
Il Giudice osserva in primis che...
Motivi della decisione
Il Giudice;
sull'eccezione di nullità per indeterminatezza e genericità del capo di imputazione sollevata dalla difesa all'udienza del 02.10.2024; sentite le parti;
letta la memoria del Pubblico Ministero;
OSSERVA
Sull'eccezione difensiva, tempestivamente sollevata, occorre richiamare il principio giurisprudenziale, più volte affermato dalla Suprema Corre, secondo cui "il requisito dell'enunciazione del fatto in tanto può ritenersi carente, in quanto in concreto possa affermarsi che l'imputato non abbia potuto conoscere i tratti essenziali della fattispecie di reato, attribuitagli dall'accusa, si da non potersene adeguatamente difendere." (Cass., sez. 1, sent. n. 382, 19.11.1999, Piccini, Rv 215140); sicché "non sussiste alcuna incertezza sull'imputazione quando il fatto sia contestato nei suoi elementi strutturali e sostanziali in modo da consentire un completo contraddittorio ed il pieno esercizio del diritto di difesa, non essendo necessaria un'indicazione assolutamente dettagliata dell'imputazione stessa (Cass., sez. 2, sentenza n. 16817 del 27/03/2008, Muri, Rv, 239758; cfr. anche Cass., sez. F., sentenza n. 43481 del 07/08/2012, Ecelestino, Rv. 253582; Cass., sez. 5, sentenza n. 6335 del 18/10/2013, Morante, Rv. 258948-01).
Va osservato che, in caso di genericità o indeterminatezza del fatto descritto nel capo di imputazione, il giudice del dibattimento deve dichiarare la nullità del decreto che dispone il giudizio, ai sensi dell'art. 429, comma secondo, c.p.p. (o del decreto di citazione a giudizio, ai sensi dell'art. 552, comma secondo, dello stesso codice), senza alcuna previa sollecitazione, rivolta al P.M., ad integrare o precisare la contestazione, non essendo estensibile, alla fase dibattimentale, il meccanismo correttivo che consente al giudice dell'udienza preliminare di sollecitare il P.M. alle opportune precisazioni e integrazioni, indicandogli, con ordinanza interlocutoria, gli elementi di fatto e le ragioni giuridiche alla base del rilevato difetto dell'imputazione.
Va osservato che elementi costitutivi della responsabilità dell'ente dipendente da reato sono l'esistenza del reato presupposto, che lo stesso sia commesso da persona fisica inserita nella compagine organizzativa in base ad una delle relazioni di cui all'art. 5 comma 1 D.Lgs. 231/2001, nonché l'obiettivo collegamento teleologico tra l'azione illecita della persona e l'interesse/vantaggio dell'ente.
Quanto al ruolo della c.d. "colpa di organizzazione", non si condivide l'assunto del Pubblico Ministero, secondo cui non è onere dell'accusa provarla o indicarla, ma grava sulla difesa provare l'adozione e l'efficace attuazione del modello di organizzazione, prevedendo la norma una sorta di inversione dell'onere della prova. L'assunto non convince sotto un duplice profilo.
Invero, da un lato, proprio in quanto l'ente risponde per fatto proprio la sua responsabilità non può discendere dal solo accertamento della commissione del reato presupposto da parte dell'apicale, ma va provato che non sono stati predisposti da parte dell'ente accorgimenti preventivi idonei a evitare la commissione di reati del tipo di quello realizzato. In quest'ottica, la Suprema Corte ha qualificato la colpa di organizzazione quale "elemento che attiene alla tipicità dell'illecito amministrativo dell'ente" (Cass., sez. 4, n. 18413 del 15/2/2022, Cartotecnica Grafica Vicentina, Rv. 283247; Cass., sez. 4, n. 570 del 04/10/2022, dep. 11/01/2023, Pres. Ciampi, Rel. Dawan). Si tratta di un'interpretazione, condivisa da questo giudice, che attribuisce al requisito della "colpa ili organizzazione" dell'ente la stessa funzione che la colpa assume nel reato commesso dalla persona fisica, quale elemento costitutivo del fatto tipico, integrato dalla violazione "colpevole" (ovvero rimproverabile) della regola cautelare, la quale va pertanto specificamente provata dall'accusa, mentre l'ente può dare dimostrazione della assenza di tale colpa.
Per altro verso, non si condivide l'ulteriore argomento che poggia sulla coincidenza tra colpa di organizzazione e mancata adozione o inefficace attuazione degli specifici modelli di organizzazione e di gestione prefigurati dal legislatore (artt. 6 e 7 del decreto n. 231/2001 e all'art. 30 del D.Lgs. n. 81/2008), arrivando a concludere che se l'ente non produce il modello o non ne prova la efficace attuazione sarebbe ex se provata la colpa di organizzazione, mentre se offre tale prova, l'ente andrebbe va assolto. L'omessa adozione di tali modelli è una circostanza atta, in base alla legge, a dimostrare che sussiste la colpa di organizzazione, ma non è la colpa di organizzazione, la quale va specificamente provata dall'accusa (cfr. Cass., sez. 4, sentenza ti. 21704 del 28/03/2023, dep. 22/05/2023, Rv. 284641 - 01: "Ai fini della configurabilità della responsabilità da reato degli enti, non sono "ex se" sufficienti la mancanza o l'inidoneità degli specifici modelli di organizzazione ovvero la loro inefficace attuazione, essendo necessaria la dimostrazione della "colpa di organizzazione", che caratterizza la tipicità dell'illecito amministrativo ed è distinta dalla colpa degli autori del reato"). In altri termini, la mancata adozione del modello organizzativo o la sua mancata efficace attuazione non è elemento del fatto tipico, ma solo un elemento di prova della colpa di organizzazione, la quale ultima è elemento costitutivo della fattispecie. L'accusa deve dunque, quanto meno indicare, sia pure in maniera non dettagliata, quale profilo di colpa viene addebitato all'ente.
Dalla lettura del capo d'imputazione, emerge che effettivamente il decreto di contestazione risulta carente dal punto di vista dell'individuazione dei profili di colpa di organizzazione, in quanto si limita ad individuare gli elementi di responsabilità individuale dell'amministratore/datore di lavoro e il criterio di imputazione dell'interesse/vantaggio, ma non indica quali sarebbero le carenze organizzative che dovrebbero fondare la responsabilità amministrativa. In altri termini, non è indicata in cosa sarebbe consistita la "colpa di organizzazione" da cui è derivato il reato presupposto.
P.Q.M.
dichiara nullo il decreto di citazione a giudizio ai sensi dell'art. 552 co. 1 lett. c) e comma 2 c.p.p. e, per l'effetto, previo stralcio della relativa posizione, dispone la restituzione degli atti al P.M. Si dà atto che l'ordinanza è stata letta in udienza.