Nel caso in esame, una clausola inserita nello statuto indicava in modo chiaro i soggetti che potevano ricorrere al giudizio arbitrale, ovvero i soci, gli amministratori e i liquidatori, senza richiamare esplicitamente gli eredi dei soci.
Svolgimento del processo
1. B. D. C., in proprio e quale rappresentante del figlio minore R. P., entrambi eredi di G. R., socio, unitamente al fratello F. R. della società CSR snc di R. F. e G. (successivamente trasformata in CSR sas di R. F. & C.), promosse procedimento arbitrale per chiedere la liquidazione della quota loro spettante, avvalendosi della clausola compromissoria contenuta nell’art. 11 dello statuto della società CSR snc di R. F. & G. del 13.1.2005.
2. Con lodo del 23/5/2018 l’arbitro, accertato, sulla scorta dell’espletata CTU, il diritto degli eredi di G. R. ad ottenere la liquidazione della quota a loro spettante nella spiegata qualità, stabilì il valore della società C.S.R. snc di R. F. e G., al momento in cui era deceduto il socio G. R., nella misura di euro 1.184.000,00 e condannò C.S.R. sas di R. F. & C. (già C.S.R. snc di R. F. e G.) e il sig. F. R., in via solidale ma sussidiaria, al pagamento alla signora Costantina D. B. e P. R., rappresentato dalla madre, quali eredi di G. R., del valore della quota della C.S.R. snc di R. F. e G., nella misura di euro 592.000,00, oltre ad interessi dal 16 luglio 2016 al tasso previsto dal penultimo comma dell'articolo 1284 cc.
3. La Corte di Appello di Venezia, pronunciandosi sull’impugnazione proposta dal socio R. F. e dalla società CSR sas di R. F. & C, ha rigettato l’appello condannando gli appellanti alla refusione delle spese di giudizio.
3.1 I giudici di seconde cure osservarono: a) che la Camera Arbitrale aveva correttamente rigettato l’istanza di ricusazione sul presupposto che non sussistevano i requisiti previsti dall’art. 815 c.p.c., senza che potesse sostenersi la non esaustività della motivazione essendo la stessa sufficiente a comprenderne le ragioni; b) che la controversia relativa ad un diritto di credito degli eredi del socio defunto era da considerarsi inerente e pertinente al rapporto con la società e, quindi, era da ricomprendersi tra quelle per le quali l’art. 11 dello Statuto di CSR snc di R. F. e G. consentiva la compromettibilità in arbitri; c) che la modifica statutaria, intervenuta in occasione della trasformazione della società, la quale prevedeva l’espletamento preliminare del tentativo di conciliazione, peraltro non obbligatorio, da effettuarsi davanti alla Camera di Commercio, non era opponibile agli eredi del socio; d) che il procedimento arbitrale si era svolto nel pieno rispetto del contraddittorio e non sussisteva alcun vizio di nullità del lodo per omessa pronuncia o per motivazione contraddittoria;
e) che l’istanza per la nomina dell’arbitro datata 27/7/16 conteneva la richiesta di liquidazione della quota «in aggiunta agli interessi e rivalutazione monetaria dal giorno 1/1/16», di talché la formulazione di tale richiesta nel corso dell’arbitrato, con la memoria conclusiva del 15/3/18, non comportava alcun ampliamento del tema della decisione.
4. Ricorrono per Cassazione R. F. e CSR sas di R. F. & C. affidandosi a quattro motivi; B. D. C. e R. P. hanno svolto difese depositando controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di impugnazione si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 34 d.lgs. 5/2003 e dell’art. 808 cc, con riferimento all’art. 829 comma 1° n. 4 cpc ed in relazione all’art. 360 comma 1° n. 3 cpc, per avere la sentenza impugnata ritenuto estensibile agli eredi di un socio defunto di una società di persone (snc) la clausola arbitrale statutaria in mancanza di specifica indicazione soggettiva e, quindi, in violazione del suo ambito applicativo ed, altresì, in difetto di ulteriori elementi interpretativi a supporto di una ipotetica estensione implicita, con particolare riferimento ai concetti di trasmissibilità/intrasmissibilità mortis causa delle quote del socio defunto e, quindi, per non aver dichiarato la nullità del lodo per difetto di potestas iudicandi dell’arbitro e di legittimazione ad agire degli eredi.
1.1. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 5 cpc e dell’art. 5 comma 5° d.lgs. 28/2010, anche con riferimento alla falsa applicazione dell’art. 829 comma 1° n. 1 ed in relazione all’art. 360 comma 1° n. 3 cpc, per avere la sentenza ritenuto applicabile una clausola compromissoria contenuta in uno statuto estinto al momento della proposizione della domanda, sostituito da altro diverso e nuovo statuto e quindi per non aver correttamente individuato la fonte contrattuale dei poteri dell’arbitro, nonché per non aver ritenuto applicabile la disposizione statutaria vigente al momento della proposizione della domanda che prevedeva, quale condizione di procedibilità, il preventivo tentativo di conciliazione.
1.2 Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la nullità della sentenza impugnata e del procedimento per violazione degli artt. 112, 115, 194 e 198 cpc nonché dell’art. 2697 cc, in riferimento all’art. 360 comma 1° n. 4 cpc, per avere la sentenza impugnata erroneamente dichiarato inammissibile il motivo di impugnazione per nullità del lodo e per non aver esaminato le dedotte violazioni agli artt. 112, 115, 198 cpc e 2697 c.c. in cui era incorso il CTU nella valutazione della quota, in particolare acquisendo dati ed elementi di valutazione da soggetti terzi, senza autorizzazione dell’arbitro ed in mancanza di specifico consenso delle parti, nonostante la opposizione e la richiesta di rinnovazione della perizia per nullità del mezzo istruttorio.
1.3 Con il quarto motivo viene prospettata la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cpc e falsa applicazione dell’art. 1284 cc con riferimento all’art. 360 comma 1 n. 3 cpc, per avere la sentenza impugnata errato nel considerare come proposta la domanda di interessi in sede arbitrale, in violazione delle norme sul procedimento e sulle preclusioni processuali, oltre ad aver erroneamente applicato il tasso moratorio invece di quello legale ordinario, in ragione della natura del credito.
2. Il primo motivo è fondato.
2.1 E’ pacifico che, a seguito del decesso del socio R. G., il quale ha lasciato, quali suoi eredi legittimi, la moglie B. D. C. ed il figlio minorenne P., il socio superstite R. F. ha comunicato agli eredi di suo fratello di non essere intenzionato a proseguire con loro l’attività societaria; non essendosi realizzato il subingresso degli eredi del socio defunto nella compagine sociale sorge in capo al socio superstite il dovere di liquidare agli eredi la quota spettante al socio defunto.
2.2 La possibilità, rimessa alla volontà del socio superstite, di prosecuzione del rapporto sociale anche con gli eredi è espressamente sancita dalla clausola statutaria trascritta nel corpo della motivazione della sentenza, a tenore della quale « nel caso di morte di un socio, sarà facoltà dei soci restanti decidere se continuare l’attività con gli eredi, se questi vi consentiranno, tramite un loro legale rappresentante, o liquidare la quota agli eredi del defunto sulla base di un inventario o di un bilancio da erigersi in contraddittorio e con riferimento alla data del decesso».
2.3 Ciò premesso, l’art. 11 dello statuto della società CSR snc di R. F. e G. adottato il 13.1.2005 stabilisce che «Tutte le controversie insorgenti tra i soci ovvero tra i soci e la società che abbiano ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale, nonché le controversie promosse da amministratori e liquidatori, ovvero nei loro confronti, debbono essere risolte mediante arbitrato amministrato secondo il regolamento della Camera Arbitrale Vicenza che le parti dichiarano di accettare. L’organo arbitrale sarà composto da un arbitro unico nominato dalla Camera Arbitrale Vicenza. L’arbitro unico deciderà la controversia in via rituale e secondo diritto».
2.4 La disposizione statutaria riproduce il contenuto dell'art. 34, comma 1 del d.lgs. n. 5 del 2003, secondo cui gli atti costitutivi delle società possono prevedere «la devoluzione agli arbitri di alcune o di tutte le controversie insorgenti tra i soci, ovvero tra i soci e la società che abbiano oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale».
2.5 La società e il socio R. F. hanno dedotto sin dal primo atto difensivo del procedimento arbitrale (memoria di costituzione nel giudizio arbitrale del 1/9/2016 – di cui all’allegato 6/D – la cui produzione è stata specificamente indicata nel corpo del ricorso per Cassazione in ossequio al principio di autosufficienza) l’inammissibilità del ricorso alla procedura arbitrale per carenza di potestas iudicandi e/o comunque per difetto di giurisdizione; eccezione rigettata dall’arbitro e fatta oggetto di specifico motivo di appello, come risulta incontestabilmente dalla stessa sentenza impugnata.
2.6 La Corte distrettuale ha ritenuto correttamente attivato il giudizio arbitrale dagli eredi, non subentrati nella società per mancato consenso del socio superstite, essendo gli eredi titolari di un credito inerente e pertinente al rapporto con la società.
2.7 Tale interpretazione estensiva, secondo i giudici di merito, troverebbe conforto sia nella ampia formulazione dell’art. 34 D.Lgs. 5/2003, primo comma, che nella volontà delle parti espressa nella citata clausola arbitrale che fa riferimento alla possibile prosecuzione del rapporto sociale con gli eredi.
2.8 Ad ulteriore sostegno delle tesi dell’estensibilità dell’arbitrato anche a soggetti non espressamente citati nella clausola statutaria militerebbero le affermazioni espresse in motivazione da una recente pronuncia di questa Corte (cfr. Cass. 16556/2020).
2.9 Le argomentazioni spese dalla Corte non appaiono affatto persuasive.
2.10 Dalla lettura della clausola arbitrale si evince in modo chiaro ed inequivocabile che i soggetti che possono ricorrere al giudizio arbitrale sono esclusivamente i soci, gli amministratori e i liquidatori; non vi è alcun testuale richiamo agli eredi dei soci.
2.11 Questa Corte ha chiarito che l'evento della morte porta alla cessazione della qualità di socio (la quale non si trasferisce agli eredi, essendo il contratto sociale stipulato intuitus personae) e determina la trasformazione ope legis della quota, quale insieme di diritti sociali, nel corrispondente importo pecuniario, di cui diviene creditore l'erede e debitrice la società. L'operazione di liquidazione della quota, già di pertinenza del socio defunto, secondo i criteri fissati dall’art 2289 c.c., è, quindi, solo un procedimento contabile conseguente al già verificatosi scioglimento della società relativamente al predetto socio defunto. Queste stesse considerazioni valgono ad escludere che, in tale ipotesi, si verifichi un fenomeno di divisione, sia pure parziale, del patrimonio della società, in quanto il diritto dell'erede ha per oggetto fin dal primo momento un importo pecuniario, corrispondente al valore della quota, mentre il patrimonio sociale rimane immutato, sorgendo a carico della società solo l'obbligo di corrispondere il valore della quota (cfr. Cass 5809 /2001 e più recentemente Cass. 1216/2021).
2.12 Dunque, ai sensi dell'art. 2284 c.c., gli eredi del socio, fin dal momento dell'apertura della successione, e a maggior ragione nell'ipotesi, come quella in esame, in cui il socio superstite ha optato per la non prosecuzione del rapporto sociale con gli aventi causa del socio defunto, assumono esclusivamente la posizione di creditori a differenza di quanto accade per le società di capitali dove, in caso di decesso del socio, la sua quota si trasmette direttamente agli eredi (argomentando a contrariis dagli artt. 2355 bis comma 3 e 2469 1°comma cc).
2.13 La controversia arbitrale promossa, avente ad oggetto la liquidazione della quota sociale, se può essere inquadrata tra quelle «aventi per oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale», non è però riconducibile alla cognizione del giudizio arbitrale attivabile solamente dai soci tra loro, i soci e la società, gli amministratori e i liquidatori.
2.14 Né l’art 34 d.lgs. n. 5/2003, che si limita a riconoscere la compromettibilità delle liti societarie, né l’art. 7 dello statuto, che, riproducendo l’art 2284 cc, prevede la liquidazione degli eredi da parte dei soci superstiti, ove gli stessi non preferiscano continuare la società con gli eredi, autorizzano una lettura estensiva dell’ambito soggettivo della clausola arbitrale.
2.15 Il richiamo della sentenza al recente precedente di questa Corte (ordinanza n. 16556/20) non giova alla ritenuta potestas iudicandi degli arbitri, in quanto il caso posto all’attenzione di quei giudici presentava una clausola compromissoria societaria dove veniva fatta espressa menzione anche degli eredi dei soci, per cui ben poteva ritenersi che tale scelta fosse stata fatta volontariamente dai soci proprio in sede di stesura della clausola. La Corte in quell’occasione è stata chiamata proprio a valutare, in presenza di una clausola espressa, la legittimità della devoluzione agli arbitri delle controversie insorte tra gli eredi di un socio e gli altri soci per la liquidazione della quota.
2.16 In mancanza di una esplicita previsione statutaria che estenda l’arbitrabilità delle controversie societarie anche agli eredi del socio, questi ultimi, essendo estranei alla società ma solo creditori della stessa per la liquidazione della quota, non potevano promuovere la causa di liquidazione davanti al collegio arbitrale.
3. Gli altri motivi rimangono assorbiti.
4. In accoglimento del primo motivo va, quindi, cassata l’impugnata sentenza; la causa, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, può essere decisa, ai sensi dell’art 384, 2 comma cpc, con l’annullamento del lodo arbitrale per assenza di potestas iudicandi del giudice privato.
5. Le spese del presente giudizio e di quelle del giudizio di appello seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo, assorbiti tutti gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, annulla il lodo arbitrale.
Condanna B. D. C., in proprio e quale rappresentante del figlio minore R. P., al pagamento delle spese processuali che liquida, per il presente giudizio, in € 15.800, comprensivi di esborsi, oltre Iva, Cap e rimborso forfettario al 15%, e per il giudizio svoltosi davanti alla Corte di Appello di Venezia in € 17.700, oltre Iva, Cap e rimborso forfettario al 15%.