
Nel computo del limite massimo di durata di 36 mesi per i contratti a termine consecutivi, vanno inclusi anche i contratti già conclusi prima dell'introduzione del comma 4-bis dell'art. 5 del D. Lgs. n. 368/2001, laddove siano stati conclusi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore.
L'odierna ricorrente è una orchestrale che era stata assunta dal Teatro di Messina con diversi contratti a tempo determinato a partire dal 1997. Avendo ella superato l'audizione pubblica per la selezione degli orchestrali, nel 2012 conveniva in giudizio il Teatro per accertare l'illegittimità delle clausole apposte nei contratti di lavoro a termine stipulati per circa 15 anni, considerato che essi superavano il termine dei 36 mesi, e di conseguenza il suo diritto alla conversione del rapporto, alla stabilizzazione e al risarcimento del danno.
Il Tribunale di Messina accoglieva parzialmente il ricorso, ritenendo la natura di ente pubblico non economico del Teatro, dichiarando illegittimo il termine apposto ai contratti di lavoro perché in violazione dell'
A seguito di gravame, tuttavia, la Corte d'Appello ribaltava la situazione rigettando tutte le domande della donna e ciò perché la natura di ente pubblico regionale di diritto pubblico del Teatro precludeva la possibilità di convertire il rapporto di lavoro, essendo possibile in tal caso solo un risarcimento del danno. Nello specifico, per il Giudice di secondo grado andava escluso il superamento del limite dei 36 mesi perché non erano valutabilii periodi di lavoro compresi tra il 1997 e il 2001 in quanto sotto il regime della precedente
La lavoratrice impugna la decisione mediante ricorso per cassazione.
Con l'ordinanza n. 3470 dell'11 febbraio 2025, la Corte di Cassazione accoglie il primo motivo di ricorso afferente alla disciplina del limite massimo di 36 mesi, affermando che l'esclusione dei periodi oggetto della decisione impugnata non trova fondamento in ragioni di ordine sistematico poiché non si tratta di valutare la legittimità dei termini apposti ai tempi della loro stipulazione, ma la legittimità o meno del superamento del termine massimo di durata fissato dalla legge in caso di successione di plurimi contratti a termine, con lo scopo di prevenire una loro abusiva reiterazione. È quindi la successione dei contratti a termine il nodo della questione, e non le clausole di apposizione del termine al contratto di lavoro.
In tal senso, gli Ermellini ricordano come la normativa comunitaria imponga di prevenire un abuso derivante dalla successione di contratti a termine, consultando le parti sociali, i contratti collettivi e le prassi nazionali allo scopo di inserire nella legislazione nazionale almeno una delle seguenti misure:
- Ragioni oggettive per il rinnovo dei contratti a termine;
- Durata complessiva massima del susseguirsi di contratti a termine;
- Numero di rinnovi massimo dei contratti a termine.
Alla luce di tali argomentazioni, la Cassazione riscontra che la sentenza impugnata non ha rispettato detti principi, affermando in principio di diritto secondo cui
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«vanno computati nel termine massimo di durata stabilito nell'ambito della disciplina della successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l'altro, i contratti già rientranti nel campo di applicazione dell' |
Ai fini della durata massima di 36 mesi si contano, quindi, anche i contratti già conclusi e stipulati ante l'aggiunta del comma 4-bis al testo dell'
Svolgimento del processo
1. A.A., orchestrale (primo fagotto o secondo fagotto) del Teatro di Messina, assunta con plurimi contratti di lavoro a tempo determinato a partire dal 1997, avendo superato l'audizione pubblica per la selezione degli orchestrali, conveniva in giudizio (con ricorso depositato il 27/7/2012) detto Teatro (Ente Autonomo Regionale - EAR) al fine di accertare l'illegittimità delle clausole appositive del termine ai contratti di lavoro stipulati dal 1997 e per quindici anni (per essere stati i contratti privi di causale giustificativa, per il superamento del limite assunzionale, per il superamento del termine di 36 mesi), il diritto alla conversione del rapporto a far tempo dal 2003 ovvero dalla data di deposito del ricorso, il diritto alla stabilizzazione, la condanna dell'ente al pagamento delle differenze retributive e al risarcimento del danno.
2. Il Tribunale di Messina, in parziale accoglimento del ricorso, ritenuta la natura di ente pubblico non economico del Teatro, dichiarava, quanto al termine apposto ai contratti di lavoro stipulati tra le parti, la violazione dell'art. 5, comma 4-bis, D.Lgs. n. 368/2001, per superamento del limite massimo complessivo di 36 mesi, e (esclusa la stabilizzazione) condannava l'Ente al risarcimento del danno commisurato a una somma pari a sei mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, ai sensi dell'art. 8 legge n. 604/1966, quale parametro conforme alla disciplina europea.
3. La Corte d'appello di Messina, decidendo sull'appello proposto dal Teatro, in riforma della sentenza impugnata, rigettava le domande proposte dalla A.A.
4. Per quanto ancora qui rileva, la Corte distrettuale osservava che: - la natura di ente pubblico regionale di diritto pubblico del Teatro di Messina precludeva la possibilità di conversione del rapporto ai sensi dell'art. 36, comma 5, del D.Lgs. n. 165/2001, essendo solo possibile, in presenza di un contratto 'nullo' solo il risarcimento del danno con valenza fondamentalmente sanzionatoria e di deterrenza (danno comunitario, non necessitante di prova); - il primo giudice, pur escludendo che i contratti a termine fossero privi di causale, ne aveva ritenuto l'illegittimità per effetto del superamento dei 36 mesi avendo fatto applicazione dell'art. 1, comma 43, legge n. 247/2007 che, nel regolamentare il regime transitorio in fase di prima applicazione, aveva previsto che i contratti a termine in corso alla data del gennaio 2008, continuassero fino al termine previsto dal contratto anche in deroga alle disposizioni di cui al comma 4-bis dell'art. 5 D.Lgs. n. 368/2001, lett. a); - per il primo giudice, il periodo di lavoro già effettuato alla data dell'1/1/2008 doveva essere computato assieme ai periodi successivi di attività ai fini della determinazione del periodo massimo di cui al citato comma 4-bis, decorsi 15 mesi dalla medesima data (ai sensi della lett. b); in conseguenza restavano non computabili nel periodo complessivo di 36 mesi i periodi di attività compresi tra l'1/1/2008 e il 31/3/2009, mentre andavano cumulati i contratti a termine stipulati fino al 31/12/2007 con quelli tra le parti dall'1/4/2009; - pertanto, ad avviso del Tribunale, doveva ritenersi superato il periodo massimo di durata di 36 mesi di cui al citato art. 5, comma 4-bis, non essendo applicabili i casi di esclusione previsti dall'art. 10, comma 7, D.Lgs. n. 368/2001 circa l'esenzione da limitazioni quantitative dei contratti a tempo determinato conclusi per specifici spettacoli, perché riguardanti la sola esenzione dal cd. contingentamento; - invece, per il giudice di secondo grado, doveva essere escluso il superamento del termine massimo di 36 mesi, perché non erano valutabili i periodi di lavoro tra l'1/1/1997 e il 15/9/2001, in quanto sottoposti al regime della legge n. 230/1962, né erano valutabili a tale fine quelli tra l'1/1/2008 e il 31/3/2009 per espressa previsione del regime transitorio di cui alla legge n. 247/2007 già sottratti dal giudice di primo grado; - pertanto, valutando esclusivamente i periodi iniziati in data successiva al 21/9/2001 (dopo l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 368/2001), al netto di quelli ricompresi nel periodo tra l'1/1/2008 e il 31/3/2009, la somma dei periodi lavorati risultava inferiore a 36 mesi (618 giorni e non almeno 1095).
5. A.A. propone ricorso per la cassazione della sentenza d'appello, affidato a due motivi, concludendo in via principale per la decisione della causa nel merito con conferma di quanto deciso dal giudice di prime cure.
6. Resiste il Teatro di Messina con controricorso.
7. La ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.), la ricorrente deduce la violazione dell'art. 5, comma 4-bis, D.Lgs. n. 368/2001, in relazione alla disciplina del limite massimo di 36 mesi, sostenendo l'erronea mancata applicazione, nella sentenza gravata, ai fini del computo del limite suddetto, dei contratti di lavoro intercorsi nel periodo tra il 1997 e il 2001.
2. Con il secondo motivo (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.) la ricorrente deduce l'erronea applicazione alla fattispecie del regime transitorio di cui alla legge n. 247/2007 ed erronea non valutazione dei periodi di lavoro compresi tra l'1/1/2008 e il 31/3/2009 ai fini del computo dei 36 mesi di cui all'art. 5, comma 4-bis, D.Lgs. n. 368/2001, regime transitorio che varrebbe solo in fase di prima applicazione, ma non sarebbe interpretabile come "una sorta di periodo franco" non conteggiabile nel caso in cui l'abuso sia continuato dopo la scadenza del periodo previsto dalla legge.
3. Il primo motivo di ricorso è fondato (si veda in termini Cass. 28 dicembre 2023, n. 36120).
4. L'art. 1, comma 43, legge n. 247/2007 ("Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per favorire l'equità e la crescita sostenibili, nonché ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale"), stabilisce che: "In fase di prima applicazione delle disposizioni di cui ai commi da 40 a 42: a) i contratti a termine in corso alla data di entrata in vigore della presente legge continuano fino al termine previsto dal contratto, anche in deroga alle disposizioni di cui al comma 4-bis dell'articolo 5 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, introdotto dal presente articolo; b) il periodo di lavoro già effettuato alla data di entrata in vigore della presente legge si computa, insieme ai periodi successivi di attività ai fini della determinazione del periodo massimo di cui al citato comma 4-bis, decorsi quindici mesi dalla medesima data".
5. L'art. 5, comma 4-bis, D.Lgs. n. 368/2001 ("Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall'UNICE, dal CEEP e dal CES"), introdotto dalla legge n. 247/2007 di cui sopra, poi abrogato dal D.Lgs. n. 81/2015 ("Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell'articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183"), a sua volta, stabiliva che: "Ferma restando la disciplina della successione di contratti di cui ai commi precedenti, qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i trentasei mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l'altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato ai sensi del comma 2. In deroga a quanto disposto dal primo periodo del presente comma, un ulteriore successivo contratto a termine fra gli stessi soggetti può essere stipulato per una sola volta, a condizione che la stipula avvenga presso la direzione provinciale del lavoro competente per territorio e con l'assistenza di un rappresentante di una delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale cui il lavoratore sia iscritto o conferisca mandato. Le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale stabiliscono con avvisi comuni la durata del predetto ulteriore contratto. In caso di mancato rispetto della descritta procedura, nonché nel caso di superamento del termine stabilito nel medesimo contratto, il nuovo contratto si considera a tempo indeterminato".
6. Il successivo comma 4-ter della medesima disposizione precisava che: "Le disposizioni di cui al comma 4-bis non trovano applicazione nei confronti delle attività stagionali definite dal decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525, e successive modifiche e integrazioni, nonché di quelle che saranno individuate dagli avvisi comuni e dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative".
7. L'argomento del Teatro di Messina, fatto proprio dalla Corte d'Appello nella sentenza impugnata, secondo cui non erano valutabili, al fine del computo del termine massimo di 36 mesi per la legittimità della reiterazione di contratti a tempo determinato nel settore in esame, i periodi di lavoro tra l'l/l/1997 e il 15/9/2001, in quanto sottoposti al regime della legge n. 230/1962, non resiste alle critiche sollevate nel primo motivo del ricorso della lavoratrice.
Tale esclusione non trova fondamento in ragioni di ordine sistematico, perché non si tratta di valutare la legittimità dei termini apposti ai contratti di lavoro al tempo della loro stipulazione ai sensi della legge n. 230/1962, ma la legittimità o meno del superamento del termine massimo di durata fissato dalla legge in caso di successione di plurimi contratti a tempo determinato, con finalità di prevenzione della loro abusiva reiterazione.
9. È infatti l'abusiva reiterazione di contratti a tempo determinato, ossia l'uso improprio del susseguirsi dei contratti a tempo determinato, che i paesi dell'UE, in base alla Direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999, di attuazione dell'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, devono prevenire; non è, quindi, in discussione la legittimità delle condizioni legittimanti il ricorso alla clausola di apposizione del termine al contratto di lavoro, ma la successione di contratti di tale natura tra le stesse parti.
10. Al fine di prevenire gli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, sono tenuti ad inserire nella legislazione nazionale almeno una delle seguenti misure: ragioni oggettive per il rinnovo dei contratti a tempo determinato; durata complessiva massima del susseguirsi dei contratti a tempo determinato; numero di rinnovi massimo dei contratti a tempo determinato.
11. Come chiarito da questa Corte in numerosi arresti (tra i quali Cass. 10480/2019, n. 11121/2019, n. 11122/2019), l'interpretazione conforme della normativa considerata, in base alle sentenze della Corte di giustizia UE 25 ottobre 2018, in causa C-331/17, Sciotto e 9 marzo 2017, in causa C-406/15, Milkova, impone di evitare il rischio che la distinzione, operata da una normativa nazionale tra i lavoratori subordinati a tempo determinato alle dipendenze di un qualsiasi datore di lavoro privato e quelli che svolgano le medesime mansioni nel settore artistico e dello spettacolo alle dipendenze di una Fondazione lirica (o di enti similari come l'attuale controricorrente), non risulti adeguata al fine perseguito da tale normativa; pertanto, se è vero che la programmazione annuale di spettacoli artistici comporta necessariamente, per il datore di lavoro, esigenze provvisorie in materia di assunzione, e quindi può costituire una "ragione obiettiva" ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), del suddetto accordo quadro, tuttavia la nozione di ragioni obiettive dev'essere intesa nel senso che essa si riferisce a circostanze precise e concrete che contraddistinguono una determinata attività e, pertanto, tali da giustificare, in tale peculiare contesto, l'utilizzo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato; dette circostanze possono risultare dalla particolare natura delle funzioni per l'espletamento delle quali sono stati conclusi i contratti in questione, dalle caratteristiche ad esse inerenti o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro.
12. Nondimeno, non è sufficiente la sola natura artistica dell'attività gestita dal datore di lavoro; per quanto concerne le "ragioni obiettive", strumento fondamentale di argine all'abusivo ricorso ai contratti di lavoro a tempo determinato nel settore, in cui indubbiamente è prevista e ammessa la possibilità di ricorrere a rinnovi, va sottolineata l'assoluta necessità di interpretare in termini rigorosi e restrittivi la sussistenza di tale requisito.
13. Nel caso di specie, la sentenza gravata non si è attenuta a tali principi, essendosi soffermata soltanto sulla natura temporanea degli spettacoli in programmazione presso il Teatro di Messina, anziché sulla questione dirimente della continuativa reiterazione di contratti a tempo determinato nel quadro di una programmazione artistica stabile e che costituisce la ragione costitutiva e organizzativa dell'ente odierno controricorrente.
14. Si presenta, altresì, non corretto il riferimento operato nella decisone impugnata alla legge n. 230/1962 nella sua integralità.
15. Il disposto del comma 4-ter dell'art. 5, D.Lgs. n. 368/2001 escludeva l'applicazione del termine massimo di durata alla successione di contratti "nei confronti delle attività stagionali definite dal decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525") tale D.P.R. elenca le attività per le quali, ai sensi dell'art. 1, secondo comma, lettera a), della legge 18 aprile 1962, n. 230, era consentita per il personale assunto temporaneamente l'apposizione di un termine nei contratti di lavoro; ma si tratta del personale di cui alla lett. a) della legge n. 230/1962 ("speciale natura dell'attività lavorativa derivante dal carattere stagionale della medesima"), non dalla successiva lett. e) ("scritture del personale artistico e tecnico della produzione di spettacoli").
16. Deve perciò affermarsi, in diritto, il principio per cui vanno computati nel termine massimo di durata stabilito nell'ambito della disciplina della successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l'altro, i contratti già rientranti nel campo di applicazione dell'art. 1, lett. e), della legge n. 230/1962.
17. Tale conclusione è, altresì, in linea con il principio generale secondo il quale, in tema di contratti a tempo determinato, ai fini della verifica del rispetto del limite massimo di durata di trentasei mesi, vanno inclusi anche i contratti già conclusi, stipulati prima dell'aggiunta del comma 4-bis al testo dell'art. 5 del D.Lgs. n. 368 del 2001, effettuata dall'art. 1, comma 40, della I. n. 247 del 2007, in quanto il comma 43 del medesimo art. 1 li attrae nel conteggio della durata complessiva, al fine della suddetta verifica (Cass. 17 agosto 2022, n. 24847).
18. Il secondo motivo è inammissibile, in quanto, in via assorbente, dalla lettura della sentenza gravata non risulta appello incidentale sull'esclusione (operata in primo grado) del computo dei contratti stipulati nel periodo transitorio di cui all'art. 1, comma 43, lett. b), legge n. 247/2007.
19. La sentenza impugnata deve, pertanto, essere cassata in relazione al motivo accolto.
20. Poiché, alla luce delle conclusioni del ricorso per cassazione e dello stesso contenuto della memoria depositata dalla ricorrente nella quale quest'ultima richiama in toto l'ordinanza di questa Corte n. 36120/2023, già sopra citata, tenuto conto del superamento per mancanza di specifiche censure anche dei criteri di parametrazione del danno, non risultano necessari ulteriori accertamenti di fatto, a norma dell'art. 384, comma 2, cod. proc. civ., la causa può essere decisa nel merito, confermando le statuizioni della sentenza di primo grado.
21. Ferma la regolazione delle spese operata in tale sede, l'ente odierno controricorrente deve essere condannato alla rifusione per intero delle spese del secondo grado di giudizio e di quelle del presente giudizio, liquidate come da dispositivo.
22. Non sussistono le condizioni di cui all'art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, inammissibile il secondo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, dichiara la violazione da parte di Ente Autonomo Regionale "Teatro di Messina" dell'art. 5, comma 4-bis, D.Lgs. n. 368/2001 e, per l'effetto, condanna Ente Autonomo Regionale "Teatro di Messina" al pagamento in favore della ricorrente della somma pari a sei mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori, a titolo di risarcimento del danno. Condanna Ente Autonomo Regionale "Teatro di Messina" alla rifusione in favore della ricorrente di metà delle spese di lite di primo grado, che liquida per l'intero in euro 2.400,00 per compensi, spese generali al 15%, accessori di legge, compensando il residuo; alla rifusione delle spese di lite del giudizio di appello, che liquida in euro 3.000,00 per compensi, spese generali al 15%, accessori di legge; alla rifusione delle spese di lite del presente giudizio, che liquida in euro 3.500,00 per compensi, euro 200,00 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge.