|
«l' |
|
«Tuttavia l'azione individualmente concessa ai soci per il risarcimento dei danni loro cagionati dagli atti dolosi o colposi degli amministratori, di natura extracontrattuale, presuppone che i danni suddetti non siano solo il riflesso di quelli arrecati eventualmente al patrimonio sociale, ma siano direttamente cagionati al socio come conseguenza immediata del comportamento degli amministratori e dei sindaci, che tale comportamento abbiano reso possibile violando i loro doveri di controllo»; |
|
«Pertanto il diritto alla conservazione del patrimonio sociale spetta alla società e non al socio come tale, il quale ha in materia un interesse, la cui eventuale lesione non può concretare quel danno diretto necessario per poter esperire l'azione individuale di responsabilità conto gli amministratori». |
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
[PGF] conveniva in giudizio [FT], esponendo che:
- in data 24/06/2011 esso attore ed il convenuto avrebbero costituito la società in nome collettivo [omissis]
s.n.c. di [omissis] con capitale sociale pari ad Euro 4.000,00, tra essi ripartito al 50%;
- il convenuto sarebbe stato nominato amministratore della società, mentre esso attore si sarebbe occupato di svolgere attività lavorativa;
- nonostante nei primi anni la società avrebbe riportato delle entrate importanti, esso attore non avrebbe mai percepito i relativi utili;
- la condotta di mala gestio dell’amministratore avrebbe determinato il tracollo della società ed infatti proprio per tale ragione esso attore avrebbe ricevuto dalla BPM (presso la quale la società intratteneva il rapporto di conto corrente n. [omissis]) una lettera di revoca immediata delle linee di credito e diffidato al pagamento dell’importo di Euro 16.735,21 quale saldo debitore risultante dal detto conto;
- a fronte di tale intimazione, il convenuto, nonostante fosse stato l’unico ad operare ed avere l’accesso sul conto corrente, avrebbe omesso di adoperarsi per estinguere la detta esposizione debitoria, con evidenti ripercussioni economiche sul patrimonio di esso attore che, peraltro, si sarebbe avveduto, da recenti analisi, dell’appropriazione, da parte del convenuto, dal 2011 al 2018, di somme di denaro destinate alla società;
- il convenuto avrebbe inoltre utilizzato beni societari (anche a mezzo carta di credito della società) per soddisfare esigenze di carattere personale ed estranee all’attività commerciale;
- l’ammontare delle somme indebitamente sottratte alla compagine societaria sarebbe pari ad Euro 437.406,05 (per le ragioni meglio precisate in atto di citazione);
- dunque, posta la responsabilità dell’amministratore per le condotte di appropriazione e di distrazione responsabilità esso dovrà risarcire o comunque restituire in favore di esso attore la somma pari ad Euro 218.703,00 in ragione della propria partecipazione al 50% del capitale sociale.
Si costituiva in giudizio [FT] il quale, premesse le vicende societarie e la rispettiva posizione dei due soci, procedeva alla contestazione di ciascuno degli addebiti contestati dalla parte attrice, a rimostranza della fondatezza di ciascuna di esse.
Con ordinanza del 18/03/2014 la causa, istruita documentalmente, veniva trattenuta in decisione con concessione alle parti dei termini ex art. 190 c.p.c.
In via istruttoria, le richieste a tal fine formulate dalla parte attrice non hanno potuto trovare accoglimento, dacché superflue o comunque ininfluenti ai fini del decidere.
Giova premettere che la presente sentenza viene emessa dal Tribunale in composizione collegiale in ragione di quanto previsto dall’art. 50-bis n. 5 c.p.c., nella sua formulazione applicabile ratione temporis.
Nel merito la domanda è infondata e pertanto non può trovare accoglimento.
Invero, si desume dagli atti di causa che l’odierna parte attrice – in qualità di socio al 50% del capitale sociale della [omissis] s.n.c. di [omissis] – ha incardinato il presente giudizio al fine di ottenere il risarcimento del danno inferto al proprio patrimonio dalla condotta di mala gestio dell’amministratore convenuto.
In particolare, si duole il [PGF] del fatto che durante la vita della società l’amministratore non gli avrebbe mai corrisposto gli utili di esercizio, oltre ad essersi indebitamente appropriato di beni della società, anche mediante prelievo di somme dal conto corrente ad essa intestato per scopi personali, oltre che di beni ad essa appartenenti.
Orbene, occorre premettere in via generale che in materia di società di persone, posto anche l’analogo principio espresso in tema di società di capitali, la Suprema Corte di Cassazione ha statuito che “l’art. 2260 c.c., nel concedere alla società di persone, quale ente munito di autonoma soggettività e di un proprio patrimonio, la facoltà di agire contro gli amministratori, per rivalersi del danno subito a causa del loro inadempimento ai doveri fissati dalla legge o dall’atto costitutivo, non esclude, in difetto di previsione derogativa, il diritto di ciascun socio di pretendere il ristoro del pregiudizio direttamente ricevuto in dipendenza del comportamento doloso o colposo degli amministratori medesimi, in applicazione analogica dell’art. 2395 c.c., e in base alle disposizioni generali dell’art. 2043 c.c. (Cass. 10 marzo 1992, n. 2872; Cass.,13 dicembre 1995, n.12772). Tuttavia l’azione individualmente concessa ai soci per il risarcimento dei danni loro cagionati dagli atti dolosi o colposi degli amministratori, di natura extracontrattuale, presuppone che i danni suddetti non siano solo il riflesso di quelli arrecati eventualmente al patrimonio sociale, ma siano direttamente cagionati al socio come conseguenza immediata del comportamento degli amministratori e dei sindaci, che tale comportamento abbiano reso possibile violando i loro doveri di controllo (Cass. 3 agosto 1988, n. 4817; 2 giugno 1989, n. 2685; 7 settembre 1993, n. 9385; 28 maggio 2004, n. 10271). Pertanto il diritto alla conservazione del patrimonio sociale spetta alla società e non al socio come tale, il quale ha in materia un interesse, la cui eventuale lesione non può concretare quel danno diretto necessario per poter esperire l’azione individuale di responsabilità conto gli amministratori (Cass. 7 settembre 1993, n. 9385)” (cfr. Cass. Civ., sez. I, del 25/07/2007, n. 1646).
Posti gli enunciati principi, muovendo alla disamina del caso in esame, è dirimente osservare che le doglianze espresse dalla parte attrice delineano condotte assunte distrattive o di indebita appropriazione – da parte dell’amministratore – di beni appartenenti alla società e, quindi, inevitabilmente al patrimonio della società, tali dovendosi qualificare i prelevamenti dal conto intestato alla società, l’utilizzo delle carte di credito intestate alla stessa società [omissis], con l’automatica conseguenza che – qualora si volesse ritenere sussistente la condotta di mala gestio addebitata all’amministratore convenuto – il danno in ipotesi scaturitone potrebbe dirsi prodotto in via diretta nel patrimonio della società e, solo (eventualmente) di riflesso nel patrimonio del socio. Il fatto che a connotare le società di persone vi sia il regime di responsabilità solidale ed illimitata dei soci, dettata per le s.n.c. dall’art. 2291 c.c., non implica in modo del tutto automatico che, al cospetto di una condotta distrattiva posta in essere dall’amministratore, il socio abbia in via preventiva o “cautelativa” (come sembrerebbe pretendersi nel caso in questione) il diritto al risarcimento di un danno prospettato in termini ipotetici e futuri. Derivante, in altri termini, da un’eventuale escussione dei creditori sociali – alle condizioni dettate dall’art. 2304 c.c. – del patrimonio personale dei soci.
D’altro canto, deve rilevarsi che rispetto alla missiva di revoca delle linee di credito – inoltrata dalla BMP ad entrambi i soci, in qualità di fideiussori – l’amministratore convenuto, benchè in corso di causa, ha dato prova di essersi attivato al fine di ripianare l’esposizione debitoria della società verso la banca.
Così come deve pure rilevarsi che dagli stessi estratti conto versati in atti da esso attore si evincono diverse movimentazioni ad esso riferibili, ciò a conferma di quanto sostenuto dalla parte convenuta, della piena possibilità del [PGF], anche mediante l’utilizzo della pertinente carta di credito, di accedere liberamente al conto corrente.
Né un qualche rilievo può assume la circostanza – addotta dalla parte attrice – che tali condotte distrattive, comportando una diminuzione del patrimonio sociale, avrebbero specularmente comportato una diminuzione degli utili ripartibili tra i soci.
Il danno, per come prospettato, si porrebbe in ogni caso come danno meramente riflesso, in quanto tale non suscettibile di essere fatto oggetto di un’autonoma domanda risarcitoria da parte del socio attore.
Va poi osservato che la doglianza con la quale la parte attrice ha sostenuto di non aver mai – dal 2011 sino al 2018 – percepito alcun utile trova evidente smentita nelle dichiarazioni dei redditi della società, dichiarazione dei redditi del socio [PGF] e del socio [FT], prodotte dalla parte convenuta, dalle quali si apprezza che, per contro, gli utili sono stati in concreto distribuiti in favore di entrambi di soci.
Del resto, è lo stesso attore che dapprima si duole di non aver mai ricevuto alcun utile, successivamente di non averli percepiti nella misura dovuta, senza tuttavia allegare quale sarebbe stata la differenza tra l’utile di esercizio distribuibile e quale in concreto ad esso distribuito.
In conclusione, posta l’insussistenza di qualsivoglia danno diretto inferto al patrimonio del socio attore, la domanda va respinta.
Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno poste a carico della parte attrice.
P.Q.M.
Il Tribunale di Roma definitivamente pronunciando in composizione collegiale, nel contraddittorio tra le parti, così provvede:
I. respinge la domanda di risarcimento del danno proposta da [PGF] avverso [FT];
II. condanna [PGF] a rifondere a [FT] le spese del presente giudizio che si liquidano in Euro 8.433,00 oltre IVA, CPA, rimborso spese generali.