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La Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Roma presso il Ministero dell'Interno rigettava la domanda di protezione internazionale presentata dal cittadino tunisino in quanto il richiedente proviene da un Paese di origine sicuro e non ha allegato fondati motivi per ritenere che il Paese d'origine non sia sicuro per la particolare situazione in cui egli si trova. Il Tribunale rimettente osserva che, sulla questione sollevata, si rinvengono contrastanti interpretazioni presso i giudici di merito. Difatti:
Preso atto di tale contrasto, il Tribunale di Roma, con ordinanza emessa il 1° luglio 2024, ha sottoposto alla Corte di Cassazione, ai sensi dell'art. 363-bis c.p.c., un rinvio pregiudiziale circa l'ambito e l'ampiezza del sindacato del giudice sulla designazione di un Paese di origine come sicuro per effetto del decreto del Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, di concerto con i Ministri dell'Interno e della Giustizia, in data 7 maggio 2024. Il quesito sollevato dal Tribunale è se, quando il richiedente proviene da un Paese sicuro, il giudice ordinario, nell'ambito del procedimento che si apre con il ricorso avverso il provvedimento di rigetto della domanda di protezione internazionale per manifesta infondatezza ai sensi dell'art. 28-ter del D.Lgs. n. 25/2008 emesso dalla Commissione territoriale, abbia o meno il potere-dovere di riconsiderare l'inserimento del paese nella lista dei paesi sicuri, allorché l'indicazione – compiuta dal ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, di concerto con i ministri dell'Interno e della Giustizia – si discosti dai parametri previsti dalla normativa europea oppure non sia più rispondente a tali criteri alla luce delle mutate condizioni di fatto. Più precisamente, il quesito è sollevato:
In prossimità dell'udienza il PM ha depositato una requisitoria. In particolare, l'avvocata generale, in rappresentanza della Procura generale, ha chiesto ai giudici di legittimità di affermare il principio di diritto per il quale è sindacabile dal giudice ordinario il decreto ministeriale che individua un paese come sicuro alla luce della normativa interna ed euro-unitaria, sulla base delle informazioni sui paesi di origine (COI) aggiornate al momento della decisione, anche in ragione del dovere di cooperazione istruttoria. |
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La sentenza n. 33398/2024 premette che si tratta di una questione interpretativa che incrocia una pluralità di fonti e formanti, nella quale si stagliano i diritti dello straniero che, nel disegno personalista che lega la dignità alla solidarietà e all'accoglienza, la Costituzione protegge come fondamentali, sia direttamente, sia tramite le Carta internazionali alle quali gli artt. 10, 11 e 117 Cost. rinviano. |
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La sentenza n. 33398/2024 sceglie di aderire al primo orientamento (sulla sindacabilità del giudice) cogliendo nel segno laddove afferma che il decreto ministeriale inerente alla lista dei Paesi sicuri non è un atto politico (e come tale sottratto alla giurisdizione) – nozione di stretta interpretazione (Sezioni Unite, n. 15601/2023) – perché deriva dall'applicazione dei criteri individuati dagli artt. 36 e 37 e dell'allegato I della direttiva 2013/32/UE e dall'art. 2-bis D.Lgs. n. 25/2008. Alla luce di tale articolato percorso argomentativo per la Suprema Corte: |
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza (ud. 4 dicembre 2024) 19 dicembre 2024, n. 33398
Svolgimento del processo
1. Nel corso di un procedimento avente ad oggetto la domanda di protezione internazionale presentata da un cittadino di un paese terzo (la Tunisia) inserito nell'elenco dei paesi di origine sicuri, vertente tra e il Ministero dell'interno - Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Roma, il Tribunale di Roma, con ordinanza emessa il 1° luglio 2024, ha sottoposto alla Corte di cassazione, ai sensi dell'art. 363-bis cod. proc. civ., un rinvio pregiudiziale circa l'ambito e l'ampiezza del sindacato del giudice sulla designazione di un paese di origine come sicuro per effetto del decreto del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, di concerto con i Ministri dell'interno e della giustizia, in data 7 maggio 2024 (Aggiornamento della lista dei Paesi di origine sicuri prevista dall'articolo 2-bis del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25), pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica, serie generale, n. 105 del 7 maggio 2024.
Il quesito sollevato dal Tribunale è se, quando il richiedente proviene da un paese sicuro, il giudice ordinario, nell'ambito del procedimento che si apre con il ricorso avverso il provvedimento di rigetto della domanda di protezione internazionale per manifesta infondatezza ai sensi dell'art. 28-ter del d.lgs. n. 25 del 2008 emesso dalla Commissione territoriale, sia vincolato alla designazione ministeriale o se non debba piuttosto valutare, anche in ragione del dovere di cooperazione istruttoria, sulla base di informazioni sui paesi di origine (COI) aggiornate al momento della decisione, se il paese incluso nell'elenco sia effettivamente tale alla luce della normativa europea e nazionale vigente in materia.
L'interrogativo è proposto in generale, in modo da abbracciare sia il caso in cui il ricorrente contesti la natura sicura del paese di origine, sia l'ipotesi di mancanza di contestazione.
2. Nella vicenda all'esame del giudice a quo, la Commissione territoriale ha rigettato la domanda di protezione internazionale presentata dal cittadino tunisino in quanto il richiedente proviene da un paese di origine sicuro e non ha allegato fondati motivi per ritenere che il paese d'origine non sia sicuro per la particolare situazione in cui egli si trova.
Il richiedente ha presentato ricorso avverso la decisione di diniego instando per la sospensione del provvedimento reiettivo. Non ha allegato ragioni specifiche relative alla sua persona, ma ha fatto riferimento al mutamento della situazione della Tunisia riguardante la generalità delle persone. In altri termini, non ha allegato gravi e circostanziate ragioni riferibili alla propria condizione, ma ha sostenuto che alla luce di una serie di accadimenti, indicativi di una involuzione autoritaria, che interessano la generalità delle persone, la Tunisia non presenterebbe più i requisiti di permanenza all'interno della lista.
Il Tribunale di Roma rileva che la valutazione di un paese di origine come sicuro, ai sensi dell'art. 2-bis del d.lgs. n. 25 del 2008, determina "una pluralità di conseguenze sulla procedura applicata alle domande di protezione internazionale avanzate dai richiedenti provenienti da quel territorio e riduce significativamente le loro possibilità di difesa", tanto che il richiedente sarebbe a rischio di un allontanamento in quanto non più titolato a restare nel Paese, con effetti limitativi del suo diritto di difesa.
Il Tribunale rimettente osserva che, sulla questione sollevata, si rinvengono contrastanti interpretazioni presso i giudici di merito.
Difatti, alcuni Tribunali ritengono che la valutazione della sicurezza di un paese sia riservata ai Ministri competenti; altri, al contrario, ritengono che essa sia sindacabile dal giudice e consenta la disapplicazione del decreto ministeriale indicante paesi non rispondenti ai canoni di sicurezza previsti dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 26 giugno 2013, n. 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (rifusione).
3. La Prima Presidente, con decreto in data 23 luglio 2024, ha dichiarato ammissibile il rinvio pregiudiziale e lo ha assegnato alla Prima Sezione civile.
La Prima Presidente ha ritenuto soddisfatti requisiti previsti dall'art. 363-bis cod. proc. civ.: la rilevanza; la natura giuridica esclusivamente di diritto della questione pregiudiziale sollevata; la novità della questione, non ancora affrontata dalla giurisprudenza della Corte di cassazione; la gravità e complessità interpretativa, dovendo il giudice dei diritti fondamentali comprendere se vi sia, e fino a dove si estenda, il potere-dovere di verificare, all'attualità, le condizioni generali del paese terzo di origine del richiedente la protezione internazionale, allorquando vi sia una valutazione predeterminata di sicurezza dettata dall'elenco contenuto nel decreto ministeriale; l'essere la questione oggetto di contrastanti decisioni assunte dai giudici del merito e suscettibile di uno sviluppo numerico ampio.
4. In prossimità dell'udienza, il Pubblico Ministero ha depositato una requisitoria.
L'Avvocata generale, in rappresentanza della Procura generale, ha chiesto alla Corte di enunciare il principio di diritto secondo il quale sussiste il potere-dovere del giudice, in particolare nell'ambito del procedimento conseguente al provvedimento di rigetto per manifesta infondatezza emesso dalla Commissione territoriale nei confronti di un richiedente proveniente da un paese di origine sicuro, di valutare se il paese, incluso nell'elenco dei paesi di origine sicuri, possa ritenersi effettivamente tale, alla luce della normativa europea e nazionale vigente in materia, sulla base di informazioni sui paesi di origine (COI) aggiornate al momento della decisione, anche in ragione del dovere di cooperazione istruttoria.
Secondo il Pubblico Ministero, nel caso in cui all'esito di tale esame il giudice ritenga che l'inserimento del paese non sia rispettoso dei parametri imposti dalla legislazione europea, il decreto ministeriale dovrà essere disapplicato per contrarietà alla fonte sovranazionale.
5. Anche il Ministero dell'interno ha depositato una memoria.
Ad avviso del Ministero, l'autorità giurisdizionale non può sostituire la propria valutazione a quella dell'Amministrazione, a meno che emergano elementi tali da rendere manifestamente irragionevole la designazione perché contraria ai principi contenuti nella normativa unionale; fermo restando che, con riferimento al caso specifico, il giudice, sempre nei limiti di quanto acquisito agli atti, può accertare ragioni di carattere individuale che depongano per una situazione di insicurezza che riguarda il singolo richiedente.
Ne segue, secondo la difesa erariale, un duplice piano di sindacato.
A livello, lato sensu, generale, la valutazione del giudice, anche in ragione del carattere tecnico-discrezionale della designazione di paese di origine sicuro, trova necessario limite nella attendibilità della scelta dell'Amministrazione, alla quale spetta il compito, anche istituzionale, di valutare, alla luce della normativa euro-unitaria e costituzionale, che non ci siano "generalmente e costantemente" persecuzioni quali definite nell'art. 9 della direttiva 2011/95/UE, né tortura o altre forme di pena o trattamento disumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale.
Diversamente, con riguardo alla situazione personale del singolo, il potere-dovere del giudice è l'istituzionale potere cognitorio, rafforzato sotto il profilo della cooperazione istruttoria, potendo il giudice addivenire a un completo accertamento, questa volta in fatto, della condizione soggettiva del richiedente, tale da integrare i gravi motivi e quindi della "non sicurezza" del Paese con riferimento al singolo.
Motivi della decisione
1. Con il rinvio pregiudiziale sollevato dal Tribunale di Roma, la Corte è investita del compito di stabilire se l'autorità giudiziaria dinanzi alla quale è stato impugnato il provvedimento di diniego della protezione internazionale, in ragione della provenienza del richiedente da un paese di origine sicuro, abbia o meno il potere-dovere di riconsiderare l'inserimento del paese nella lista dei paesi sicuri, allorché l'indicazione - compiuta dal Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, di concerto con i Ministri dell'interno e della giustizia - si discosti dai parametri previsti dalla normativa europea oppure non sia più rispondente a tali criteri alla luce delle mutate condizioni di fatto.
Il quesito è sollevato sia per il caso in cui il richiedente protezione internazionale invochi una circostanza attinente alla protezione internazionale (timore di persecuzione o danno grave), sostanzialmente contestando la natura sicura del paese di origine non su una base individuale, ma per rilievi d'ordine generale; sia per l'ipotesi in cui il richiedente non abbia contestato espressamente la legittimità dell'inclusione del suo paese di origine nella lista di quelli sicuri.
La questione oggetto del rinvio pregiudiziale consiste, dunque, innanzitutto, nel verificare la possibilità, per il richiedente, di contestare, e per il giudice di rivalutare e di sindacare, la natura sicura del paese di origine; in secondo luogo, nello stabilire attraverso quali strumenti normativi e percorsi argomentativi possa essere compiuta siffatta rivalutazione.
2. Si tratta di una questione interpretativa che incrocia una pluralità di fonti e di formanti, nella quale si stagliano i diritti dello straniero che, nel disegno personalista che lega la dignità alla solidarietà e all'accoglienza, la Costituzione protegge come fondamentali, sia direttamente, sia tramite le Carte internazionali alle quali gli artt. 11 e 11 e 117 rinviano.
L'art. 10, terzo comma, Cast. riconosce il diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge, allo straniero al quale sia impedito l'effettivo esercizio, nel suo Paese, delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana.
E lo riconosce nel contesto valoriale di una norma nella quale, più in generale, è sancita la conformazione dell'ordinamento giuridico italiano alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute e, con riferimento alla condizione giuridica dello straniero, è fatto richiamo alla regolamentazione per legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali.
3. Già nella sentenza n. 120 del 1967, la Corte costituzionale ebbe ad affermare che, nei giudizi riguardanti norme incidenti sulle libertà dello straniero, il parametro dell'art. 3 Cast. non va considerato isolatamente, bensì in connessione con l'art. 2 e con l'art. 10, secondo comma, Cast., il primo dei quali riconosce a tutti, cittadini e stranieri, i diritti inviolabili dell'uomo. Il principio di eguaglianza vale pure per lo straniero quando si tratta di rispettare quei diritti fondamentali. Per quanto gli interessi pubblici incidenti sulla materia della immigrazione siano molteplici e per quanto possano essere percepiti come gravi i problemi di sicurezza e di ordine pubblico connessi a flussi migratori incontrollati, non può risultarne minimamente scalfito il carattere universale della libertà personale, che, al pari degli altri diritti che la Costituzione proclama inviolabili, spetta ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani (Corte cast., sentenza n. 105 del 2001).
La sentenza n. 13 del 2022, a sua volta, ricorda che il diritto d'asilo è riconosciuto sul piano internazionale nell'ambito della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951, ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge n. 722 del 1954, la quale attribuisce al rifugiato una serie di garanzie, tra cui quella fondamentale espressa dal principio cosiddetto di nonrefoulement. In particolare, l'art. 1, lettera a), numero 2), della pre- detta Convenzione definisce rifugiato "chiunque [ ... ] nel giustificato timore d'essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato", nonché "chiunque, essendo apolide e tro- vandosi fuori dal suo Stato di domicilio [ ... ], non può o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi".
Tale definizione è stata sostanzialmente ripresa tanto dall'art. 2, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull'attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta, quanto dal legislatore italiano con l'art. 2, comma 1, lettera e), del d. lgs. n. 251 del 2007 (Attuazione della direttiva 2004/83/CE recante norme minime sull'attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica del rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta).
Lo status di rifugiato, di carattere permanente, riguarda il soggetto individualmente perseguitato anzitutto per ragioni politiche, nonché ulteriori figure individuate nella prassi, quali, ad esempio, gli omosessuali a rischio di incriminazione perché nei loro Paesi i rapporti omosessuali, anche in forma privata e tra adulti consenzienti, sono reato; le giovani donne a rischio di mutilazioni genitali femminili; i fedeli di pratiche religiose proibite. Nel diritto dell'Unione europea il diritto d’asilo è riconosciuto anche come protezione sussidiaria, accordata, per un periodo di cinque anni rinnovabili, a chi non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato, ma nei cui confronti sussistono fondati motivi per ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine, correrebbe "un rischio effettivo di subire un grave danno" (art. 2, lettera f, della direttiva 2011/95/UE), con ciò intendendosi la pena di morte o l'essere giustiziato, la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante, ovvero la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale (art. 15 della direttiva 2011/95/UE). Ha, dunque, diritto alla protezione sussidiaria colui il quale corre un rischio grave per l'incolumità personale meno individualizzato e dovuto all'appartenenza a gruppi politici, etnici o religiosi, di solito correlato ad un conflitto armato interno (Corte di giustizia dell'Unione europea, sentenza 30 gennaio 2014, Aboubacar Diakité contro Commissaire général aux réfugiés et aux apatrides, in causa C-285/12).
Occorre inoltre considerare che l'art. 6, paragrafo 4, della direttiva 115/2008/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, prevede la facoltà (e quindi non l'obbligo) per gli Stati membri di estendere l'ambito delle forme di protezione tipiche sino a ricomprendere "motivi caritatevoli, umanitari o di altra natura", rilasciando allo scopo un apposito permesso di soggiorno. Pertanto, lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria sono accordati in osservanza di obblighi europei e internazionali, mentre ulteriori forme di protezione sono rimesse alla discrezionalità dei singoli Stati, per rispondere a esigenze umanitarie, caritatevoli o di altra natura.
La protezione umanitaria - è ancora la Corte costituzionale a ricordarlo (sentenza n. 194 del 2019) - ha ricevuto ampia applicazione nella prassi giurisprudenziale, che ne ha via via precisato i contorni, grazie all'attività interpretativa della giurisprudenza di merito e di legittimità che ha assicurato l'effettività del quadro normativo alla luce delle esigenze di tutela dei diritti fondamentali della persona, garantiti dalla Costituzione e dagli altri strumenti di tutela europea e internazionale.
4. Il giudice ordinario, soggetto soltanto alla legge, è il garante dell'effettività, nel singolo caso concreto al suo esame, dei diritti fondamentali del richiedente asilo che fugge dal proprio Paese e, spinto dalle circostanze, cerca legittimamente protezione in Italia come nell'Unione europea.
Le controversie che vi si ricollegano sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario, in quanto la situazione giuridica soggettiva dello straniero che cerca asilo o invoca protezione umanitaria ha natura di diritto soggettivo, che va annoverato tra i diritti umani fondamentali che godono della protezione apprestata dall'art. 2 Cast., e non può essere degradato ad interesse legittimo per effetto di valutazioni discrezionali affidate al potere amministrativo, cui compete solo l'accertamento dei presupposti di fatto che legittimano l'asilo o la protezione umanitaria, nell'esercizio di una mera discrezionalità tecnica, essendo il bilanciamento degli interessi e delle situazioni costituzionalmente tutelate riservato esclusivamente al legislatore (Cass., Sez. Un., 18 gennaio 2022, n. 1390).
5. Alle istituzioni democratiche e rappresentative, attraverso le quali si esprime la sovranità popolare, spetta il compito di gestire il fenomeno migratorio, disciplinando i flussi anche nei riflessi sulla sicurezza della comunità nazionale, in un quadro di libertà, di giustizia e di cooperazione internazionale fondata sul riconoscimento di valori comuni, assicurando l'efficienza del sistema nazionale di accoglienza e realizzando condizioni materiali di effettiva integrazione di chi ha titolo per restarvi.
Il tutto in una logica di insieme, di sistema, di bilanciamento tra i diversi interessi che vengono in rilievo, sotto l'egida della solidarietà, della responsabilità e mostrando il volto umano della Repubblica verso i drammi delle persone più fragili e vulnerabili.
Tra queste esigenze di bilanciamento, la cui ponderazione è riservata al circuito democratico della rappresentanza popolare, rientra anche la scelta politica di prevedere, in conformità della disciplina europea, un regime differenziato di esame delle domande di asilo per gli stranieri che provengono da paesi di origine sicuri.
Quel circuito, d'altra parte, costituisce la sede meglio attrezzata per disciplinare la complessità dei fenomeni giuridici e sociali e per governare i relativi conflitti, laddove il momento del controllo giurisdizionale riveste un ruolo, diverso ma imprescindibile, per garantire, nella singola vicenda concreta, l'effettività della tutela dei diritti fondamentali.
6. Quella di paese di origine sicuro è una nozione giuridica di diritto europeo, recepita dal legislatore nazionale.
6.1. Secondo l'allegato I della direttiva 2013/32/UE, un paese di origine può essere considerato sicuro "se, sulla base dello status giuridico, dell'applicazione della legge all'interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni quali definite nell'articolo 9 della direttiva 2011/95/UE, né tortura o altre forme di pena o trattamento disumano e degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale".
Per effettuare tale valutazione - prosegue l'allegato I - "si tiene conto, tra l'altro, della misura in cui viene offerta protezione contro le persecuzioni ed i maltrattamenti mediante: a) le pertinenti disposizioni legislative e regolamentari del paese ed il modo in cui sono applicate; b) il rispetto dei diritti e delle libertà stabiliti nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e/o nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici e/o nella Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, in particolare i diritti ai quali non si può derogare a norma dell'articolo 15, paragrafo 2, di detta Convenzione europea; c) il rispetto del principio di non-refoulement conformemente alla Convenzione di Ginevra; d) un sistema di ricorsi effettivi contro le violazioni di tali diritti e libertà".
Gli artt. 36 e 37 della direttiva 2013/32/UE, riguardanti, rispettivamente, il concetto di paese di origine sicuro e la designazione nazionale, da parte degli Stati membri, di paesi terzi come paesi di origine sicuri, istituiscono un regime particolare di esame al quale gli Stati possono sottoporre le domande di protezione internazionale, regime che si basa su una forma di presunzione relativa di protezione sufficiente nel paese di origine, la quale può essere confutata dal richiedente se adduce gravi motivi attinenti alla sua situazione particolare.
L'art. 37 della direttiva, in particolare, prescrive, altresì, degli obblighi a carico degli Stati membri nella procedura di designazione di un Paese come sicuro.
Agli Stati membri incombe di riesaminare periodicamente la situazione nei paesi terzi designati sicuri e di consultare, in sede di istruttoria, fonti di informazioni affidabili, comprese in particolare le informazioni fornite da altri Stati membri, dall'EASO, dall'UNHCR, dal Consiglio d'Europa e da altre organizzazioni internazionali competenti.
6.2. A partire dal 2018, l'Italia, esercitando la facoltà di cui alla direttiva 2013/32, ha previsto la designazione di paesi di origine sicuri attraverso un decreto del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, di concerto con il Ministro dell'interno e il Ministro della giustizia.
A tal fine, l'art. 7-bis del decreto-legge n. 113 del 2018, introdotto in sede di conversione dalla legge n. 132 del 2018, ha inserito, nel d.lgs. n. 25 del 2008, l'art. 2-bis, rubricato "Paesi di origine sicuri", in vigore dal 4 dicembre 2018 al 23 ottobre 2024, il cui comma 1 stabilisce che con "decreto del Ministro degli affari esteri e della coopera- zione internazionale, di concerto con i Ministri dell'interno e della giustizia, è adottato l'elenco dei Paesi di origine sicuri". Detto elenco viene aggiornato periodicamente ed è notificato alla Commissione europea. Al comma 2 del medesimo articolo, si stabilisce che "uno Stato non appartenente all'Unione europea può essere considerato Paese di origine sicuro se, sulla base del suo ordinamento giuridico, dell'applicazione della legge all'interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che, in via generale e costante, non sussistono atti di persecuzione quali definiti dall'articolo 7 del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, né tortura o altre forme di pena o trattamento inumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale". Si precisa, altresì, che la designa- zione di un Paese di origine sicuro può essere fatta con l'eccezione di categorie di persone. Ancora una volta, per operare la suddetta valutazione si tiene conto, ai sensi del comma 3, "della misura in cui è offerta protezione contro le persecuzioni ed i maltrattamenti mediante:
a) le pertinenti disposizioni legislative e regolamentari del Paese ed il modo in cui sono applicate; b) il rispetto dei diritti e delle libertà stabiliti nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali del 4 novembre 1950, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, aperto alla firma il 19 dicembre 1966, ratificato ai sensi della legge 25 ottobre 1977, n. 881, e nella Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 10 dicembre 1984, in particolare dei diritti ai quali non si può derogare a norma dell'articolo 15, paragrafo 2, della predetta Convenzi.one europea; c) il rispetto del principio di cui all'articolo 33 della Convenzione di Ginevra; d) un sistema di ricorsi effettivi contro le violazioni di tali diritti e libertà". Inoltre, la valutazione volta ad accertare che uno Stato non appartenente all'Unione europea è un paese di origine sicuro deve basarsi sulle informazioni fornite dalla Commissione nazionale per il di- ritto di asilo, nonché da altri Stati membri dell'Unione europea, dall'EASO, dall'UNHCR, dal Consiglio d'Europa e da altre organizzazioni internazionali competenti.
L'ultimo decreto ministeriale è stato adottato il 7 maggio 2024.
La designazione del paese di provenienza come paese di origine sicuro costituisce una agevolazione per l'autorità amministrativa preposta all'esame delle domande, la quale è esentata dal provare di volta in volta che il Paese di origine offre al richiedente un'effettiva e sufficiente protezione dal rischio di persecuzione o di altri gravi danni, riversando sul richiedente l'onere di fornire elementi contrari connessi alla sua situazione particolare.
La presunzione che vi si ricollega non è dunque una fictio, ma deve essere fondata su fonti certe che consentano di dimostrare la sicurezza del Paese designato.
6.3. Occorre dare atto dello ius superveniens.
Infatti, successivamente al promovimento del rinvio pregiudiziale da parte del Tribunale di Roma, sono sopraggiunti:
il decreto-legge 23 ottobre 2024, n. 158 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 249 del 23 ottobre 2024), recante Disposizioni urgenti in materia di procedure per il riconoscimento della protezione internazionale. Il decreto-legge ha apportato le seguenti innovazioni. Per un verso, in applicazione dei criteri di qualificazione stabiliti dalla normativa europea e dei riscontri rinvenuti dalle fonti di informazione fornite dalle organizzazioni internazionali competenti, ha designato paesi di origine sicuri i seguenti: Albania, Algeria, Bangladesh, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Costa d'Avorio, Egitto, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Perù, Senegal, Serbia, Sri Lanka e Tunisia. Per l'altro verso, ha stabilito che l'elenco dei paesi di origine sicuri è aggiornato periodicamente con atto avente forza di legge ed è notificato alla Commissione europea, che, ai fini dell'aggiornamento dell'elenco, il Consiglio dei ministri delibera, entro il 15 gennaio di ciascun anno, una relazione, nella quale, compatibilmente con le preminenti esigenze di sicurezza e di continuità delle relazioni internazionali e tenuto conto delle informazioni, riferisce sulla situazione dei paesi inclusi nell'elenco vigente e di quelli dei quali intende promuovere l'inclusione, e che il Governo trasmette la relazione alle competenti commissioni parlamentari. Il decreto-legge n. 158 del 2024 è stato abrogato dall'art. 1, comma 2, dalla legge 9 dicembre 2024, n. 187, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 11 ottobre 2024, n. 145, recante disposizioni urgenti in materia di ingresso in Italia di lavoratori stranieri, di tutela e assistenza alle vittime di caporalato, di gestione dei flussi migratori e di protezione internazionale, nonché dei relativi procedimenti giurisdizionali. La legge di conversione, peraltro, con la medesima disposizione, ha mantenuto validi gli atti e i provvedimenti adottati e fatto salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base del medesimo decreto-legge n. 158 del 2024;
la citata legge 9 dicembre 2024, n. 187 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 289 del 10 dicembre 2024), la quale, tra l'altro, sostituendo il comma 1 dell'art. 2-bis del d.lgs. n. 25 del 2008 e inserendo, nello stesso articolo, il comma 4-bis, ha introdotto disposizioni di tenore identico a quelle recate dall'abrogato decreto-legge n. 158 del 2024.
Sia il decreto-legge n. 158 del 2024, sia la legge, n. 187 del 2024, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge n. 145 del 2024 non sono applicabili, ratione temporis, nel giudizio principale dinanzi al Tribunale di Roma, per le ragioni già espresse, in occasione di altra vicenda di successione "normativa" nel tempo, in Cass., Sez. I, 11 novembre 2020, n. 25311. Con tale pronuncia, si è infatti statuito che, in tema di protezione internazionale, l'inserimento del paese di origine del richiedente nell'elenco dei paesi sicuri produce l'effetto di far gravare sul ricorrente l'onere di allegazione rinforzata in ordine alle ragioni soggettive o oggettive per le quali invece il paese non può considerarsi sicuro, soltanto per i ricorsi giurisdizionali presentati dopo l'entrata in vigore del decreto ministeriale 4 ottobre 2019, poiché i principi del giusto processo ostano al mutamento in corso di causa delle regole cui sono informati i detti oneri di allega- zione, restando comunque intatto per il giudice, a fronte del corretto adempimento di siffatti oneri, il potere-dovere di acquisire con ogni mezzo tutti gli elementi utili ad indagare sulla sussistenza dei presupposti della protezione internazionale.
La disciplina sopravvenuta ha elevato il rango della fonte di designazione del paese di origine come sicuro.
Mentre, infatti, inizialmente (e nell'ambiente normativo nel quale è stata sollevato il rinvio pregiudiziale), l'art. 2-bis del decreto-legge n. 25 del 2008 (rimasto in vigore dal 4 dicembre 2008 al 23 ottobre 2024) affidava ad un decreto del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, di concerto con i Ministri dell'interno e della giustizia, l'adozione dell'elenco dei Paesi di origine sicuri; oggi, invece, per effetto della legge n. 187 del 2024, la qualificazione come sicuri dei paesi di origine è materia di legge. La designazione, in altri termini, è operata direttamente dalla legge. Allo stesso modo, l'elenco dei paesi di origine sicuri di cui al comma 1 è aggiornato periodicamente con atto avente forza di legge ed è notificato alla Commissione europea. Ai fini dell'aggiornamento dell'elenco, è previsto che il Consiglio dei ministri, entro il 15 gennaio di ciascun anno, delibera una relazione nella quale, compatibilmente con le preminenti esigenze di sicurezza e di continuità delle relazioni internazionali e tenuto conto delle pertinenti informazioni, riferisce sulla situazione dei paesi inclusi nell'elenco vigente e di quelli dei quali intende promuovere l'inclusione. Il Governo - prosegue la disposizione di legge - trasmette la relazione alle competenti commissioni parlamentari.
Non è tema di questo rinvio pregiudiziale definire anche l'ambito del sindacato del giudice ordinario, investito di un ricorso avverso una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale esaminata nell'ambito del regime speciale, a fronte di una designazione del paese di origine come sicuro ad opera della legge.
7. La ratio dell'introduzione del concetto di paese di origine sicuro è quella di "deflazionare" il carico di lavoro inerente alla valutazione delle domande di protezione internazionale.
Infatti, il legislatore prevede, per le richieste presentate da persone provenienti da paesi designati sicuri, una procedura semplificata e più veloce che si fonda su una presunzione di infondatezza della richiesta in quanto, appunto, il paese di provenienza risulta privo di criticità in merito al rispetto dei diritti umani e dei principi democratici: una procedura concepita per tracciare in via preliminare una distinzione tra richiedenti meritevoli e non, così da indirizzare i secondi verso una procedura più rapida.
L'inserimento di un paese nella lista di quelli designati come sicuri non è privo di conseguenze in relazione sia al procedimento amministrativo avente ad oggetto la richiesta di protezione internazionale, sia al processo che si svolge innanzi al giudice ordinario con l'impugnativa del provvedimento di diniego.
Quanto alla fase amministrativa, è previsto, in particolare, che, quando la domanda venga presentata da un richiedente proveniente richiesta di protezione internazionale possa essere adottato all'esito di una procedura accelerata. Sotto la rubrica "Procedure accelerate", l'art. 28-bis del d.lgs. n. 25 del 2008 prevede, infatti, al comma 2, che, quando il richiedente proviene da un paese sicuro, ai sensi dell'articolo 2-bis, "la Questura provvede senza ritardo alla trasmis- sione della documentazione necessaria alla Commissione territoriale che, entro sette giorni dalla data di ricezione della documentazione, provvede all'audizione e decide entro i successivi due giorni".
L'art. 7-bis del decreto-legge n. 20 del 2023, come introdotto dalla legge di conversione n. 50 del 2023 (in vigore dal 6 maggio 2023), amplia le ipotesi di procedure accelerate di esame delle domande di protezione internazionale, prevedendo una fattispecie di procedura "super accelerata", nella quale il provvedimento conclusivo deve essere adottato entro sette giorni complessivi dalla presentazione della domanda, per le domande di protezione internazionale presentate direttamente alla frontiera, o nelle zone di transito, da cittadino straniero proveniente da un paese di origine designato come sicuro. In tali casi, inoltre, è previsto che la procedura accelerata potrà essere svolta direttamente alla frontiera o nelle zone di transito. E', infine, previsto, dal combinato disposto degli artt. 6-bis del d.lgs. n. 142 del 2015 e 28-bis, comma 2, lettera b-bis), del d.lgs. n.25 del 2008, che il richiedente proveniente da un paese designato di origine sicuro, che non abbia consegnato il "passaporto o altro documento equipollente" o che non abbia prestato "idonea garanzia finanziaria", possa essere trattenuto durante lo svolgimento della procedura accelerata di esame della domanda di protezione internazionale presentata alla frontiera, o nelle zone di transito, "al solo scopo di accertare il diritto ad entrare nel territorio dello Stato".
Le conseguenze che derivano dalla provenienza da un paese sicuro sono, dunque, numerose: (i) la procedura diviene da ordinaria ad accelerata; ii) il richiedente asilo a onere di allegazione aggravato, al quale corrisponde un onere motivazionale attenuato per la pubblica amministrazione; (iii) la domanda può essere rigettata perché manifestamente infondata ai sensi dell'art. 32, comma 1, lettera b- bis), del d.lgs. n. 25 del 2008; (iv) i termini per proporre ricorso si riducono della metà; (v) la decisione con cui è rigettata la domanda presentata da un richiedente proveniente da un paese di origine sicuro è motivata potendosi dare atto che il richiedente non ha dimostra- to la sussistenza di gravi motivi per ritenere non sicuro, in relazione alla situazione particolare del richiedente stesso, il paese designato di origine sicuro (art. 9, comma 2-bis, del d.lgs. n. 25 del 2008); (vi) la proposizione del ricorso non sospende l'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato; al ricorrente, tuttavia, viene riconosciuta, ex art. 35-bis, comma 4, del d.lgs. n. 25 del 2008, la possibilità di avanzare istanza di sospensione della decisione adottata dalla Commissione territoriale. La sospensione potrà essere accordata, con decreto motivato, pronunciato entro cinque giorni dalla presentazione dell'istanza e senza la preventiva convocazione della controparte, se ricorrono gravi e circostanziate ragioni e assunte, ove occorra, sommarie informazioni.
Così, l'indicazione di un paese quale sicuro, se consente di realizzare una più efficiente dismissione di domande di protezione internazionale, considerate ex ante strumentali, può comportare una rimodulazione in senso riduttivo delle garanzie individuali. Se ne ha conferma nel fatto che, tra le conseguenze per l'interessato la cui domanda è respinta sulla base dell'applicazione del concetto di paese di origine sicuro, vi è che, contrariamente a quanto previsto in caso di semplice rigetto, il richiedente asilo, in attesa dell'esito del suo ricorso avverso la decisione di rigetto della domanda, può non essere autorizzato a rimanere nel territorio dello Stato membro in cui questa è stata presentata.
8. Tanto premesso, si tratta di accertare se la designazione, ad opera del decreto ministeriale, di un paese di origine come sicuro sia o meno sindacabile da parte del giudice ordinario nel procedimento di impugnazione del provvedimento, reso dalla Commissione, di diniego della protezione internazionale.
9. Sul punto, come dà conto l'ordinanza del rimettente Tribunale di Roma, si registrano, presso i giudici di merito, due diversi orientamenti.
Il primo sostiene che, proprio perché la creazione - a determinate condizioni - di un elenco di paesi sicuri consente ai legislatori nazionali di derogare ad alcuni diritti procedurali garantiti dalla direttiva ai richiedenti, deve ritenersi sussistente un potere-dovere di controllo dell'autorità giudiziaria ordinaria, investita ritualmente dalla questione sul legittimo inserimento di un paese all'interno della lista, da cui discende causalmente una limitazione dei diritti procedurali e sostanziali che il legislatore europeo ha voluto garantire in via generale a tutti i richiedenti asilo quale strumento di tutela di diritti fondamentali della persona consacrati nelle Carte dei diritti e nelle Costituzioni degli Stati membri.
Il secondo orientamento si muove in direzione diametralmente opposta. Esso esclude la possibilità della valutazione, da parte del giudice, della natura sicura di un paese, sia argomentando sulla non applicabilità dell'art. 5 della legge abolitrice del contenzioso amministrativo, n. 2248 del 1865, allegato E (che sarebbe destinato a operare solo nelle controversie tra privati), sia rilevando che l'assenza di un effetto sospensivo automatico non è determinata dalla sola provenienza del richiedente da un paese sicuro, ma necessariamente anche dalla manifesta infondatezza della domanda per la mancata allegazione, o comunque per la mancata dimostrazione nonostante l'impiego dei doveri di cooperazione istruttoria del giudice, di elementi relativi alla persona o al gruppo sociale o alla zona di provenienza tali da superare la presunzione relativa di sicurezza per richiedenti asilo determinata dall'inserimento del paese di provenienza nella lista di cui al decreto ministeriale.
10. Pronunciando sul rinvio pregiudiziale proposto nella causa C-406/22, ai sensi dell'art. 267 TFUE, dalla Corte regionale di Brno, Repubblica ceca, nel corso di un procedimento di impugnazione del rigetto di una domanda di protezione internazionale, la Corte di giustizia dell'Unione europea (Grande Sezione), con sentenza 4 ottobre 2024, ha fissato principi importanti anche per la soluzione del quesito interpretativo oggetto del presente procedimento.
La richiesta di rinvio era stata presentata nell'ambito di una controversia tra CV, cittadino moldavo, e il Ministerstvo vnitra Ceské republiky, odbor azylové a migracnf politiky (Ministero dell'interno della Repubblica ceca, Dipartimento della Politica in materia di asilo e migrazione) che aveva respinto la domanda di protezione internazionale dell'istante, in quanto manifestamente infondata, rilevando che la Repubblica ceca considerava paese di origine sicuro la Repubblica di Moldova, eccettuata la Transnistria, e che CV non aveva dimostrato che, nel suo caso, ciò non sarebbe stato vero.
La Corte di giustizia ha ritenuto che l'art. 37 della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, in combinato disposto con l'allegato I della stessa direttiva, debba essere interpretato nel senso che un Paese terzo non cessa di soddisfare i criteri che gli consentono di essere designato come paese di origine sicuro per il solo motivo che si avvale del diritto di derogare agli obblighi previsti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, in applicazione dell'art. 15 di detta Convenzione. Le autorità competenti dello Stato membro che ha proceduto a siffatta designazione devono valutare, però, se le condizioni di attuazione di tale diritto siano atte a mettere in discussione la sua indicazione come paese sicuro.
Secondo la Corte, l'art. 37 della direttiva 2013/32/UE va interpretato nel senso che esso osta a che un Paese terzo possa essere designato come paese di origine sicuro ove talune parti del suo territorio non soddisfino le condizioni sostanziali della designazione enunciate all'allegato I di detta direttiva.
Inoltre, la CGUE ha chiarito che l'art. 46, par. 3, della direttiva 2013/32/UE, letto alla luce dell'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, dev'essere interpretato nel senso che quando un giudice è investito di un ricorso avverso una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale, esaminata nell'ambito del regime speciale applicabile alle domande presentate dai richiedenti, provenienti da paesi terzi designati come paese di origine sicuro, conformemente all'art. 37 di tale direttiva, tale giudice, nell'ambito dell'esame completo ed ex nunc imposto dal suddetto art. 46, par. 3, deve rilevare, sulla base degli elementi del fascicolo nonché di quelli portati a sua conoscenza nel corso del procedimento dinanzi ad esso, una violazione delle condizioni sostanziali di siffatta designazione, enunciate all'allegato I di detta direttiva, anche se tale violazione non è espressamente fatta valere a sostegno di tale ricorso.11. Dalla sentenza della Corte di giustizia discende, dunque, che il giudice dinanzi al quale sia contestata la decisione relativa alla domanda di protezione internazionale deve procedere all'esame completo e aggiornato del caso di specie.
La verifica completa ed ex nunc incombente al giudice può riguardare anche gli aspetti procedurali di una domanda di protezione internazionale, fra i quali vi è la designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro, potendo siffatta designazione avere ripercussioni sulla procedura.
La Corte di giustizia ha osservato che la designazione, da parte della Repubblica ceca, della Moldova come paese terzo di origine sicuro, tranne la Transnistria, è un elemento che il giudice era chiamato a conoscere.
Pertanto, anche se il ricorrente nel procedimento principale non aveva espressamente invocato la violazione delle norme previste dalla direttiva 2013/32/UE, tale eventuale violazione rappresenta un elemento di diritto che il giudice del rinvio deve comunque considerare.
12. Tra le pronunce di questa Corte che concorrono a perimetrare il tema, occorre richiamare la sentenza della Prima Sezione 11 novembre 2020, n. 25311, la quale ha riconosciuto che il giudice, in base alle fonti europee, deve mantenere inalterato il suo diritto dovere di acquisire con ogni mezzo tutti gli elementi utili a indagare sulla sussistenza dei presupposti della protezione internazionale, non solo secondo le allegate condizioni personali del ricorrente, ma anche in base alla situazione generale del paese di origine considerata rilevante. La richiamata "doverosa potestà" - si dà cura di precisare il citato arresto - non può essere limitata, nelle possibilità di esplicazione, dal mero fatto che uno Stato sia stato incluso in un elenco di paesi da considerare sicuri sulla base di informazioni (certo qualificate ma) vagliate unicamente nella sede governativa. Ove l'onere di allegazione sia dal ricorrente rispettato, resta comunque intatto per il giudice il potere-dovere di acquisire con ogni mezzo tutti gli elementi utili a indagare sulla sussistenza degli indicati presupposti della protezione internazionale.
Più di recente, enunciando un principio di diritto ex art. 363-bis cod. proc. civ. in esito ad un rinvio pregiudiziale, le Sezioni Unite, con la sentenza 29 aprile 2024, n. 11399, hanno statuito che, in caso di ricorso giurisdizionale avente ad oggetto il provvedimento di manifesta infondatezza emesso dalla Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale nei confronti di soggetto proveniente da paese sicuro, vi è deroga al principio generale di sospensione automatica del provvedimento impugnato solo nel caso in cui la Commissione territoriale abbia correttamente applicato la procedura accelerata, utilizzabile nell'ipotesi di manifesta infondatezza della richiesta protezione; altrimenti, se la procedura accelerata non è stata rispettata nelle sue articolazioni procedimentali, si determina il ripristino della procedura ordinaria ed il riespandersi del principio generale di sospensione automatica del provvedimento della Commissione territoriale.
Il principio di sospensione automatica del provvedimento della Commissione - hanno osservato le Sezioni Unite - è espressione del principio di effettività della tutela. Si tratta di un principio generale dell'ordinamento unionale. Il principio si traduce, in concreto, nel diritto di difesa, di parità delle armi processuali, di ricorso al giudice, nel diritto complessivo ad un giusto processo. Esso si traduce, specificamente, nel diritto ad essere presente nel processo allorché, ove non fosse operativa la sospensione del provvedimento emesso dall'organo amministrativo, il richiedente sarebbe a rischio di un allontanamento in quanto non più titolato a restare nel Paese, con effetti preclusivi sul suo diritto di difesa e, addirittura, sulla possibilità di giungere ad una decisione di merito eventualmente a lui favorevole.
Nella citata sentenza, le Sezioni Unite hanno lasciato impregiudicate "le problematiche inerenti, da un lato la possibilità che il richiedente contesti la natura 'sicura' del paese di origine e, dall'altro la possibilità che il giudice debba, anche in ragione del dovere di cooperazione istruttoria, comunque valutare detta natura anche in presenza di inserimento del paese negli elenchi contenuti nei decreti ministeriali a ciò destinati (si tratta, peraltro, di decreti necessitanti continuo aggiornamento)".
13. Ad avviso del Collegio, il decreto ministeriale che individua i paesi di origine sicuri non è un atto politico, un atto fuori dal diritto e dalla giurisdizione.
Perché un atto possa essere considerato politico e, come tale, sottratto alla giurisdizione, è necessario che esso sia posto in essere da un organo costituzionale nell'esercizio della funzione di governo e, quindi, nell'attuazione dell'indirizzo politico.
La nozione di atto politico è di stretta interpretazione ed ha carattere eccezionale, atteso che il principio di giustiziabilità degli atti del pubblico potere costituisce un profilo fondante della Costituzione italiana (Cass., Sez. Un., 1° giugno 2023, n. 15601).
L'inserimento di un Paese nella lista di quelli sicuri non è un atto politico, perché deriva dalla applicazione dei criteri individuati dagli artt. 36 e 37 e dall'allegato I della direttiva 2023/32/UE e dall'art. 2- bis del d.lgs. n. 25 del 2008.
La nozione di paese di origine sicuro ha carattere giuridico. L'inserimento di un paese di origine tra quelli sicuri è guidato da requisiti e da criteri dettati dal legislatore europeo e recepiti dalla normativa nazionale. Tali elementi devono essere considerati sulla base delle informazioni fornite dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo e da altre fonti qualificate (Stati membri dell'Unione europea, EASO, UNHCR, Consiglio d'Europa, altre organizzazioni internazionali competenti).
L'esistenza di una dettagliata disciplina (procedurale e sostanziale) applicabile al relativo potere amministrativo implica che il rispetto di tali requisiti e criteri è suscettibile di verifica in sede giurisdizionale. Se ci trovassimo in assenza di un parametro giuridico, il sindacato giurisdizionale sarebbe destinato ad arrestarsi; ma in presenza di un riferimento normativo quello stesso sindacato diviene doveroso, proprio perché la giustiziabilità dell'atto dipende dalla regolamentazione sostanziale del potere.
Nella stessa direzione cospira l'art. 113 Cast., letto in connessione con l'art. 24 Cast. Essi esprimono il principio di legalità-giustiziabilità: le posizioni giuridiche soggettive esigono una tutela e, quindi, nessun atto riconducibile alla funzione amministrativa che produca effetti lesivi rispetto a tali situazioni può essere considerato non sindacabile.
Non può escludersi che quella designazione involga anche valutazioni che riguardano parallelamente l'attuazione delle politiche generali di governo sotto il profilo della sicurezza e delle esigenze di continuità delle relazioni internazionali. L'aspetto politico, però, rileva "a monte", con riguardo sia all'attribuzione al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, di concerto con il Ministero dell'interno e del Ministro della giustizia, del potere di stilare una lista di paesi di origine sicuri per richiedenti protezione internazionale, sia alla scelta se inserire o meno un determinato paese, che soddisfi i requisiti previsti dal legislatore, nell'elenco.
Quando si tratta, invece, di verificare la sussistenza in concreto dei criteri, normativamente predefiniti, che consentono di qualificare un paese come sicuro, la presenza di un aspetto politico non può giustificare il ritrarsi del controllo giurisdizionale.
14. Si deve, quindi, considerare se i requisiti ai quali la direttiva dell'Unione europea e il decreto legislativo subordinano la qualifica di paese d'origine sicuro siano suscettibili di accertamento, di riscontro e di verifica o se presuppongano invece un potere valutativo riservato insindacabilmente all'autorità governativa.
Certamente alla base del decreto ministeriale ci sono, oltre al concerto dei Ministri, una istruttoria articolata e complessa, alla quale non sono estranei né un apprezzamento qualitativo di fatti, né una sintesi valutativa di informazioni tradotta, secondo la disciplina ratione temporis applicabile, in un atto amministrativo generale.
Quella valutazione e quella sintesi, però, non si impongono al giudice dei diritti come un dato assolutamente insindacabile.
Pur dovendosi dare atto che la valutazione ministeriale non è soltanto un'operazione tecnico-giuridica, come se ci trovasse di fronte a un atto totalmente vincolato e surrogabile dal giudice o a un esito a rime obbligate che l'interprete sia chiamato a desumere, tramite le fonti, dal confronto sillogistico di norma e fatto; pur dovendosi dare atto di tutto ciò, preme, tuttavia, sottolineare che il giudice non sostituisce le proprie valutazioni soggettive a quelle espresse dal decreto ministeriale quando esercita il, doveroso e istituzionale, controllo di legittimità sugli esiti della valutazione effettuata dall'amministrazione e verifica se il potere valutativo sia stato esercitato con manifesto discostamento dalla disciplina europea o non sia ictu oculi più rispondente alla situazione reale (come risultante, ad esempio, dalle univoche ed evidenti fonti di informazione affidabili ed aggiornate sul paese di origine del richiedente, ai sensi dell'art. 37 della direttiva 2013/32/UE).
Il giudice ordinario non si sostituisce al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale anche perché il giudice ordinario non può andare al di là di quanto rileva ai fini del pieno e completo esame del singolo caso in quella data controversia.
L'accertamento giurisdizionale risponde, piuttosto, all'esigenza di verificare che il potere non sia stato esercitato arbitrariamente.
Il sindacato intrinseco di attendibilità non giunge affatto alla sostituzione nelle valutazioni che spettano, in generale, al Ministro degli affari esteri e agli altri Ministri che intervengono in sede di concerto.
Pur non potendosi negare l'esistenza di un potere discrezionale, per la compresenza di interessi pubblici, alla base della scelta di inserire un dato paese nella lista dei paesi sicuri di cui al decreto ministeriale, ciò non significa che il giudice debba astenersi dal verificare non solo l'esattezza degli elementi addotti, ma anche la loro attendibilità e la loro coerenza, come pure se essi costituiscano l'insieme dei dati rilevanti che debbono essere presi in considerazione nella situazione complessa e se siano di natura tale da corroborare le correlazioni che se ne sono tratte.
In altri termini, la nozione di paese di origine sicuro possiede una valenza definente che è in grado di specificare il concetto giuridico indeterminato del sintagma di cui essa si compone, di modo che è consentito al giudice di effettuare un test di coerenza della qualificazione nel caso concreto con la norma attributiva del potere.
Il giudice, dunque, non si sostituisce all'autorità governativa sconfinando nel fondo di una valutazione discrezionale a questa riservata, ma ha il potere-dovere di esercitare il sindacato di legittimità del decreto ministeriale, nella parte in cui inserisce un certo paese di origine tra quelli sicuri, ove esso chiaramente contrasti con la normativa europea e nazionale vigente in materia, anche tenendo conto di informazioni sui paesi di origine aggiornate al momento della decisione, secondo i principi in tema di cooperazione istruttoria.
15. L'ammissibilità del sindacato è una soluzione che discende de plano dalla sentenza della Corte di giustizia (Grande Sezione) del 4 ottobre 2024.
La designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro rientra negli aspetti procedurali della domanda di protezione internazionale, in quanto siffatta valutazione è suscettibile di comportare ripercussioni sull'accoglimento della richiesta.
La decisione di rigetto, nel caso considerato dalla Corte di giustizia, è fondata esclusivamente sul fatto che il ricorrente nel procedimento principale è originario della Repubblica di Moldova e che tale paese terzo deve essere considerato un paese di origine sicuro, pur avendo l'interessato esposto le minacce di cui è oggetto in Moldova e dichiarato di non voler rientrare nella sua regione di origine a causa dell'invasione dell'Ucraina da parte della Federazione russa.
L'elemento decisivo di detta decisione di rigetto, basata sulla designazione di detto paese terzo come paese di origine sicuro, è necessariamente oggetto del ricorso proposto dal ricorrente.
La valutazione del giudice, al fine di dirimere la controversia dinanzi ad esso pendente, deve comprendere la legittimità di siffatta designazione, nell'ambito del diritto a un ricorso effettivo, e considerare che la designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro deve estendersi a tutto il territorio.
16. Ne consegue che il decreto ministeriale, quanto all'identificazione di un certo paese come sicuro, non esprime una valutazione governativa vincolante per il giudice ordinario.
Venendo in gioco un diritto costituzionale (il diritto all'asilo e alla protezione come regolato e disciplinato dalla normativa europea e nazionale e dalle convenzioni internazionali), rimane fermo il potere dell'autorità giurisdizionale ordinaria di riconsiderare l'inserimento di un paese nella lista dei paesi sicuri, allorché la predetta designazione si discosti dai criteri di inserimento previsti dalla norma generale, sacrificando sull'altare di interessi pubblici diversi il riconoscimento della protezione internazionale a fronte di un effettivo rischio di compromissione, nel paese di origine, del nucleo irriducibile di diritti inviolabili coessenziali alla dignità della persona umana.
17. Si tratta, a questo punto, di precisare quando il sindacato del giudice ordinario può essere esercitato, e con quali effetti, rispetto all'atto amministrativo generale che designa un certo paese di origine come sicuro.
18. A tale riguardo, devono essere considerati due profili.
19. Il primo aspetto da considerare è che il bene della vita oggetto del giudizio di impugnazione del diniego è il diritto alla protezione internazionale del richiedente. Il giudizio sulla domanda di protezione internazionale non si esaurisce in un mero sindacato di legittimità dell'atto della Commissione territoriale, ma consiste in un accertamento pieno della sussistenza del diritto.
Strettamente collegata alla natura del giudizio è la necessità che il giudizio sulla sussistenza del diritto alla protezione sia emesso dal giudice con riferimento all'attualità. Rileva, nella medesima prospettiva, l'art. 27, comma 1-bis, del d.lgs. n. 25 del 2008, che impone alla commissione territoriale e al giudice di acquisire d'ufficio le informazioni necessarie a integrare il quadro probatorio fornito dal richiedente.
La designazione tabellare del paese terzo come sicuro, fondata sulla possibilità di dimostrare che non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni quali definite nell'art. 9 della direttiva 2011/95/UE e funzionale alla gestione del fenomeno migratorio in una prospettiva su larga scala, cede il passo di fronte alla posizione peculiare del richiedente la protezione.
Criterio fondamentale per stabilire la fondatezza della domanda di protezione internazionale è la sicurezza del richiedente nel paese di origine.
La designazione del paese terzo come sicuro lascia presumere la sicurezza anche per quello specifico richiedente, a meno che quest'ultimo non abbia indicato elementi che giustifichino il motivo per cui il concetto di paese sicuro non è applicabile nei suoi confronti, nel quadro di una valutazione individuale.
Siffatta designazione, infatti, non può stabilire una garanzia assoluta di sicurezza per i cittadini di tale paese.
Per sua stessa natura, la valutazione alla base della designazione può tener conto soltanto della situazione civile, giuridica e politica generale in tale paese e se in tale paese i responsabili di persecuzioni, torture o altre forme di punizione o trattamenti disumani e degradanti siano effettivamente soggetti a sanzioni se riconosciuti colpevoli.
Quando un richiedente dimostra che vi sono validi motivi per non ritenere sicuro tale paese per la sua situazione particolare, la designazione del paese come sicuro non può applicarsi al suo caso.
20. Il secondo aspetto da considerare è che la disapplicazione è un potere processuale che implica, da parte del giudice ordinario, l'accertamento della legittimità dell'atto amministrativo come antecedente logico giuridico per la soluzione della controversia principale. Al giudice ordinario è affidata la potestà di conoscere della legittimità dell'atto ogni qualvolta tale questione emerga in via pregiudiziale in una controversia che abbia per oggetto diritti soggettivi e purché la detta questione sia un mero antecedente, talché esso possa essere deciso incidenter tantum e senza efficacia di giudicato.
Quando, nella catena delle questioni che il giudice ordinario deve risolvere, rilevi anche la legittimità di un atto amministrativo, l'ordinamento consente di conoscere dell'atto e della sua legittimità in via incidentale e, eventualmente, di disapplicarlo, senza che questo abbia alcuna conseguenza ulteriore sulla sopravvivenza dell'atto stesso.
Si tratta dello strumento istituzionale attraverso il quale il giudice ordinario esercita una cognizione anche sulla legittimità dell'azione amministrativa.
Pur non potendo annullare o revocare l'atto amministrativo illegittimo, il giudice ordinario non deve arrestarsi di fronte a esso, ma ha il potere-dovere di accertarne la non vincolatività in via incidentale e, conseguentemente, di disapplicarlo, considerandolo tamquam non esset, senza che per le parti si apra la necessità di un ulteriore giudizio dinanzi al giudice amministrativo.
Il potere di disapplicazione degli atti amministrativi può essere esercitato in presenza di un qualsiasi vizio di legittimità e per la violazione di qualsiasi norma giuridica, anche dell'Unione europea.
La giurisprudenza (Cass., Sez. Un., 25 maggio 2018, n. 13193) ha chiarito che la potestà di disapplicazione può essere esercitata anche nelle controversie in cui sia parte la pubblica amministrazione, e non già soltanto in quelle tra privati: il fatto, cioè, che il giudizio si svolga tra un privato e una pubblica amministrazione non preclude affatto, di per sé, ai sensi della legge n. 2248 del 1865, allegato E, il potere del giudice ordinario di esaminare incidentalmente il provvedimento amministrativo ai fini della sua eventuale disapplicazione. Nello stesso senso si è ribadito (Cass., Sez. Un., 31 dicembre 2018, 33688) che il giudizio tra un privato e una P.A. non preclude affatto, di per sé, il potere del giudice ordinario di esaminare incidentalmente il provvedimento amministrativo ai fini della sua eventuale non applicazione. Ciò purché ricorrano due condizioni oggettive: a) il provvedimento amministrativo non può venire in rilievo come fondamento del diritto dedotto in giudizio, bensì deve configurarsi quale mero antecedente, sicché la questione della sua legittimità si prospetti come pregiudiziale in senso tecnico; b) il provvedimento deve essere affetto da vizi di legittimità lesivi di diritti, mentre il sindacato è escluso con riguardo alle valutazioni di merito attinenti all'esercizio del potere discrezionale della P.A.
Tale operazione non si riflette sulla esistenza formale dell'atto, ma ne impedisce la operatività nel caso concreto.
Se il provvedimento è reputato illegittimo, il giudice non ne tiene conto ai fini della decisione del processo.
Disapplicare, in parte qua, il decreto ministeriale significa che il giudice ordinario non lo annulla con effetti erga omnes, ma ne prescinde, cioè non tiene conto della qualificazione ministeriale di quel dato paese come sicuro ai fini della decisione del caso concreto. La valutazione, in concreto e nello specifico, di insicurezza di quel paese, per quanto attiene alla controversia sul riconoscimento in sede giudiziale dell'invocato diritto alla protezione internazionale in favore del cittadino straniero, non è ostacolata dalla diversa qualificazione rive- niente dal decreto ministeriale.
Il sindacato del giudice ordinario, ove si risolva nell'accertamento della non conformità dell'atto amministrativo all'ordinamento, si riflette sugli effetti dell'atto in relazione all'oggetto dedotto in giudizio.
Il giudice ordinario non annulla il decreto ministeriale, nemmeno in parte.
Tali principi - ricavabili dal sistema nazionale della legge n. 2248 del 1865, allegato E - trovano piena rispondenza nella giurisprudenza della Corte di giustizia, puntualmente richiamata, in questo giudizio, nelle conclusioni dell'Ufficio del Pubblico Ministero.
Nella sentenza 28 luglio 2011, Samba Diouf, in causa C-69/10, infatti, è affermato che motivi addotti a giustificazione dell'applicazione di una procedura accelerata possono essere effettivamente contestati successivamente davanti al giudice nazionale e da questo vagliati nell'ambito del ricorso esperibile contro la decisione finale con la quale si conclude il procedimento relativo alla domanda di asilo. Non sarebbe infatti compatibile con il diritto dell'Unione, avendo riguardo in particolare al diritto ad un ricorso effettivo, la circostanza che una domanda di protezione internazionale venga interpretata nel senso che i motivi che hanno indotto l'autorità amministrativa competente ad esaminare la domanda con procedura accelerata non possano costituire l'oggetto di alcun controllo giurisdizionale.
Più di recente - è ancora una volta l'Avvocata Generale a ricordarlo - la citata sentenza della Grande Sezione del 4 ottobre 2024, dopo aver premesso che la designazione del paese terzo come paese di origine sicuro costituisce uno degli elementi del fascicolo portati a conoscenza del giudice del rinvio e di cui quest'ultimo è chiamato a conoscere nell'ambito del ricorso avverso detta decisione, sottolinea che, in tali circostanze, anche se il ricorrente nel procedimento principale non ha espressamente invocato, in quanto tale, la violazione delle norme della direttiva 2013/32/UE in punto di designazione, tale eventuale violazione costituisce un elemento di diritto che il giudice deve prendere in considerazione nell'ambito dell'esame completo ed ex nunc.
21. Da tanto deriva che il giudice ordinario, chiamato ad accertare - acquisendo dalla consultazione delle fonti di informazione fornite dalle organizzazioni internazionali competenti, previa sottoposizione al contradditorio delle parti, gli elementi all'uopo rilevanti anche attraverso la cooperazione istruttoria - i presupposti della protezione internazionale in capo al richiedente, ha un potere di accertamento che non può essere limitato dalla circostanza che uno Stato sia incluso nell'elenco di paesi da considerare sicuri sulla base di informazioni vagliate unicamente nella sede governativa.
Nei giudizi di protezione internazionale, in altri termini, il giudice, avvalendosi dei poteri di cooperazione istruttoria, è tenuto ad effettuare una verifica aggiornata della situazione del paese di origine, dovendo giudicare sulla domanda di asilo alla luce delle condizioni di fatto sussistenti al momento della decisione. La necessità di una valutazione aggiornata non riguarda soltanto il merito della domanda di protezione internazionale, ma anche l'utilizzabilità della procedura prevista per i migranti provenienti da paesi sicuri.
Se così non fosse, sarebbe vulnerato il significato più profondo dell'effettività della tutela garantita dal giudice ordinario quando sono in gioco diritti fondamentali che attengono al diritto di asilo e di protezione internazionale.
La garanzia e la tutela di quei diritti non sono e non possono essere meramente cartolari.
Può richiamarsi, al riguardo, la sentenza della Corte di Giustizia 17 ottobre 2024, nella causa C-156/23, Ararat, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell'articolo 267 TFUE, dal rechtbank Den Haag, zittingsplaats Roermond (Tribunale dell'Aia, sede di Roermond, Paesi Bassi): "la tutela giurisdizionale garantita dall'articolo 47 della Carta e concretizzata all'articolo 13, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2008/115 non sarebbe né effettiva né completa se il giudice nazionale non avesse l'obbligo di constatare d'ufficio la violazione del principio di non respingimento, quando gli elementi del fascicolo portati a sua conoscenza, come integrati o chiariti nel corso del procedimento in contraddittorio dinanzi ad esso, tendono a dimostrare che la decisione di rimpatrio è basata su una valutazione obsoleta dei rischi di trattamenti vietati da tale principio, incorsi dal cittadino di un paese terzo interessato qualora dovesse ritornare nel paese terzo di cui si tratta, e di trarne tutte le conseguenze quanto all'esecuzione di tale decisione. Una limitazione della funzione del giudice nazionale potrebbe comportare l'esecuzione di una siffatta decisione, anche qualora elementi siffatti indichino che l'interessato rischierebbe di essere sottoposto, in tale paese terzo, a trattamenti del genere, vietati in modo assoluto dall'articolo 4 della Carta".
Peraltro, il giudice dinanzi al quale sia stato impugnato il diniego di protezione internazionale, in tanto può attivare il proprio sindacato sulla qualificazione, ad opera del decreto ministeriale, del paese di origine del richiedente come sicuro, in quanto l'inserimento nella lista di cui al decreto ministeriale e la conseguente designazione siano rilevanti e decisivi rispetto alla spettanza della protezione al singolo e abbiano conseguenze, in concreto, in ordine al diritto a un ricorso effettivo.
In ogni caso, inoltre, affinché possa sorgere il dovere di cooperazione si appalesa pur sempre necessario l'assolvimento, da parte del richiedente, dell'onere di allegazione e di presentare una domanda che possa qualificarsi quale richiesta di protezione internazionale, in relazione ai fatti dedotti.
21.1. La designazione del paese terzo come sicuro è rilevante se, ad esempio, il richiedente, nell'invocare una circostanza attinente alla protezione internazionale (timore di persecuzione o danno grave), sostanzialmente contesta che il paese di origine sia sicuro per rilievi d'ordine generale. In tal caso, le ragioni addotte a sostegno della domanda riguardano, non gravi motivi relativi a una sua situazione particolare, ma una situazione di ordine generale, concernente intere categorie di cittadini o zone di quel dato paese.
Nell'orizzonte di attesa di un caso siffatto, per garantire al richiedente un ricorso effettivo in ordine alla decisione sulla sua domanda di protezione internazionale, la designazione come sicuro del paese di origine dello straniero riveste un carattere rilevante e decisivo nell'ambito della complessiva controversia.
Il giudice ordinario deve allora poter esaminare la compatibilità, con la disciplina europea e nazionale, del decreto ministeriale, nella parte in cui designa quel paese terzo come sicuro, e rilevarne gli eventuali vizi, anche per un motivo diverso da quello dedotto originariamente dalla parte, essendo ciò necessario ai fini dell'accertamento del diritto invocato.
In altri termini, il giudice ordinario, investito di una domanda di tale tenore, si trova al cospetto di un rapporto complesso tra il richiedente protezione e la pubblica amministrazione, da cui il diritto fondamentale è inciso. L'impatto del decreto ministeriale sui paesi sicuri sulla concreta tutelabilità del diritto invocato fa scattare il poteredovere di disapplicare l'atto presupposto, sempre che ne sia riscontrato il contrasto con la normativa europea o con la pertinente disciplina legislativa nazionale.
Pertanto, il giudice, per poter disapplicare, in parte qua, il decreto ministeriale, deve verificare, preliminarmente, se la designazione possa rappresentare l'elemento decisivo. Deve, dunque, accertare se sussista un'incidenza diretta di tale qualificazione ai fini dell'esame della domanda attraverso un ricorso giurisdizionale effettivo che garantisca la giustizia della decisione; in altre parole, se la ragione del rigetto non sia basata su un esame individuale della domanda, ma sul mero rilievo che il ricorrente proviene da un paese sicuro.
21.2. Diverso è il caso in cui il richiedente abbia addotto, a sostegno della domanda, "gravi motivi per ritenere che quel Paese non è sicuro per la [sua] situazione particolare", come prevede il comma 5 dell'art. 2-bis del d.lgs. n. 25 del 2008, in continuità con l'art. 36 della direttiva n. 2013/32/UE, là dove si riferisce alla invocazione di "gravi motivi per ritenere che quel paese non sia un paese di origine sicuro nelle circostanze specifiche in cui si trova il richiedente stesso e per quanto riguarda la sua qualifica di beneficiario di protezione internazionale a norma della direttiva 2011/95/UE".
In tale evenienza, ciò che rileva non è tanto la valutazione, generale e costante, di sicurezza del paese come operata dallo Stato membro, quanto, piuttosto, la situazione di fatto della sicurezza nei confronti del singolo richiedente in ragione della sua peculiare situazione. La conseguenza di avere fondato la domanda sulle circostanze specifiche in cui si trova il richiedente stesso, è il venir meno della presunzione relativa di sicurezza che a quella designazione normalmente si ricollega.
Non si pone più un problema di rilevanza, e di conseguente disapplicazione, della valutazione governativa, perché, nella fase giurisdizionale conseguente all'impugnazione del diniego di protezione internazionale, con riguardo alla situazione personale del singolo, il potere-dovere del giudice è il pieno potere cognitorio, rafforzato sotto il profilo della cooperazione istruttoria, potendo il giudice addivenire a un completo accertamento, questa volta in fatto, della condizione soggettiva del richiedente, tale da integrare i gravi motivi. Pertanto, con riferimento al caso specifico, il giudice può sempre accertare, a prescindere dalla disapplicazione, ragioni di carattere individuale che depongano per una situazione di insicurezza che caratterizza il singolo richiedente.
In questo senso indirizza la giurisprudenza di questa Corte, quando osserva che l'inserimento del paese di origine del richiedente asilo nell'elenco dei paesi sicuri non preclude allo stesso la possibilità di dedurre la propria provenienza da una specifica area del paese stesso interessata a fenomeni di violenza ed insicurezza generalizzata che, ancorché territorialmente circoscritti, possono essere rilevanti ai fini della concessione della protezione internazionale o umanitaria, né esclude il dovere del giudice, in presenza di una simile allegazione, di procedere all'accertamento in concreto della pericolosità di detta zona e sulla rilevanza dei predetti fenomeni (Cass., Sez. I, 14 novembre 2019, n. 29914).
Nelle controversie in materia di riconoscimento della protezione, ai sensi dell'art. 35-bis del d.lgs. n. 25 del 2008, anche nella fase cautelare, se il giudice accerta che il richiedente ha addotto gravi motivi per ritenere che quel paese non è sicuro per la sua situazione particolare, la sospensione dell'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato non richiede, immancabilmente, la disapplicazione del decreto ministeriale, ben potendo avere rilevanza assorbente e decisiva, nel senso della concessione della tutela interinale, l'invocazione di elementi relativi alla persona o al gruppo sociale di appartenenza, tali da superare la presunzione relativa determinata dall'inserimento del paese di origine nella lista.
22. Sul rinvio pregiudiziale sollevato dal Tribunale di Roma, la Corte enuncia, pertanto, il seguente principio di diritto: "Nell'ambiente normativo anteriore al decreto-legge 23 ottobre 2024, n. 158, e alla legge 9 dicembre 2024, n. 187, se è investito di un ri
corso avverso una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale di richiedente proveniente da paese designato come sicuro, il giudice ordinario, nell'ambito dell'esame completo ed ex nunc, può valutare, sulla base delle fonti istituzionali e qualificate di cui all'art. 37 della direttiva 2013/32/UE, la sussistenza dei presupposti di legittimità di tale designazione, ed eventualmente disapplicare in via incidentale, in parte qua, il decreto ministeriale recante la lista dei paesi di origine sicuri (secondo la disciplina ratione temporis), allorché la designazione operata dall'autorità governativa contrasti in modo manifesto con i criteri di qualificazione stabiliti dalla normativa europea o nazionale. Inoltre, a garanzia dell'effettività del ricorso e della tutela, il giudice conserva l'istituzionale potere cognitorio, ispirato al principio di cooperazione istruttoria, là dove il richiedente abbia adeguatamente dedotto l'insicurezza nelle circostanze specifiche in cui egli si trova. In quest'ultimo caso, pertanto, la valutazione governativa circa la natura sicura del paese di origine non è decisiva, sicché non si pone un problema di disapplicazione del decreto ministeriale".
P.Q.M.
pronunciando sul rinvio pregiudiziale sollevato dal Tribunale di Roma, enuncia il seguente principio di diritto:
"Nell'ambiente normativo anteriore al decreto-legge 23 ottobre 2024,
n. 158, e alla legge 9 dicembre 2024, n. 187, se è investito di un ricorso avverso una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale di richiedente proveniente da paese designato come sicuro, il giudice ordinario, nell'ambito dell'esame completo ed ex nunc, può valutare, sulla base delle fonti istituzionali e qualificate di cui all'art. 37 della direttiva 2013/32/UE, la sussistenza dei presupposti di legittimità di tale designazione, ed eventualmente disapplicare in via incidentale, in parte qua, il decreto ministeriale recante la lista dei paesi di origine sicuri (secondo la disciplina ratione temporis), allorché la designazione operata dall'autorità governativa contrasti in modo manifesto con i criteri di qualificazione stabiliti dalla normativa europea o nazionale. Inoltre, a garanzia dell'effettività del ricorso e della tutela, il giudice conserva l'istituzionale potere cognitorio, ispirato al principio di cooperazione istruttoria, là dove il richiedente abbai adeguatamente dedotto l'insicurezza nelle circostanze specifiche in cui egli si trova. In quest'ultimo caso, pertanto, la valutazione governati- va circa la natura sicura del paese di origine non è decisiva, sicché non si pone un problema di disapplicazione del decreto ministeriale". Dispone che, in caso di diffusione, vengano omesse le generalità delle parti e dei soggetti coinvolti, ai sensi dell'art. 52 del d.lgs. n. 196 del 2003.