La Cassazione analizza il contenuto dell'art. 19 D.Lgs. n. 81/2015 stabilendo che non è possibile cumulare il periodo di lavoro somministrato con quello di lavoro a termine, vista la regola speciale prevista dal comma 2 dell'art. 19 cit. che è da rispettare anche in presenza di più rapporti “precari” con lo stesso datore di lavoro.
Il Giudice di secondo grado respingeva l'appello proposto dal lavoratore contro la sentenza di prime cure che aveva rigettato il suo ricorso volto ad ottenere l'accertamento dell'illegittimità della proroga del contratto a termine intercorso con il datore di lavoro senza la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, con condanna del datore alla sua...
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Brescia respingeva l’appello proposto da B. D. contro la sentenza del Tribunale della medesima sede n. 190/2021, la quale aveva respinto il suo ricorso volto ad ottenere: a) l’accertamento della illegittimità della proroga in data 10.12.2018, relativa al contratto a termine intercorso con la convenuta datrice di lavoro, M. s.p.a., e la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, con condanna alla riammissione in servizio e al risarcimento del danno; b) l’accertamento della violazione del diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato, con condanna al risarcimento del danno.
2. Per quanto qui ancora interessa, la Corte territoriale respingeva l’assunto del lavoratore appellante, secondo il quale al momento della proroga del contratto a termine egli aveva già lavorato in favore della stessa società per oltre 12 mesi, sicché detta proroga non poteva essere acausale, dato che l’art. 19, co. 4, d.lgs. n. 81/2015, nel testo modificato dal d.l. n. 87/2018, conv. in L. n. 96/2018, in vigore al momento della proroga, è chiaro nello stabilire che la proroga deve essere motivata quando il termine complessivo supera i 12 mesi. Secondo la Corte territoriale, infatti, l’interpretazione delle previsioni applicabili al caso proposta dal lavoratore non era corretta, perché come affermato in maniera condivisibile dal primo giudice, il contratto, legittimamente stipulato come acausale, era stato prorogato per un periodo complessivo non superiore a 12 mesi e questo rendeva la proroga acausale perfettamente legittima, visto che il contratto può essere liberamente prorogato nei primi 12 mesi.
3. Avverso tale decisione, B. D. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad unico motivo.
4. L’intimata ha resistito con controricorso.
5. Entrambe le parti private hanno depositato memorie (prima, in vista dell’adunanza camerale del 5.12.2023, inizialmente fissata per i procedimenti sopra indicati, e, poi, in procinto della pubblica udienza).
6. Il P.G. ha depositato conclusioni scritte in cui ha concluso per il rigetto del ricorso per entrambi i procedimenti in epigrafe indicati, previa riunione degli stessi.
Motivi della decisione
1. All’esito della pubblica udienza, come richiesto anche dal P.G., il Collegio ha disposto la riunione del procedimento relativo al ricorso R.G. n. 18366/2022 al procedimento relativo al ricorso R.G. n. 18355/2022, essendosi constatato che trattasi di duplicazione di iscrizione a ruolo del medesimo ricorso per cassazione contro la sentenza n. 56/2022 della Corte d’appello di Brescia nei confronti della stessa intimata.
2. Con unico motivo il ricorrente denuncia: “Violazione dell’art. 19 d.lgs. 81/15, il quale dispone che nel computo dei limiti temporali posti dalla legge alla stipulazione di contratti a tempo determinato si deve tener conto anche dei periodi di missione svolti tra i medesimi soggetti nell’ambito di somministrazioni di lavoro a tempo determinato (art. 360 n. 3 cpc)”. Trascritti i commi 1, 1- bis e 2 dell’art. 19 d.lgs. cit., premette il ricorrente che la sentenza impugnata aveva fondato il rigetto della sua domanda sull’assunto che non sarebbe possibile “cumulare il periodo di lavoro somministrato (9 mesi, dal 21.8.2017 all’1.6.2018) con il periodo di lavoro a termine (7 mesi, dal 4.6.2018 al 31.12.2018), perché tale cumulo è previsto dall’art. 19, co. 2, come regola speciale solo ai fini del calcolo del limite invalicabile di 24 mesi che deve essere osservato anche in caso di più rapporti “precari” con lo stesso datore di lavoro”. In contrario, in primo luogo, il ricorrente fa riferimento alla sentenza 17.3.2022, n. 232 della Corte di giustizia UE. In secondo luogo, deduce che, a seguito delle modifiche di cui al d.l. cd. Dignità 87/18, Data pubblicazione 24/07/2024 alla somministrazione di lavoro a termine sono applicabili, in virtù dell’art. 34, comma 2, d.lgs. 81/15, tutte le norme in tema di lavoro a termine, salvo poche eccezioni: la regola, dunque, è l’omologazione tra le due discipline, salvo espresse eccezioni. In terzo luogo, richiama un passo della Circolare ministeriale del 31.12.2018, n. 17. Soprattutto, secondo il ricorrente, obiettare, con la sentenza impugnata, che la (pur sconnessa) formulazione letterale del comma 2 dell’art. 19 D.lgs. 81/15 si debba intendere come riferita al solo limite complessivo dei 24 mesi, e non invece, con la citata Circolare Ministeriale, anche al limite dei 12 mesi oltre il quale occorrono le causali tipizzate dal comma 1, porta alla conseguenza di facile elusione e vanificazione della norma sulla tipizzazione delle causali in qualsiasi caso.
2. Il motivo è infondato.
3. La Corte territoriale ha premesso che: “B. D., dopo aver lavorato per la M. S.p.A. dal 21.8.2017 all’1.6.2018 come lavoratore somministrato, è stato assunto direttamente con contratto a termine acausale dal 4.6.2018 al 31.12.2018, che in data 10.12.2018 è stato prorogato sino al 3.6.2019”.
Tale premessa ricostruzione fattuale della Corte di merito è incontestata.
La stessa Corte, inoltre, correttamente non ha posto in discussione che alla proroga del contratto a termine acausale, intervenuta in corso di quel rapporto in data 10.12.2018 (prima quindi della scadenza del termine), fosse applicabile ratione temporis la disciplina dell’art. 19, comma 4, d.lgs. n. 81/2015, come in parte modificato dall’art. 1, comma 1, lett. a) d.l. 12.7.2018, n. 87, entrato in vigore, giusta l’art. 15 del medesimo decreto, il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (vale a dire, il 14.7.2018); decreto, poi, convertito, con modificazioni, dalla L. 9.8.2018, n. 96.
Esso aveva previsto che: “Le disposizioni di cui al comma 1, si applicano ai contratti di lavoro a tempo determinato stipulati successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonché ai rinnovi e alle proroghe contrattuali successivi al 31 ottobre 2018”.
4. Come condivisibilmente ritenuto anche dalla Corte territoriale (dall’ultimo capoverso di pg. 3 al penultimo capoverso di pg. 4 della sentenza), reputa il Collegio che dal comma 2 dell’art. 19 cit. – che stabilisce il periodo di durata massima di 24 mesi anche in caso di successione di contratti a termine, dettando una speciale regola per il suo calcolo (“Ai fini del computo di tale periodo si tiene altresì conto dei periodi di missione aventi ad oggetto mansioni di pari livello e categoria legale, svolti tra i medesimi soggetti, nell’ambito di somministrazioni di lavoro a tempo determinato”) – e dal comma 4 del medesimo articolo – che prevede, dopo l’apposizione (salvo che per i rapporti di durata non superiore a 12 giorni) del termine per iscritto, in caso di rinnovo, la specificazione delle esigenze di cui al comma 1 per le quali sia stipulato, sia invece necessaria per la proroga del rapporto complessivamente eccedente i dodici mesi – si ricavi l’obbligo datoriale di specificazione della causale sempre nell’ipotesi di stipulazione di un nuovo contratto a termine (“rinnova”) e invece solo quando il termine complessivo superi i 12 mesi, nel caso di proroga del medesimo contratto.
Sicché, il contratto a termine, seguito al rapporto di lavoro somministrato, era stato legittimamente stipulato come acausale ed altrettanto legittimamente prorogato per un periodo complessivo non superiore a 12 mesi, senza indicazione causale.
Non è, infatti, possibile il cumulo del periodo di lavoro somministrato con il periodo del lavoro a termine, per essere previsto dall’art. 19, co. 2, come regola speciale ai soli fini del limite di 24 mesi, da rispettare anche in caso di più rapporti precari con lo stesso datore di lavoro.
In tale senso, è ancora più chiaro l’art. 21, comma 1, secondo periodo, d.lgs. n. 81/2015, come introdotto sempre dal medesimo d.l. n. 87/2018, che recita: “Il contratto può essere prorogato liberamente nei primi dodici mesi e, successivamente, solo in presenza delle condizioni di cui all’art. 19, comma 1”.
Entrambe tali disposizioni coincidono nel non prevedere affatto la diversa ipotesi in cui il lavoratore, occupato con un contratto a termine successivamente prorogato, avesse in precedenza prestato la propria attività con un contratto di lavoro in somministrazione in favore dell’impresa, che lo abbia poi assunto direttamente con contratto a tempo determinato (del resto, la distinta e completa disciplina della “Somministrazione di lavoro” è contenuta nel successivo Capo IV del medesimo d.lgs. n. 81/2015).
Invero, il periodo di missione in somministrazione, che ricorre nella specie, è retto da un contratto diverso da quello a termine; inoltre, il contratto di lavoro in somministrazione era stato stipulato ed aveva avuto corso in epoca interamente anteriore all’entrata in vigore della disciplina in esame ed anche il successivo contratto a termine poi prorogato era intervenuto prima del 31.10.2018: soltanto la proroga del contratto a termine essendo rimasta soggetta alla disciplina novellata del 2018.
Il comma 2 del medesimo articolo 19, che non si occupa di rinnovi o proroghe del contratto a termine, regola un’ipotesi speciale di cumulo di periodi eterogenei per la natura dei rapporti considerati, tenendosi conto anche “dei periodi di missione aventi ad oggetto mansioni di pari livello e categoria legale, svolti tra i medesimi soggetti, nell’ambito di somministrazione di lavoro a tempo determinato”; e tanto solo ai fini del limite massimo di 24 mesi di cui si è detto.
5. In senso contrario il ricorrente richiama un passo della Circolare del Ministero del lavoro e delle Politiche sociali in data 31.10.2018, n. 17, emanata proprio in riferimento al d.l. n. 87/2018, secondo il quale: “in caso di periodo di missione in somministrazione a termine fino a 12 mesi, è possibile per l’utilizzatore assumere il medesimo lavoratore direttamente con un contratto a tempo determinato per una durata massima di 12 mesi indicando la relativa motivazione”.
5.1. Orbene, secondo un consolidato orientamento di questa Corte, le circolari della P.A. sono atti interni destinati ad indirizzare e disciplinare in modo uniforme l’attività degli organi inferiori e, quindi, hanno natura non normativa, ma di atti amministrativi, sicché la loro violazione non è denunciabile in cassazione ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c. (così, ex plurimis, Cass., sez. VI, 10.8.2015, n. 16644). Esse, comunque, non sono vincolanti per il giudice (cfr., tra le altre, Cass., sez. trib., 29.11.2022, n. 35098).
In ogni caso, il passo di detta Circolare sopra riportato, in cui sembra esigersi una “motivazione” per la conclusione di un contratto a tempo determinato di 12 mesi al massimo che segua ad un periodo di missione in somministrazione a termine fino a 12 mesi, non pare pertinente rispetto alla fattispecie in esame, nella quale, come già posto in luce, soltanto la proroga del contratto a termine è rimasta assoggettata alla disciplina novellata, mentre lo stesso contratto a termine era iniziato secondo la normativa previgente.
6. Parimenti, non può interessare nel caso in esame il § 78 della sent. della Corte di giustizia UE, sez. II, 17.3.2022, n. 232, richiamato dal ricorrente. In quel passo motivazionale, infatti, la Corte europea si è limitata ad osservare che: “Nel caso di specie, come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 63 e 64 delle sue conclusioni, spetta al giudice del rinvio stabilire se la disposizione transitoria di cui al punto 19 della presente sentenza, prendendo in considerazione l’insieme delle norme del diritto nazionale, possa essere interpretata conformemente ai requisiti della direttiva 2008/104 e, pertanto, in modo tale da non privare il ricorrente nel procedimento principale del diritto di far valere la durata totale della sua missione presso l’impresa utilizzatrice, al fine di far accertare, eventualmente, il superamento del carattere temporaneo di tale messa a disposizione”. Peraltro, il caso esaminato dalla Corte europea in detta decisione riguardava la normativa nazionale tedesca.
7. Circa, poi, la supposta rilevanza dell’art. 34, comma 2, d.lgs. n. 81/2015, in tema di disciplina dei contratti di lavoro in somministrazione a termine, è agevole osservare che nella fattispecie in esame viene in considerazione esclusivamente la legittimità della proroga in data 10.12.2018 del contratto a termine, contratto all’origine legittimamente stipulato come acausale nel vigore dell’anteriore disciplina e comunque per un periodo inferiore a 12 mesi. E la Corte di merito ha constatato che anche la proroga in questione non superasse complessivamente i 12 mesi, in conformità al novellato art. 19, comma 4, ultima parte, d.lgs. n. 81/2015, per modo da poter essere priva di specifica causale e risultare quindi legittima.
Invero, soltanto nel caso, che non ricorre nella specie, in cui i periodi lavorativi, compreso quello di missione in somministrazione, avessero superato nel complesso il limite dei ventiquattro mesi, il lavoratore avrebbe potuto beneficiare della trasformazione del rapporto “in contratto a tempo indeterminato dalla data di tale superamento”, ai sensi del comma 2, ultimo periodo, dell’art. 19 cit.
8. Il ricorrente soccombente dev’essere condannato al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuto al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte – previamente riunito al presente il ricorso R.G. 18366/2022 - rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi e in € 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e C.P.A. come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.