
Il punto centrale del ricorso verteva sulla corretta individuazione del profitto del reato di autoriciclaggio e sulla conseguente confisca disposta dal giudice di merito.
In particolare, la difesa contestava la confisca dell'intero ammontare della...
Svolgimento del processo
1. Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano con sentenza del 09/07/2024, su richiesta delle parti, applicava a R.K. – comproprietario ed all’epoca dei fatti per cui si procede legale rappresentante della G.Z.K. Omissis – la pena di anni uno mesi otto di reclusione ed euro quattromila di multa per i reati di cui agli artt. 648 e 648-ter.1 cod. pen. ed alla G.Z.K. Omissis la pena di euro cinquantaquattromila per l’illecito amministrativo di cui agli artt. 5, comma 1, lett. a), 6 e 25-octies D.Lgs. 231/2001, disponendo la confisca del profitto del reato e dell’illecito amministrativo, quantificato in euro 750.000/00, ai sensi degli artt. 648-quater cod. pen. e 19 D. Lgs. 231/2001.
2. R.K. e la G.Z.K. Omissis, in persona del legale rappresentante K.Z., a mezzo del comune difensore, hanno proposto ricorso per cassazione.
2.1. Con il primo motivo deducono la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 648-ter.1, 648-quater cod. pen. e 19 d.lgs. 231/2001 per errata individuazione del profitto del reato di autoriciclaggio. Ritengono che il provvedimento impugnato erri nella parte in cui ritiene che il profitto del reato corrisponda all’ammontare della intera somma incassata dalla vendita del dipinto; che, invece, il profitto dell’autoriciclaggio in contestazione debba essere individuato nella plusvalenza che deriva dall’attività di sostituzione dei beni; che, dunque, la misura del profitto del reato di autoriciclaggio debba essere determinata considerando solo l’effettivo incremento patrimoniale di cui abbia goduto il soggetto autore delle operazioni di autoriciclaggio, atteso che trattasi di profitto diverso ed ulteriore rispetto al valore del profitto del reato presupposto, che l’autoriciclatore consegue attraverso le condotte di sostituzione ed impiego dei beni di provenienza delittuosa; che tali principi debbano trovare applicazione anche con riferimento alla confisca diretta ex art. 19 d.lgs. 231/2001, atteso che il profitto confiscabile è quello che rappresenta un risultato positivo, cioè una utilità ulteriore rispetto a quelle che l’ente aveva prima della commissione dell’illecito, dunque, un beneficio aggiunto di tipo patrimoniale pertinente al reato secondo un rapporto di causa-effetto; che, in conclusione, la confisca non possa colpire il patrimonio dell’autore del reato in misura superiore al vantaggio economico derivatogli dalla commissione del reato e che il provvedimento impugnato si ponga in insanabile contrasto con la richiesta di sequestro preventivo avanzata dal pubblico ministero in fase di indagini, oltre che con il conforme decreto di sequestro preventivo, non impugnato e persino già eseguito con il versamento della somma di euro 470.000/00 sul FUG.
Osservano, inoltre, che nel caso di specie la condotta di autoriciclaggio è consistita nel rivendere ad un terzo il dipinto Natura morta di Giorgio Morandi, a sua volta oggetto di precedente reato di furto e poi di ricettazione ad opera di D.T., a giudizio per quest’ultimo reato davanti al Tribunale di Varese; che, dunque, la somma di euro 280.000/00 utilizzata per ricettare il dipinto costituisce trasformazione del provento del primo reato, quello a monte, in cui l’imputato non concorse; che, in altri termini, la somma di euro 280.000/00 si configura come profitto del reato di ricettazione commesso dalla T. e non dall’odierno ricorrente; che solo i restanti euro 470.000/00 costituiscono la plusvalenza ascrivibile al reato di autoriciclaggio, in quanto derivante dall’operazione dissimulatoria; che tale iter logico giuridico è stato seguito anche dal Pubblico Ministero nella richiesta di sequestro preventivo, dal Giudice per le indagini preliminari che lo ha adottato e di nuovo dal Pubblico Ministero nella memoria depositata in udienza ai sensi dell’art. 121 cod. proc. pen.
Rilevano, infine, che tale impostazione trova riscontro anche nella giurisprudenza di legittimità, che ha affermato che la confisca dei proventi monetari del reato, essendo sempre confisca diretta e non per equivalente, non ha carattere afflittivo o sanzionatorio, ma assolve ad una finalità riparatoria; che la confisca diretta ha natura di misura di sicurezza con effetti meramente ripristinatori, che si riconoscono invece alla confisca per equivalente; che, quindi, la misura ablativa non può essere disposta per un importo superiore al vantaggio patrimoniale conseguito dal soggetto autore delle operazioni di autoriciclaggio.
2.2. Con il secondo motivo eccepiscono la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 648-ter.1, 648-quater cod. pen. e 19 d.lgs. 231/2001 per aver illegittimamente duplicato il titolo ablativo. Evidenziano che il provvedimento impugnato con motivazione illogica erra nella individuazione dell’entità del profitto di cui effettivamente hanno goduto i ricorrenti; che, poiché l’autoriciclaggio si alimenta con il provento del delitto presupposto, occorre evitare che si duplichi al somma astrattamente confiscabile; che nel caso di specie, ancor prima del delitto presupposto commesso dal K., vi è un ulteriore e precedente reato a monte in cui i ricorrenti non sono concorsi; che il provento del reato presupposto ascritto ai ricorrenti è il dipinto del Morandi, acquistato da D.T., che è già oggetto di sequestro; che, dunque, la somma di euro 280.000/00 non va intesa come il costo del reato di autoriciclaggio, ma come il profitto del primo ed autonomo reato di ricettazione, ascritto ad altro soggetto, con cui i ricorrenti non hanno concorso, confiscabile nel diverso procedimento in cui è imputata la T.; che il profitto del reato di autoriciclaggio, confiscabile nel presente procedimento, è il guadagno che i ricorrenti hanno ricavato a seguito dell’attività riciclatoria, pari ad euro 470.000/00; che, estendere la confisca anche alla maggior somma di euro 280.000/00, in presenza di un vincolo reale già intervenuto anche sul quadro, significa duplicare indebitamente il provvedimento ablativo confiscando di fatto una seconda volta dei beni già oggetto di sequestro (e successiva confisca) del reato presupposto; che, in definitiva, il provvedimento impugnato ingloba nel profitto dell’autoriciclaggio quello di entrambi i reati presupposti, di cui diversi agenti hanno già goduto (il ricorrente con il dipinto, già sottoposto a sequestro, la T. – con cui l’imputato non concorse – con la somma di euro 280.000 /00).
2.3. Con il terzo motivo lamentano la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. e l’erronea applicazione del principio della prevedibilità della decisione giudiziale come corollario della legalità europea in relazione alla qualificazione giuridica del profitto del reato ed al relativo trattamento ablatorio. Osservano che hanno riposto legittimo affidamento, con riferimento al quantum della confisca, sui precedenti provvedimenti di sequestro finalizzati alla confisca emessi nella fase delle indagini ed alla richiesta del Pubblico Ministero, oltre che sull’uniforme orientamento giurisprudenziale in materia di individuazione del profitto confiscabile; che, proprio in virtù di tale affidamento, hanno scelto di accedere al patteggiamento in fase di indagini, ai sensi dell’art. 447 cod. proc. pen.; che diversamente avrebbero optato per una scelta processuale diversa, in cui poter esplicare il proprio diritto alla difesa nella sua massima portata; che il tema della prevedibilità è stato allargato oltre la stessa nozione estesa di “materia penale”, trovando applicazione anche alla confisca allargata ed alle misure di prevenzione.
2. In data 24/1/2025 è pervenuta articolata memoria di replica alle conclusioni scritte formulate dal Procuratore generale.
3. In data 16/01/2025, è pervenuta memoria difensiva della persona offesa, P.F., con la quale si chiede il rigetto del ricorso, che non può essere presa in considerazione, atteso che la P. non è parte del presente procedimento.
Motivi della decisione
1. I ricorsi vanno respinti, perché infondati.
1.1. Il primo motivo è destituito di fondamento.
1.1.1. Preliminarmente, giova evidenziare le differenze tra le nozioni di prodotto, profitto e prezzo del reato: a) il prodotto del reato è costituito dalle cose create, trasformate o acquisite mediante esso, dunque, è il risultato empirico del reato, ciò che l’agente ottiene direttamente dalla attività illecita posta in essere; b) il profitto è il beneficio patrimoniale, l’utile, il lucro, il vantaggio economico che si ricava dal reato, in via diretta ovvero indiretta o mediata; c) il prezzo, infine, è costituito dal compenso o dall’utilità dati o promessi per la commissione del reato (Sez. U, n. 9149 del 03/07/1996, Chabni Samir, Rv. 205707 – 01; nello stesso senso, Sez. 5, n. 47553 del 05/10/2023, Bannino, Rv. 285829 – 01, in motivazione, § 3.2.; Sez. F, n. 44315 del 12/09/2013, Cicero, Rv. 258636 – 01).
Tanto premesso, occorre distinguere la confisca disposta nei confronti dell’ente, la G.Z.K. Omissis, disciplinata dagli artt. 9 e 19 D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, che configurano la confisca come sanzione per l’illecito amministrativo, da quella disposta nei confronti dell’imputato persona fisica, nel caso di incapienza dell’ente, regolata dall’art. 648-quater cod. pen. Trattasi di strumenti ablatori del tutto autonomi, che non possono essere sovrapposti, in quanto si fondano su presupposti diversi: il primo non può che essere riferito all’ente, visto che è strettamente legato all’illecito amministrativo, a differenza del secondo, che si applica all’autore del reato ed evidentemente la persona giuridica non può essere considerata tale (Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014, Gubert, in motivazione). Dunque, nei casi di riciclaggio, impiego di denaro, beni o di utilità di provenienza illecita e di autoriciclaggio, accanto alla confisca di cui all’art. 648-quater cod.pen., che colpisce il patrimonio della persona fisica (il rappresentante legale o il dirigente o soggetto apicale o altri che abbia commesso il reato), l’ordinamento prevede la confisca nei confronti dell’ente ex art. 19 D.lgs. n. 231/2001, atteso che l’art. 25-octies D.lgs. cit. contiene nel catalogo dei reati per cui l’ente viene considerato responsabile anche il delitto di cui all’art. 648-ter.1 cod. pen.
1.1.2. La confisca di cui all’art. 19 D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231.
Con riferimento a tale strumento, va innanzitutto affrontata la questione relativa alla possibilità di disporre la confisca del prezzo e del profitto del reato nei confronti dell’ente, ai sensi dell’art. 19 citato, con la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, considerato che detta disposizione prevede che la confisca obbligatoria del prezzo o del profitto del reato sia disposta con la sentenza di condanna.
Osserva in proposito il Collegio che la sentenza pronunciata a norma degli artt. 444 e segg. cod. proc. pen. è equiparata alla sentenza di condanna, fatte salve diverse disposizioni di legge, secondo il precetto contenuto nell’art. 445, comma 1-bis, cod. proc. pen. (Sez. U, n. 17781 del 29/11/2005, dep. 2006, Diop, Rv. 233518 – 01, in motivazione; Sez. U, n. 5777 del 27/03/1992, Di Benedetto, Rv. 191136 – 01; nello stesso senso, sia pure con riferimento ad altri profili, Sez. 1, n. 9175 del 16/12/2022, dep. 2023, Merlino, Rv. Rv. 284125 – 01; Sez. 1, n. 51160 del 09/05/2018,
Serio, Rv. 274911 – 01; Sez. 5, n. 12344 del 05/12/2017, Nicho Casas, Rv. 272665 – 01; con specifico riferimento alla confisca di cui all’art. 19 D.lgs. n. 231/2001, Sez. 2, n. 20046 del 04/02/2011, Marone, Rv. 249823 – 01; Sez. 6, n. 35802 del 05/05/2008, Pacini, Rv. 243176 – 01).
Dunque, è il legislatore a stabilire in via generalizzata una parificazione dei due tipi di sentenza, salvo che non intervenga una disposizione specifica a stabilire diversamente, che nel caso che qui occupa non è dato ravvisare, per cui tale equiparazione consente l’applicazione nel caso di specie del disposto di cui all’art. 19 D.lgs. n. 231/2001. Peraltro, ciò risulta indirettamente confermato anche dall’art. 34 dello stesso decreto, a mente del quale nel procedimento relativo agli illeciti amministrativi dipendenti da reato si osservano, oltre alle norme speciali, quelle del codice di rito, in quanto applicabili.
Si diceva che l’art. 19 del D.lgs. n. 231/2001 prevede la confisca obbligatoria sia del prezzo che del profitto del reato di autoriciclaggio, essendo detto reato contenuto nel catalogo di cui all’art. 25- octies D.lgs. cit.
Nel caso in esame, la somma di denaro oggetto della statuizione di confisca costituisce il profitto dell’attività di autoriciclaggio di cui al capo B) commesso dal K. nell’interesse dell’ente, dovendo rientrare nel profitto l’intero bene oggetto dello scambio illecito. Invero, nel caso di specie si è in presenza di un cosiddetto reato-contratto, atteso che lo strumento negoziale ha costituito la sede di incontro delle volontà illecite, realizzando l’offesa stigmatizzata dalla norma incriminatrice (con la previsione di cui all’art. 648-ter.1 cod. pen. l’ordinamento sanziona la stipula del contratto, nel senso che viene specificatamente vietato di perfezionare il trasferimento di beni di provenienza illecita ad opera di chi ha concorso nel reato presupposto). In altri termini, «nel caso in cui la legge qualifica come reato unicamente la stipula di un contratto a prescindere dalla sua esecuzione, è evidente che si determina una immedesimazione del reato col negozio giuridico (c.d. "reato contratto") e quest’ultimo risulta integralmente contaminato da illiceità, con l’effetto che il relativo profitto è conseguenza immediata e diretta della medesima ed è, pertanto, assoggettabile a confisca» (Sez. U, n. 26654 del 27/03/2008, Fisia Italimpianti Spa, Rv. 239924 – 01, in motivazione). Dunque, quando l’illecito penale si immedesima integralmente con il contratto concluso dalle parti, determinandone peraltro la nullità per contrarietà a norme imperative, la confisca attinge l’intero ricavo da esso derivante, poiché non vi è alcuna ragione di operare una differenziazione ai fini della quantificazione del profitto rilevante rispetto ai costi sostenuti.
In conclusione, correttamente il Giudice per le indagini preliminari ha disposto la confisca dell’intero ricavato dalla vendita del quadro (pari a 750.000 euro) e non solo del ricavato della alienazione detratti i costi sostenuti per l’acquisto dalla T. della preziosa tela (pari a 470.000 euro).
1.1.3. La confisca di cui all’art. 648-quater cod. pen.
Come si è prima specificato, la sentenza impugnata, confiscata la somma di euro 470.000 giacente su un conto intestato al Fondo Unico Giustizia già oggetto di sequestro preventivo, ha stabilito, con riferimento alla somma di euro 280.000, che, nel caso di incapienza dell’ente, la confisca si estenda al patrimonio dell’imputato, che è colui che ha materialmente realizzato la condotta di autoriciclaggio.
Evidentemente, il titolo che giustifica detta ablazione – per i motivi sopra esplicitati – è diverso rispetto a quello su cui si fonda la confisca disposta nei confronti della G.Z.K. Omissis, dovendo essere individuato nel disposto dell’art. 648-quater cod. pen., che prevede la confisca obbligatoria del profitto – tra gli altri – del reato di cui all’art. 648-ter.1 cod. pen.
Va qui solo ribadito che nel caso che si sta esaminando nella nozione di profitto rientra l’intero bene oggetto dello scambio illecito, tenuto conto che l'illiceità contamina interamente il negozio giuridico posto in essere, con la conseguenza che la confisca non può che avere ad oggetto il bene da esso derivante nella sua interezza.
Correttamente, dunque, il Giudice per le indagini preliminari ha ordinato la confisca del profitto nel senso sopra specificato, avendo chiarito di non poter «sottrarre quale costo il prezzo versato per la ricettazione del dipinto, attenendo ad un’attività intrinsecamente criminosa».
1.1.4. Quanto all’ulteriore questione sollevata dalla difesa, secondo cui lo stesso Pubblico Ministero aveva chiesto ed ottenuto il sequestro del profitto del reato del riciclaggio in contestazione e che altrettanto ha richiesto con la memoria a sensi dell’art. 121 cod. proc. pen., osserva il Collegio che la fase cautelare deve essere tenuta distinta da quella del merito; che solo all’interno della prima vige il principio della domanda cautelare; che la confisca può essere ordinata anche in assenza di un precedente provvedimento cautelare di sequestro, purché sussistano norme che la consentano od impongano, a prescindere dalla eventualità che, per l’assenza di precedente tempestiva cautela reale, il provvedimento ablativo della proprietà non riesca a conseguire gli effetti concreti che gli sono propri (Sez. 3, n. 1584 del 19/10/2017, dep. 2018, Liu, n.m.; Sez. 3, n. 17066 del 04/02/2013, Volpe, Rv. 255113 – 01). Dunque, il giudice della cognizione può emettere il provvedimento ablatorio anche in mancanza di un precedente provvedimento cautelare di sequestro e senza necessità della individuazione specifica dei beni da apprendere, potendo il destinatario ricorrere al giudice dell'esecuzione qualora dovesse ritenersi pregiudicato dai criteri adottati dal pubblico ministero nella selezione dei cespiti da confiscare (Sez. 3, n. 20776 del 06/03/2014, Rv. 259661 – 01; Sez. 5, n. 9738 del 02/12/2014, dep. 05/03/2015, Rv. 262893 – 01).
In conclusione, non rileva la circostanza per cui il Pubblico Ministero nella fase delle indagini avesse richiesto il sequestro solo del profitto dell’autoriciclaggio ed il Giudice per le indagini preliminari avesse disposto in tal senso, in quanto, essendo la confisca prevista come obbligatoria, può prescindersi dalla richiesta.
1.1.5. Va a questo punto affrontato il tema della confiscabilità ad opera del giudice del prezzo o del profitto del reato ai sensi dell’art. 19 D.lgs. n. 231/2001, nonostante detto aspetto non abbia formato oggetto dell’accordo intercorso tra le parti, tema questo affrontato dalla difesa nelle memorie di replica.
Secondo un recente indirizzo di legittimità, in tema di responsabilità da reato degli enti, l’accordo delle parti, nel caso di patteggiamento, deve estendersi alla confisca di cui all’art. 19 d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, come a tutte le altre componenti sanzionatorie dell’illecito, la cui determinazione non può essere rimessa, nell’"an" e nel "quantum", all’organo giudicante (Sez. 6, n. 30604 del 20/06/2024, Poggiolo Società Agricola s.r.l., Rv. 286828 – 01). Tale arresto prende le mosse dalla considerazione per cui, «in tema di responsabilità da reato degli enti, la confisca del profitto del reato prevista dagli artt. 9 e 19 d.lgs. n. 231 del 2001 si configura come sanzione "principale, obbligatoria ed autonoma", anche rispetto alle altre previste a carico dell'ente», con la conseguenza che non può non rientrare nell’accordo tra le parti. In altri termini, nel «caso della confisca ex artt. 9 e 19 d.lgs. n. 231 del 2001, in considerazione della natura obbligatoria, le parti non potranno concordarne l’esclusione, se non nei casi in cui si ritenga che l'illecito non ha prodotto alcun profitto per l'ente, mentre dovrà sempre rientrare nell'oggetto dell'accordo la quantificazione della misura ablatoria, sia essa diretta o per equivalente.
In buona sostanza, l'accordo sulla "sanzione" e, quindi, anche su quella particolare figura costituita dalla confisca, consente alle parti di sottoporre al giudice una proposta che copra l'intero trattamento sanzionatorio previsto dall'art. 9 cit.
Qualora il giudice ritenga che le parti sono addivenute all'erronea esclusione della confisca, individuando l'esistenza di un profitto derivante dall'illecito, ovvero nel caso in cui ritenga incongrua la quantificazione della confisca, dovrà rigettare l'accordo sulla pena.
Viceversa, deve escludersi la possibilità che le parti non si accordino sulla confisca, rimettendone la determinazione al giudice, proprio perché in tal modo il patteggiamento risulterebbe parziale, non comprendendo tutte le sanzioni normativamente previste per l'illecito dell'ente» (Sez. 6, n. 30604/2024 cit.).
Detto percorso logico argomentativo, a giudizio del Collegio, non convince, perché sottovaluta il dato per cui la confisca, a differenza delle altre sanzioni che prevedono una forbice edittale, non consente valutazioni discrezionali del giudice né in ordine all’”an”, né in ordine al “quantum”, poiché è la norma che la impone in relazione ad un catalogo di reati specificamente indicati e che ne determina la misura, parametrandola sull’entità del prezzo o del profitto derivato dall’illecito. La confisca di cui si discute, invero, è una sanzione che non è commisurata alla gravità della condotta né alla colpevolezza dell’autore, circostanze queste che richiedono una valutazione discrezionale del giudice, ma è diretta a privare l’autore del beneficio economico tratto dall’illecito. Dunque, benché costituisca sanzione principale, ha caratteristiche peculiari, che la distinguono dalle altre previste dall’art. 9 D.lgs. n. 231/2001.
Del resto e solo per completezza, deve osservarsi che, anche accedendo all’ipotesi prospettata nella sentenza in esame, di necessario scorporo dal “quantum” di profitto delle eventuali restituzioni in favore della persona offesa e da questa accettate, si sarebbe in presenza di un’operazione vincolata, matematica, che non imporrebbe valutazioni discrezionali, in quanto eseguibile sottraendo ad un valore definito (dato dal profitto complessivo inizialmente ottenuto) altro valore ben determinato (le restituzioni nelle more ipoteticamente intervenute).
In conclusione, la confisca di cui all’art. 19 cit. non è nella disponibilità delle parti ed è del tutto irrilevante la circostanza che «non avesse formato oggetto dell'accordo tra le parti, essendo certa la determinazione dei beni profitto da reato destinati all'ablazione (cfr. Cass. Sez. 6^, sent. n. 12508/2010 Rv. 246731). Trattasi poi di confisca obbligatoria, e quindi di un atto dovuto per il giudice, sottratto alla disponibilità delle parti, e di cui l'imputato deve comunque tenere conto nell'operare la scelta del "patteggiamento"» (Sez. 2, n. 20046/2001 cit.).
Nel caso che si sta scrutinando, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa nelle note di replica, la confisca è rimasta estranea all’accordo («Stante quanto previsto dall’art. 648 quater cp e art. 19 del D.lgs. 231/2001, non potendo la confisca formare oggetto di accordo tra le parti, essa rimane definita come in premessa nella misura di 470.000,00 euro oggetto di sequestro quale profitto del reato», si legge testualmente a pag. 4 della istanza di applicazione della pena presentata al Giudice per le indagini preliminari), essendosi piuttosto le parti limitate a fornire una indicazione al giudice sull’importo da sottoporre a confisca; il Giudice per le indagini preliminari, svincolato da tale indicazione, ha dato conto delle ragioni per le quali ha confiscato la somma di euro 750.000, con una motivazione congrua ed immune da vizi logici, come sopra chiarito.
Il Collegio, dunque, intende dare continuità a quell’orientamento di legittimità, espresso da questa Corte anche nella sua più autorevole composizione, secondo il quale, in tema di confisca e patteggiamento, le parti, nell’ambito della loro discrezionalità e autonomiapossono sì includere nell’accordo, delimitato dal legislatore al solo trattamento sanzionatorio e alla eventuale applicazione della sospensione condizionale della pena, anche le misure di sicurezza, tuttavia «il giudice non è vincolato alle richieste delle parti, in quanto dette misure, sottratte alla loro disponibilità, esulano dall'area della negozialità individuata e delimitata dall'art. 444 cod. proc. pen., ma, ove le disattenda, senza essere obbligato a recepire o non recepire per intero l'accordo, deve indicare le ragioni per le quali ha provveduto, al riguardo, in termini difformi da quelli concordemente prospettati dal pubblico ministero e dalla difesa» (Sez. U, n. 21368 del 26/09/2019, dep. 2020, Savin, in motivazione; Sez. 5, n. 19735 del 11/01/2019, Rossi, Rv. 276986 – 01; Sez. 6, n. 54977 del 14/10/2016, Orsi, Rv. 268740 – 01; Sez. 3, n. 6047 del 27/09/2016, dep. 2017, Zaini, Rv.268829 – 01; Sez. 2, n. 1934 del 18/12/2015, dep. 2016, Spagnuolo, Rv. 265823 – 01; Sez. 5, n. 1154 del 22/3/2013, dep. 2014, Defina, Rv. 258819 – 01; Sez. 2, n. 19945 del 19/4/2012, Toseroni, Rv. 252825 – 01; Sez. 2, n. 20046/2011 cit.).
Dunque, «il giudice “al verificarsi del presupposto per la confisca obbligatoria o di quella facoltativa [...] è tenuto ad applicarla, a prescindere dall'intervenuto accordo delle parti sul punto” (Sez. U, Diop, cit.), con la pronuncia della sentenza di applicazione della pena concordata, equiparata a una pronuncia di condanna, salve diverse disposizioni di legge, secondo il precetto che, già contenuto nell'art. 445, comma 1, cod. proc. pen., è stato trasferito dalla stessa legge nel successivo nuovo comma 1-bis» (Sez. U, Savin, cit.).
1.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato, atteso che non si ravvisa allo stato alcuna duplicazione dell’ablazione, tenuto conto che non risulta che nell’altro procedimento, quello pendente nei confronti di D.T., la somma sequestrata di euro 280.000 sia stata già confiscata. In ogni caso, qualsiasi successiva questione che dovesse sorgere sul punto dovrà trovare la sua sede naturale di composizione nella fase esecutiva.
1.3. Manifestamente infondato è anche il terzo motivo.
In proposito, è sufficiente evidenziare che, per un verso, l’art. 19 del D.lgs. n. 231/2001 fa espresso riferimento alla confisca obbligatoria del prezzo e del profitto del reato e che per altro verso l’art. 648-quater prevede la confisca obbligatoria sia del profitto che del prodotto del reato. Dunque, la difesa avrebbe dovuto diligentemente prevedere la confisca anche della somma di 280.000 euro – che per la G.Z.K. Omissis rappresenta nei termini sopra specificati il profitto dell’illecito amministrativo in relazione all’autoriciclaggio del quadro commesso dall’imputato, mentre per il K. costituisce, insieme al profitto ricavato dalla vendita del quadro, il prodotto del reato di autoriciclaggio –, tenuto conto della sua obbligatorietà, che non lascia margini di discrezionalità al giudice.
Peraltro, deve osservarsi, da un lato, che il contrasto giurisprudenziale insorto in sede di legittimità e ricomposto da ultimo da Sez. 2 18184/2024 cit. ha riguardato la nozione di profitto e non quella di prodotto del reato e, dall’altro, che la normativa convenzionale e eurounitaria è ormai stabilmente orientata ad eliminare dal circuito commerciale tutti i beni illeciti complessivamente considerati, quindi, comprensivi sia dei vantaggi economici derivati, in via diretta o mediata, dai reati posti a monte rispetto all’attività di riciclaggio lato sensu, ma anche di tutto ciò che formi oggetto della fasi successive di reinvestimento o trasformazione dei proventi della pregressa attività delittuosa. In conclusione, l’esito cui è pervenuto il Giudice delle indagini preliminari in punto di confisca era assolutamente prevedibile, sia con riferimento all’ente che all’imputato.
2. Al rigetto dei ricorsi segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.