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20 dicembre 2024
Immigrazione, protezione internazionale e asilo
Il giudice ordinario può sindacare il decreto ministeriale che individua un Paese come sicuro perché non è un atto politico
Per la Cassazione il giudice ordinario, nell'ambito di un ricorso avverso il rigetto della domanda di protezione internazionale, può disapplicare il D.M. recante la lista dei Paesi di origine sicuri, allorquando la designazione operata dall'autorità governativa contrasti in modo manifesto con i criteri di qualificazione stabiliti dalla normativa euro-unitaria e nazionale.
di Avv. Carmelo Minnella
Il caso

ilcaso

La Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Roma presso il Ministero dell'Interno rigettava la domanda di protezione internazionale presentata dal cittadino tunisino in quanto il richiedente proviene da un Paese di origine sicuro e non ha allegato fondati motivi per ritenere che il Paese d'origine non sia sicuro per la particolare situazione in cui egli si trova.
Il richiedente presentava ricorso avverso la decisione di diniego instando per la sospensione del provvedimento reiettivo. Non ha allegato ragioni specifiche relative alla sua persona, ma ha fatto riferimento al mutamento della situazione della Tunisia riguardante la generalità delle persone. In altri termini, non ha allegato gravi e circostanziate ragioni riferibili alla propria condizione, ma ha sostenuto che alla luce di una serie di accadimenti, indicativi di una involuzione autoritaria, che interessano la generalità delle persone, la Tunisia non presenterebbe più i requisiti di permanenza all'interno della lista “Paesi sicuri”.
Il Tribunale di Roma rileva che la valutazione di un paese di origine come sicuro, ai sensi dell'art. 2-bis D.Lgs. n. 25/2008, determina «una pluralità di conseguenze sulla procedura applicata alle domande di protezione internazionale avanzate dai richiedenti provenienti da quel territorio e riduce significativamente le loro possibilità di difesa», tanto che il richiedente sarebbe a rischio di un allontanamento in quanto non più titolato a restare nel Paese, con effetti limitativi del suo diritto di difesa.

Il Tribunale rimettente osserva che, sulla questione sollevata, si rinvengono contrastanti interpretazioni presso i giudici di merito. Difatti:

  • un primo orientamento sostiene che la creazione di un elenco di Paesi sicuri consente al Legislatore nazionale di derogare ad alcuni principi processuali garantiti dalle direttive UE, deve ritenersi sussistente il potere-dovere di controllo dell'autorità giudiziaria, investita della questione del legittimo inserimento di un Paese all'interno della lista;
  • un contrapposto orientamento esclude la possibilità per il giudice la natura sicura di un paese , sia argomentando sulla non applicabilità dell'art. 5 della legge abolitrice del contenzioso amministrativo n. 2248 del 1865, All. E, sia rilevando che l'assenza di un effetto sospensivo automatico non è determinato dalla sola provenienza del richiedente da un Paese sicuro, ma necessariamente anche dalla non manifesta infondatezza della domanda per la mancata allegazione o dimostrazione di elementi relativi alla persona o al gruppo sociale o alla zona di provenienza tali da superare la presunzione relativa di sicurezza per richiedenti asilo determinata dall'inserimento del paese di provenienza nella relativa lista ministeriale.

Preso atto di tale contrasto, il Tribunale di Roma, con ordinanza emessa il 1° luglio 2024, ha sottoposto alla Corte di Cassazione, ai sensi dell'art. 363-bis c.p.c., un rinvio pregiudiziale circa l'ambito e l'ampiezza del sindacato del giudice sulla designazione di un Paese di origine come sicuro per effetto del decreto del Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, di concerto con i Ministri dell'Interno e della Giustizia, in data 7 maggio 2024.

Il quesito sollevato dal Tribunale è se, quando il richiedente proviene da un Paese sicuroil giudice ordinario, nell'ambito del procedimento che si apre con il ricorso avverso il provvedimento di rigetto della domanda di protezione internazionale per manifesta infondatezza ai sensi dell'art. 28-ter del D.Lgs. n. 25/2008 emesso dalla Commissione territoriale, abbia o meno il potere-dovere di riconsiderare l'inserimento del paese nella lista dei paesi sicuri, allorché l'indicazione – compiuta dal ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, di concerto con i ministri dell'Interno e della Giustizia – si discosti dai parametri previsti dalla normativa europea oppure non sia più rispondente a tali criteri alla luce delle mutate condizioni di fatto.
L'interrogativo è proposto in generale, in modo da abbracciare sia il caso in cui il ricorrente contesti la natura sicura del Paese di origine, sia l'ipotesi di mancanza di contestazione.

Più precisamente, il quesito è sollevato:

  • sia per il caso in cui il richiedente protezione internazionale invochi una circostanza attinente alla protezione internazionale (timore di persecuzione o danno grave), sostanzialmente contestando la natura sicura del Paese di origine non su base individuale, ma per rilievi d'ordine generale;
  • sia per l'ipotesi in cui il richiedente non abbia contestato espressamente la legittimità dell'inclusione del suo paese di origine nella lista di quelli sicuri.

In prossimità dell'udienza il PM ha depositato una requisitoria. In particolare, l'avvocata generale, in rappresentanza della Procura generale, ha chiesto ai giudici di legittimità di affermare il principio di diritto per il quale è sindacabile dal giudice ordinario il decreto ministeriale che individua un paese come sicuro alla luce della normativa interna ed euro-unitaria, sulla base delle informazioni sui paesi di origine (COI) aggiornate al momento della decisione, anche in ragione del dovere di cooperazione istruttoria.
Per il Ministro dell'Interno (che ha anch'esso depositato memoria), invece, l'autorità giurisdizionale non può sostituirsi la propria valutazione a quella dell'amministrazione, a meno che la designazione nazionale di paese sicuro sia manifestamente irragionevole perché contraria al diritto UE. L'unico spazio di manovra per il giudice riguarderebbe il controllo, in generale, che non vi siano costantemente persecuzioni nel paese di provenienza ai sensi dell'art. 9 direttiva 2011/95/UE, o sottoposizione a torture o altre forme di trattamenti inumani e degradanti. Mentre, per quanto concerne la posizione personale del singolo, il giudice potrebbe addivenire al completo accertamento della condizione soggettiva (questa volta del solo) richiedente, tale da integrare gravi motivi di cui all'art. 9, comma 2-bis D.Lgs. n. 25/2008, e quindi della “non sicurezza” del Paese con riferimento al singolo.

Il diritto


ildiritto

La sentenza n. 33398/2024 premette che si tratta di una questione interpretativa che incrocia una pluralità di fonti e formanti, nella quale si stagliano i diritti dello straniero che, nel disegno personalista che lega la dignità alla solidarietà e all'accoglienza, la Costituzione protegge come fondamentali, sia direttamente, sia tramite le Carta internazionali alle quali gli artt. 10, 11 e 117 Cost. rinviano.
Dopo aver ricostruito il composito quadro normativo in materia e aver ricordato che la protezione umanitaria ha ricevuto ampia applicazione nella prassi giurisprudenziale (Corte cost. n. 194/2019) ricorda che «il giudice ordinario, soggetto soltanto alla legge, è il garante di effettività, nel singolo caso concreto al suo esame, dei diritti fondamentali del richiedente asilo che fugge dal proprio Paese e, spinto dalle circostanze, cerca legittimamente protezione in Italia come nell'Unione europea».
La situazione giuridica dello straniero in tali controversie assume le vesti di “diritto soggetto” (quali diritti umani fondamentali ex art. 2 Cost.) e non può essere degradato ad interesse legittimo per effetto di valutazioni discrezionali affidate al potere amministrativo, cui compete solo l'accertamento dei presupposti di fatto che legittimano l'asilo o la protezione umanitaria.
Alle istituzioni democratiche e rappresentative spetta il compito di gestire il fenomeno migratorio, disciplinando i flussi anche nei riflessi della sicurezza della comunità nazionale.
Il tutto in una logica di insieme e la chiusura della cerniera solidaristica e del volto costituzionale e umano della Repubblica verso drammi delle persone più fragili e vulnerabili.
Andando nel cuore della risoluzione del quesito ermeneutico sottoposto, il primo Collegio civile di legittimità ricorda che quello di Paese di origine sicuro è una nozione giuridica di diritto europeo, recepita dal Legislatore nazionale.
È in particolare l'allegato I della direttiva 2013/32/UE che definisce sicuro un Paese se si può dimostrare che generalmente e costantemente non ci sono persecuzioni quali definite dall'art. 9 direttiva 2011/95/UE, né torture o altre forme di trattamento disumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale.
Agli Stati membri incombe l'onere di riesaminare periodicamente – ai sensi dell'art. 37 direttiva 2013/32/UE – le situazioni nei paesi terzi designati come sicuri e di consultare, in sede istruttoria, fonti di informazioni affidabili, comprese in particolare le informazioni fornite da altri Stati membri, dall'EASO, dall'UNHCR, dal Consiglio d'Europa e da altre organizzazioni internazionali competenti.
A partire dal 2018 l'Italia ha esercitato tale facoltà e l'ultimo decreto ministeriale è stato adottato il 7 maggio 2024.
A questo punti, i giudici di legittimità danno conto dello ius superveniens partendo dal D.L. n. 158/2024 (come convertito nella recente Legge n. 187/2024, di conversione anche del D.L. "Flussi” n. 145/2024) prevedendo una lista di “Paesi sicuri”, con l'obiettivo di deflazionare il carico di lavoro inerente alla valutazione delle domande di protezione internazionale.
L'indicazione di un paese come sicuro, se consente una più efficiente dismissione delle domande di protezione internazionale, considerate ex ante strumentali, può comportare una rimodulazione in senso riduttivo delle garanzie individuali (basti pensare quella per cui il richiedente asilo non può essere autorizzato a rimanere nel territorio dello Stato membro in cui questa è stata presentata.
L'altro elemento sopravvenuto indicato dalla sentenza in commento si riferisce alla sentenza della Corte di Giustizia (resa nella sua massima composizione della Grande Camera) del 4 ottobre 2024, dalla quale discende che il giudice dinanzi al quale sia stata contestata la decisione relativa alla domanda di protezione internazionale deve procedere all'esame completo e aggiornato del caso di specie.
La verifica completa ed ex nunc incombente al giudice può riguardare anche gli aspetti procedurali di una domanda di protezione internazionale, fra i quali vi è la designazione di un paese terzo come Paese di origine sicuro, potendo siffatta designazione avere ripercussioni sulla procedura.

La lente dell'autore


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La sentenza n. 33398/2024 sceglie di aderire al primo orientamento (sulla sindacabilità del giudice) cogliendo nel segno laddove afferma che il decreto ministeriale inerente alla lista dei Paesi sicuri non è un atto politico (e come tale sottratto alla giurisdizione) – nozione di stretta interpretazione (Sezioni Unite, n. 15601/2023) – perché deriva dall'applicazione dei criteri individuati dagli artt. 36 e 37 e dell'allegato I della direttiva 2013/32/UE e dall'art. 2-bis D.Lgs. n. 25/2008.
Pertanto, la nozione di paese di origine sicuro ha carattere giuridico.
L'esistenza di una dettagliata disciplina (procedurale e sostanziale) applicabile al relativo potere amministrativo implica che il rispetto di tali requisiti è suscettibile di verifica in sede giurisdizionale. Se ci trovassimo in assenza di un parametro giuridico, il sindacato giurisdizionale sarebbe destinato ad arrestarsi; ma in presenza di un riferimento normativo quel sindacato diventa doveroso, proprio perché la giustiziabilità dell'atto dipende dalla regolamentazione del potere.
Per la Suprema Corte, il giudice non sostituisce le proprie valutazioni soggettive a quelle espresse dal decreto ministeriale quando esercita il doveroso controllo di legittimità sugli esiti della valutazione effettuata dall'amministrazione e verifica se il potere valutativo sia stato esercitato con manifesto discostamento dalla disciplina euro-unitaria o non sia ictu oculi più rispondente alla situazione reale.
Insomma, il giudice ordinario non si sostituisce al ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale ma si limita a verificare se il potere amministrativo non sia stato esercitato arbitrariamente.
In altri termini – proseguono gli ermellini – la nozione di paese sicuro possiede una valenza definente che è in grado di specificare il concetto giuridico indeterminato del sintagma di cui essa si compone, di modo che è consentito al giudice effettuare un test di coerenza della qualificazione nel caso concreto con la norma attributiva del potere.
Il giudice dunque non si sostituisce all'autorità governativa sconfinando nel fondo di una valutazione discrezionale a questa riservata, ma ha il potere-dovere di esercitare il sindacato di legittimità del decreto ministeriale, nella parte in cui inserisce un certo paese di origine tra quelli sicuri, ove esso chiaramente contrasti con la normativa comunitaria e nazionale vigente in materia, anche tenendo conto di informazioni sui paesi di origine aggiornate al momento della decisione, secondo i principi di cooperazione istruttoria.
Nella lettura del diritto euro-unitario occorre tenere contro dell'opera interpretativa della Corte di Giustizia UE che, come detto, nella recente pronuncia del 4 ottobre 2024, per la quale la designazione di paese terzo come paese di origine sicuro rientra negli aspetti procedurali della domanda di protezione internazionale, in quanto suscettibile di comportare ripercussioni sull'accoglimento della richiesta.
In definitiva, il decreto ministeriale, quanto all'identificazione di un certo paese come sicuro, non esprime una valutazione governativa vincolante per il giudice ordinario.
Il sindacato giurisdizionale può essere esercitato perché il bene (fondamentale) della vita del richiedente asilo integra una posizione peculiare di quest'ultimo, per cui la designazione come paese di provenienza sicuro deve cedere il passo.
Infine, il potere di disapplicazione dell'atto amministrativo illegittimo può essere esercitato in presenza di un qualsiasi vizio di legittimità e per le violazioni di qualsiasi norma giuridica, anche dell'Unione europea.

Alla luce di tale articolato percorso argomentativo per la Suprema Corte:
nel regime normativo anteriore al D.L. n. 158/2024 e alla L. n. 187/2024, il giudice ordinario nell'ambito di un ricorso avverso rigetto di domanda di protezione internazionale di richiedente proveniente da un paese designato come sicuro, può verificare la sussistenza dei presupposti di legittimità di tale designazione ed eventualmente disapplicare, in via incidentale, in parte qua, il decreto ministeriale recente la lista dei paesi di origine sicuri (secondo la disciplina ratione temporis) allorquando la designazione operata dall'autorità governativa contrasti in modo manifesto con i criteri di qualificazione stabiliti dalla normativa euro-unitaria e nazionale; inoltre, a garanzia dell'effettività del ricorso e della tutela, il giudice conserva l'istituzionale potere cognitorio, ispirato al principio di cooperazione istruttoria, là dove il richiedente abbia adeguatamente dedotto l'insicurezza nelle circostanze specifiche in cui egli si trova. In quest'ultimo caso, pertanto, la valutazione governativa circa la natura sicura del paese di origine non è decisiva, sicché non si pone un problema di disapplicazione del decreto ministeriale.

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