Svolgimento del processo
1. Il Tribunale di Roma, in parziale accoglimento delle domande proposte da P.S. (dirigente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato - AGCOM, responsabile della Dirigenza generale tutela del consumatore dal settembre 2009), ha condannato R.C., suo superiore gerarchico, al pagamento della somma di € 16.217,00 a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale.
Il P.S. aveva dedotto di avere subito un danno biologico consistente in sofferenze fisiche e psichiche, nonché una modifica peggiorativa della personalità in ragione delle persecuzioni patite sul luogo di lavoro a causa dei comportamenti posti in essere dal R.C., insediatosi come Segretario generale in data 22.12.2011.
2. La Corte di appello di Roma, in riforma di tale sentenza, ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario.
3. La Corte territoriale ha osservato che le controversie dei dipendenti dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 3 del d.lgs. n. 165/2001, che non ha subito deroghe per effetto dell’art. 133 c.p.a., approvato con d.lgs. n. 104/2010.
4. Il giudice di appello ha rilevato che, pur avendo il P.S. fatto valere la responsabilità del R.C. separatamente da quella del datore di lavoro, contro il quale aveva agito in sede amministrativa, i comportamenti denunciati erano stati posti in essere dal superiore gerarchico nell’ambito del rapporto di lavoro; ha inoltre evidenziato che la loro illiceità non era stata ricollegata alla violazione del generale divieto del neminem laedere, ma alla violazione di obblighi connessi al medesimo rapporto, nell’espletamento della funzione di superiore gerarchico.
5. Ha, pertanto, escluso che la responsabilità del superiore gerarchico debba essere accertata in una sede diversa da quella deputata a conoscere delle controversie del lavoro; ha sul punto richiamato la giurisprudenza di legittimità secondo cui la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo si estende anche alle controversie aventi contenuto meramente patrimoniale, ogniqualvolta la pretesa dedotta in giudizio trovi titolo immediato e diretto nel rapporto di lavoro quale momento genetico dei diritti azionati in giudizio.
6. Considerato che ai fini del riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo rileva il petitum sostanziale in funzione della causa petendi, quale intrinseca natura della posizione soggettiva dedotta in giudizio ed individuata dal giudice riguardo ai fatti allegati e al rapporto giuridico del quale sono manifestazione, ha evidenziato che il P.S., pur avendo invocato la responsabilità aquiliana, aveva denunciato la condotta del R.C. come violativa di specifici obblighi contrattuali derivanti dal rapporto di impiego, e non di obblighi ipotizzabili nei confronti di tutti i consociati.
7. Avverso tale sentenza P.S. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo, illustrato da memoria.
8. R.C. ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.
Motivi della decisione
1. Con un unico articolato motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 1 cod. proc. civ. il ricorso deduce che la giurisdizione spetta al giudice ordinario.
Evidenzia che le domande proposte nei confronti del R.C. erano state fondate sul carattere doloso ed emulativo del suo comportamento, che si era estrinsecato in un attacco personale attraverso una pluralità di condotte, frutto di una strategia persecutoria che mirava all’emarginazione e all’isolamento del P.S..
Addebita alla Corte territoriale di avere ritenuto che le condotte del R.C. trovassero il loro titolo nel rapporto di lavoro e di non avere considerato l’elemento psicologico specifico, costituito dalla specifica volontà ritorsiva ed emulativa del R.C., dedotta e contestata dal P.S..
Critica la sentenza impugnata per avere ritenuto la giurisdizione del giudice amministrativo a fronte della mancata contestazione del P.S. in ordine al mutamento del rito disposto dal Tribunale; sostiene che l’eventuale erroneità del rito non può incidere sulla giurisdizione e che la Corte territoriale avrebbe dovuto semmai adottare i provvedimenti sulla conversione del rito.
Argomenta che la responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 cod. civ., che nel caso di specie appartiene alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ha un titolo diverso e costituisce un illecito distinto; evidenzia che la questione non verte sugli atti gestori del R.C., ma sul carattere emulativo e ritorsivo dei medesimi, e che non vi era alcun rapporto contrattuale tra il P.S. e il R.C..
Richiama la giurisprudenza di legittimità secondo cui gli atti di ritorsione ed emulazione esulano dalla discrezionalità amministrativa, comportando la violazione del principio del neminem laedere, e secondo cui la giurisdizione del giudice amministrativo non si estende alle controversie in cui il potere amministrativo venga in discussione solo in ragione della sua esplicazione formale.
2. In via preliminare va rilevato che il Collegio è delegato a trattare la questione di giurisdizione – posta dal primo motivo del ricorso principale ¿ in virtù del decreto del Primo Presidente in data 10 settembre 2018 in quanto essa rientra, nell’ambito delle materie di competenza della Sezione lavoro, tra le questioni indicate nel richiamato decreto sulle quali si è consolidata la giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte.
3. L’eccezione di inammissibilità del ricorso è infondata, in quanto l’atto indica con chiarezza le ragioni per le quali la Corte territoriale ha errato nell’escludere la giurisdizione del giudice ordinario e formula censure chiaramente riconducibili al vizio di cui al n. 1 dell’art. 360, espressamente indicato nel ricorso stesso.
Inoltre il ricorso riporta i passaggi salienti del ricorso introduttivo, sui quali fa leva per sostenere che nei confronti del mobber era stata esperita un’azione diversa e distinta rispetto a quella contrattuale ex art. 2087 c.c. (tra l’altro già proposta dinanzi al giudice amministrativo nei confronti dell’amministrazione), e non fornisce, dunque, una ricostruzione dei fatti processuali diversa da quella emersa in giudizio.
4. Il ricorso è fondato.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo affermato che la giurisdizione si determina sulla base della domanda ed occorre avere riguardo al petitum sostanziale, da identificare, non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, quanto, soprattutto, in funzione della causa petendi, ossia dell'intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio, da individuare con riguardo ai fatti allegati e al rapporto giuridico di cui essi sono espressione (cfr. fra le tante Cass. S.U. 12 luglio 2023 n. 19966; Cass. S.U. 12 novembre 2020, n. 25578; Cass. S.U. 18 maggio 2021, n. 13492).
Nella specie il ricorrente ha posto a fondamento della domanda non il rapporto contrattuale (che intercorre con la sola Amministrazione, non evocata nel presente giudizio), ma la responsabilità generale che deriva dal principio del neminen laedere, ossia dall’obbligo giuridico di non aggredire ingiustificatamente la sfera altrui e di astenersi dal tenere nei confronti di terzi atti emulativi e persecutori idonei ad arrecare pregiudizio alla personalità del perseguitato in tutte le sue esplicazioni.
Tale principio è posto alla base di plurime disposizioni di legge, anche di carattere penale (maltrattamenti, molestie, stalking) e si modella diversamente a seconda che la condotta si esplichi o meno all’interno di una comunità.
L’azione che il dipendente intraprende nei confronti del mobber, e non del datore di lavoro, non ha dunque carattere contrattuale ed alla stessa non si applica l’art. 2087 c.c., ma l’art. 2043 c.c., in quanto nessun rapporto contrattuale intercorre direttamente fra il mobber ed il mobbizzato e l’appartenenza alla medesima comunità lavorativa rileva solo indirettamente, costituendo solo un’occasione rispetto all’attività illecita, in ordine alla quale detta appartenenza rileva solo indirettamente, qualificando e specificando quali siano i comportamenti ai quali in quel determinato contesto il soggetto che agisce deve attenersi nel rispetto della sfera degli altri appartenenti alla medesima comunità.
Il dipendente è tenuto al rispetto delle regole di sicurezza nei confronti del datore di lavoro sulla base di una specifica obbligazione contrattuale, e nei confronti degli altri lavoratori ex art. 2043 cod. civ.; pertanto, ove dette regole risultino violate e arrechino danni a terzi, risponderà nei confronti di entrambi ma sulla base di titoli giuridici diversi.
5. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno inoltre chiarito che «il giudice amministrativo ha giurisdizione solo per le controversie nelle quali sia parte una pubblica amministrazione o un soggetto a questa equiparata; pertanto, esula dalla sua giurisdizione la domanda di risarcimento del danno proposta da un privato contro un altro privato, pur se connessa con una vicenda provvedimentale; tale delimitazione dell’ambito della giurisdizione amministrativa si fonda sul dato testuale dell’art. 103 Cost. e dell’art. 7 cod. proc. amm.; la prima norma indicata non consente, infatti, di ritenere che il giudice amministrativo possa conoscere di controversie di cui non sia parte una P.A., o soggetti ad essa equiparati (Cass., sez. un., ord., 21/12/2020, n. 29175 e Cass., sez. un., ord., 9/03/2020, n. 6690) e la seconda norma richiamata, nell’individuare la giurisdizione del giudice amministrativo sulle controversie nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie, di diritti soggettivi, riferisce tali controversie a «l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo» e le afferma come «riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni».
Tale ultimo inciso viene valorizzato come limite all’estensione della giurisdizione amministrativa (Cass., sez. un., ord., 13/06/2006, n. 13659; Cass., sez. un., ord., 8/03/2011, n. 5408), evidenziandosi che il riferimento esplicito e chiaro alle forme dell'esercizio del potere in quanto poste in essere da «pubbliche amministrazioni» evidenzia come «soggettivamente la controversia esige che una delle parti sia la pubblica amministrazione e l'altra il soggetto che faccia la questione sull'interesse legittimo o sul diritto soggettivo».
Il principio sopra enunciato è ormai consolidato e ha trovato conferma in numerose, anche recenti, decisioni (v. tra le altre, e oltre quelle già richiamate, Cass., sez. un., 5 marzo 2008, n. 5914; Cass., sez. un., 17 maggio 2010, n. 11932; Cass., sez. un., 2 agosto 2017, n. 19170; Cass., sez. un., 18 luglio 2019, n. 19372 e n. 19373; Cass. n. 9534/2023) e la stessa giurisprudenza amministrativa, con pronuncia resa dall'organo di nomofilachia del relativo plesso giurisdizionale (Consiglio di Stato, Ad. Plen., 12 maggio 2017, n. 2), lo ha condiviso e fatto proprio.
Tali principi valgono anche nei casi di giurisdizione esclusiva; ai sensi dell’art. 63 del d.lgs. n. 165/2001 e dell’art. 133 c.p.a. al giudice amministrativo sono, infatti, devolute le controversie inerenti al rapporto di impiego pubblico non contrattualizzato e che riguardino le parti di quel rapporto, non già i giudizi rispetto ai quali il rapporto medesimo costituisca solo un’occasione rispetto all’attività illecita oggetto di causa.
Anche qualora sia evocata in giudizio l’Amministrazione, le Sezioni Unite (Cass. S.U. n. 29009/2023) hanno chiarito che «in ordine alla domanda di risarcimento danni per la lesione dell'integrità psico-fisica proposta da un pubblico dipendente in regime di diritto pubblico è strettamente connessa alla determinazione del petitum sostanziale giacché, se è fatta valere la responsabilità contrattuale dell'ente datore di lavoro, la cognizione della domanda rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, mentre se è stata dedotta la responsabilità extracontrattuale, la giurisdizione spetta al giudice ordinario. Al fine di accertare la natura dell’azione proposta occorre avere riguardo ai tratti propri dell'illecito, sicché l’azione va qualificata extracontrattuale ove si sia in presenza di una condotta dell'amministrazione la cui idoneità lesiva possa esplicarsi indifferentemente nei confronti della generalità dei cittadini come nei confronti dei propri dipendenti, costituendo in tal caso il rapporto di lavoro mera occasione dell'evento dannoso; viceversa, qualora la condotta medesima si presenti con caratteri tali da escluderne qualsiasi incidenza nella sfera giuridica di soggetti ad essa non legati da rapporto di impiego, la natura contrattuale della responsabilità non può essere revocata in dubbio, poiché l'ingiustizia del danno non è configurabile se non come conseguenza della violazione delle obbligazioni che dal rapporto scaturiscono (Cass. S.U. 15 febbraio 2022 n. 4872; Cass. S.U. 21 dicembre 2018 n. 33211; Cass. S.U. 15 novembre 2016 n. 23228; Cass. S.U. 5 maggio 2014 n. 9573) »
6. In accoglimento del ricorso, deve essere, pertanto, dichiara la giurisdizione del giudice ordinario; la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di Appello di Roma, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
7. Non sussistono le condizioni processuali richieste dall’art.13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002 per il raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte, in accoglimento del ricorso, dichiara la giurisdizione del giudice ordinario; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello Roma anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.