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25 luglio 2024
Il divieto di pubblicazione degli atti del processo penale tutela l'ordinamento e non il singolo

Può chiedere il risarcimento chi ha visto pubblicati gli atti processuali che lo riguardano su un articolo di giornale, invocando la responsabilità civile?

di La Redazione

Un soggetto conveniva in giudizio a titolo risarcitorio Il Sole 24 ore s.p.a., il direttore e il giornalista autore di articoli a suo avviso diffamatori in quanto lo vedevano accostato a personaggi appartenenti alla ndragheta. In relazione a uno di questi pezzi, l'attore invocava il principio di responsabilitàex art. 684 c.p., che vieta la pubblicazione di determinati atti del processo penale. Il giudice di prime cure e poi il Tribunale territoriale non riconoscevano in capo ai convenuti alcuna responsabilità, in quanto l'articolo riprendeva gli stralci di un'ordinanza di custodia cautelare non secretata, di cui il codice di procedura penale permetteva la pubblicazione parziale al momento del fatto, ma che successivamente, nelle more della decisione, veniva vietata da un intervento legislativo.

Il sedicente leso ricorreva così in Cassazione, sostenendo che l'affermata depenalizzazione non escludeva la configurabilità dell'illecito civile. I Giudici di merito affermano che «la fattispecie criminosa di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale di cui all'art. 684 c.p., integra un reato monofessivo, tutelando solo l'amministrazione della giustizia e non anche la reputazione e la riservatezza del soggetto sottoposto a procedimento penale», sottolineando come l'obiettivo di tale norma sia quello di non compromettere il buon andamento delle indagini preliminari e salvaguardare i principi propri del processo accusatorio. Di conseguenza, nessuna autonoma pretesa risarcitoria può essere avanzata dalla parte coinvolta sulla base di questa disposizione. Gli Ermellini, quindi, rigettano il ricorso.   

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