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28 novembre 2024
Illegittimo il licenziamento del lavoratore che durante la malattia svolge attività fisica

Non è necessario esperire la querela di falso contro il certificato medico laddove il datore di lavoro intenda contestare le valutazioni del sanitario sull'impossibilità temporanea della prestazione lavorativa, poiché esse non sono coperte da fede privilegiata.

di La Redazione

Riformando la pronuncia di primo grado, la Corte d'Appello di Roma dichiarava illegittimo il licenziamento intimato al lavoratore irrogato per l'uso improprio dell'assenza per malattia, applicando la tutela reintegratoria di cui all'art. 18, comma 4, Statuto dei lavoratori.
Nello specifico, al lavoratore era stato contestato di aver simulato la malattia, ponendo in essere una condotta contraria ai doveri di correttezza, buona fede e fedeltà aziendale nell'esecuzione del rapporto di lavoro allo scopo di prolungare la sua assenza.
Secondo il Giudice di secondo grado, invece, una volta recepito l'esito della CTU disposta in sede di reclamo, era da escludere che le attività fisiche espletate dal lavoratore rispetto alla patologia indicata nei certificati di malattia potesse ritardare o compromettere la guarigione ovvero comportare un peggioramento delle sue condizioni di salute, per cui aveva ritenuto illegittimo il licenziamento.
Il datore di lavoro impugna la decisione mediante ricorso per cassazione lamentando, tra i diversi motivi, che erroneamente la Corte d'Appello aveva ritenuto che il datore di lavoro che intendesse contestare la sussistenza della malattia del proprio dipendente debba proporre querela di falso con riferimento alla certificazione medica.

Con la sentenza n. 30551 del 27 novembre 2024, la Cassazione dichiara fondato il motivo di ricorso, ricordando che l'onere di provare che la malattia del dipendente è simulata o che la diversa attività dallo stesso posta in essere sia idonea a pregiudicare o ritardare il rientro in servizio incombe sul datore di lavoro. In tale contesto, quest'ultimo può avvalersi di tutti i mezzi di prova utilizzabili in giudizio finalizzati ad accertare i fatti, sollecitando anche il giudice ad esperire una CTU o ad attivare i suoi poteri d'ufficio. Dal canto suo, il giudice, rispettando il criterio del contemperamento del principio dispositivo con le esigenze di ricerca della verità materiale, avrà il compito di valutare tempi e luoghi della diversa attività svolta dal dipendente durante la malattia, attribuendo rilievo alla circostanza che si tratti di attività ricreativa o ludica ovvero di attività prestata in favore di terzi. In seguito, sarà necessario altresì accertare le caratteristiche della patologia oggetto dei certificati di malattia per poi verificare se da tali elementi scaturisca la prova che la malattia fosse finta ovvero che la condotta del lavoratore fosse idonea potenzialmente a pregiudicare o ritardare il rientro in servizio.
A questo punto, gli Ermellini evidenziano che il certificato medico emesso dal medico convenzionato con il SSN è un atto coperto da pubblica fede fino a querela di falso circa la sua provenienza e i fatti attestati al suo interno.

attenzione

Tuttavia, la fede privilegiata non copre anche i giudizi valutativi che il sanitario ha espresso in occasione del controllo sullo stato di malattia e sull'impossibilità temporanea della prestazione di lavoro. Questi, infatti, anche se sono dotati comunque di un alto grado di attendibilità, consentono al giudice di con tenere conto anche di elementi probatori contrari acquisiti nel processo.

Ha sbagliato dunque il Giudice di secondo grado ad avere affermato che per contestare l'esattezza di una diagnosi fosse necessaria una querela di falso del certificato medico.
Segue l'accoglimento del motivo di ricorso.

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