Svolgimento del processo
1.. Il Tribunale di Roma, in accoglimento dell'appello proposto dal Pubblico Ministero avverso l'ordinanza che, in esito alla convalida dell'arresto, aveva disposto a carico M.S. la misura del divieto di dimora nel Comune di (omissis), ha applicato all'imputato con l'ordinanza indicata in epigrafe la misura della custodia cautelare in carcere in relazione al reato di cui all'art. 387-bis cod. pen.. M.S., in più occasioni, nel mese di marzo 2024, fino all'arresto del 26 marzo 2024, aveva violato, recandosi presso il centro commerciale dove la donna lavorava, il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla ex compagna, misura impostagli nel procedimento a suo carico, pendente dinanzi al giudice monocratico, per il reato di cui all'art. 612-bis cod. pen.,
2.Con unico motivo di ricorso il difensore del M.S. denuncia l'illogicità della motivazione dell'ordinanza impugnata sottolineando la irrilevanza del fatto poiché il ricorrente si era recato presso il centro commerciale, luogo di lavoro della persona offesa, in assenza della stessa e per recarsi nel bar da lui frequentato. Il Tribunale aveva trascurato la circostanza che i Carabinieri, pur notandolo sul luogo, in altre circostanze, non lo avevano diffidato e, inoltre, che il ricorrente era stato indotto in errore, sulla valenza della prescrizione ingiuntagli, perché non era stato ancora munito del braccialetto elettronico. Rileva, infine, che a seguito dell'applicazione della misura del divieto di dimora in (omissis) il ricorrente, che per alcune notti aveva dormito in auto, si era trasferito in Abruzzo con la nuova compagna e, pertanto, non sussistevano le condizioni che rendessero necessaria l'applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, essendo, viceversa, misura idonea, adeguata e proporzionata, quella del divieto di dimora poiché il ricorrente divenuto consapevole, in seguito all'arresto, della reale portata delle prescrizioni impostegli.
3.Il ricorso è stato trattato con procedura scritta, ai sensi dell'art. 23, comma 8, d.l. n. 137 del 28 ottobre 2020 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 176 del 18 dicembre 2020, la cui disciplina continua ad applicarsi per effetto della proroga da ultimo disposta dall'art. 17 del d.l. 22 giugno 2023 n. 75.
In vista della trattazione dell'odierna udienza, ai fini della valutazione dei criteri di cui all'art. 275 cod. proc. pen., il difensore del ricorrente, avvocata P.S., ha trasmesso il dispositivo della sentenza del 16 settembre 2024 che, in esito al rito abbreviato, esclusa la recidiva, ha condannato l'imputato alla pena di mesi otto di reclusione per il reato oggetto della misura impugnata.
Motivi della decisione
1.II ricorso è inammissibile perché propone la rivalutazione delle esigenze cautelari e dell'adeguatezza della misura a fronte di ordinanza che, con apprezzamento di fatto immune da censure di illogicità, e dunque insindacabile in sede di legittimità, ha ritenuto concreto e attuale il pericolo di reiterazione di condotte dello stesso genere dopo avere esaminato la linea difensiva dell'imputato che, peraltro, aveva ammesso altre violazioni del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, oltre quelle contestategli.
Il Tribunale, dopo avere dato atto del pericolo di reiterazione di condotte dello stesso genere, ha ritenuto unica misura adeguata a realizzare le finalità di prevenzione la custodia cautelare in carcere per la inidoneità di altre misure alternative a realizzare le finalità di tutela della persona offesa.
A tale fine ha valorizzato la reiterata violazione delle prescrizioni imposte all'imputato; il negativo giudizio sulla sua personalità, alla stregua dei suoi precedenti per minacce e ubriachezza e le sue condizioni di vita personale. L'imputato, osservano i giudici del riesame, occupava abusivamente un immobile pur avendo una fonte di reddito e, quindi, non possedeva uno stabile e idoneo domicilio ove trascorrere gli arresti domiciliari. Ma, soprattutto, erano indimostrate le circostanze allegate dalla difesa e, in particolare quella del trasferimento in Abruzzo, prospettato dalla stessa difesa come situazione "contingente e affatto duratura".
Va affermato che, in tema di applicazione di misura cautelare più grave in relazione al reato di cui all'art. 387-bis cod. pen. acquista rilievo centrale la valutazione della gravità della condotta trasgressiva, per il pericolo all'incolumità personale cui è esposta la persona offesa, giudizio di gravità che deve tenere conto anche dell'entità, dei motivi e delle circostanze della violazione, anche in ipotesi diversa dall'aggravamento della misura cautelare che può essere disposto dal giudice che procede nel procedimento in cui la misura del divieto di avvicinamento era stata applicata. Correttamente i motivi dedotti dal ricorrente a giustificazione della violazione, tesi a sostenere, in diversa ottica, la lievità del fatto, sono stati valorizzati a suo carico perché indicativi di una personalità prepotente, ossessiva e incapace di autocontrollo.
L'ordinanza impugnata, lungi dall'attestarsi su valutazioni apparenti o di stile, ha compiutamente motivato il giudizio di inadeguatezza di altre misure con argomentazioni che in relazioni ai reati commessi nell'ambito di relazioni strette, alle quali sono riconducibili anche i rapporti di convivenza oltre a quelle familiari, hanno valorizzato la inidoneità della misura già applicata a contenere la pericolosità dell'imputato, orientata nei confronti di una specifica persona ma non per questo meno grave e alimentata da rivendicazioni personali che erano alla base anche della condotta di stalking attuata, dopo la fine della relazione, nei confronti della ex convivente.
2. il difensore ha prodotto il dispositivo della sentenza di primo grado nel procedimento a carico del ricorrente che ne ha comportato la condanna alla pena di mesi otto di reclusione: tanto nella prospettazione della illegittimità o sproporzione della misura applicata.
Rileva il Collegio che la condanna e l'entità della pena inflitta, tuttavia, non incidono, escludendola, sulla sussistenza delle esigenze cautelari di cui all'art. 274, lett. c) cod. proc. pen.
Né la misura della pena inflitta, inferiore a tre anni, rende illegittima l'applicazione della custodia cautelare in carcere per violazione dell'art. 275, comma 2 e 2-bis cod. proc. pen.
Va, infatti, rilevato che l'art. 13, comma 1, I. n. 168 del 24 novembre 2023 ha modificato sia l'art. 391, comma 5, cod. proc. pen., prevedendo che quando l'arresto è stato eseguito per uno dei delitti indicati nell'art. 387-bis del codice penale ..., l'applicazione della misura è disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dagli articoli 274, comma 1, lettera c), e 280, cod. proc. pen. (art. 13, comma 1, lett. c), sia, per quanto qui rileva, l'art. 275, comma 2-bis cod. proc. pen. (art. 13, comma 1, lett. a).
In deroga al generale divieto di adozione della misura cautelare carceraria in caso di prevedibile condanna, all'esito del giudizio, a pena non superiore a tre anni di reclusione, la misura della custodia cautelare in carcere può essere applicata in relazione al reato di cui all'art. 387-bis cod. pen., diversamente dal reato di evasione (art. 385 cod. pen.), per il quale opera solo la deroga ai limiti di pena di cui agli artt. 274, comma 1, lett. c) e 280 cod. proc. pen., prevista dall'art. 391, comma 5, cod. proc. pen.
Chiara è la ratio di tale previsione che, alla luce dell'aumento esponenziale degli omicidi di genere nel nostro Paese, ha l'obiettivo di rendere più efficace la protezione preventiva, rafforzando le misure contro il pericolo di reiterazione dei reati a danno delle donne e, quindi, introducendo una tutela anticipata rispetto alla commissione dei delitti prodromici alla violenza di genere onde evitare che possano degenerare in comportamenti più gravi.
La violazione del divieto di avvicinamento alla persona offesa di cui all'art. 387-bis cod. proc. pen. costituisce uno di quei comportamenti che rappresenta il campanello di allarme della possibilità di più gravi reati in danno di persone legate all'agente da rapporti familiari o di convivenza, anche se non più attuali, e già vittime di comportamenti violenti o minacciosi.
Ne consegue, non operando il divieto di cui alla prima parte dell'art. 275, comma 2-bis cod. proc. pen., che anche la intervenuta condanna a pena inferiore ad anni tre adottata all'esito del giudizio di merito, non comporta la impossibilità di applicare la misura della custodia cautelare in carcere, ferma restando la verifica delle perdurante adeguatezza della misura nel corso della sua esecuzione, l'operatività della regola di cui all'art. 300, comma 4 cod. proc. pen., e la necessità di una rigorosa motivazione, nel caso, come detto assolta, sulla inidoneità di misure meno incisive sulla libertà personale dell'imputato.
3. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. Considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro, in favore della Cassa delle ammende. La cancelleria curerà gli adempimenti indicati in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 28 Reg. Esec. Cod. Proc. Pen.