Nel caso in esame, la nuova sede di lavoro distava circa 300 km dalla residenza della lavoratrice, alla quale peraltro era già stato riconosciuto l'accesso alla NASpI, ma non anche il diritto all'APE sociale.
L'attrice conviene in giudizio l'INPS per chiedere l'accertamento del suo diritto a percepire l'APE sociale a partire dal
Alla base della domanda, il...
Svolgimento del processo
1. Con ricorso depositato il 24/01/2024, ha convenuto in giudizio avanti al Tribunale di Milano - Sezione Lavoro - I.N.P.S., per sentir accogliere le seguenti conclusioni: "accertare e dichiarare il diritto della signora(omissis) a percepire l'APE sociale di cui all'art. 1, commi da 179 a 186, L. n. 232/ 2016, a decorrere dal 1 ° febbraio 2023, o comunque dalla diversa data che risulterà all'esito del giudizio, per tutte le ragioni di cui in diritto, e per l'effetto: b) condannare l'I.N.P.S. - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale in persona del legale rappresentante pro tempore, a pagare alla signora (omissis) la somma di euro 18. 000, 00, ovvero la diversa somma che sarà ritenuta di giustizia, maturata al 31 gennaio 2024, oltre alle successive mensilità che risulteranno spettanti; c) condannare l'I.N.P.S. - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, in persona del legale rappresentante pro tempore, al rimborso dei compensi dovuti dalla ricorrente ai propri difensori e delle spese, da liquidarsi secondo i criteri di cui al D.M. n. 55/ 2014 e da distrarsi, ai sensi dell'art. 93 c.p.c., a favore degli avvocati che si dichiarano antistatari".
2. Con l'odierno ricorso, (omissis) chiede accertarsi la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del proprio diritto a percepire l'APE Sociale a decorrere dal 1° febbraio 2023 nonché l'illegittimità del provvedimento di reiezione di INPS adottato in data 3 luglio 2023 sulla base delle seguenti motivazioni: "La causa di cessazione del rapporto di lavoro che ha dato diritto al trattamento di sostegno al reddito non rientra nella risoluzione consensuale nell'ambito della procedura di cui all'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604". La ricorrente, al riguardo, rappresenta le seguenti circostanze:
- di essere stata assunta dalla (omissis) il 26 ottobre 1998 con contratto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato, con applicazione del CCNL Metalmeccanica Industria;
- di essere passata alle dipendenze della S.r.l. a seguito di fusione per incorporazione;
- di aver rifiutato il trasferimento disposto dalla società presso la sede sita a P. (LU), a distanza di circa 300 km dalla sua residenza (sita a C. B.);
- di aver sottoscritto un verbale di conciliazione in data 31 ottobre 2017 per risolvere consensualmente il rapporto;
- di aver ottenuto l'accesso alla NASpI e di aver terminato il periodo di fruizione previsto;
- di aver presentato domanda di verifica delle condizioni per il riconoscimento dell'APE sociale nonché domanda di accesso alla prestazione, entrambe respinte con la motivazione sopra riportata.
1.2 In punto di diritto, la ricorrente afferma l'illegittima posizione formalistica assunta da INPS sottolineando come l'accordo risolutivo intervenuto tra lavoratore e datore di lavoro, a seguito del rifiuto del trasferimento, debba rientrare tra le ipotesi di perdita involontaria del rapporto di lavoro, come peraltro riconosciuto dalla stessa resistente in diverse circolari e come già avvenuto, nella medesima vicenda, con riferimento alla richiesta di accesso alla NASpl.
2. Si costituiva ritualmente in giudizio I.N.P.S. eccependo l'infondatezza in fatto e in diritto delle domande di cui al ricorso e chiedendo il rigetto delle avversarie pretese, evidenziando la tassatività dell'elenco previsto dall'art. 1 c. 179 lett. a) L. n. 232/2016.
3. Esperito inutilmente il tentativo di conciliazione e ritenuta la causa matura per la decisione senza necessità di istruzione probatoria, il Giudice ha invitato le parti alla discussione, all'esito della quale ha pronunciato sentenza contestuale.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato e, pertanto, deve essere accolto.
2. Come risulta dalla documentazione in atti, (omissis) - è assunta della (omissis) S.r.l." il 26 ottobre 1998, con contratto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato, con applicazione del CCNL Metalmeccanica Industria (doc.2 buste paga). A seguito di fusione per incorporazione è passata alle dipendenze della (omissis) che, in data 18 ottobre 2017, le ha comunicato il trasferimento di sede di lavoro presso lo stabilimento sito a P. (LU) (doc. 4), distante 295 km dalla sua abitazione (doc. 5 itinerario). Con verbale di conciliazione del 31 ottobre 2017, le parti hanno risolto consensualmente il rapporto di lavoro, specificando, nelle premesse, l'avvenuta chiusura dello stabilimento al quale la ricorrente era addetta (C.), il trasferimento collettivo dei dipendenti ivi addetti alla sede di P. (LU), e il rifiuto della ricorrente a tale trasferimento, in ragione della significativa distanza rispetto alla propria residenza.
3. A seguito della sottoscrizione di tale verbale di conciliazione, INPS ha accolto la domanda di NASpI presentata dalla ricorrente con decorrenza 7 novembre 2017 per un totale di 700 giorni, così riconoscendo il requisito della perdita involontaria del rapporto di lavoro.
Tale requisito è stato, invece, negato dal medesimo istituto al fine di riconoscere il diritto della ricorrente alla prestazione Ape Sociale.
4. Tanto premesso, occorre brevemente ricostruire la disciplina normativa dell'APE sociale.
4.1. La prestazione previdenziale di cui si controverte, c.d. ape sociale, è stata introdotta in via sperimentale con la funzione di anticipo pensionistico in favore di soggetti abbiano compiuto almeno 63 anni di età e sino al raggiungimento dell'età prevista per la pensione di vecchiaia (ovvero pensione anticipata) in presenza di determinati presupposti. L'art. 1, comma 179, L. 11 dicembre 2016 n. 232 dispone che: "In via sperimentale, dal 1° maggio 2017 e fino al 31 dicembre 2023, agli iscritti all'assicurazione generale obbligatoria, alle forme sostitutive ed esclusive della medesima e alla Gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, che si trovano in una delle seguenti condizioni di cui alle lettere da a) a d) del presente comma, al compimento del requisito anagrafico dei 63 anni, è riconosciuta, alle condizioni di cui ai commi 185 e 186 del presente articolo, un'indennità per una durata non superiore al periodo intercorrente tra la data di accesso al beneficio e il conseguimento dell'età anagrafica prevista per l'accesso al trattamento pensionistico di vecchiaia di cui all'articolo 24, comma 6, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214:
a) si trovano in stato di disoccupazione a seguito di cessazione del rapporto di lavoro per licenziamento, anche collettivo, dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale nell'ambito della procedura di cui all'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, ovvero per scadenza del termine del rapporto di lavoro a tempo determinato a condizione che abbiano avuto, nei trentasei mesi precedenti la cessazione del rapporto, periodi di lavoro dipendente per almeno diciotto mesi hanno concluso integralmente la prestazione per la disoccupazione loro spettante [da almeno tre mesi} e sono in possesso di un'anzianità contributiva di almeno 30 anni;
b) assistono, al momento della richiesta e da almeno sei mesi, il coniuge o un parente di primo grado convivente con handicap in situazione di gravità ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero un parente o un affine di secondo grado convivente qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i settanta anni di età oppure siano anch'essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti, e sono in possesso di un'anzianità contributiva di almeno 30 anni;
c) hanno una riduzione della capacità lavorativa, accertata dalle competenti commissioni per il riconoscimento dell'invalidità civile, superiore o uguale al 74 per cento e sono in possesso di un'anzianità contributiva di almeno 30 anni;
d) sono lavoratori dipendenti, al momento della decorrenza dell'indennità di cui al comma 181, all'interno delle professioni indicate nell'allegato C annesso alla presente legge che svolgono da almeno sette anni negli ultimi dieci ovvero almeno sei anni negli ultimi sette attività lavorative per le quali è richiesto un impegno tale da rendere particolarmente difficoltoso e rischioso il loro svolgimento in modo continuativo e sono in possesso di un'anzianità contributiva di almeno 36 anni".
5. Il tema su cui si controverte attiene alla possibilità di ricondurre la causale di cessazione del rapporto di lavoro della ricorrente - risoluzione a seguito di trasferimento disposto dalla società a distanza di 300km dalla residenza- ad una delle ipotesi di cui alla lettera a) dell'art. 1 comma 179 della 1. 232/2016 ("licenziamento, anche collettivo, dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale nell'ambito della procedura di cui all'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, ovvero per scadenza del termine del rapporto di lavoro a tempo determinato a condizione che abbiano avuto, nei trentasei mesi precedenti la cessazione del rapporto, periodi di lavoro dipendente per almeno diciotto mesi hanno concluso integralmente la prestazione per la disoccupazione loro spettante").
6. Giova preliminarmente osservare come tali ipotesi ricalchino sostanzialmente quelle previste per l'accesso alla NASpl Quanto alla domanda diretta ad ottenere l'indennità NASpI, l'art. 3 d.lgs. n. 22/2015 prevede, infatti, che: "La NASpl è riconosciuta ai lavoratori che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione e che presentino congiuntamente i seguenti requisiti(..) 2. La NASpl è riconosciuta anche ai lavoratori che hanno rassegnato le dimissioni per giusta causa e nei casi di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro intervenuta nell'ambito della procedura di cui all'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dall'articolo 1, comma 40, della legge n. 92 del 2012". Tra le ipotesi di perdita involontaria del rapporto di lavoro, con conseguente diritto alla NASpI, deve ritenersi pacificamente rientrante anche l'avvenuta risoluzione consensuale del rapporto a seguito di rifiuto del dipendente al trasferimento presso una sede distante oltre i 50 km dalla propria residenza, come chiarito da diverse circolari INPS. In particolare, con la circolare n. 108 del 10.10.2006, l'Ente previdenziale ha espressamente analizzato l'ipotesi del trasferimento del lavoratore "ad una diversa sede dell'azienda, quando quest'ultima si trovi ad una notevole distanza dalla residenza e/ o dall'ultima sede presso la quale il dipendente prestava la propria attività", concludendo che "anche in quest'ultimo caso possono ricorrere i presupposti per riconoscere l'indennità di disoccupazione ordinaria, poiché la volontà del lavoratore può essere stata indotta dalle notevoli variazioni delle condizioni di lavoro conseguenti al trasferimento del dipendente ad altra sede della stessa azienda. In particolare, va posta in considerazione la circostanza che la sede di destinazione disti più di 50 km dalla residenza del lavoratore e/ o trovarsi in un luogo mediamente raggiungibile in 80 minuti con i mezzi pubblici come disposto dal decreto legge 5 ottobre 2004 n. 249, convertito con modificazioni dalla legge 3 dicembre 2004 n. 91". Tale impostazione è stata poi confermata anche con il messaggio n. 369 del 26.1.2018, con cui I.N.P.S. ha precisato che, in caso di risoluzione consensuale a seguito di trasferimento ad altra sede aziendale distante più di 50 km dalla residenza del lavoratore, "è possibile accedere alla indennità di disoccupazione NASpl [...] anche laddove lavoratore e datore di lavoro pattuiscano la corresponsione, in favore del lavoratore di somme a vario titolo e di qualunque importo esse siano", con ciò appunto valorizzando l'incidenza delle "notevoli variazioni delle condizioni di lavoro conseguenti al trasferimento" sulla volontà del dipendente di concludere il rapporto a prescindere da eventuali riconoscimenti economici - anche consistenti - da parte del datore di lavoro. Inoltre, nel medesimo messaggio l'Ente previdenziale si è premurato di specificare che "in ordine al requisito della involontarietà dello stato di disoccupazione, ai sensi dell'art.2 comma 5 della citata legge n. 92 e dell'art. 3 comma 2 del citato decreto n.22 le predette indennità di disoccupazione sono riconosciute anche nelle ipotesi di dimissioni per giusta causa e di risoluzione consensuale intervenuta nell'ambito della procedura di conciliazione di cui all'art. 7 della legge n. 604 del 1966 come modificato dall'art. 1, comma 40, della legge n. 92 del 2012", evidenziando poi che "alla luce delle richiamate disposizioni, in talune ipotesi in cui la cessazione del rapporto di lavoro non consegue ad un atto unilaterale del datore di lavoro è consentito l'accesso al trattamento di disoccupazione. In particolare nelle ipotesi di dimissioni per giusta causa e cioè in presenza di una condizione di improseguibilità del rapporto di lavoro, la cui ricorrenza deve essere valutata dal giudice, l'atto di dimissioni del lavoratore è comunque da ascrivere al comportamento di un altro soggetto e il conseguente stato di disoccupazione non può che ritenersi involontario".
7. Tale interpretazione, volta a ricomprendere tra le ipotesi di disoccupazione involontaria anche l'ipotesi della risoluzione conseguente al trasferimento del lavoratore ad oltre 50km di distanza, è stata correttamente seguita dallo stesso Istituto previdenziale accordando alla ricorrente la prestazione NASpl.
8. A parere del giudicante non vi è alcun motivo per contraddire tale interpretazione, valutando il medesimo requisito della disoccupazione involontaria, con riferimento alla concessione della prestazione APE sociale. Oltre a prendere in considerazione, tra gli altri, il medesimo presupposto della NASpI, ovvero la condizione di disoccupazione conseguente alla perdita involontaria del rapporto di lavoro, l'art. 1 co. 179, lett. a) evidenzia il nesso sussistente tra le due prestazioni specificando che tale prestazione potrà essere richiesta una volta "concluso integralmente la prestazione per la disoccupazione loro spettante". È evidente, a parere del giudicante, l'intenzione del legislatore di assegnare all'APE sociale la funzione di "ponte" tra il termine del periodo di fruizione di NASpI e la maturazione dei requisiti anagrafici per la pensione di vecchiaia (o anticipata), in favore di soggetti con età superiore a 63 anni, la cui speranza di rioccupazione è oggettivamente ridotta.
9. Ad ulteriore sostegno di tale tesi, deve rammentarsi che la Corte di Giustizia dell'Unione Europea, con la sentenza dell'l l novembre 2015 nella causa c-422/ 14 (Rivera c. Gestora Clubs Dir SL, Fondo de Garantia Salariai) ha chiarito che "La direttiva 98/ 59 deve essere interpretata nel senso che il fatto che un datore di lavoro proceda, unilateralmente e a svantaggio del lavoratore, ad una modifica sostanziale degli elementi essenziali del contratto di lavoro per ragioni non inerenti alla persona del lavoratore stesso rientra nella nozione di «licenziamento" di cui all'articolo 1, paragrafo 1, primo comma, lettera a}, della medesima direttiva". Nello specifico si è chiarito che "la riduzione della retribuzione fissa della lavoratrice di cui trattasi è stata imposta unilateralmente dal datore di lavoro per ragioni di ordine economico e produttivo e ha condotto, a fronte della sua mancata accettazione da parte della persona interessata, alla risoluzione del contratto di lavoro accompagnata dal versamento di un'indennità, calcolata sulla stessa base di quelle dovute in caso di licenziamento illegittimo. Dall'altro lato, secondo la giurisprudenza della Corte, armonizzando le norme applicabili ai licenziamenti collettivi, il legislatore dell'Unione ha al tempo stesso inteso garantire una protezione di analoga natura dei diritti dei lavoratori nei vari Stati membri e promuovere il ravvicinamento degli oneri che dette norme di tutela comportano per le imprese dell'Unione (sentenze Commissione/ Regno Unito, C-383/ 92, EU:C:1994:234, punto 16, e Commissione/ Portogallo, C-55/ 02, EU:C:2004:605, punto 48). Orbene, la nozione di «licenziamento11, che figura all'articolo 1, paragrafo 1, primo comma, lettera a), della direttiva 98/ 59, condiziona direttamente, come emerge dai punti da 43 a 45 supra, l'applicazione della tutela e dei diritti predisposti dalla direttiva medesima a favore dei lavoratori. Tale nozione incide, quindi, direttamente sugli oneri che tale tutela comporta. Di conseguenza, qualsiasi normativa nazionale o interpretazione di detta nozione che conduca a ritenere che, in una fattispecie come quella oggetto del procedimento principale, la risoluzione del contratto di lavoro non costituisca un «licenziamento», ai sensi della direttiva 98/ 59, altererebbe l'ambito di applicazione di detta direttiva, privandola così della sua piena efficacia (v., in tal senso, sentenza Confederativo générale du travail e a., C-385/ 05, EU:C:2007:37, punto 47)".
10. Alla luce di tali chiare indicazioni, la risoluzione consensuale intervenuta nel caso in esame deve ritenersi certamente conseguente al mutamento unilaterale delle condizioni essenziali del rapporto di lavoro per ragioni di ordine economico e produttivo del datore di lavoro non accettate dal lavoratore e va qualificata, a tutti gli effetti, quale perdita involontaria del rapporto di lavoro. Peraltro, nel caso in esame, la perdita dell'occupazione è evidentemente dipesa, a monte, dall'unilaterale decisione della datrice di lavoro di trasferire la ricorrente ad una sede distante circa 300 km dal luogo di residenza e dalla sede di assegnazione al momento dell'assunzione; detto trasferimento, oltretutto, è dipeso alla chiusura dello stabilimento al quale la ricorrente era adibita e dunque per evidenti ragioni di ordine economico e produttivo, ai sensi dell'art. 2103 c.c.
11. Di conseguenza, irragionevole ed illegittima risulta la posizione dell'Ente, laddove dopo aver riconosciuto il diritto alla NASpl e, dunque, la disoccupazione involontaria della ricorrente, le ha negato l'accesso alla prestazione APE sociale.
12. Per tutto quanto su ora argomentato, va riconosciuto il diritto della ricorrente a percepire l'APE sociale di cui all'art. 1, commi da 179 a 186, L. n. 232/2016, a decorrere dal 1° febbraio 2023, e per l'effetto, INPS va condannata al versamento delle corrispondenti somme già maturate oltre alla corresponsione delle rate successivamente spettanti. La quantificazione operata in ricorso delle somme maturate, indicata solo in sede di conclusioni e pari ad €18.000,00, oltre ad essere stata contestata da INPS non riporta alcun criterio di quantificazione né alcun conteggio da cui sia possibile verificarne la correttezza; va pertanto condannata INPS, in via generica, alla corresponsione di quanto spettante ai sensi della normativa vigente per la prestazione spettante dal 1° febbraio 2023 nonché al pagamento delle successive rate.
13. La condanna al pagamento delle spese di lite segue la soccombenza e, pertanto, INPS deve essere condannata al pagamento delle stesse liquidate come in dispositivo, sulla base dei parametri di cui al DM 55/2014 tenuto conto del valore della controversia, delle fasi effettivamente espletate nonché in considerazione del pregio dell'attività prestata e della complessità delle questioni giuridiche affrontate, con distrazione a favore del procuratore antistatario.
La sentenza è provvisoriamente esecutiva ex art. 431 c.p.c.
P.Q.M.
il Giudice del Lavoro, definitivamente pronunciando,
1. accerta e dichiara il diritto della ricorrente a percepire l'APE sociale di cui all'art. 1, commi da 179 a 186, L. n. 232/2016, a decorrere dal 1° febbraio 2023;
2. per l'effetto, condanna INPS al versamento delle corrispondenti somme già maturate oltre alla corresponsione delle rate successivamente spettanti;
3. condanna INPS alla rifusione delle spese di lite che liquida in complessivi (omissis) oltre I.V.A. e C.P.A, 15% spese generali e contributo unificato da distrarsi a favore del procuratore antistatario Sentenza provvisoriamente esecutiva.