I requisiti di accesso alla prestazione vanno infatti riferiti all'ultimo dei lavori (a tempo indeterminato o a tempo determinato con durata superiore a 6 mesi) precedenti la prestazione, essendo irrilevante che dopo la cessazione di tale rapporto vi sia stata rioccupazione per periodi inferiori a 6 mesi.
Il Giudice di secondo grado dichiarava il diritto del lavoratore all'APE Sociale, condannando l'INPS di conseguenza per le somme dovute. Tale decisione andava a riformare completamente quella emessa dal Tribunale, il quale aveva ritenuto ostativa alla fruizione della prestazione l'assunzione del lavoratore a tempo determinato per periodi inferiori a 6 mesi; al contrario,...
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 14.10.21 la corte d’appello di Firenze, in riforma di sentenza del 20.5.20 del tribunale di Grosseto, ha dichiarato il diritto del lavoratore in epigrafe alla APE sociale ex articolo 1 comma 179 legge 232 del 16 (indennità per una durata non superiore al periodo intercorrente tra la data di accesso al beneficio e il conseguimento dell’età anagrafica prevista per l’accesso al trattamento pensionistico di vecchiaia) e condannato l’Inps al pagamento delle relative prestazioni.
2. In particolare, mentre il giudice di primo grado aveva ritenuto ostativa alla fruizione della prestazione previdenziale l’assunzione a termine per periodi inferiori a sei mesi, la corte territoriale ha ritenuto che tali rapporti non escludevano lo stato di disoccupazione rilevante ex articolo 19 legge 150 del 2015, essendo peraltro gli altri requisiti della prestazione pacificamente sussistenti.
3. Avverso tale sentenza ricorre l’Inps per un motivo, cui resiste il lavoratore con controricorso, illustrato da memoria.
4. Il procuratore generale ha depositato requisitorie ed ha concluso all’udienza.
Motivi della decisione
5. L’unico motivo di ricorso deduce violazione dell’articolo 1 comma 179 lettera a) della legge 232 del 16, per avere la corte territoriale trascurato che i requisiti di accesso all’APE (occupazione per 18 mesi nei 36 mesi precedenti) vanno riferiti all’ultimo dei lavori precedenti la prestazione e non a quelli precedenti ancora, ove vi sia stata nelle more disoccupazione e rioccupazione per periodi inferiori a sei mesi.
6. Il motivo di ricorso è infondato.
7. La disposizione di accesso all’APE sociale invero prevede che possano accedere alla provvidenza i soggetti che si trovano in stato di disoccupazione a seguito di cessazione del rapporto di lavoro per licenziamento, anche collettivo, dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale dell’ambito della procedura ex art. 7 l. 604/66.
8. In tale contesto il messaggio INPS 4195 del 25 ottobre 2017 (in continuità con la nota Ministeriale n. 7214 del 13 ottobre 2017) aveva precisato che eventuali rapporti di lavoro subordinato di durata non superiore a sei mesi, svolti dal richiedente nel periodo successivo alla corresponsione della prestazione, non determinano il venir meno dello stato di disoccupazione e non ostano perciò all’accesso all’APE sociale.
9. Ciò è peraltro conforme alla disciplina della indennità di disoccupazione, richiamata dalla corte territoriale, che esclude che lo stato di disoccupazione venga meno (restando solo sospeso) durante il periodo di svolgimento di lavori temporanei o precari.
10. Su tale contesto normativo non hanno inciso in alcun modo le previsioni della legge di bilancio per il 2018 (art. 1 co. 162 l. 205/17) richiamate dall’INPS, le quali hanno ampliato l‘accesso all’APE sociale ai lavoratori a termine, ma non hanno in alcun modo né modificato i requisiti di accesso alla prestazione per i lavoratori già inclusi, né hanno tolto agli stessi il diritto alla prestazione alle condizioni di legge.
11. Deve correlativamente ritenersi che la nuova fattispecie prevista dalla normativa suddetta determini un allargamento della platea dei beneficiari dell’APE sociale a coloro che sono stati occupati con contratto a tempo determinato ed a coloro che dopo la cessazione di un rapporto a tempo indeterminato per le causali già previsto dalla pregressa normativa (recesso) siano stati assunti con un contratto a termine di durata superiore a sei mesi, cui è conseguita a termini di legge la cessazione dello stato di disoccupazione.
12. Applicati i detti principi al caso di specie, deve rilevarsi che il lavoratore ha chiesto la prestazione in discorso in relazione al rapporto di lavoro a tempo indeterminato che era cessato per licenziamento del 30.12.10, senza far riferimento ai rapporti di lavoro precari successivi allo stesso; è pacifico che in relazione al richiamato licenziamento il lavoratore possedeva tutti i requisiti richiesti dalla disciplina per beneficiare della prestazione.
13. Può dunque affermarsi, in tema di APE sociale di cui all’articolo 1 comma 179 lettera a) della legge 232 del 2016, che i requisiti di accesso alla prestazione (occupazione per 18 mesi nei 36 mesi precedenti alla cessazione del rapporto, e successiva disoccupazione) vanno riferiti all’ultimo dei lavori -a tempo indeterminato o a tempo determinato con durata superiore a sei mesi- precedenti la prestazione, restando irrilevante che dopo la cessazione del detto rapporto vi sia stata rioccupazione per periodi inferiori a sei mesi.
14. Ne consegue il rigetto del ricorso.
15. Le spese devono essere compensate tra le parti per la novità della questione.
16. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Spese compensate.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.