Può chiedere il risarcimento chi ha visto pubblicati gli atti processuali che lo riguardano su un articolo di giornale, invocando la responsabilità civile?
Un soggetto conveniva in giudizio a titolo risarcitorio Il Sole 24 ore s.p.a., il direttore e il giornalista autore di articoli a suo avviso diffamatori in quanto lo vedevano accostato a personaggi appartenenti alla ndragheta. In relazione a uno di questi pezzi, l'attore invocava il principio di responsabilitàex
Il sedicente leso ricorreva così in Cassazione, sostenendo che l'affermata
Svolgimento del processo
L’avvocato S.L. ricorre, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 394 del 2020 della Corte di appello di Catanzaro, esponendo, per quanto ancora qui di utilità, che:
-aveva convenuto in giudizio, a titolo risarcitorio, Il Sole 24 ore s.p.a., il giornalista R.G. e il direttore R.N., deducendo di essere stato diffamato da tre articoli pubblicati consecutivamente, il 2, 3, 4 agosto 2011, in relazione all’ultimo dei quali aveva invocato anche il profilo di responsabilità di cui all’art. 684, cod. pen., per essere stato dispregiativamente accostato, pur non essendo coinvolto in procedimenti penali, a personaggi dell’associazione a delinquere di tipo mafioso denominata ndrangheta, quale intermediario, economicamente disperato, per depositi di denaro di provenienza illecita in conti presso il Credito Sammarinese in cerca di liquidità;
-il Tribunale aveva rigettato la domanda osservando che l’art. 684, cod. pen., era reato monoffensivo a tutela del funzionamento dell’amministrazione della giustizia e non della reputazione o riservatezza dei soggetti coinvolti,mentre, per il resto, agli articoli non poteva attribuirsi portata effettivamente lesiva;
-la Corte di appello aveva confermato la decisione di prime cure osservando, in particolare, che:
-quanto all’articolo del 4 agosto 2011, esso riprendeva un’ordinanza di custodia cautelare non secretata, e l’art. 114, cod. proc. pen., al momento dei fatti ne permetteva la pubblicazione, prima dell’udienza preliminare, solo del contenuto, ma, nelle more tra il primo e secondo grado di giudizio, era intervenuta una modifica legislativa della medesima disposizione, che vietava la pubblicazione anche parziale degli atti non secretati fino alla conclusione delle indagini preliminari ovvero fino all’udienza preliminare, eccezion fatta per l’ordinanza custodiale, sicché l’intervenuta depenalizzazione rendeva non più configurabile neppure astrattamente l’ipotesi di cui all’art. 684, cod. pen., ferma la valutazione dell’eventuale illecito civile che, però, era da escludere attesa la veridicità storica dell’ordinanza cautelare;
-per completezza doveva evidenziarsi che la brevità dello stralcio riportato in uno al fatto che la circostanza era già stata riferita da precedenti articoli, induceva ad escludere ogni ipotesi risarcitoria;
-quanto al primo articolo del 2 agosto 2011, l’accostamento all’associazione a delinquere corrispondeva all’ipotesi accusatoria di quel momento, sicché operava la scriminante del diritto di cronaca, mentre le espressioni «sicuramente colorite e non lusinghiere» con cui il deducente e un altro soggetto erano stati definiti «personaggi sull’orlo del tracollo economico e branco di disperati» andavano contestualizzate in relazione al termine di paragone assunto, esplicitando che non si trattava di affiliati della ndrangheta ma di persona di differente caratura criminale, sempre nell’ottica dell’incolpazione formulata, senza che, quindi, potesse riconoscersi un’effettiva e compiuta portata denigratoria;
-quanto all’articolo del 3 agosto 2011, con cui si definiva il deducente incapace anche di portare clienti facoltosi, per analoghi motivi, esso non poteva aver prodotto l’effetto lesivo sostenuto dall’attore;
resistono con controricorso Il Sole 24 ore s.p.a. e R.G., mentre è rimasto intimato R.N.;
il ricorrente ha depositato memoria;
Motivi della decisione
con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 595, 684, cod. pen., 114, cod. proc. pen., 10, 2043, 2059, cod. civ., 12, preleggi, 2, 3, 27, 54, Cost., 6, CEDU, poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che:
-l’art. 114, cod. proc. pen., applicabile ratione temporis, vietava anche la pubblicazione parziale;
-l’affermata depenalizzazione non escludeva la configurabilità dell’illecito civile;
-i tre articoli andavano considerati nel loro insieme e non atomisticamente al fine di vagliare la diffamazione risultata sussistente in base al comune sentire da ritenere normativamente recepito, restando affermata l’associazione a cosche mafiose e una distinzione dall’affiliazione fatta con un messaggio di dileggio personale gratuito perché privo di utilità informativa;
con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 4, d.m. n. 55 del 2014, e dell’art. 92, cod. proc. civ., poiché nella liquidazione delle spese la Corte di appello avrebbe errato sia considerando sussistente la fase decisoria invece mancata non essendovi state memorie conclusionali e di replica, sia mancando al contrario di considerare che l’intervenuto rigetto di eccezioni preliminari e la richiamata modifica normativa sopravvenuta avrebbero giustificato e imposto la compensazione delle spese di lite;
Considerato che il primo motivo è in parte inammissibile, in parte infondato; la censura innanzi tutto non coglie parte della ragione decisoria;
la Corte territoriale ha affermato la rilevanza della modifica apportata all’art. 114, cod. proc. pen., con effetti scriminanti quanto alla pubblicazione dell’ordinanza custodiale, implicitamente evocando l’effetto retroattivo perché in favor rei; di qui la liceità della pubblicazione anche per estratto dell’ordinanza, storicamente vera nel senso che fu effettivamente adottata;
in aggiunta, la sentenza di merito ha osservato che non poteva dirsi integrato, parte qua, alcun illecito civile, ulteriore a quello diverso afferente alla tutela del funzionamento dell’amministrazione della giustizia, stante la brevità dello stralcio riportato e, rispetto sempre all’articolo del 4 agosto 2011, la precedente pubblicazione di altri articoli che avevano riferito il nucleo essenziale dei fatti;
il Collegio di merito si è così correttamente posto nel solco della menzionata giurisprudenza di questa Corte secondo cui la fattispecie criminosa di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale di cui all'art. 684, cod. pen., integra un reato monoffensivo, tutelando solo l'amministrazione della giustizia e non anche la reputazione e la riservatezza del soggetto sottoposto a procedimento penale posto che obiettivo della norma, prima della conclusione delle indagini preliminari, è quello di non compromettere il buon andamento delle stesse e, dopo tale momento, quello di salvaguardare i principî propri del processo accusatorio, sicché nessuna autonoma pretesa risarcitoria può essere avanzata dalla parte coinvolta nel processo per la sola violazione in questione, salvo che dal fatto non sia derivata la lesione di beni della persona autonomamente tutelabili in base ad altre norme dell'ordinamento (Cass., Sez. U., 25/02/2016, n. 3727, e succ. conf.);
sul punto, quindi, la decisione in questa sede gravata, contrariamente a quanto preteso nell’atto d’impugnazione in scrutinio, ha pure affrontato esplicitamente il vaglio della possibile sussistenza di un illecito civile;
resta da esaminare il tema della valutazione complessiva dei tre articoli, e dunque in specie dei primi due, in ottica risarcitoria civilistica, quanto al requisito della continenza, non essendo in discussione, nello specifico, quelli della verità e della rilevanza sociale, entrambi ancorati ai citati atti giudiziari;
ora, al riguardo la sentenza di merito, con appropriatezza, esamina nel complesso e sinergicamente tutte le espressioni potenzialmente significative, riportate in parte narrativa, concludendo nel senso dell’esclusione della capacità puramente denigratoria, perché, pur graffianti, correlate a un’ipotesi accusatoria storicamente vera e dunque da contestualizzare in relazione – non a un inveritiero accostamento, bensì – all’esclusione dell’appartenenza, quale componente, alle associazioni a delinquere di tipo mafioso, seppure nella cornice dell’intermediazione svolta e delle sue possibili ragioni, ridimensionando, pertanto, la caratura criminale emergente dalle indagini e dai correlati provvedimenti giudiziari, come riferito in ricorso (pagg. 3 e 4, specie F3);
in questo quadro ricostruttivo, la censura palesa quindi, contrariamente a quanto sostenuto in memoria da parte ricorrente, non una contestazione della sussunzione dei fatti nella fattispecie legale, bensì l’obiettivo di una rivalutazione fattuale in senso proprio, proprio, mirando, cioè, all'apprezzamento in concreto delle espressioni usate come lesive della reputazione, ai fini dell'esclusione della esimente dell'esercizio del diritto di cronaca e critica, riservata al giudice di merito e insindacabili in sede di legittimità in quanto sorretti da argomentata e plausibile motivazione (Cass., 10/01/2012, n. 80, Cass., 14/03/2018, n. 6133);
il secondo motivo è infondato; va ribadito che, in tema di liquidazione delle spese di lite, qualora non siano state depositate le comparse conclusionali e le memorie di replica, spetta comunque il riconoscimento dei compensi per la fase decisionale, in quanto essa, ai sensi dell'art. 4, comma 5, lett. d) del d.m. n. 55 del 2014, ricomprende un'ampia serie di attività, tra cui la precisazione delle conclusioni e l'esame del provvedimento conclusivo del giudizio (Cass., 20/02/2023, n. 5289);
per il resto, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese secondo la regola della soccombenza, riferita all’esito complessivo della lite (cfr., solo ad esempio, Cass., 2/09/2014, n. 18503, menzionata, sempre esemplificativamente, di recente da Cass., 16/01/2024, n. 1701, pag. 5), anche se adottata senza prendere in esame l'eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (cfr., Cass., 26/04/2019, n. 11629); non sussistono i presupposti per l’affermazione della responsabilità processuale aggravata, sollecitata dai controricorrenti, atteso che le questioni sollevate non sono complessivamente pretestuose, in quanto il giudizio sulla antigiuridicità della condotta processuale non può farsi derivare automaticamente dal rigetto della domanda o dalla inammissibilità o dall'infondatezza della impugnazione (Cass., 30/09/2021, n. 26545);
spese secondo soccombenza;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso condannando parte ricorrente alla rifusione delle spese dei controricorrenti, in solidarietà attiva, liquidate in euro 3.000,00, oltre a 200,00 euro per esborsi, 15% di spese forfettarie e accessori legali.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, al competente ufficio di merito, da parte ricorrente, se dovuto e nella misura dovuta, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.