va accolto il secondo motivo di ricorso, respinto il primo e inammissibile il terzo, va cassata la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'Appello di Venezia in diversa composizione.
Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, respinto il primo ed inammissibile il terzo, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'Appello di Venezia in diversa composizione, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.