Svolgimento del processo
1. Il giorno 14 febbraio 2008, D.D., nel percorrere alla guida della propria autovettura la via (Omissis) in R, perse il controllo del veicolo, andò a sbattere contro un albero secolare di grosso fusto e perse la vita.
2. A.A., B.B. e C.C., rispettivamente padre, madre e fratello della deceduta, convennero in giudizio il Comune di Rieti, chiedendone la condanna al risarcimento integrale dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, iure proprio e iure hereditario, patiti in conseguenza dell'occorso.
3. All'esito del giudizio di prime cure, l'adito Tribunale di Rieti, ritenuta la concorrente e paritaria responsabilità del Comune di Rieti e della vittima nella causazione del sinistro, condannò l'ente, a titolo di risarcimento della quota pari alla metà dei pregiudizi riconosciuti, al pagamento di importi in misura differenziata per ciascun attore.
4. La decisione in epigrafe indicata ha rigettato l'appello interposto dagli attori.
5. A.A., B.B. e C.C., in proprio e nella qualità di eredi di D.D., ricorrono per cassazione, affidandosi a nove motivi, cui resiste, con controricorso, il Comune di Rieti.
6. Ambedue le parti hanno depositato memoria illustrativa.
7. Il Collegio si è riservato il deposito dell'ordinanza nel termine di cui al secondo comma dell'art. 380-bis.1 cod. proc. civ.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso prospetta nullità della sentenza gravata per motivazione apparente e violazione dell'art. 132 cod. proc. civ.
Ad avviso dei ricorrenti, la pronuncia impugnata si risolve in un acritico rinvio "per relationem" alla sentenza di primo grado, privo dell'esame delle censure ad essa dirette con i motivi di appello.
1.1. Il motivo è infondato.
Secondo il fermo convincimento di questa Corte, la motivazione "per relationem" della sentenza pronunciata in sede di gravame è legittima unicamente se e in quanto il giudice d'appello, facendo propri gli argomenti del primo giudice, esprima, sia pure in modo conciso, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, sì da consentire, attraverso la parte motiva di entrambe le sentenze, di ricavare un percorso argomentativo appagante ed esaustivo; all'inverso, deve essere cassata la sentenza d'appello allorquando la laconicità della motivazione adottata, formulata in termini di mera adesione, non consenta di ritenere che alla condivisione della decisione di prime cure il giudice di appello sia pervenuto attraverso la disamina e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame, previa specifica ed adeguata considerazione delle allegazioni difensive addotte (sulla motivazione "per relationem", tra le tantissime, Cass. 06-07-2023, n. 19161; Cass. 23-07-2020, n. 15757; Cass. 05-08-2019, n. 20883; Cass. 05-11-2018, n. 28139; Cass. 05-10-2018, n. 24452; Cass. 21-09-2017, n. 22022; Cass. 06-05-2015, n. 9068).
Nel caso, a tacer dei dubbi di ammissibilità del motivo (la mancanza di un'adeguata illustrazione del percorso motivazionale sviluppato dalla pronuncia di primo grado parendo confliggere col principio di autosufficienza del ricorso), non sussiste il vizio prospettato.
Quantunque ometta la analitica narrazione del contenuto dei motivi di appello, l'impugnata sentenza non si limita ad un mero rinvio adesivo al provvedimento conclusivo del precedente grado.
Dopo aver riportato stralci della prima pronuncia, essa, infatti, reca in maniera chiara ed univoca l'espressione di un convincimento proprio e autonomo della Corte d'appello, manifestato tramite la valorizzazione delle circostanze fattuali (il grave deficit manutentivo della strada, la condotta di guida con velocità non commisurata alle condizioni, la ristrettezza della carreggiata, la presenza di visibili anomalie di essa) presupposto degli apprezzamenti di carattere inferenziale ("poiché il danno lamentato è il danno morte, una velocità inferiore sarebbe stata sufficiente ad evitare la morte") che suffragano il giudizio di infondatezza delle contestazioni sollevate con il gravame e corroborano la conferma della prima decisione.
2. Il secondo motivo denuncia nullità della sentenza ex art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ. per violazione dell'art. 112 cod. proc. civ., in specie per omessa pronuncia sul motivo di appello relativo alla intransitabilità ed inagibilità della strada.
Assumono i ricorrenti che la responsabilità del Comune non deriva dal grave deficit manutentivo della strada bensì dal fatto che la strada in questione non aveva le caratteristiche per il doppio senso di circolazione: essa, pertanto, non doveva esser aperta al traffico in quelle condizioni per mancanza dei requisiti di legge (o, quantomeno, la circolazione doveva essere consentita soltanto a senso alternato).
Su detta questione lamenta la mancata pronuncia.
3. Il terzo motivo deduce nullità della sentenza ex art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ. per violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. sotto altro profilo, segnatamente per omessa pronuncia sul motivo di appello relativo "alle altre numerose irregolarità (difetto di manutenzione, omessa segnaletica) presenti sulla strada ai fini della responsabilità del Comune".
Ad avviso di parte ricorrente, "limitandosi a riconfermare la valutazione del Tribunale sinteticamente riassunta nella formula deficit manutentivo" la Corte di appello non ha tenuto in considerazione le irregolarità della strada illustrate con i motivi di appello, "giungendo così ad un'errata valutazione della responsabilità del Comune stesso in rapporto a quella della vittima".
4. I motivi - da scrutinare congiuntamente, siccome avvinti da intrinseca connessione - sono inammissibili.
Per dare conto della conclusione, è doveroso precisare che nella vicenda la responsabilità del Comune di Rieti è stata affermata (ed in iure rileva) come responsabilità per danni da cose in custodia (la strada teatro del sinistro), ovvero a mente dell'art. 2051 cod. civ.
Orbene, la fattispecie di responsabilità speciale contemplata dalla norma da ultimo citata - nello statuto disciplina definito dall'opera di sistemazione organica compiuta da questa Corte - ha natura oggettiva: essa si basa non già su una presunzione di colpa del custode bensì su un criterio di imputazione che addossa a chi ha la custodia della cosa la responsabilità per determinati eventi, a prescindere da qualunque connotato di colpa nel contegno del soggetto custode.
Da ciò deriva che, onde felicemente esperire la relativa azione di risarcimento, il danneggiato è tenuto a dimostrare unicamente la sussistenza del nesso di causalità tra il danno e la cosa in custodia e della signoria custodiale di fatto esercitata sulla cosa medesima dal soggetto additato come responsabile, restando del tutto irrilevante, invece, la colpa o l'assenza di colpa di quest'ultimo.
In altri termini - e più icasticamente - può dirsi che la responsabilità ex art. 2051 cod. civ., per la sua natura oggettiva, prescinde dalla colpa del custode: prospettato e provato dal danneggiato il nesso causale tra cosa custodita ed evento dannoso, è superflua ogni indagine circa un contegno contrario a diligenza, prudenza o perizia del custode, dacché la deduzione di omissioni, violazioni di obblighi di legge di regole tecniche o di criteri di comune prudenza da parte dello stesso assume valenza soltanto ai fini della configurabilità della diversa (e generale) ipotesi della responsabilità prevista dall'art. 2043 cod. civ. (così, sulla scia di Cass., Sez. U, 30-06-2022, n. 20943, cfr. Cass. 27-04-2023, n. 11152; Cass. 07-09-2023, n. 26142; Cass. 24-01-2024, n. 2376).
Le esposte considerazioni rivelano la inconferenza delle doglianze proposte da parte ricorrente, siccome, al fondo, rivolte ad accentuare i profili soggettivi di colpa del Comune convenuto, cioè a dire a colorare in termini di negligenza il contegno dallo stesso serbato: circostanze tuttavia, per quanto detto, non pertinenti allo scopo dell'affermazione di responsabilità ai sensi dell'art. 2051 del codice civile.
5. Il quarto motivo prospetta nullità della sentenza per motivazione apparente e per violazione degli artt. 112 e 132 cod. proc. civ., cioè per omessa pronuncia sui motivi di appello relativi "alla velocità della vittima" ed alla "incapacità ed inattendibilità di alcuni testi".
Secondo i ricorrenti, la Corte di appello "non specifica quale fosse il limite di velocità e quale la velocità "inadeguata" tenuta dalla vittima e per quale motivo la velocità fosse da ritenersi inadeguata, omettendo di pronunciarsi sullo specifico motivo di appello", limitandosi soltanto "a riconfermare la valutazione del Tribunale che, a sua volta, poggiava su un falso presupposto, ovvero sul fatto che il limite di velocità fosse 50 km l'ora"; giustifica la propria decisione "con uno sterile rinvio ad un passaggio dell'accertamento peritale" con la conseguenza che "le poche righe dedicate all'accertamento del concorso concretizzano una motivazione meramente apparente".
Infine, gli impugnanti denunciano l'omessa pronuncia sul motivo di appello concernente la "incapacità-inattendibilità" dei testi E.E., F.F. e G.G. e la falsità delle dichiarazioni dagli stessi rese: l'esame del motivo di appello al riguardo "avrebbe certamente indotto la Corte d'Appello ad un diverso giudizio in merito all'asserita inadeguatezza della velocità tenuta dalla vittima e ad una diversa valutazione della misura dell'eventuale concorso".
Il motivo è, sotto ambedue gli aspetti, inammissibile.
5.1. In ipotesi di responsabilità da cose in custodia, sul nesso causale tra evento dannoso e res custodita il fatto del danneggiato può incidere in forza della regola di determinazione del danno risarcibile contenuta nell'art. 1227, primo comma, cod. civ., la quale impone di escludere il risarcimento in relazione alla porzione di evento dannoso causalmente ascrivibile alla condotta del danneggiato.
Requisito legale della rilevanza causale del fatto del danneggiato è la colpa, intesa come oggettiva inosservanza del comportamento di normale cautela correlato alla situazione di rischio percepibile con l'ordinaria diligenza.
In forza del richiamato art. 1227, primo comma, cod. civ., la condotta del danneggiato si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull'evento dannoso e deve essere valutata pure tenendo conto del dovere generale di ragionevole cautela riconducibile al principio di solidarietà sancito dall'art. 2 Cost.
Ciò significa che quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione, da parte dello stesso danneggiato, delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento superi il nesso eziologico astrattamente individuabile tra fatto ed evento dannoso (così Cass. 20-07-2023, n. 21675).
Sotto il profilo processuale, poi, l'applicazione dell'art. 1227, primo comma, cod. civ., ovvero il ricorrere di un fatto colposo del danneggiato (a differenza dell'inosservanza del dovere di evitare l'aggravamento del danno di cui al secondo comma della norma citata) è rilevabile d'ufficio se risultino prospettati gli elementi da cui esso sia ricavabile (Cass. 10-05-2018, n. 11258; Cass.19-07-2018, n. 19218).
L'apprezzamento della condotta del danneggiato, ai fini del concorso di colpa, inoltre, concreta un giudizio di fatto, in quanto tale sottratto al controllo di legittimità, ove scevro da quei soli vizi logici o giuridici ancora rilevanti ai fini dell'art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ. (tra cui l'apparenza della motivazione per manifesta fallacia o falsità delle premesse od intrinseca incongruità o inconciliabile contraddittorietà degli argomenti: Cass. 05-07-2017, n. 16502).
Rientra, dunque, nell'insindacabile giudizio del giudice del merito la valutazione del grado di inosservanza del modello di comportamento diligente (ovvero la gravità della colpa) e dell'entità delle conseguenze ascrivibili al contegno del danneggiato, quest'ultimo potendo quindi configurarsi come apporto causale concorrente (cosicché vi sarà una percentuale di danno comunque ascrivibile al fatto della cosa, e perciò imputabile al custode di essa), oppure come causa assorbente del danno, in guisa da escluderne del tutto la derivazione dalla cosa.
Orbene, nel caso in scrutinio, il giudizio di concorrenza causale del fatto del danneggiato operato dalla Corte di appello appare improntato al parametro oggettivo delle conseguenze ed alla rilevanza nel sinistro della trasgressione alle regole di condotta del conducente.
Con il conferire dirimente valenza ai rilievi del consulente tecnico di ufficio il giudice territoriale individua, quale titolo di responsabilità del conducente del veicolo, il non aver graduato la velocità del mezzo alle condizioni della strada; considerato poi che una velocità pur conforme a dette condizioni avrebbe soltanto attenuato gli esiti del sinistro (cioè evitato la morte), attribuisce al contegno colposo del guidatore natura non di caso fortuito esimente, bensì di paritaria efficienza causale nella produzione dell'evento.
Si tratta di un percorso argomentativo coerente e logico, immune da anomalie motivazionali inficianti, che esprime una valutazione sull'andamento fattuale dell'occorso, non sindacabile da questa Corte.
5.2. Anche le doglianze sulle prove testimoniali sono inammissibili.
Quanto alla asserita incapacità delle persone escusse come testi, parte ricorrente non ha nemmeno allegato di aver sollevato la relativa eccezione subito dopo l'escussione ovvero, in caso di assenza del difensore all'atto dell'assunzione, nella prima udienza successiva, sicché ogni eventuale ed ipotetica nullità (avente carattere relativo ex art. 157 cod. proc. civ.) deve reputarsi sanata (sul tema, basti il rinvio a Cass., Sez. U, 06-04-2023, n. 9456).
La contestazione sull'inattendibilità delle dichiarazioni testimoniali (nella misura in cui una tale censura possa trovare ingresso in sede di legittimità) è invece priva di decisività, non avendo la Corte di appello fondato esclusivamente il proprio convincimento sulle risultanze delle stesse.
6. Il quinto motivo prospetta nullità della sentenza per motivazione apparente e per violazione degli artt. 112 e 132 cod. proc. civ., in ordine alla omessa pronuncia sul motivo di appello inerente la personalizzazione del danno non patrimoniale.
La Corte di appello ha ribadito la decisione del primo giudice sulla liquidazione del danno non patrimoniale (operata sulla scorta dei valori stabiliti dalle tabelle milanesi), ma - a parere degli impugnanti - ha omesso la pronuncia sugli elementi addotti in appello a suffragio della necessità di una personalizzazione dei pregiudizi patiti.
La statuizione resa in secondo grado - si sostiene - è "nulla in quanto, consistendo unicamente nell'affermazione secondo la quale le non meglio specificate "circostanze addotte" al fine di dimostrare l'entità del danno morale patito "non integrano una diversità o un'eccezionalità superiore a quelle che purtroppo costituiscono la normalità", si traduce in una motivazione meramente apparente che non dà conto neppure di quali siano state le "circostanze addotte" dagli appellanti e valutate come "normali" dai giudici di secondo grado".
6.1. Il motivo va rigettato.
Confermando la statuizione di prime cure, la sentenza impugnata ha quantificato il danno da perdita del rapporto parentale patito dagli attori alla stregua dei valori delle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano, e precisamente in un importo intermedio tra i valori medio e massimo per i genitori ed in un importo superiore a quello intermedio tra i valori medio e massimo per il fratello.
Ora, è noto che gli elementi fattuali che orientano la quantificazione entro la fascia di oscillazione prevista dalle suddette tabelle sono quelli di normale ricorrenza ed apprezzabilità al fine (l'età della vittima, l'età del superstite, il grado di parentela, il rapporto di convivenza, la sopravvivenza di altri congiunti, la qualità ed intensità della relazione affettiva perduta), sicché soltanto in presenza di circostanze ulteriori, eccezionali e peculiari del caso di specie, è consentito riconoscere - ma con congrua ed adeguata motivazione - un risarcimento superiore al massimo o inferiore al minimo tabellare (così Cass. 16-12-2022, n. 37009; Cass. 08-09-2022, n. 26440; Cass. 18-03-2021, n. 7597).
La determinazione del quantum del ristoro nell'ambito del range di oscillazione costituisce l'esito di un apprezzamento anch'esso fattuale, concernente la rilevanza assunta nel caso concreto dai parametri ordinari di valutazione: una determinazione del genere non richiede puntuale e specifica estrinsecazione degli elementi considerati, siccome pur sempre integrante una liquidazione di carattere equitativo.
Ciò posto, individuato l'importo risarcitorio nelle misure anzidette, comprese nella banda tabellare, il giudice di appello ha altresì negato la possibilità di una diversa liquidazione sulla scorta delle "circostanze addotte" dalla parte appellante, che ha definito come non connotate da "una diversità o una eccezionalità superiore a quelle che, purtroppo, costituiscono "la normalità" del danno parentale subito da un padre di 47 anni, una madre di 45 anni ed un fratello di 30 anni, conviventi, con quella comunione di vita e di collaborazione proprie della convivenza".
Il trascritto stralcio della motivazione esprime, con sinteticità ma al contempo con univoca nettezza, la considerazione delle censure mosse dall'impugnante, l'apprezzamento valutativo in ordine alla inidoneità delle "circostanze addotte" a giustificare una diversa entità del ristoro.
Non si ravvisa, quindi, la lamentata omissione di pronuncia.
7. Il sesto motivo, per violazione e falsa applicazione degli artt. 1226, 2043, 2059 e 2697 cod. civ. in relazione all'art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., lamenta la illegittimità della personalizzazione nella liquidazione del danno non patrimoniale.
A parere dei ricorrenti, "i giudici di secondo grado, sulla base di un'apodittica valutazione di "normalità" del danno morale patito dai parenti della vittima, hanno ritenuto condivisibile la liquidazione operata dal Tribunale, il quale a sua volta non aveva accordato la personalizzazione nella giusta misura in considerazione di tutte le peculiari circostanze addotte dagli appellanti".
7.1. Il motivo è inammissibile.
Come puntualizzato sopra sub 6.1., la quantificazione del ristoro risarcitorio nell'àmbito della fascia di oscillazione tabellare è giudizio di fatto, tipicamente devoluto al giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità se non per vizi motivazionali, qui nemmeno adombrati.
A ciò si aggiunga la estrema genericità ed aspecificità della censura, la quale si risolve nell'apodittica affermazione della ingiustizia della accordata misura del risarcimento.
8. Il settimo motivo deduce nullità della sentenza per motivazione apparente e per violazione degli artt. 112 e 132 cod. proc. civ., per omessa pronuncia sul motivo di appello circa il "danno biologico patito da B.B. ed all'errata considerazione unitaria del danno biologico nell'ambito del danno morale da perdita del rapporto parentale".
Si lamenta, in buona sostanza, la non errata liquidazione del danno biologico sofferto da B.B., concretatosi in una invalidità permanente nella misura del 18%: mentre il giudice di primo grado ha "operato una liquidazione unitaria del danno da perdita del rapporto parentale" (personalizzando quest'ultimo con un incremento di Euro 50.000 "avuto riguardo al danno biologico"), la Corte di appello, ad avviso dei ricorrenti con motivazione meramente apparente, ha confermato la liquidazione "peraltro erroneamente ritenendo che il danno biologico fosse stato separatamente liquidato".
8.1. Il motivo è infondato.
Ne è corretta la (implicita) premessa in punto di diritto: il danno biologico è entità distinta dal danno da perdita del rapporto parentale.
Ma proprio a tale principio si è conformata la decisione gravata: essa, infatti, distinguendo le somme liquidate per le diverse tipologie di pregiudizio sofferte da B.B., ha provveduto ad ascrivere al corretto titolo giuridico (ovvero quale ristoro del danno biologico) l'importo di Euro 50.000 pure riconosciuto dal giudice di prime cure, ma da quest'ultimo - con improprio affastellamento concettuale - qualificato come personalizzazione del danno da morte del congiunto "in considerazione del danno biologico patito".
Circa la congruità della somma liquidata, generica ed assertiva è la contestazione del ricorrente, riportante un elenco di importi privo della indicazione dei criteri di computo e dei sistemi tabellari adoperati.
9. L'ottavo motivo è rubricato "liquidazione del danno patrimoniale - illegittimità - violazione art. 342 cod. proc. civ. in relazione all'art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ. - motivazione meramente apparente - violazione e falsa applicazione dell'art. 132, secondo comma, num. 4, cod. proc. civ. e dell'art. 36 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 nonché dell'art. 112 cod. proc. civ. - nullità della sentenza in relazione all'art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ.".
Si contesta la dichiara inammissibilità per genericità dell'appello nella parte in cui impugnava la liquidazione dei danni futuri per la perdita della contribuzione economica della figlia D.D. e il mancato riconoscimento del danno per diminuita capacità reddituale del padre A.A.
9.1. Il motivo è infondato.
La gravata sentenza ha ritenuto l'inammissibilità del motivo di gravame sulla base del "confronto fra la esaustiva motivazione della sentenza impugnata e l'impugnazione che si sostanza in una generica reiterazione dell'assunto originario ed in una aspecifica contestazione dell'iter logico seguito dal Tribunale".
Detta conclusione si sottrae alle critiche legittimamente esperibili in sede di legittimità.
Il giudice di primo grado aveva argomentato la reiezione della domanda risarcitoria per contrazione del reddito patrimoniale del padre di D.D. sul rilievo della "mancanza di prova specifica della attività svolta da quest'ultima nella società e del conseguente suo apporto alla produttività dell'azienda".
Proprio su tale peculiare profilo il motivo di appello (riportato, nella sua interezza, nel corpo del ricorso) si limitava a rappresentare, in maniera del tutto generica, che la deceduta "collaborava con il padre nell'azienda di famiglia ed il suo apporto lavorativo era piuttosto significativo (...) collaborava con il padre nella gestione dell'impresa edile e soprattutto di quella relativa alla gestione di una tavola calda ed un nolo al T": ometteva qualsiasi ulteriore puntualizzazione in ordine sul contenuto della evocata collaborazione (cioè a dire in cosa essa consistesse, quali fossero le mansioni ricoperte, se si trattasse di prestazioni occasionali o continuative), elementi però indispensabili per un apprezzamento in termini economici dell'impossibile esplicarsi della attività della vittima dell'incidente in questione.
Identica genericità - e per i medesimi aspetti - connotava il motivo di appello sui danni futuri per perdita di contribuzione economica.
Conforme a diritto risulta quindi la dichiarata inammissibilità.
10. Il nono motivo, per motivazione apparente e violazione degli artt. 112 e 132 cod. proc. civ., censura la disposta compensazione delle spese di lite, siccome "fondata unicamente sul concorso di colpa nella causazione del sinistro", da ciò inferendo la nullità della pronuncia.
10.1. Il motivo è inammissibile.
Alla deroga alla regola di cui all'art. 91 cod. proc. civ. l'impugnata sentenza offre non illogica giustificazione (ravvisata nella "paritaria responsabilità nella causazione del sinistro"): e tanto esclude ogni possibile sindacato del giudice di legittimità, rientrando altresì nel potere discrezionale del giudice di merito anche la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti (Cass. 26-05-2021, n. 14459; Cass. 20-12-2017, n. 30592).
11. Il ricorso è in definitiva rigettato.
12. Il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità segue la regola della soccombenza.
13. Atteso l'esito del ricorso, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali (a tanto limitandosi la declaratoria di questa Corte: Cass., Sez. U, 20-02-2020, n. 4315) per il versamento al competente ufficio di merito da parte della ricorrente - ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 - di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
14. Per la natura della causa petendi, va infine disposta di ufficio l'omissione, in caso di diffusione, delle generalità e degli altri dati identificativi dei ricorrenti (originari attori) e della vittima primaria, ai sensi dell'art. 52 del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla refusione in favore di parte controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura di Euro 8.000 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori, fiscali e previdenziali, di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento al competente ufficio di merito da parte ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso principale, a norma dell'art. 13, comma 1-bis.
Dispone che, ai sensi dell'art. 52 del D.Lgs. n. 196 del 2003, in caso di diffusione del presente provvedimento siano omessi generalità ed altri dati identificativi dei ricorrenti e della vittima primaria.