Il fumo attivo va tenuto in considerazione ai fini del calcolo del risarcimento del danno agli eredi, ma non lo esclude del tutto. L'importo va ridotto, infatti, in ragione dell'entità percentuale dell'efficienza causale della condotta del lavoratore.
Il Giudice di secondo grado riformava parzialmente la sentenza del Tribunale, accogliendo il gravame proposto dagli eredi di un lavoratore deceduto per neoplasia polmonare contratta a causa dell'esposizione a sostanze nocive sul lavoro. Di conseguenza, la Corte d'Appello disponeva in favore degli eredi il pagamento di una somma a titolo di risarcimento per danni patiti per via del decesso del congiunto pari ad oltre 400mila euro, tenuto conto che il nesso causale tra la responsabilità della società datrice di lavoro e l'insorgenza della malattia era stata accertata dalla CTU medico-legale espletata in primo grado.
Contro tale pronuncia propone ricorso per cassazione la società, con riferimento da un lato al ritenuto nesso causale tra patologia tumorale e attività lavorativa e, dall'altro, per aver trascurato l'efficienza causale del fatto colposo del lavoratore, ovvero la sua abitudine al fumo, che avrebbe dovuto avere senza dubbio delle conseguenze sulla determinazione dell'entità del risarcimento.
Con l'ordinanza n. 27572 del 24 ottobre 2024, la Cassazione accoglie l'ultimo motivo di ricorso citato sopra.
Con riferimento al primo, invece, i Giudici rilevano che la decisione impugnata è conforme alla giurisprudenza di legittimità che in tema di infortuni sul lavoro e malattie professionali applica la regola di cui all'art. 41 c.p., per cui il nesso causale tra danno ed evento è governato dal principio dell'equivalenza delle condizioni. Sulla base di tale principio, occorre riconoscere efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito anche in maniera indiretta e remota alla produzione dell'evento. Inoltre, la Cassazione richiama altresì il principio secondo cui, in caso di malattia ad eziologia multifattoriale, il nesso di causalità relativo all'origine professionale della malattia non può essere oggetto di semplici presunzioni tratte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma necessita di una specifica e concreta prova che può essere data anche in termini di probabilità in base alla particolarità della fattispecie. Tuttavia, è necessario acquisire il dato della c.d. probabilità qualificata che deve verificarsi tramite altri elementi idonei a tradurre la conclusione probabilistica in certezza giudiziale.
Passando all'altro motivo di ricorso, gli Ermellini osservano come la sentenza impugnata abbia riconosciuto rilevanza concausale al tabagismo, ma non al punto da interrompere il nesso (con)causale dell'esposizione all'amianto sul luogo di lavoro con riferimento alla patologia tumorale a origine multifattoriale, attribuendogli un ruolo sinergico.
La Cassazione non condivide tale assunto, rilevando come i Giudici non abbiano applicato correttamente l'
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In tale espressione rientra senza dubbio il fumo attivo che costituisce un atto di volizione libero, consapevole ed autonomo di un soggetto con capacità di agire, e quindi il risarcimento del danno deve essere ridotto proporzionalmente in ragione proprio dell'entità percentuale dell'efficienza causale della condotta del lavoratore, tenendo conto che l'art. 1227 cit. si applica con riferimento sia al danno iure proprio, sia al danno iure hereditatis. |
Preso atto di ciò, i Giudici cassano la pronuncia impugnata in relazione al motivo di ricorso accolto e rinviano la causa alla Corte d'Appello, che avrà il compito di rideterminare il danno applicando l'
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza (ud. 18 settembre 2024) 24 ottobre 2024, n. 27572
Svolgimento del processo
1. la Corte d'Appello di Lecce – sez. dist. di Taranto, in accoglimento dell’appello degli eredi di C. R., in parziale riforma della sentenza del locale Tribunale, ha condannato F. al pagamento in loro favore di somma a titolo di risarcimento dei danni in loro favore patiti in conseguenza del decesso del congiunto il 28.11.2013 in corso di causa per neoplasia polmonare;
2. il risarcimento (pari a complessivi € 464.625,71 a titolo di danno differenziale iure hereditatis, in luogo della somma di € 175.891,72 riconosciuta dal Tribunale) è stato riconosciuto per l’accertata responsabilità della datrice di lavoro, ai sensi dell’art. 2087 c.c., nell'insorgenza della patologia tumorale che ha cagionato il decesso del dante causa, che aveva lavorato dal 1970 al 1995 presso lo stabilimento siderurgico di Taranto, con mansioni che avevano comportato esposizione a sostanze nocive sul luogo di lavoro; la prova dei fatti costitutivi della responsabilità risarcitoria veniva desunta da CTU medico- legale dalle prove raccolte in primo grado;
3. in particolare, la Corte di merito ha respinto l’appello della società circa il difetto di legittimazione passiva (rectius: di titolarità del debito) e sulla sussistenza del nesso di causalità tra l’attività lavorativa e la patologia; ha accolto l’appello degli eredi relativamente alla quantificazione in 1/2 del danno biologico complessivo (stante la concausalità, nella misura del 50%, di cause extra-lavorative nell’eziopatogenesi, come riconosciuto dal CTU);
4. per la cassazione della sentenza propone ricorso la società, con 6 motivi, illustrati da memoria, cui resistono con controricorso gli eredi del lavoratore; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
Motivi della decisione
1. preliminarmente deve darsi atto, come eccepito da parte ricorrente, della tardività del controricorso (circostanza potenzialmente rilevante ai fini della regolazione delle spese del giudizio di legittimità), atteso che il ricorso per cassazione risulta notificato a mezzo PEC in data 31.3.2023, mentre il controricorso risulta depositato in data 23.5.2023, quindi oltre il termine di 40 giorni dalla notifica del ricorso;
2. con il primo motivo di doglianza, la società ricorrente deduce violazione a falsa applicazione degli artt. 2697 e 2504-decies c.c., 106 e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., per il mancato accoglimento dell’eccezione di carenza di legittimazione passiva di F.;
3. con il secondo motivo, deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., in riferimento al ritenuto nesso di causa tra la patologia tumorale e l’attività lavorativa;
4. con il terzo motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1223, 2043, 2087 e 2112 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., per non avere la Corte di merito considerato che F. poteva ritenersi responsabile ex art. 2087 c.c. solo per il periodo 1989- 1993, in virtù della propria carenza di legittimazione passiva;
5. con il quarto motivo, deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2059, 1223 e 1226 c.c. per errata applicazione delle tabelle di Milano all’atto della liquidazione del danno non patrimoniale;
6. con il quinto motivo, deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1226 e 1227, comma 1, c.c., in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., per mancata considerazione dell’efficienza causale del fatto colposo (abitudine al fumo di sigaretta) del soggetto leso, con conseguenze sulla determinazione dell'entità del risarcimento, con riferimento alle risultanze della CTU, la quale aveva attribuito efficacia causale anche a fattori non lavorativi nella misura di 2/3
7. con il sesto motivo, deduce violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., per avere la Corte di merito quantificato il danno da risarcire in un importo assai superiore rispetto a quello richiesto dagli eredi;
8. il primo e il terzo motivo, da trattare congiuntamente per connessione in quanto concernenti la titolarità del debito risarcitorio, non sono fondati;
9. osserva la Corte che, in materia, opera il meccanismo di responsabilità solidale stabilito dall’art. 2112 c.c.; infatti, le vicende comportanti una continuità aziendale e la conseguente continuità del rapporto di lavoro costituiscono la base della garanzia della salvaguardia della posizione del lavoratore rispetto all’obbligo di sicurezza del datore di lavoro, obbligo che ne determina la responsabilità risarcitoria al verificarsi dell’evento dannoso derivante dalla sua violazione; ciò sulla base del principio generale, chiarito già con riguardo al testo originario dell’art. 2112 c.c. (cfr. Cass. n. 14081/2000) secondo cui la responsabilità solidale di cessionario dell'azienda e cedente, per i crediti dei prestatori di lavoro sussistenti alla data del trasferimento dell'azienda (rispetto alle conseguenze derivanti dalla violazione del dovere di prevenzione o obbligo di sicurezza in corso di rapporto di lavoro) riguarda tanto i crediti dei dipendenti menzionati nei libri contabili dell'azienda trasferita quanto quelli rispetto ai quali risulti che il cessionario, al momento del trasferimento, fosse a conoscenza del loro mancato soddisfacimento, conoscenza accertabile anche sulla base di elementi presuntivi, quali circostanze di fatto che implichino un’agevole conoscibilità, da parte del cessionario, delle situazioni di fatto e di diritto in cui versava il datore di lavoro cedente;
10. quanto all’interpretazione degli atti negoziali rilevanti ai fini della titolarità societaria operata dai giudici del merito, questa è a essi riservata, e rimane incensurabile in sede di legittimità ove rispettosa dei criteri legali di ermeneutica contrattuale e sorretta da motivazione immune da vizi; né la censura di violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, al pari di quella per vizio di motivazione, può risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione, seppure plausibile; per il principio di autonomia del ricorso per cassazione ed il carattere limitato di tale mezzo di impugnazione, si deve escludere l’ammissibilità di una sostanziale prospettazione di tesi difformi da quelle recepite dal giudice di merito, di cui si chiede a tale stregua un riesame, inammissibile in sede di legittimità (v. Cass. n. 18214/2024, n. 33425/2022, n. 27702/2020, n. 39643/2019, n. 16368/2014, n. 24539/2009, n. 10131/2006);
11. il secondo motivo non è fondato;
12. la pronuncia impugnata è conforme alla giurisprudenza di legittimità che, in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali, applica la regola contenuta nell'art. 41 c.p., per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell'equivalenza delle condizioni, secondo il quale va riconosciuta efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell'evento, salvo che il nesso eziologico sia interrotto dalla sopravvenienza di un fattore sufficiente da solo a produrre l'evento, tale da far degradare le cause antecedenti a semplici occasioni (v. Cass. n. 13954/2014, n. 38123/2021, n. 15852/2024);
13. è altresì conforme al principio secondo cui, nell'ipotesi di malattia ad eziologia multifattoriale, il nesso di causalità relativo all'origine professionale della malattia non può essere oggetto di semplici presunzioni tratte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma necessita di una concreta e specifica dimostrazione che può essere data anche in termini di probabilità sulla base della particolarità della fattispecie; è, tuttavia, necessario acquisire il dato della cd. probabilità qualificata, da verificarsi attraverso ulteriori elementi, come ad esempio i dati epidemiologici, idonei a tradurre la conclusione probabilistica in certezza giudiziale (cfr. Cass. n. 13814/2017, n. 9634/2004);
14. la sentenza impugnata ha accertato, sulla base della CTU il nesso causale tra esposizione del lavoratore ad amianto sul luogo di lavoro nel periodo considerato e patologia tumorale contratta; ha riconosciuto rilevanza concausale al tabagismo, ma non tale da interrompere il nesso (con)causale dell’esposizione sul luogo di lavoro a sostanze nocive della patologia tumorale a origine multifattoriale per cui è causa, ma piuttosto sinergico;
15. neppure è fondato il quarto motivo;
16. per ottenere uniformità di trattamento a livello nazionale, si reputa comunemente necessario fare riferimento ai criteri di liquidazione adottati dal Tribunale di Milano, per l'ampia diffusione sul territorio, appunto, nazionale e per il riconoscimento attribuito dalla giurisprudenza di legittimità, alla stregua, in linea generale e in applicazione dell'art. 3 Cost., del parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico a norma degli artt. 1226 e 2056 c.c., salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l'abbandono (cfr. Cass. n. 12408/2011, n. 27562/2017, n. 3684/2022; v. anche Cass. n. 9950/2017); a tali tabelle si è conformata la Corte di merito, dandone adeguata motivazione;
17. il quinto motivo è, invece, fondato per quanto di ragione;
18. la Corte di merito ha sovrapposto i profili della causalità del danno (governata dal principio di equivalenza delle condizioni) e della sua quantificazione (governata dai principi di personalizzazione e di responsabilità);
19. tenuto conto del tabagismo del de cuius come emerso dalla CTU, la sentenza gravata non ha correttamente applicato l’art. 1227 c.c.; questa Corte ha chiarito, infatti, che, in caso di concorso della condotta colposa del danneggiato nella produzione dell'evento dannoso, l'espressione "fatto colposo" adoperata nell'art. 1227, comma 1, c.c., non va intesa come riferita all'elemento psicologico della colpa, ma deve intendersi come sinonimo di comportamento oggettivamente in contrasto con una regola di condotta, stabilita da norme positive o dettata dalla comune prudenza (Cass. n. 2483/2018, n. 4178/2020); nell’espressione “fatto colposo” rientra il fumo attivo, che costituisce un atto di volizione libero, consapevole e autonomo di soggetto dotato di capacità di agire (Cass. n. 1165/2020); per l’effetto, il risarcimento del danno deve essere proporzionalmente ridotto in ragione dell'entità percentuale dell'efficienza causale del comportamento della vittima (v. Cass. n. 2763/1997, n. 23426/2014, n. 4208/2017, n. 10220/2017); l’art. 1227, comma 1, c.c. è applicabile in relazione sia al danno iure proprio, sia al danno iure hereditatis (v. Cass. n. 9349/2017);
20. il sesto motivo non è fondato, risultando dagli atti che l’originario ricorrente (al quale sono subentrati gli eredi per il decesso in corso di causa) aveva concluso per il risarcimento del danno in misura determinata o “maggiore o minore” di giustizia;
21. la sentenza impugnata deve, pertanto, essere cassata in relazione al motivo accolto (il quinto), rigettati gli altri, con rinvio alla Corte d’Appello indicata in dispositivo, che rideterminerà il danno con applicazione dell’art. 1227, comma 1, c.c., e provvederà sulle spese di lite, incluse quelle del presente giudizio di legittimità;
P.Q.M.
La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Bari, anche per le spese.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri titoli identificativi di parte ricorrente a norma dell'art. 52 d.lgs. 196/03.