
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
Con ricorso ex artt. 206 – 207 CCI depositato il 24.10.2024 si è opposto al decreto 18.9.2024 con cui fu dichiarato esecutivo lo stato passivo della escludendo il proprio credito di cui aveva chiesto l’ammissione, pari ad € 25.376,00 IVA inclusa e al lordo di RA quale compenso per l’attività prestata in qualità di sindaco unico e revisore dei conti della società in liquidazione per il periodo 1.7.2023 – 26.1.2024.
Il Curatore, la cui proposta è stata condivisa dal giudice delegato, ha così motivato l’esclusione del credito: “eccepisce ai sensi dell'art. 1460 cod. civ. l'inadempimento agli obblighi gravanti sul sindaco, stante l'assenza, nel periodo di carica per cui si richiede il pagamento, dell'esercizio di una vigilanza costante e conforme ai principi normativi di riferimento sul corretto operato degli amministratori e sull'adeguato e funzionante assetto organizzativo di ben noti al professionista in carica dal 2010 anche con funzione di revisore legale. Nonostante anche le banche (per lo meno già a far data dal 2016) avessero ritenuto non percorribile la proposta di cui all'art. 182 bis l. fall. presentata (in conseguenza della mancata esecuzione del piano di risanamento ex art. 67 L. Fall. attestato nel 2013), in considerazione della "mancanza di concreta prospettiva di reversibilità della crisi e di idoneo rimedio" (cfr. lettera inviata dalle banche ad il 3 novembre 2016), il Sindaco ha negligentemente procrastinato il proprio intervento sino a dicembre 2023. Data in cui il dott. ha effettuato la segnalazione di allerta ai sensi dell'art. 25 octies e 25 undecies CCII, a cui è poi seguito il deposito del ricorso per l'apertura della liquidazione giudiziale da parte di (omissis)”.
Il Curatore non ha condiviso le osservazioni proposte da così argomentando: “si limita ad osservare come (i) i riferiti "finanziamenti del socio" erano formali mutui per i quali la stessa oggi si insinua assumendo che non fossero finanziamenti (peraltro, invocandone la natura non postergata) (cfr. cron. 100 del presente progetto di stato passivo); (ii) era già lampante (con la perdita del principale cliente nel 2022) che nel 2023 la Società (la quale aveva peraltro anche già usufruito della proroga dei termini di cui al cd Decreto di Liquidità nell'esecuzione del concordato del 2016) non avrebbe di certo potuto adempiere all'ulteriore pagamento per oltre otto milioni dell'ultimo riparto in favore dei creditori concordatari. In sostanza le prospettive di continuità non vi erano di certo, quantomeno nel periodo per il quale il ricorrente richiede il pagamento dei propri compensi. Il Curatore ribadisce pertanto l'esclusione integrale del credito.”.
I motivi di opposizione avverso tale esclusione sono i seguenti:
- fallito l’iniziale piano di risanamento col ceto bancario, a seguito del deposito della domanda di concordato ex art. 1616 LF avvenuto il 20.12.2016, del deposito del piano e della proposta di concordato in continuità aziendale, furono depositati 5 piani di riparto per la gran parte rispettati. In questo tempo vigilò con il commissario giudiziale sull’operato dell’organo amministrativo e sulla gestione della società che fino al 2021 ebbe risultati positivi in bilancio. Questi fatti furono illustrati anche nell’istanza ex art. 39 CCI;
- la flessione in negativo di cominciò dalla fine 2022 per tre fattori, estranei alla gestione: l’aumento dei costi di energia e gas e quello conseguente delle materie prime e dei servizi connessi alla produzione e commercializzazione; il generale impoverimento dopo la pandemia; il mancato rinnovo da parte di principale cliente, del contratto di fornitura vigente dal 2004 e in scadenza al 31.12.2022;
- per contrastare queste circostanze, da un lato, intraprese una campagna di acquisizione e ri acquisizione di clientela, dall’altro, ricercò finanziatori e partner industriali, dall’altro ancora, all’inizio del secondo trimestre 2023 riprese i contatti con a cui propose un nuovo prodotto e riattivò i rapporti di fornitura con in vista della messa a punto del nuovo prodotto, positivamente testato a settembre 2023. Di questi fatti fu dato conto nella relazione di accompagnamento del primo trimestre 2023 tramessa il 1.6.2023 dal consiglio di amministrazione al commissario giudiziale;
- ad ottobre 2023 inaspettatamente comunicò che, a seguito degli ultimi dati di mercato e della situazione finanziaria del gruppo, la casa madre statunitense aveva optato per servirsi di un altro e diverso fornitore per l’area Europa, Medio Oriente e Africa;
- nonostante fossero in corso quelle trattative nella verifica sindacale del 17.7.2023, sulla base del bilancio infra annuale al 31.5.2023, rilevò “un preoccupante deterioramento dei saldi e degli indici economici, reddituali e finanziari, unito al mancato rinnovo del contratto del principale fornitore (rectius cliente, ndr) ” e, a fronte del tentativo dei rappresentanti del CdA di far cambiare idea al fornitore ricercando comunque alternative nel breve termine “Il Sindaco Unico si ripromette di monitorare la situazione alla prossima verifica”.
Questa situazione fu illustrata dal management della società al commissario e al tribunale;
- all’ultima verifica periodica del 17.10.2023 rilevò “un proseguimento del deterioramento dei valori economici, reddituali, finanziari e di liquidità, con un progressivo esaurimento dell’attività produttiva, una progressiva diminuzione della forza lavoro e chiari segnali di compromissione della continuità aziendale” e, poiché i rappresentanti del CdA comunicarono il fallimento delle trattative con , insostituibile con altri clienti, e valutarono “seriamente compromessa la possibilità di concludere positivamente la procedura di Concordato”, ritenne “che i tempi di intervento siano ormai strettissimi ed invita il Consiglio di Amministrazione a prendere in considerazione l’attivazione della procedura di Liquidazione Giudiziale entro il mese di Novembre p.v. a meno di interventi tempestivi, seri e con orizzonte risolutivo. In caso contrario sarà necessario che il sottoscritto Sindaco Unico si attivi autonomamente per l’avvio delle necessarie procedure.”;
- il 31.10.2023 il CdA riunito prese atto della definitiva situazione di crisi, dell’impossibilità di riposizionarsi sul mercato e di far fronte al piano concordatario scadente il 24.11.2023 e rappresentò “che, ai fini della valutazione della continuità aziendale, sia imperativo addivenire ad una valutazione finale e alle necessarie azioni da intraprendere entro la fine del presente anno solare e chiede di essere, in tal senso aggiornato tempestivamente dell’evoluzione della situazione”, quindi, il 3.12.2023 inoltrò al CdA la segnalazione di allerta ex art. 25 ocites e 25 undecies CCI e il 7.12.2023 il CdA deliberò di conferire mandato all per presentare domanda ex art. 39 CCI, depositata il 27.12.2023.
In punto di diritto sostiene:
- non spetta all’organo sindacale, ma a quelli della procedura, verificare l’andamento del piano
concordatario;
- l’irreversibilità della crisi di si è determinata ad ottobre 2023, quando fallirono le trattative con . Come ritiene la giurisprudenza di legittimità, per integrare la responsabilità dell’organo di controllo, occorre che esistessero e fossero palesi i segnali di allarme, tali da far comprendere che la società si trovasse in una situazione di insolvenza rilevante, cioè irreversibile.
Questi presupposti mancano nel caso concreto. Inoltre, come ritenuto dalle pronunce più recenti, i sindaci possono rispondere solo se è loro imputabile una condotta commissiva o omissiva propria della loro funzione, in relazione diretta e immediata con il danno;
- l’analisi dei primi tre trimestri dell’esercizio 2023 esclude che il sindaco abbia omesso di rilevare violazioni macroscopiche o la commissione da parte dell’organo amministrativo di atti illegittimi o irregolari che avrebbero reso necessaria una reazione immediata o l’esercizio di poteri sostitutivi di denuncia al tribunale di uno stato d’insolvenza irreversibile. Il recesso di non aveva determinato una crisi irreversibile, ma una situazione da affrontare “in modo prospettico e previsionale” in un arco temporale di almeno 12 mesi, tanto che nella verifica sindacale di luglio 2023 rilevò le proprie preoccupazioni sugli indici economici dell’ultimo trimestre, evidenziando le attività dell’organo amministrativo per fronteggiare la situazione, garantendone il monitoraggio in un orizzonte temporale limitato, nel quale si è poi consumata l’irreversibilità della crisi.
Così argomentando, ha chiesto di ammettere allo stato passivo il proprio credito di € 25.376,00 IVA inclusa in via privilegiata ex art. 2751 bis nn. 2 e 3 CC.
Con comparsa datata 25.11.2024 si è costituita la che si è così difesa:
- costituita nel 2010 quale conferitaria del ramo d’azienda di avente ad oggetto la produzione e commercializzazione di tessuto non tessuto e in cui erano ricomprese passività finanziarie della conferente per 38 mln di €, nel 2011sottoscrisse con gli istituti finanziari un primo accordo di risanamento, nel 2013 stipulò un secondo accordo, rimasto poi inadempiuto, per riscadenzare i pagamenti inerenti alle esposizioni finanziarie. In questo periodo l’esposizione finanziaria aumento da € 30.699.000,00 a € 47.470,00;
- quindi, nel 2016 fu depositato ricorso per concordato in bianco funzionale a un accordo ex art. 182 bis LF, non raggiunto per l’irreversibilità della crisi sociale;
- la società propose un concordato con continuità aziendale diretta in cui era previsto che la prosecuzione dell’attività d’impresa avrebbe generato flussi di cassa tali da consentire non solo il pagamento dei debiti concordatari ma anche il pagamento delle passività, complessivamente ammontanti a € 53.245.570,00. La proposta fu negativamente valutata dal pre commissario, poi divenuto commissario della procedura concordataria, e le criticità da costei evidenziate furono illustrate anche nella relazione ex art. 172 LF. Quindi, già nel maggio 2017 non era in grado di produrre flussi tali da consentire il buon esito della procedura;
- le criticità evidenziate dal commissario emersero anche nella fase esecutiva del concordato, quando dimostrò la difficoltà nel far fronte alle obbligazioni assunte nei termini e per questo sin da subito stipulò patti para concordatari di riscadenzamento degli importi dovuti. Inoltre, la situazione di tensione finanziaria fu evidenziata più volte dal commissario nelle note successive alla relazione ex art. 171 LF;
- i 5 piani di riparto a cui fa riferimento l’opponente furono rispettati solo perché la società provvedeva a riscadenzare i termini di pagamento;
- poiché tutti gli strumenti di regolazione della crisi via via impiegati fallirono per l’incapacità di produrre flussi finanziari sufficienti per far fronte al proprio indebitamento, nel periodo 1.7.2023 –26.1.2024 – per cui è richiesto il compenso – si erano già da tempo manifestati i segnali di una crisi irreversibile;
- la lettura dei verbali di verifica, a cui fa riferimento dà evidenza che solo in quello del 16.10.2023 il sindaco rilevò un preoccupante deterioramento dei saldi e degli indici economici, reddituali e finanziari e la seria compromissione della possibilità di concludere positivamente la procedura di concordato;
- ha violato il dovere di vigilanza, che non va circoscritto all’operato degli amministratori, ma va esteso al regolare svolgimento dell’intera gestione sociale in funzione della tutela dell’interesse dei soci e dei creditori sociali e comporta l’obbligo di adottare ogni atto che in relazione a caso concreto sia utile e necessario per un’effettiva ed efficace, ma non formale, vigilanza sull’amministrazione della società e sulle operazioni gestorie: nonostante l’irreversibilità della crisi, il sindaco ha negligentemente ritardato la segnalazione di allerta ex art. 25 octies e undecies CCI;
- alla procedura non spetta alcun onere della prova dato che è stata sollevata eccezione ex art. 1460 CC, che lo ribalta sull’opponente, a propria volta rimastovi inadempiente;
- la narrazione dei fatti dell’opponente, ad avviso del quale le difficoltà finanziarie di risalgono al 2022 per fattori esogeni alla società, è parziale e trascura, come ripetutamente segnalò il commissario, che non era in grado di produrre flussi finanziari capaci di coprire l’indebitamento. Per questo era compito del sindaco verificare l’andamento del piano concordatario da cui dipendevano le sorti di (OMISSIS).
Così argomentando, la liquidazione giudiziale ha chiesto il rigetto del ricorso in opposizione.
All’udienza 5.12.2024, fissata con decreto 24.10.2024, le parti hanno discusso il ricorso, trattenuto in decisione per essere rimesso al collegio a tal fine.
Il giudizio viene ora in decisione.
Il ricorso è infondato.
Conviene prendere le mosse da tre regole processuali che vengono in rilievo nel caso di specie.
Primo, com’è pacifico da principio ultraventennale affermato a partire da CSU 13533/2001 in tema di prova dell’inadempimento di un’obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 CC (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite). Anche nel caso in cui sia dedotto non l’inadempimento dell’obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento, gravando sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto, esatto adempimento.
Secondo, l’eccezione di inadempimento non è subordinata alla presenza degli stessi presupposti richiesti per la risoluzione, perché la gravità dell’inadempimento è un requisito specificamente previsto dalla legge per la risoluzione e trova ragione nella radicale definitività di tale rimedio, mentre l’eccezione d’inadempimento non estingue il contratto, pur potendo il creditore avvalersi dell’eccezione anche nel caso di inesatto inadempimento (Cass. 18587/2024, 12719/2021).
Terzo, il curatore che solleva nel giudizio di verifica l’eccezione d’inadempimento, secondo i canoni diretti a far valere la responsabilità contrattuale, ha (solo) l’onere di allegare e provare l’esistenza del titolo negoziale, contestando, in relazione alle circostanze del singolo caso, la non corretta (e cioè negligente) esecuzione della prestazione o l’incompleto adempimento, restando, per contro, a carico del professionista l’onere di dimostrare di aver esattamente adempiuto per la rispondenza della sua condotta al modello professionale e deontologico richiesto in concreto dalla situazione su cui è intervenuto con la propria opera ovvero l’imputazione a fattori esogeni, imprevisti e imprevedibili, dell’evoluzione negativa della procedura, culminata nella sua cessazione (anticipata o non approvata giudizialmente) e nel conseguente fallimento (Cass. 3922/2024, 2350/2024, 25584/2018, 18705/2016; CSU 42093/2021).
Il Curatore della liquidazione giudiziale ha eccepito l’inadempimento del sindaco unico Dott. così individuandolo: nel periodo per cui è richiesto il pagamento del compenso (1.7.2023 – 23.1.2024) – il sindaco, in carica dal 2010 anche quale revisore legale, non ha esercitato una vigilanza constante e conforme ai principi normativi di riferimento sul corretto operato degli amministratori e sull’adeguato assetto organizzativo societario, ritardando la segnalazione d’allerta ex art. 25 octies e 25 undecies CCI fino a dicembre 2023, nonostante le banche già nel 2016 avessero ritenuto non percorribile la proposta ex art. 182 bis LF per la mancata esecuzione del piano di risanamento ex art. 67 LF
attestato nel 2013.
Con l’opposizione allo stato passivo ha contestato l’esclusione dallo stato passivo, avvenuta nonostante le osservazioni alla proposta del Curatore, affermando in sintesi che:
- la flessione negativa dell’andamento economico di iniziò a fine 2022 quando (a) aumentarono i costi di energia elettrica e gas, che provocarono l’aumento dei costi delle materie prime e dei servizi connessi alla produzione e commercializzazione (b) si fece sentire l’impoverimento globale dopo la pandemia, (c) , principale cliente, decise di non rinnovare il contratto di fornitura in essere dal 2004 e scadente il 31.12.2022;
- per quasi tutto il 2023, essendo in corso contatti con (ripresi nel secondo trimestre 2023) e venendo ripresi i rapporti di fornitura con vi fu uno stato di crisi meramente transitorio che la società tentò di superare ad ogni modo;
- l’irreversibilità della crisi fu manifesta soltanto a ottobre 2023 quando inaspettatamente comunicò che, a seguito degli ultimi dati di mercato e della situazione finanziaria del gruppo, la casa madre statunitense decise di rivolgersi ad un altro fornitore per l’area Europa, Medio Oriente e Africa;
- durante il periodo oggetto di domanda il sindaco esercitò i propri poteri con tempestività (cfr. verifiche sindacali del 17.7.2023 e 17.10.2023, verbale riunione del CdA del 31.10.2023) e, quando la situazione di crisi fu irreversibile, il 3.12.2023 inoltrò al CdA segnalazione di allerta.
Questi argomenti, che fanno leva essenzialmente sul fatto che fino a fine ottobre 2023 lo stato di crisi della società fosse reversibile e per questo non fu trasmessa segnalazione di allerta, contrastano con lo stato della società allegato dalla Liquidazione giudiziale nell’eccepire l’inadempimento del sindaco e a cui sin dalla proposta di esclusione il Curatore aveva fatto riferimento, evidenziando che dal 2016 le banche avessero ritenuto non percorribile la proposta ex art. 182 bis LF.
In particolare:
- nacque come conferitaria del ramo d’azienda di in adempimento di un progetto di ristrutturazione del 2011 con un’esposizione passiva pari a quasi € 38 mln derivati dalla conferente e stipulò con le banche nello stesso anno un accordo finanziario, seguito nel 2013 da un piano attestato ex art. 67 LF nelle cui premesse fu dato atto che era impossibile adempiere alle obbligazioni assunte con l’accordo di due anni prima (doc. 1 Liquidazione);
- l’esposizione finanziaria complessiva nel 2013 era pari ad € 40.470.000,00, ossia quasi 10 milioni di euro superiore rispetto a quella nel 2011 (€ 30.699.000,00) (ibidem);
- nel 2016 fu depositato ricorso per concordato in bianco in cui si diede atto che già nel corso dell’esercizio tra il 2013 e il 2014 le assunzioni dell’accordo del 2013 si erano realizzate in misura solo parziale e che non era dunque stato possibile dare piena esecuzione al medesimo piano attestato. Il piano fu omologato nonostante il voto contrario di Agenzia delle Entrate che reclamò vittoriosamente l’omologa innanzi alla Corte d’Appello di Torino, che revocò il relativo decreto;
- nel 2018, dopo la revoca del decreto di omologa, depositò una nuova domanda di concordato preventivo “con riserva”, dichiarata inammissibile dal tribunale;
- l’ultimo dei 5 piani di riparto previsto per il mese di novembre 2023 per un importo di € 8.232.297,00 non fu adempiuto;
- nella relazione ex art. 172 LF (doc. 2 Liquidazione) il Commissario concluse ritenendo preferibile l’alternativa fallimentare evidenziando che “la proposta concordataria, consistente nella prosecuzione dell’attività da parte della società e nella previsione di flussi di cassa tali da consentire il pagamento dei debiti maturati durante la gestione corrente e l’accantonamento di somme destinate al pagamento dei debiti pregressi, non era realistica, alla luce dell’andamento della società come riscontrato negli anni precedenti e durante i mesi di pre-concordato” (pag. 5), “l’aleatorietà della proposta concordataria, fondata su previsioni articolate, ma ottimistiche e smentite dai dati storici e dall’andamento della società durante i mesi successivi alla ammissione al concordato cd. in bianco” (pag. 59), che “La prevista liquidità da utilizzare per far fronte ai debiti correnti maturandi nel corso della Procedura e ai debiti pregressi, infatti, non è supportata da alcuna concreta garanzia” e “da anni, per non dire dall’inizio, la società tenta di proseguire l’attività e di far fronte ai debiti attraverso piani industriali che si sono susseguiti nel tempo e che sono tutti falliti” (pag. 60);
- nella relazione del Commissario risalente all’11.4.2023 (doc. 3 della Liquidazione giudiziale), l’ultima prima del periodo oggetto di richiesta di compenso, si legge:
“In conclusione, si ritiene la società non in linea con quanto previsto nel piano concordatario.
Infatti:
- il termine del concordato, prorogato a seguito del maggior termine di sei mesi concesso dal Decreto Liquidità di cui al società ha dichiarato di voler beneficiare, è fissato al 30.11.2023;
- a fronte di un fabbisogno iniziale di euro 19.531.141,00 necessario al soddisfacimento dei creditori concordatari, al 31.12.2020 erano previsti da piano pagamenti per euro 12.942.695; a tale data la società aveva pagato euro 6.281.028, inferiore alla metà di quanto previsto;
- al 31.1.2023 risultano effettuati pagamenti per euro 11.076.993,89. Ciò significa che nell’arco temporale residuo, la società dovrebbe pagare circa 8 milioni di euro;
- nel corso del concordato, a causa di difficoltà finanziarie, la società ha stipulato con un accordo in forza del quale ha versato parte del debito, rinviando il versamento di euro 2.077.091,17 al termine del periodo di concordato;
- la società ha chiesto ulteriori rateizzazioni ai creditori
Alla luce di quanto sopra, appare improbabile che la società riesca a generare la liquidità sufficiente all’estinzione dei debiti
residui entro il 30.11.2023, data prorogata a causa della pandemia.
Nonostante il pagamento di un’importante porzione di crediti privilegiati e seppur si riconosca che l’attività della società stia procedendo regolarmente, l’elevato importo dei debiti ancora da pagare, il residuo periodo di tempo e le considerazioni effettuate in merito alla liquidità fanno emergere concrete perplessità sulla capacità della società di generare flussi di cassa tali da consentire il soddisfacimento dei creditori concorsuali nei tempi stabiliti.
Si consideri, peraltro, che parte di liquidità, in presenza di un concordato in continuità, deve essere destinata al pagamento dei debiti correnti che alla data del 31.01.2023 ammontano ad euro 5.301.141,18.
Sarebbe, pertanto, necessario un ingente incremento di liquidità, che si profila poco realistico, visto l’andamento negli anni della società.”
A fronte di tutto questo, il sindaco Dott. a cui il Curatore aveva eccepito l’inadempimento fin dalla proposta di esclusione del suo credito dallo stato passivo, ha focalizzato la sua difesa concentrandosi sull’ultimo periodo di vita della società, a partire dalla fine del 2022, senza considerare che l’eccezione di inadempimento allargava l’angolo di visuale a un periodo ben più ampio, a voler dire che non gli è dovuto il compenso per l’ultimo periodo, perché il suo inadempimento risale ad un periodo precedente, quando era già manifesta l’irreversibilità della crisi di (omissis).
La difesa del sindaco, però, recede a fronte dell’univoca convergenza di fatti proposti dalla Liquidazione giudiziale a base dell’eccezione di inadempimento.
Basti notare che, nonostante il Curatore avesse impiegato un argomento assai forte per attestare la risalente irreversibilità della crisi, sostenendo che “Nonostante anche le banche (per lo meno già a far data dal 2016) avessero ritenuto non percorribile la proposta di cui all'art. 182 bis l. fall. presentata (in conseguenza della mancata esecuzione del piano di risanamento ex art. 67 L. Fall. attestato nel 2013), in considerazione della "mancanza di concreta prospettiva di reversibilità della crisi e di idoneo rimedio" (cfr. lettera inviata dalle banche ad il 3 novembre 2016), il Sindaco ha negligentemente procrastinato il proprio intervento sino a dicembre 2023”, il ricorrente non ha dedicato argomenti a dimostrare che la storia della società non lasciasse intravedere alcun segnale di irreversibilità della crisi.
Limitare lo sguardo a poco più dell’ultimo anno prima della dichiarazione della liquidazione giudiziale finisce per non paralizzare in modo efficace l’eccezione di inadempimento e trascurare, almeno in parte (temporalmente ampia) i fatti su cui si fonda.
Il ricorso non sarebbe capace di dimostrare le ragioni di nemmeno volendo aderire alla sua tesi che rinviene l’irreversibilità della crisi solo nell’autunno 2023 quando decise di interrompere i contatti che miravano a riprendere i rapporti dopo la decisione di non rinnovare il contratto di fornitura in scadenza al 31.12.2023. Dalla verifica sindacale del 17.7.2023, che il ricorrente cita nel corpo del suo atto introduttivo, si constata che egli stesso rilevò un “preoccupante deterioramento dei saldi e degli indici economici, reddituali e finanziari” limitandosi a ripromettersi di monitorare la situazione alla successiva verifica;
pure a quella del 17.10.2023, l’ultima, constatò “un proseguimento del deterioramento di valori economici, reddituali, finanziari e di liquidità, con un progressivo esaurimento dell’attività produttiva, una progressiva diminuzione della forza lavoro e chiari segnali di compromissione della continuità aziendale”.
Quando il 3.12.2023 il sindaco inviò al CdA la segnalazione di allerta ex art. 25 octies CCI (doc. 21 ricorrente), la situazione non era solo irreversibile, ma non più rinviabile e di una tale gravità che alcun organo sociale avrebbe più potuto rinviare o soprassedere.
Sono significativi i tempi che dettò il sindaco: “In funzione di quanto sopra esplicitato, si richiede l’immediata convocazione di una riunione del Consiglio di Amministrazione, riunione da effettuarsi entro la settimana del 04/12/2023 con procedura d’urgenza, per definire la situazione attuale e le iniziative da intraprendere. In caso di inerzia del Consiglio di Amministrazione, il sottoscritto Sindaco Unico provvederà a tale convocazione con procedura d’urgenza per una riunione in data 07/12/2023.”. Ossia, il ricorrente nell’inviare la segnalazione di allerta chiese la convocazione della
riunione del CdA per il giorno seguente e avvisò che in caso di inerzia l’avrebbe personalmente convocata d’urgenza al 7.12.2023.
Una tale serratezza di tempi denota non tanto la tempestività della segnalazione d’allerta, ma una vera e propria corsa contro il tempo che era passato senza che il sindaco intervenisse impiegando i propri poteri e che solo allora lo costringeva all’estrema necessità di agire senza più alternative.
A questo proposito vale la pena considerare che i sindaci non esauriscono l’adempimento dei propri compiti con il mero e burocratico espletamento delle attività specificamente indicate dalla legge avendo l’obbligo di adottare e ricercare lo strumento di volta in volta più consono ed opportuno di reazione, cioè ogni altro atto che il sindaco deve dimostrare e che in relazione alle circostanze del caso fosse utile e necessario per un’effettiva ed efficace - non meramente formale - vigilanza sull’amministrazione della società e delle relative operazioni gestorie (Cass. 2350/2024, 18770/2019).
Secondo la giurisprudenza di legittimità citata, a fronte dell’allegazione (qui avvenuta) dell’inerzia del sindaco e dell’esistenza di segnali d’allarme che avrebbero dovuto porlo sull’avviso, il sindaco deve provare di non aver avuto alcuna possibilità di attivarsi utilmente, ponendo in essere tutti gli atti, sollecitazioni, richieste, richiami, indagini, sino alle denunce alle autorità civile e penale.
Inoltre (sempre secondo Cass. 2350/2024 preceduta da 2772/1999, 5287/1998), il dovere di vigilanza imposto ai sindaci dall’art. 2403 CC è configurato dalla legge con particolare ampiezza poiché non è circoscritto all’operato degli amministratori, ma si estende al regolare svolgimento dell’intera gestione sociale in funzione della tutela non solo dell’interesse dei soci ma anche di quello concorrente dei creditori sociali: né riguarda solo il mero e formale controllo sulla documentazione messa a disposizione dagli amministratori, essendo conferito ai componenti del relativo collegio il potere - dovere di chiedere notizie sull’andamento generale e su specifiche operazioni quando queste possono suscitare perplessità, per le modalità delle loro scelte o della loro esecuzione.
Il compito essenziale dei sindaci è di verificare il rispetto dei principi di corretta amministrazione secondo la diligenza professionale ex art. 11762 CC, cioè controllare in ogni tempo che gli amministratori compiano la scelta gestoria nel rispetto di tutte le regole che disciplinano il corretto procedimento decisionale. Per adempiere a questi obblighi il sindaco deve aver esercitato o tentato di esercitare con la dovuta diligenza i poteri istruttori e impeditivi che la legge gli assegna, senza rimanere acriticamente legato e dipendente dalle scelte dell’organo amministrativo e senza limitarsi a chiedere chiarimenti, ma intraprendendo egli stesso le azioni necessarie.
nel presente caso non potrebbe neppure opporre una mancanza o una scarsa conoscenza della situazione societaria: egli era sindaco in carica dal 2010, anche quale revisore legale, come scritto nella proposta di esclusione del Curatore e mai contestato.
Il ricorrente non ha dimostrato quello che, come si è visto, sarebbe stato suo onere provare.
All’udienza di discussione del ricorso egli ha chiesto gli fosse assegnato termine per il deposito di memoria di replica e per produrre documenti per l’estensione del periodo temporale delle contestazioni mosse, che vanno oltre la richiesta di ammissione allo stato passivo per il compenso maturato nel periodo 1.7.2023 – 26.1.2024. Il giudice ora estensore, innanzi a cui si tenne l’udienza, rigettò la richiesta, non ravvisando nella comparsa di costituzione e risposta di l’allegazione di fatti nuovi o di una diversa estensione temporale rispetto a quella risultante dalla motivazione della proposta di esclusione del credito di cui ha chiesto l’insinuazione allo stato passivo.
Fin dalla proposta di esclusione il Curatore si riferì all’irreversibilità della crisi di “per lo meno già a far data dal 2016”: per questo non si può ritenere che il Dott. non sia stato posto nelle condizioni di difendersi con l’opposizione allo stato passivo sull’esatto adempimento della prestazione a partire da un tempo precedente a luglio 2023 e che la Liquidazione giudiziale abbia introdotto quel tema
difensivo per la prima volta con la comparsa di costituzione nel presente giudizio. Del resto, è il ricorrente stesso ad aver improntato buona parte della sua difesa a sostenere di aver agito tempestivamente perché a suo dire la crisi sarebbe diventata irreversibile solo verso la fine del 2023, tralasciando di considerare la situazione in cui si trovava la società prima del luglio 2023.
Vi è un altro aspetto da considerare.
L’eccezione di inadempimento come sollevata dalla Liquidazione giudiziale si appunta non solo sull’assenza di vigilanza costante e conforme ai principi in materia sul corretto operato degli amministratori e sull’assetto organizzativo della società, ma anche – e soprattutto, verrebbe da dire – sulla segnalazione di allerta ex art. 25 octies e 25 undecies CCI fatta solo a dicembre 2023.
Il richiamo a questa norma non è di poco conto.
L’art. 25 octies2 CCI, come da ultimo modificato con d. lgs. 136/2024, prevede che “la tempestiva segnalazione all’organo amministrativo ai sensi del comma 1 e la vigilanza sull’andamento delle trattative sono valutate ai fini dell’attenuazione o esclusione della responsabilità prevista dall’articolo 2407 del codice civile o dall’articolo 15 del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39. La segnalazione è in ogni caso considerata tempestiva se interviene nel termine di sessanta giorni dalla conoscenza delle condizioni di cui all’articolo 2, comma 1, lettera a), da parte dell’organo di controllo o di revisione”.
Ora, a prescindere dall’ultimo periodo introdotto con d. lgs. 136/2024 che individua un periodo entro il quale la comunicazione, se fatta, è considerata tempestiva, l’obbligo in questione a carico dell’organo di controllo (ora anche del revisore legale) serve ad assicurare l’emersione anticipata della crisi, responsabilizzando i professionisti la cui responsabilità è valutata anche sulla base dell’adempimento dell’obbligo di segnalazione.
L’obbligo di segnalazione in una società come che vedeva da anni avvicendarsi vari strumenti per risolvere una crisi da ultimo sfociata nella dichiarazione di liquidazione giudiziale non può essere relegato a un inadempimento marginale: tanto più una società si trascini in uno stato di crisi, quanto più quell’obbligo diventa attuale e stringente, specie per chi, come il ricorrente, riveste da lungo tempo un ruolo di controllo che gli consente di conoscere profondamente lo stato della società e valutare se uno stato di crisi è temporaneo o è talmente perdurante da essere divenuto cronico e irreversibile. Come il ricorrente che era sindaco in dal 2010.
L’art. 25 octies1 CCI dispone che la segnalazione “è motivata, è trasmessa con mezzi che assicurano la prova dell’avvenuta ricezione e contiene la fissazione di un congruo termine, non superiore a trenta giorni, entro il quale l’organo amministrativo deve riferire in ordine alle iniziative intraprese. In pendenza delle trattative, rimane fermo il dovere di vigilanza di cui all’articolo 2403 del codice civile”.
La lettura della norma consente di scorgere che quel che la legge concepisce è che le iniziative e le trattative, su cui il sindaco e il revisore devono vigilare, siano successive alla segnalazione di allerta, che perciò, deve avvenire quando la crisi o l’insolvenza non sono né precoci né progredite, ma quando si possa già parlare di “crisi” o di “insolvenza” senz’altri attributi e per questo sia necessario intercettare quegli stati senza ritardo. Ritenere che la segnalazione debba essere trasmessa quando la crisi è irreversibile significa snaturarne lo scopo, che è proprio quello di farla emergere tempestivamente, per ridurre l’ammontare dei crediti insoddisfatti e, in generale, per attenuare le conseguenze negative degli squilibri economici, patrimoniali, finanziari.
Nel caso di specie si è verificato l’opposto: la segnalazione di allerta fu inviata al CdA quando ormai era fumato ogni tentativo di riprendere i rapporti commerciali con , che comunicò che la casa madre statunitense aveva deciso di rivolgersi a un altro fornitore per il mercato europeo, mediorientale e africano. Questo tentativo fu l’ultimo di svariati che per un decennio avevano invano tentato di portare la società fuori da una crisi da cui non era mai uscita.
Così, la segnalazione di allerta non servì, come vuole la legge, a intercettare la crisi per evitare che progredisse, ma a suggellarla in un momento in cui era divenuta da tempo irreversibile. Il 3.12.2023 la segnalazione di allerta non aveva sul nascere alcuna utilità: tant’è vero che non passarono neppure due mesi e il 26.1.2024 il tribunale dichiarò aperta la liquidazione giudiziale nei confronti di (omissis).
Per tutti i motivi esposti il ricorso, infondato, è rigettato.
Spese di lite.
La soccombenza di gli importa la condanna ex art. 91 CPC a rifondere alla Liquidazione giudiziale le spese di lite, liquidate ex DM 55/2014 ss.mm.ii., come da ultimo modificato dal DM 147/2022, sulla base dei seguenti criteri:
- competenza: giudizi di cognizione innanzi al tribunale;
- valore (come dichiarato in ricorso): € 25.376,00 ¿ scaglione € 5.201,00 – 26.000,00;
- fasi: tutte tranne l’istruttoria mancata;
- tariffe: medie per le fasi di studio e introduttiva, minime per la decisionale attesa la discussione alla prima udienza senza il deposito di ulteriori scritti rispetto alla memoria difensiva.
P.Q.M.
Il Tribunale,
definitivamente pronunciando nel giudizio di opposizione allo stato passivo iscritto al n. R.G. 1336/2024 promosso da contro disattesa ogni contraria istanza ed eccezione:
- RIGETTA il ricorso;
- CONDANNA a rifondere alla le spese di lite, liquidate in € 2.500,00 per compensi, oltre spese generali e accessori secondo legge.