
Svolgimento del processo
Le attrici, professandosi socie della società T. srl per effetto della successione in morte del signor D. M., rispettivamente marito della signora S. e padre delle signore M., titolare della quota del 50% del capitale sociale di T. srl, hanno impugnato la delibera assembleare del 23/2/2022 di approvazione del bilancio al 31/12/2020 e del bilancio al 31/12/2021, deducendone la nullità ai sensi dell’art. 2479 ter co 3 c.c. perché assunta in assenza assoluta di informazione, nonché la nullità o l’annullabilità perché assunta in applicazione dell’art. 8 dello Statuto della società, clausola statutaria ritenuta dalle stesse non applicabile alla fattispecie ovvero invalida.
Si è costituita T. srl in persona dell’amministratore unico e ha svolto intervento volontario F. F., socio per il rimanente 50% del capitale sociale di T.. Entrambi hanno eccepito il difetto di legittimazione attiva delle attrici, hanno contestato diffusamente gli assunti attorei e hanno concluso per il rigetto delle domande svolte da parte attrice e per la declaratoria di piena validità ed efficacia dell’art. 8 dello Statuto di T. s.r.l.
Motivi della decisione
La domanda attorea è infondata e non merita accoglimento.
Preliminarmente va osservato che la disciplina del trasferimento delle partecipazioni nelle società a responsabilità limitata è quella dettata dall’art. 2469 c.c., che al primo comma enuncia il principio di libera trasferibilità della partecipazione, sia per atto tra vivi, che per successione mortis causa e al secondo comma prevede la possibilità di derogare al regime di libera trasferibilità della quota sociale della s.r.l., stabilendo, in particolare, che qualora l’atto costitutivo preveda l’intrasferibilità per atto tra vivi o mortis causa delle partecipazioni o ne subordini il trasferimento al gradimento di organi sociali, di soci o di terzi, senza previsione di limiti o ponendo limiti che nel caso concreto impediscono il trasferimento a causa di morte, il socio o i suoi eredi possono esercitare il diritto di recesso ai sensi dell’art. 2473 c.c.
Dal dettato normativo si evince che l’atto costitutivo può, non solo, limitare, ma anche escludere del tutto il trasferimento delle quote, ovvero subordinarlo ad una clausola di gradimento, quale espressione, come osservato in dottrina, dell’importanza che nella s.r.l. assume la persona del socio, nell’ottica di tutelare l’esigenza dei soci superstiti a mantenere una determinata composizione della compagine sociale, precludendo l’ingresso a soggetti che non posseggano specifici requisiti o non godano della loro fiducia.
Per i trasferimenti mortis causa i vincoli posti dall'atto costitutivo vengono in rilievo quando impediscono il relativo trasferimento delle partecipazioni, nel qual caso l’art. 2469 c.c. stabilisce il diritto di recesso per gli eredi del socio.
Come osservato in giurisprudenza “La previsione in esame è, in sintesi, congegnata in modo tale da sostituire al diritto dell’erede di subentrare nella titolarità della partecipazione del socio defunto il diritto di credito al controvalore della quota e vale ad escludere che nella clausola statutaria di intrasmissibilita` mortis causa assoluta o limitata della partecipazione sociale possa configurarsi la violazione del divieto dei patti successori sancito dall’art. 458 c.c.” (Tribunale Milano, decreto16 luglio 2022).
All’erede del socio defunto, cui è precluso il subentro nella titolarità della partecipazione, spetta pertanto il diritto al rimborso della partecipazione ai sensi dell’art. 2473 c.c. e appare pertanto condivisibile quanto affermato dalla dottrina, secondo cui il riferimento al recesso per gli eredi del socio è improprio, poiché implica la qualità di socio in capo al recedente, qualità che invece non sussiste in capo all'erede del socio defunto, in presenza di una clausola statutaria di intrasmissibilità mortis causa della partecipazione sociale.
Anche la sentenza citata dagli attori, inerente ad una fattispecie diversa da quella per cui è causa, poiché relativa a clausola statutaria che prevedeva la facoltà dei soci superstiti di “rendersi acquirenti della quota del defunto” e pertanto non sovrapponibile ai fatti di causa, ha affermato che “Dette clausole connotano sin da principio (o comunque sin da quando vengono a far parte dello statuto della società) la singola partecipazione societaria; il socio che ne è titolare ha nel proprio patrimonio una quota non liberamente trasferibile, la cui trasmissione mortis causa naturalmente risente degli effetti di tale limite di trasferibilità (non diversamente da quel che potrebbe accadere per un trasferimento inter vivos), non già in conseguenza di un patto volto a regolare il meccanismo ereditario, ma per le caratteristiche proprie del diritto che cade in successione: il diritto di partecipazione ad una società il cui statuto privilegia l’elemento personale, condizionando perciò la possibilità d’ingresso di nuovi soci alla volontà degli altri” soci superstiti (Cass. 3345/2010).
E’ riconosciuto, quindi, all’autonomia delle parti prevedere nello statuto una clausola limitativa della trasmissibilità della partecipazione mortis causa, qual è la clausola di cui all’art. 8 dello statuto di T. s.r.l., secondo cui “in caso di morte di un socio i soci superstiti, a maggioranza, avranno diritto di liquidare la quota agli eredi o autorizzarne l’ingresso nella compagine sociale”.
L’art. 8 è infatti una clausola che subordina l’ingresso in società degli eredi del socio defunto al mero gradimento dei soci superstiti, gradimento che nello specifico risulta essere stato negato dal socio superstite F., il quale in data in data 27/7/2021 (doc. 3 F.) comunicava alle attrici l’esercizio del proprio diritto di non autorizzare il loro ingresso nella compagine sociale quali eredi del signor D. M., optando per liquidare in loro favore la quota associativa del de cuius.
Nonostante l’esercizio del diritto di liquidazione sia avvenuto successivamente alla iscrizione da parte delle attrici in data 28/5/2021 nel Registro Imprese della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà di trasferimento mortis causa della partecipazione sociale, risulta dai pubblici registri che al momento della convocazione della assemblea di cui alla deliberazione impugnata, soci della società fossero, per il 50% ciascuno del capitale sociale, F. F. e D. M.. Va, peraltro, osservato che successivamente alla annotazione delle attrici, veniva iscritta al Registro delle Imprese la determina dell’amministratore unico del 28/1/2022 (doc.7 parte convenuta – atto pubblico rep. 57243), avente ad oggetto la “presa d’atto dell’avvenuto esercizio del socio superstite F. F. dell’opzione di liquidazione delle quote del socio defunto D. M.” e la “modifica, con conseguente rettifica, dell’errata comunicazione eseguita al Registro delle Imprese di Padova in data 28.05.2021”, con cui l’amministratore unico determinava “di essere legislativamente tenuto a ripristinare la correttezza degli adempimenti di legge” e “di presentare idonea pratica camerale al fine di eliminare il caricamento della pratica presentata” dalle eredi odierne attrici, con “reintestazione” del capitale sociale nella misura del 50% ciascuno in capo a F. F. e a D. M..
Ciò posto, è da escludere che le attrici fossero socie all’atto della convocazione dell’assemblea del 23/3/2022, essendo già stata esercitata a quella data la facoltà di non gradimento attribuita al socio superstite dall’art. 8 dello Statuto.
Le attrici, tuttavia, rivendicano la qualità di socie, lamentando la non applicabilità ai rapporti tra le parti nonché l’illegittimità dell’art. 8 dello Statuto di T. srl, norma convenzionale che regola il trasferimento delle partecipazioni sociali sia tra vivi che mortis causa .
Sotto il primo profilo deducono che essa facendo riferimento a “i soci superstiti, a maggioranza” troverebbe applicazione solo quando residui una pluralità di soci.
Tale interpretazione letterale dell’art. 8 dello Statuto non appare, tuttavia, condivisibile, poiché, a prescindere dal fatto che all’epoca di modifica dello Statuto nel 1998 (cfr. doc. 4 di parte attrice) era già entrato in vigore il d.lgs. 88/1993 in materia di srl unipersonale, la disciplina sul trasferimento delle partecipazioni sociali nelle s.r.l. sopra delineata, oltre ad ammettere la previsione di clausole di intrasmissibilità, risponde anche alla ratio di evitare l’ingresso in società di persone non gradite alla compagine sociale. Ne consegue, quindi, che la clausola va interpretata nel senso che il riferimento contenuto all’art. 8 alla maggioranza sia riferibile solo all’ipotesi in cui residui più di un socio superstite, mentre ove il socio superstite sia solo uno l’ingresso degli eredi in società sarà rimesso al suo esclusivo gradimento.
Sotto altro profilo appare inconferente il richiamo operato da parte attrice alla clausola di consolidazione pura e la dedotta invalidità dell’art. 8 dello statuto per contrarietà al divieto di patti successori.
Nella fattispecie non si è in presenza di una clausola di consolidazione pura, che prevede che la quota del socio defunto si accresca agli altri soci, escludendo qualsiasi liquidazione agli eredi legittimi o testamentari sia da parte dei soci, sia da parte della società, dal momento che lo Statuto prevede espressamente l’obbligo del socio superstite di liquidare la quota agli eredi a fronte dell’esercizio del diritto di non autorizzarne l’ingresso nella compagine sociale, liquidazione che dovrà avvenire secondo le regole di cui all’art. 2473 c.c.
Si è quindi al cospetto di una clausola che non viola il divieto di patti successori, né priva le eredi del valore della quota facente parte dell’asse ereditario, bensì di una clausola espressione dell’autonomia statutaria che limita la trasferibilità delle partecipazioni sociali con l’attribuzione agli eredi del diritto alla liquidazione della quota, a titolo di controbilanciamento e a tutela del valore economico della partecipazione medesima.
Quanto poi alla dedotta incertezza in ordine all’effettivo operare della clausola “non essendo chiarito se la “liquidazione” a cui i soci superstiti hanno diritto sia da effettuarsi da parte dei soci stessi ovvero da parte della società”, si tratta di doglianza che non appare motivo di nullità della clausola, in quanto questa va interpretata come ogni altra clausola pattizia, e in base alla stessa interpretazione letterale appare chiaro che l’obbligo è riferibile ai soci che esercitano la facoltà di non gradimento; in ogni caso la questione risulta, ad ogni buon conto, superata da quanto concordemente espresso sia da parte convenuta sia dal terzo interveniente, circa la sussistenza dell’obbligo di liquidazione in capo al socio e, dunque, in capo al F..
Irrilevante è infine quanto occorso nel 2012 alla morte del socio F. M., non potendosi trarre dalla condotta in allora tenuta dai soci alcun comportamento concludente vincolante per le attuali parti del giudizio.
Ciò posto, la clausola di cui all’art. 8 dello Statuto appare valida e legittima e proprio in applicazione di essa risulta essere stato correttamente esercitato il diritto del socio superstite di non autorizzare l’ingresso nella compagine sociale delle attrici quali eredi di D. M..
E’, pertanto, da escludere la qualità di socie in capo alle eredi, come peraltro emerge dai pubblici registri (cfr. doc. 2 attoreo visura di T. srl).
In ragione di ciò non solo la delibera impugnata non appare viziata per difetto di valida convocazione delle attrici, ma queste non risultano nemmeno titolari del diritto di impugnare la deliberazione ai sensi dell’art. 2479 ter cc (e non già prive di legittimazione attiva come eccepito da parte convenuta e dal socio F., ponendosi nella fattispecie una questione di titolarità attiva).
La domanda attorea va pertanto respinta e le attrici vanno condannate al rimborso delle spese di lite in favore di parte convenuta e del terzo interveniente.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:
1) rigetta le domande svolte dalle attrici;
2) accerta la validità della clausola di cui all’art. 8 dello Statuto di T. s.r.l.;
3) condanna le attrici al rimborso delle spese di lite in favore di T. srl che liquida in € 8991 per compensi oltre c.p.a., rimb.forf.15% e i.v.a.;
4) condanna le attrici al rimborso delle spese di lite in favore di F. F. che liquida in € 8991 per compensi ed € 1.036 per spese, oltre c.p.a., rimb.forf.15% e i.v.a.