Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza (ud. 8 maggio 2024) 9 luglio 2024, n. 18666
Svolgimento del processo
Con citazione notificata il 30.12.12, i coniugi G. S. e C. A. convenivano innanzi al Tribunale di Taranto la N. S. V. assumendo: di aver stipulato, lo S., due polizze V. E., e l’A. una polizza-V., con la suddetta N.; che alla scadenza delle polizze ne avevano chiesto invano la liquidazione in quanto la compagnia li aveva avvisati dell’avvenuto riscatto e del pagamento disposto in loro favore per la somma complessiva di euro 335.879,00 nel marzo 2009; che le richieste di riscatto non erano state in realtà da loro sottoscritte, e che il conto corrente presso il Banco di N., agenzia di F. F., sul quale le somme riscattate erano state accreditate, non era di loro pertinenza.
Premesso ciò, gli attori chiedevano la condanna della compagnia assicuratrice al pagamento delle stesse somme liquidate loro spettanti. La società si costituiva eccependo di aver liquidato le polizze sulla base delle richieste di riscatto sottoscritte dai due assicurati e di aver accreditato le somme sul conto corrente corrispondente all’iban indicato (che è risultato corrispondente a quello del conto intestato all’allora agente della N. S. in F., B. C., tramite il quale erano state sottoscritte le polizze V. in questione).
La convenuta si costituiva, chiamando in causa il Banco di N. – che aveva eseguito il bonifico delle somme liquidate sul conto corrente del C.- e lo stesso C., chiedendo la manleva nei loro confronti in caso di condanna.
Con sentenza del 2016, il Tribunale condannava la convenuta a pagare agli attori il capitale minimo garantito delle suddette polizze, pari a euro 110.406,98 per ogni polizza, oltre interessi legali di mora, condannando altresì il Banco di N. e il C. a rimborsare alla N. S. rispettivamente il 30 e il 70% delle somme al cui pagamento era stata condannata la convenuta.
Con sentenza del 27.11.19, la Corte territoriale accoglieva l’appello principale della N. S. V. s.p.a. e, in parziale riforma della sentenza appellata, condannava, in solido, il Banco di N. s.p.a. e il C. a rimborsare, all’appellante la somma che quest’ultima era tenuta a versare agli attori, rigettando l’appello incidentale del Banco di N..
Al riguardo, la Corte d’appello osservava che: era erronea la statuizione di condanna del Banco e del C. al rimborso pro-quota a favore della convenuta, anzitutto in quanto essa sarebbe stata possibile, ex art. 112 c.p.c.- data la domanda al risarcimento dei danni di più soggetti che avevano contribuito con le loro condotte al prodursi dei danni- nel caso in cui uno dei debitori in solido avesse esercitato l’azione di regresso nei confronti degli altri o chiesto di accertare le loro quote di responsabilità (oppure nel caso in cui il creditore avesse chiesto la condanna di ciascun debitore pro-quota, rinunciando alla solidarietà ex art. 1311, c.2, n.2, c.c.), mentre nella fattispecie non era stato chiesto di accertare la quota di responsabilità dei chiamati in causa; inoltre, la condanna pro-quota era erronea anche considerando che, ritenuta dal Tribunale l’efficienza causale delle condotte, pur autonome, dei terzi nella produzione dell’evento lesivo, sarebbe stata legittima la condanna solidale nei confronti della compagnia assicuratrice; era fondato il motivo d’appello relativo all’omessa pronuncia sulle spese di lite tra l’appellante e i terzi chiamati in causa, in quanto, a norma dell’art. 91 c.p.c., il Tribunale avrebbe dovuto provvedere a regolamentare le stesse spese secondo il principio di soccombenza; era invece infondato l’appello incidentale del Banco di N., circa la sua responsabilità, in quanto anche volendo ritenere l’errore della convenuta società consistito nella mancata verifica dell’autenticità delle firme apposte sulle richieste di riscatto degli assicurati, l’efficienza causale di tale asserita negligenza era stata elisa dalla successiva condotta del Banco che, pur avendo rilevato che l’iban del conto corrente su cui si chiedeva l’accredito non fosse lo stesso di quello dei beneficiari dei mandati di pagamento, ma corrispondeva a quello del C.- come ammesso dallo stesso appellante nella comunicazione del 19.6.12- aveva comunque eseguito i bonifici sul conto del C., senza contattare la banca della compagnia di assicurazioni, non attenendosi, dunque, al mandato ricevuto da quest’ultima; tale condotta omissiva del Banco, in quanto tenuta da operatore professionale del settore, consapevole della non appartenenza del conto indicato dalla banca mandante ai beneficiari degli ordini di pagamento, configurava una grave colpa professionale da negligenza, fonte di responsabilità extracontrattuale (e non da contatto sociale dato che tra il Banco e la compagnia assicuratrice non vi erano stati rapporti) nei confronti della N. che, costituendo un fatto imprevedibile ed eccezionale, elideva il nesso causale tra gli accrediti errati sul conto del C. e l’errore commesso prima dalla N.; la condotta truffaldina ed illecitamente appropriativa di quest’ultimo non era invece idonea ad interrompere il nesso causale tra la condotta del Banco e l’illegittimo accredito sul conto dello stesso agente della N..
Intesa Sanpaolo s.p.a., incorporante il Banco di N. s.p.a., ricorre in cassazione avverso la suddetta sentenza, con due motivi, illustrati da memoria. H. V. s.p.a. (già N., a seguito di fusione) resiste con controricorso, illustrato da memoria.
Motivi della decisione
Il primo motivo denunzia violazione degli artt. 112 c.p.c., 2043 e 2055, c.c., per aver la Corte d’appello ritenuto erronea la statuizione sulla condanna pro-quota del Banco di N. e di B. C., poiché la richiesta dell’accertamento della responsabilità esclusiva della N. e del C. conteneva anche la richiesta di condanna pro-quota (cioè il più contiene il meno).
Il secondo motivo denunzia violazione degli artt. 112 c.p.c., 1227, c.1, e 2049, c.c., per aver la Corte territoriale omesso di pronunciare sull’accertamento della responsabilità esclusiva o concorrente della N..
Al riguardo, la ricorrente lamenta che la Corte d’appello, pur qualificando la condotta dell’assicurazione come negligente ed errata, abbia omesso di valutare quest’ultima a norma dell’art. 2049 c.c., non considerando che anche in tema di responsabilità extracontrattuale s’applica l’art. 1227 c.c., c.1, circa la valutazione della gravità delle condotte e delle relative conseguenze.
L’eccezione preliminare di tardività del ricorso- per essere la notifica del 30.6.2020 stata effettuata oltre il termine breve di 60 gg. dalla notifica della sentenza in data 28.11.19 all’indirizzo pec del difensore- è fondata.
Va osservato che l'indicazione compiuta dalla parte, che pure abbia eletto domicilio ai sensi dell'art. 82 del r.d. n. 37 del 1934, di un indirizzo di posta elettronica certificata, senza che ne sia circoscritta la portata alle sole comunicazioni, implica l'obbligo di procedere alle successive notificazioni nei confronti della stessa parte esclusivamente in via telematica; ne consegue che, a fronte di siffatta indicazione, la notifica della sentenza d'appello presso il domiciliatario, anziché presso l'indirizzo di posta elettronica, è inidonea a far decorrere il termine breve di impugnazione per la proposizione del ricorso per cassazione (Cass., n. 10355/20).
In tema di ricorso per cassazione, la notifica della sentenza impugnata effettuata alla controparte a mezzo PEC è idonea a far decorrere il termine breve d'impugnazione nei confronti del destinatario ove il notificante provi di aver allegato e prodotto la copia cartacea del messaggio di trasmissione, delle ricevute di avvenuta consegna e di accettazione, della relata di notificazione nonché della copia conforme della sentenza, salvo che il destinatario della notifica non ne contesti la regolarità sotto uno o più profili (Cass., n. 16421/19).
Nella specie, la ricorrente replica all’eccezione assumendo: che non sarebbe stato provato che l’indirizzo pec presso cui era stata effettuata la notificazione della sentenza era quello indicato negli elenchi ex art.
6 dlgs. n. 82/85; che la procura rilasciata al difensore della fase d’appello conteneva la dichiarazione di voler ricevere gli avvisi relativi al presente procedimento all’indirizzo pec del difensore e non anche le notificazioni.
L’eccezione merita accoglimento in quanto la controricorrente ha dimostrato che l’indirizzo pec del difensore domiciliatario della controparte, nel secondo grado di giudizio, era inserito negli elenchi ex art. 6 dlgs. n. 82, mentre la sentenza impugnata è stata notificata all’indirizzo risultante presso l’ordine forense, che è l’indirizzo Pec Reginde, con relativa attestazione di conformità ed estratto Inipec.
In materia di notificazioni al difensore, in seguito all'introduzione del "domicilio digitale", previsto dall'art. 16 sexies del d.l. n. 179 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 221 del 2012, come modificato dal d.l. n. 90 del 2014, conv. con modif. dalla l. n. 114 del 2014, è valida la notificazione al difensore eseguita presso l'indirizzo PEC risultante dall'albo professionale di appartenenza, in quanto corrispondente a quello inserito nel pubblico elenco di cui all'art. 6 bis del d.lgs. n. 82 del 2005, atteso che il difensore è obbligato, ai sensi di quest'ultima disposizione, a darne comunicazione al proprio ordine e quest'ultimo è obbligato ad inserirlo sia nei registri INI PEC, sia nel ReGindE, di cui al d.m. 21 febbraio 2011 n. 44, gestito dal Ministero della Giustizia. (Cass. sez. un. 23620/2018).
La notificazione dell'atto di appello va eseguita all'indirizzo PEC del difensore costituito risultante dal ReGIndE, pur non indicato negli atti dal difensore medesimo, sicché è nulla la notificazione effettuata - ai sensi dell'art. 82 del r.d. n. 37 del 1934 - presso la cancelleria dell'ufficio giudiziario innanzi al quale pende la lite, anche se il destinatario abbia omesso di eleggere il domicilio nel Comune in cui ha sede quest'ultimo, a meno che, oltre a tale omissione, non ricorra anche la circostanza che l'indirizzo di posta elettronica certificata non sia accessibile per cause imputabili al destinatario (Cass. n. 14914/2018).
Pertanto, può affermarsi in definitiva che l'unico indirizzo che fa fede ai fini della identificazione del destinatario della notifica a mezzo pec è quello che si ricava dal Reginde (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 9232 del 22/03/2022; Sez. 6-L, Ordinanza n. 13224 del 25/05/2018; Sez. 6-L, Ordinanza n. 12876 del 24/05/2018). Ne consegue l’irrilevanza di quanto replicato dalla ricorrente al riguardo- nella memoria ex art. 372 c.p.c.- secondo la quale la parte controricorrente non avrebbe dimostrato la comunicazione dell’indirizzo pec da parte del precedente difensore, avv. Esposito, al Consiglio Nazionale Forense, a al Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Taranto, essendo invece l’indirizzo pec presso cui era stata notificata la sentenza impugnata dichiarato dal medesimo avv. Esposito nella comparsa di risposta in appello.
Inoltre, non è parimenti condivisibile l’eccezione con la quale è stato sostenuto che nella suddetta comparsa di risposta in appello, la pec era stata indicata al solo ed esclusivo fine di voler ricevere gli avvisi relativi al presente procedimento e non anche le notificazioni. Al riguardo, è irrilevante che la comparsa riferisse la pec ai soli avvisi, dato che, come detto, l'unico indirizzo che fa fede ai fini della identificazione del destinatario della notifica a mezzo pec è quello che si ricava dal Reginde, in conformità delle norme che disciplinano il “domicilio digitale”.
Se ne conclude che il ricorso è tardivo in quanto notificato il 30.6.2020, oltre sei mesi dalla notificazione della sentenza impugnata, in data 28.11.2019, come incontestato.
Premesso ciò, anche i due motivi del ricorso sono da considerare inammissibili.
Circa il primo motivo, va osservato che, in materia di risarcimento del danno causato da sinistri stradali, qualora venga accertato che più soggetti (anche se tra di essi sia compreso, come nella specie, un minore incapace di intendere e di volere) hanno dato un contributo causale (se pure in misura diversa tra loro) al verificarsi dell'evento dannoso, tutti sono tenuti in solido nei confronti del danneggiato, e non è consentito al giudice di merito limitare la condanna alla rispettiva quota - parte di responsabilità , dovendo egli pronunciarsi sulla graduazione delle colpe solo se uno dei condebitori solidali abbia esercitato l'azione di regresso nei confronti degli altri, o, comunque, in vista del regresso, abbia chiesto tale accertamento in funzione della ripartizione interna (Cass., n. 16939/06).
La ricorrente lamenta che la Corte d’appello non abbia considerato che la domanda di accertamento della responsabilità esclusiva della N. dovesse intendersi come comprensiva della richiesta di condanna nei limiti della quota. La critica tende al riesame dei fatti, ovvero a sindacare l’interpretazione del giudice del merito, che ha escluso la formulazione di siffatta istanza.
Peraltro, nella specie, l’istanza d’accertamento della responsabilità esclusiva della compagnia assicuratrice non equivale in nessun modo all’esercizio dell’azione di regresso, che postula la chiara esplicitazione della domanda di graduazione delle responsabilità degli autori dell’illecito produttivo del danno.
Il secondo motivo è del pari inammissibile in quanto non coglie la ratio decidendi. Invero, il Banco di N. aveva chiesto con l’appello di ritenere responsabile dell’illecita appropriazione delle somme oggetto della liquidazione delle polizze V. il solo C.- quale obbligato al rimborso a favore della condannata assicurazione-, ma la Corte d’appello, come detto, ha rigettato l’appello incidentale argomentando dall’interruzione del nesso causale tra la condotta negligente della N. e l’accredito al C. dovuta alla condotta gravemente negligente dello stesso Banco di N..
Ne consegue l’irrilevanza del richiamo agli artt. 1227 c.c. e 2049 c.c. a sostegno di una inammissibile doglianza di violazione di legge.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio che liquida nella somma di euro 8.200,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% quale rimborso forfettario delle spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater, del d.p.r. n.115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.